domenica, agosto 12, 2012
domenica, marzo 11, 2012
La Clara ha 89 anni oggi MAZAL TOV!
CLARA 89 ANNI !
la giornata e' cominciata con tanto di colazione fatta alla casa di riposo, torta e candelina gia' alle nove del mattino e poi via al club per la lezione dei lavori di artigianato con Yami ...cosa da non perdere ogni domenica.
Alle undici siamo partiti per Zikron e senza faticare molto siamo andati al solito ristorante italiano MANOVELLA ( Manovella!!-proprio cosi perche' fanno la pasta all'uovo fatta in casa con la macchina e la manovella).
Menu': insalta verde ( e rossa) come primo piatto, e poi fettuccine al ragu'. Dopo esserci saziati siamo tornati a casa per il riposino quotidiano. Alle sei e mezzo con i 3 nipoti abbiamo fatto una piccola festicciola con tanto di caffe espresso e dolcetti.
Il caffe' con la nuova macchiana da espresso capsule di regalo per l'occasione.Con la speranza che riuscira' a farla funzionare. Telefonate le ha avute da tanti amici e parenti - grazie di cuore a tutti.
Qui sotto Un po' di foto ed il filmetto ( di foto ) . MAZAL TOV! CLARA.
PER VEDERE IL LIBRO ( FILMATO ) PREMETE ------->QUI'
mercoledì, febbraio 08, 2012
ricordi di quando eravamo bambini...a Firenze
Oggi ho trovato per caso questo sito su internet che mi ricorda quando ero bambino e i vari libri che ricevevamo in regalo dai nonni e dai genitori. Nel sito ci sono tante figure delle copertine dei libri ...
insomma un tuffo nella storia. Interessante.
SITO BREVE STORIA EDITRICE PAGGI-BEMPORAD
insomma un tuffo nella storia. Interessante.
SITO BREVE STORIA EDITRICE PAGGI-BEMPORAD
sabato, gennaio 28, 2012
TROVATO SU INTERNET - SU PITIGLIANO E LA STORIA INTERESSANTE
ATTI DEL CONVEGNO ìGLI EBREI E LíAMIATA, STORIA E MEMORIAî Santa Fiora, febbraio 2002
Gli ebrei e líAmiata: storia e memoria
Gli Ebrei e líAmiata: storia e memoria
Il 10 febbraio del 2002 la Consultacultura di Santa Fiora ha promosso un impor- tante seminario dedicato a ìGli ebrei e líAmiata: storia e memoriaî che voleva, da una parte, ripercorrere e rendere pi ̆ note le vicende delle comunit‡ ebraiche amiatine, tra il XVI e il XVIII secolo, nel contesto di un ambito territoriale pi ̆ ampio, che abbraccia tutta la valle del Fiora e, dalla Montagna, passando per Pi- tigliano e Sorano, si estende fino alla Tuscia laziale (perchÈ fu questo lo spazio dove le comunit‡ ebraiche trovarono ìrifugioî per diverse vicende e cause stori- che e istituzionali); dallíaltra, in concomitanza con la ìGiornata della memoriaî, riflettere sul significato e la portata, anche nei nostri territori, della strategia del- lo sterminio, paradigma centrale della storia del Novecento, perseguita dal Nazi- smo e che oggi, alla luce della drammatica ripresa delle guerre e dei razzismi che sta contrassegnando questo difficile valico tra la fine del II millennio e líavvio del III, torna di drammatica e preoccupante attualit‡. La Consultacultura per quanto nelle sue possibilit‡, ha in questi anni, soprattutto grazie allíannuario TracceÖ, cercato di ricostruire alcune coordinate della storia della presenza ebraica nel territorio, dando cosÏ, sicuramente, un prezioso contributo a ridisegnare un tas- sello che, evidentemente, risultava mancante nella ricostruzione storico- geografica delle comunit‡ ebraiche nella Toscana meridionale: con questo semi- nario la nostra associazione ha fatto di pi ̆, ponendo, per la prima volta esplicita- mente, il problema della necessit‡ dello studio delle relazioni tra le diverse comu- nit‡, non solo della Toscana meridionale, ma anche dellíalto Lazio, insomma di quella vasta area che tra Cinqueento e Seicento costituiva una vera e propria mi- croregione formata da piccoli stati autonomi (dominati dagli Sforza, dai Bourbon del Monte, dagli Ottieri, dagli Orsini, dai Farnese), dove gli ebrei trovarono ìrifugioî e poterono costruire attivit‡ economiche e conservare la propria cultu- ra e i propri culti. Il seminario Ë stato, come ampiamente testimoniano le relazioni che qui pubblichiamo, un grande successo. Di pi ̆, ci auguriamo, ha segnato un punto di non ritorno nellíambito della ricerca territoriale locale. CiÚ non sarebbe stato possibile se, accanto allíimpegno di Consultacultura, non si fosse incontrata una fattiva e preziosa collaborazione con le comunit‡ ebraiche di Firenze e di Pi- tigliano. Ci preme ringraziare, pertanto, il Dott. Mario Fineschi, della comunit‡ ebraica di Firenze, per líimpegno speso e per la sua attiva partecipazione, e la Sig.ra Elena Servi che rappresenta líultimo legame con la storia delle comunit‡ ebraiche della Toscana meridionale oltre ad essere, nel contempo, líanimatrice prima della rinascita della sinagoga di Pitigliano e dei diversi eventi che, grazie allíAssociazione ìLa Piccola Gerusalemmeî, hanno ricominciato a restituire al territorio il significato pi ̆ pieno di una storia che, altrimenti, sembrava destinata allíoblio. Líiniziativa del seminario, e la pubblicazione degli interventi di quella giornata su TracceÖ 2002, assunta in piena autonomia economica e culturale
dalla nostra associazione, non sarebbe forse stata possibile senza il patrocinio di alcuni enti pubblici che vogliamo pubblicamente ringraziare: líamministrazione comunale di Santa Fiora, líamministrazione provinciale, la Comunit‡ del Monte Amiata, tramite progetto PIA, la Regione Toscana e il Cospe di Firenze. Per quanto riguarda, infine, i materiali che qui vengono presentati occorre fare un paio di precisazioni. La prima che líintervento del prof. Michele Luzzati Ë stato pubblicato su TracceÖ 2004 e il primo di Angelo Biondi che qui compare, Ë stato pubblicato su TracceÖ. 2005, e sono quindi interventi successivi al Convegno, che ne rappresentano uno sviluppo e una integrazione.
L. N.
Presentazione Zeffiro Ciuffoletti
Ordinario di Storia Contemporanea e Storia del Risorgimento dellíUniversit‡ di Firenze
I saggi e i materiali documentari, dalle fonti di archivio alle testimonianze orali, che trovano collocazione nella rivista ìTracce...î (7/2002), rappresentano un im- portante contributo alla storia della presenza ebraica nella Toscana meridionale tra XVI e XIX secolo, nonchÈ alla ulteriore conoscenza del dramma della Shoah con nuove e inedite testimonianze. Conosco quasi tutti gli
studiosi che hanno partecipato al convegno sugli e- brei svoltosi a Santa Fiora. Sono studiosi di valore, animati dalla passione della ricerca locale, ma perfet- tamente consapevoli dellíuso delle fonti e della di- mensione storiografica dei problemi. I loro contributi sono, quindi, preziosi, al fine di ricostruire la presen- za e le vicende delle piccole comunit‡ ebraiche spar- se lungo líincerto confine tra Toscana e Lazio, tra Stato della Chiesa e Granducato Mediceo. Le vicende degli ebrei in Toscana sono state a lungo trascurate, ma negli ultimi anni gli studi e i contributi si sono infittiti, come ricostruisce con grande precisione Ro- berto Salvadori, gi‡ autore di un importante saggio sugli ebrei toscani nella prima met‡ dellí800[1]. Dagli studi di Michele Luzzati e Michele Cassandro sulle comunit‡ ebraiche dal medioe- vo fino al XVII secolo si Ë passati ai contributi sulle piccole comunit‡ della Tosca- na meridionale, Pitigliano, Sorano, Sovana, di Giuseppe Celata e Angelo Biondi. Tutte queste ricerche le ho viste nascere sotto i miei occhi e le ho sempre incorag- giate nella convinzione che una storia della Toscana senza la presenza delle picco- le storie delle comunit‡ ebraiche locali sarebbe rimasta sostanzialmente monca in aspetti non secondari della storia economica, politica e sociale. Ariel Toaff in uno studio pubblicato nel 1986[2] ha dimostrato quali furono le origini di queste piccole comunit‡ ebree ai margini della Toscana meridionale fra il XVI e il XVII secolo. Si tratta di ebrei cacciati in varie fasi dallo Stato Pontificio a partire dal momento della costituzione dei ghetti sul cui significato si Ë soffermata recentemente Ester
Capuzzo, in un contributo assai interessante anche per le tematiche dellíOttocento e del Novecento[3]. Ad ogni ondata di persecuzione e di umiliazioni gli ebrei cer- cavano scampo nei territori di confine verso la Toscana. In realt‡ a partire dal Cin- quecento la linea di confine con lo stato mediceo toscano era costellata di feudi pi ̆ o meno grandi, come quelli degli Orsini o degli Sforza. I signorotti di queste piccole contee o marchesati, spesso scarsamente popolati, vedevano con un certo favore líarrivo di ebrei non solo per ragioni demografiche ma anche perchÈ gli e- brei portavano con sÈ competenze professionali (medici, chirurghi), commerciali e artigianali utilissime per líeconomia e la societ‡ locale. Gli Orsini arrivarono a San Savino, dove regnarono dopo Pitigliano e Sorano, fino al punto di consentire líingresso persino agli ebrei ricercati per ragioni giudiziarie e per debiti. Agli studi finora svolti si uniscono ora gli apporti delle belle relazioni di Lucio Niccolai sulle comunit‡ ebraiche di Santa Fiora e di Piancastagnaio, di Angelo Biondi sulle co- munit‡ della Valle del Fiora, di Bonafede Mancini sullíAlta Tuscia. Si tratta di la- vori che forse rinviano a ulteriori ricerche, ma che intanto ci offrono un quadro pi ̆ ampio della presenza degli ebrei nella Toscana Meridionale. La seconda parte del- le relazioni del convegno di Santa Fiora riguarda, come gi‡ detto, le testimonianze relative alla Shoah e alle leggi fasciste contro gli ebrei. Mi sembra assai toccante la storia raccontata da Elena Servi, della sua infanzia a Pitigliano, dove la comuni- t‡ ebrea, ormai in netto declino, fu colpita a morte dalle leggi razziali. Le memorie di Elena, allora una bambina di meno di dieci anni, ci fanno toccare con mano da un lato la crudelt‡ di quelle leggi e della loro applicazione e dallíaltra líesistenza di forme di solidariet‡ umana che superavano le divisioni religiose e alleviavano le disumane normative previste dalle famigerate leggi razziali del 1938. Dobbiamo, quindi, essere grati agli organizzatori del convegno e alla rivista che ha accolto questi contributi.
Introduzione ai lavori del seminario ìGli ebrei e líAmiata: storia e memoriaî
Elena Servi,
Associazione ìLa piccola Gerusalemmeî di Pitigliano
Un ringraziamento particolare a Consultacultura e a tutti gli organizzatori del seminario per aver voluto che io partecipassi, non solo come presenza, ma an- che come portatrice di esperienze e di fatti che ho vissuto personalmente a Piti- gliano. Mi diceva stamani, scherzando, il professor Biondi: "Come persona in-
formata sui fatti". Di Pitigliano si parla molto in questo periodo e in questi ultimi anni. Voi certa- mente avrete visto le varie trasmissioni televisive, avrete letto i vari articoli sui giornali non solo locali ma anche nazionali come "La Repubblica" o "La Na- zione". Pitigliano direi che Ë rinata, in questi ultimi anni. Io non mi soffermerÚ
e non farÚ un ìexcursusî storico su quello che Ë stata tutta la lunga storia della comunit‡ di Piti- gliano, perchÈ ci sono qui presenti due studiosi e ricercatori che hanno scritto e sanno molto pi ̆ di me, quindi lascio a loro il compito della storia vera e propria. Io mi soffermerÚ soprattutto sulla decadenza della comunit‡ di Pitigliano, inqua- drandola, naturalmente, nel contesto storico, e poi su quella che Ë una certa rinascita della co- munit‡ di Pitigliano, anche se con tutti i limiti
che il diverso contesto storico ed economico ormai comporta. Io non credo che a Pitigliano avremo pi ̆ una comunit‡ ebraica come quella di una volta, ma ab- biamo una vita culturale ebraica che Ë al centro di un grande interesse regiona- le, nazionale e internazionale. Quindi io mi rifaccio un pochino indietro, allíini- zio dellíinsediamento ebraico in Pitigliano e per circa un secolo e mezzo, quan- do la storia ebraica di Pitigliano va in parallelo, Ë simile a quella di altre piccole comunit‡ della zona. PerchÈ non solo Pitigliano: ci furono altri insediamenti nella bassa Maremma e nella zona amiatina, che perÚ finirono prima di Pitiglia- no e con Pitigliano si fusero. Purtroppo queste zone non conservano il patrimo- nio storico e culturale che ha Pitigliano. Ci sono documenti díarchivio ñ e io come ebrea, una degli ultimi tre ebrei rimasti a Pitigliano, ringrazio gli studiosi che riportano alla luce certi documenti ñ ma tutto il patrimonio architettonico di cui Ë ricco Pitigliano, gli altri paesi non lo han-
no pi ̆ o perchÈ non lo hanno mai avuto o per- chÈ Ë andato perso nel tempo. Noi a Pitigliano non abbiamo soltanto una sinagoga e un cimi- tero, ma abbiamo ancora un forno delle azzime che io credo sia l'unico antico in tutta líItalia, abbiamo tutto un quartiere antico scavato nel tufo che grazie al comune di Pitigliano, sta rie- mergendo da quelle che erano le macerie e da quella che era la distruzione. Quindi Pitigliano ha avuto uníimportanza maggiore forse per motivi storici ed economici e mentre le altre piccole comunit‡ si dissolvevano, Pitigliano fioriva. », infatti, tra la seconda met‡ del Settecento e la prima dell'Ottocento che la comunit‡ di Pitigliano cresce numericamente. Leggevo, proprio ieri sera sul libro del prof. Salvadori, di un censimento del 1841 secondo cui la popola-
zione ebraica di Pitigliano raggiungeva i 359 membri su una popolazione com- plessiva di 3125 abitanti. » proprio in quel periodo che la comunit‡ di Pitiglia- no, non solo si accresce numericamente ma, di conseguenza, sviluppa le sue strutture e si organizza; Ë una comunit‡ a cui non manca niente di tutto quello che puÚ servire ad una comunit‡ ebraica: oltre alla sinagoga e al cimitero, c'Ë una scuola elementare e una materna, un forno delle azzime, una biblioteca, u- na macelleria, una cantina e un bagno rituale.
CosÏ si va avanti fino all'Unit‡ d'Italia, dopo cíË un certo regresso e la comunit‡ di Pitigliano perde un centinaio dei suoi membri ñ ed Ë logico, umano e natura- le, perchÈ con l'Unit‡ d'Italia si arriva alla famosa emancipazione, si arriva a riconoscere gli ebrei come cittadini italiani ai quali sono consentiti e dati final- mente tutti i diritti e tutti i doveri che sono anche molto importanti. A Pitiglia- no, con questa raggiunta parit‡, un buon numero di ebrei va verso le citt‡ pi ̆ grandi, in particolare Roma e Firenze. Ed Ë logico, perchÈ finalmente tutti gli ebrei possono accedere a tutte le facolt‡ universitarie e possono esercitare tutte le professioni. Pur diminuendo di numero, perÚ, quella di Pitigliano rimane una comunit‡ viva, attiva e ricca, anche se,
gradatamente, la popolazione ebraica di- minuisce ancora. Ora faccio un salto di varie decine di anni e mi riporto a quella che fu la mia epoca, la nostra epoca ñ ho qui davanti mio cugino, il prof. Servi, il quale ha vissuto come me, un pochino pi ̆ di me in quanto ci sono pochi anni di differenza, la vita comunitaria di Pitiglia- no. Io ricordo solo gli ultimi anni di que- sta vita comunitaria e la ricordo come una comunit‡ molto viva. Prima delle leggi razziali, quindi prima degli anni í38-39, eravamo ancora circa 70 ebrei, non pochi per un paese cosÏ piccolo se conside- riamo che a Siena, oggi mi hanno detto, ce ne sono circa una cinquantina. Noi eravamo circa 50 al centro di Pitigliano e poi una ventina di persone nelle im- mediate vicinanze: avevamo una famiglia ad Acquapendente ñ qui abbiamo l'ultimo rappresentante, il sig. Aldo Paggi -, una famiglia a Latera e non Ë rima- sto pi ̆ nessuno - se non mio figlio che Ë diretto discendente ñ; e avevamo le famiglie di Grosseto che facevano tutte capo a Pitigliano, perchÈ era in quell'e- poca una delle cinque comunit‡ ebraiche rimaste in Toscana insieme a Firenze, Livorno, Pisa e Siena e l'unica della provincia di Grosseto. Quindi tutte le altre della zona, la bassa Maremma e la zona amiatina, non esistevano pi ̆. Ricordo, purtroppo, solo gli ultimi 4-5 anni, perÚ ricordo ancora le celebrazioni religio- se, le feste per le maggiorit‡ religiose, líultima delle quali, proprio nel í38, del prof. Marco Servi. Noi abbiamo, nel forno delle azzime, una bella fotografia d'insieme di tutta la comunit‡ per una maggiorit‡ religiosa celebrata per un ra- gazzo la cui famiglia abitava, ormai, a Gallarate, poi a Milano; ma, avendo le
radici a Pitigliano, erano venuti a celebrarla qui. In quella foto ritroviamo in gruppo quasi tutta la comunit‡. Ricordo anche le recite che facevamo per le va- rie festivit‡, per il famoso carnevale ebraico e cioË per il Purim; ricordo la sina- goga, noi la chiamavamo Tempio o Scola, come diceva mio padre; non usava- mo la parola sinagoga ñ Ë antica e deriva dal greco
ñ che usiamo pi ̆ di recente. Se pur diminuita di nu- mero, dunque, la Comunit‡ Ë ancora viva; finchÈ le leggi razziali imposte dal governo fascista non si ab- battono come un fulmine, nel 1938, su tutti gli ebrei italiani, cambiandone radicalmente líesistenza. Mol- te famiglie che perdono il lavoro nelle strutture pub- bliche, lasciano Pitigliano, ancora per Roma e per Firenze, per cercare l‡ uno sbocco futuro per sÈ e per i propri figli: non torneranno pi ̆. Nel 1943-44, con l'invasione nazista, inizia la caccia allíebreo e le poche famiglie rimaste fino ad allora in Pitigliano si disperdono per le campagne circostanti, in cerca di un rifugio: Ë allora che si dimostra pi ̆ ampia e generosa la solidariet‡ degli a- mici cattolici e perfino di tante persone semplici, che mai prima avevano avuto modo di conoscere e di avvicinare un ebreo. Rischiando la propria vita, aprono le loro case, nascondono, proteggono, aiutano con ogni mezzo, salvano i fug- giaschi disperati. Finito il secondo conflitto mondiale, ben pochi sono ormai gli ebrei a Pitigliano, il Tempio si apre soltanto una volta líanno, nel giorno di Kip- pur, quando si puÚ contare su coloro che tornano da fuori. E agli inizi degli anni í60, anche il Tempio secolare cede: non Ë stato possibile evitarne il crollo par- ziale, malgrado il tentativo fatto per reperire i fondi, attraverso una sottoscrizio- ne aperta sul giornale ìIsraelî. Pochissimi sono i soldi raccolti, del tutto insuffi- cienti per riparare i guasti, prima che accada l'irreparabile. ìLa Piccola Gerusa- lemmeî Ë oramai una Comunit‡ finita. Di fronte alla sinagoga, dov'Ë ora il piaz- zale, c'era una bellissima biblioteca, travolta anchíessa nel crollo. Biondi che l'ha riordinata, lo sa meglio di me: cíerano circa 4000 volumi, c'erano degli in- cunaboli che fortunatamente, in gran parte, furono messi in salvo, cosÏ come furono messi in salvo gli arredi della sinagoga e i sifre'-torah (libri della torah), parte a Roma, parte a Livorno e qualcosa in Israele. A quellíepoca gli ebrei ri- masti a Pitigliano si contavano sulle dita delle due mani: non potemmo far niente. Livorno, purtroppo, era occupata nella sua riorganizzazione, cosÏ come un poí tutte le comunit‡ d'Italia. Quindi noi rimaniamo con un Tempio distrutto che va avanti per oltre ventíanni in quelle condizioni, finchÈ, grazie all'ammini- strazione comunale di Pitigliano e all'interessamento personale del Sindaco di allora e di ora, Augusto Brozzi, interviene un accordo fra il comune di Pitiglia- no e la comunit‡ di Livorno che fa una donazione permanente dellíarea al Co- mune e quest'ultimo ricostruisce la sinagoga, solo la sinagoga, che fra líaltro non era crollata del tutto ñ era crollata tutta la parte in fondo, mentre l'arco, per
chi conosce la nostra sinagoga, si era salvato. Con il restauro della sinagoga si ha finalmente un rinascere della vita ebraica in Pitigliano. Intanto Ë successo che ormai gli ebrei rimasti in Pitigliano si contano sulle dita di una mano: al momento dellíinaugurazione della sinagoga erano sei-sette, negli anni successi- vi siamo rimasti soltanto in quattro. Ed arriviamo al 1996 e qui, scusate l'immo- destia, ma io mi prendo un piccolo merito e lo do a mio figlio: lui Ë l'ultimo na- to a Pitigliano nel 1963, quando la comunit‡ era ormai morta e sepolta. Non Ë osservante ñ anche perchÈ, purtroppo, osservare a Pitigliano Ë una questione molto personale, perchÈ tutto il
resto non esiste pi ̆ ñ si sente ebreo nello spirito e quindi ha sempre detto di dovere, come ultimo ebreo di Pitigliano, fare qualche cosa. Pensava di scrive- re qualche cosa sullíargomento, ma poi gli Ë mancata la voglia o il tempo; ma ha avuto la brillan- te idea di costituire l'Associa- zione che, non a caso, abbiamo chiamato ìLa piccola Gerusa- lemmeî, cosÏ come ai tempi dí- oro veniva chiamata la comunit‡ di Pitigliano. Questa associazione, costituita nellíottobre del í96, ha accolto ed accoglie ancora non solo ebrei, ma anche cat- tolici, molti cattolici; non ho fatto il conto preciso, perchÈ ogni anno si rinnova- no i soci (alcuni purtroppo non ci sono pi ̆) ma forse in maggioranza sono cat- tolici; abbiamo anche tre sacerdoti. Attraverso questa associazione di tipo cultu- rale senza scopo di lucro, noi siamo riusciti a far rivivere a Pitigliano la cultura ebraica, in collaborazione con il Comune, in collaborazione con altre associa- zioni come il Centro culturale di Pitigliano e come líorganizzazione del famoso Petilia-Festival. Noi riusciamo, e qui abbiamo anche molti soci presenti, a svi- luppare una rinascita della cultura ebraica a Pitigliano: io credo di non sbagliare dicendo che, se c'Ë un forte interesse su Pitigliano, che Ë un bel paese ricco di storia, di tradizione e con un panorama stupendo, una buona fetta di turisti che vengono a Pitigliano, vengono anche e forse soprattutto, per visitare il quartiere ebraico. Io mi occupo personalmente della piccola mostra permanente che ab- biamo organizzato, piccola in quanto abbiamo pochissimo spazio e abbiamo bisogno di tanto materiale. Il Comune ci ha promesso una stanza e noi speria- mo di fare un vero e proprio museo. Vengono tante persone da tutte le parti, non solo díItalia, ma díEuropa e del mondo: abbiamo addirittura avuto dei visi- tatori dall'Alaska. CíË un forte interesse ed io ringrazio chi ci ha dato la possibi- lit‡ di sviluppare questa attivit‡ culturale. Noi facciamo convegni, conferenze anche a pi ̆ voci - abbiamo fatto líanno scorso un convegno a tre voci e cioË ebraica, cattolica e musulmana su problemi di bioetica, grazie anche allíorga-
nizzazione del prof. Marco Servi. Volevo concludere dicendo che ringrazio, non solo chi mi d‡ questa possibilit‡ a Pitigliano, ma anche tutti coloro, come il prof. Niccolai, la Consultacultura, come tutti i comuni dell'Amiata o del cir- condario, che sentono il bisogno e il desiderio di far rivivere questa cultura, perchÈ gli ebrei hanno portato qualcosa nei paesi dove sono stati, hanno portato cultura, hanno arricchito líeconomia. Trovo poi un altro motivo importante: credo che con queste rievocazioni e con questa rinascita culturale si renda giu- stizia a coloro che sono stati sterminati. Non ci dimentichiamo la pianificazio- ne, la soluzione finale ideata e programmata dai nazisti, che volevano stermina- re un popolo e in gran parte, purtroppo, ci sono riusciti. Se noi riusciamo a far rivivere qualcosa, anche solo dal lato culturale, io credo che noi rendiamo giu- stizia, dimostriamo di non essere morti: cioË, coloro che ci volevano stermina- re, in definitiva, poi, non ci sono riusciti. Io mi auguro ñ sono gli ultimi anni della mia vita e del mio percorso ñ che qualcuno raccolga líeredit‡. PerchÈ noi abbiamo aperto líassociazione anche ai cattolici? Líabbiamo aperta a tutti colo- ro che avevano líintento, líintenzione di mantenere viva in Pitigliano la cultura ebraica e il patrimonio storico e architettonico della Comunit‡ di Pitigliano. Se il prof. Niccolai, Consultacultura, tutti gli altri studiosi come Biondi, Bonafede Mancini o il Salvadori e chiunque altro se la prenda a cuore, riusciranno a man- tenere vivo questo ricordo e questa tradizione, io credo che veramente sar‡ un rendere giustizia a coloro che non ci sono pi ̆.
Le comunit‡ dimenticate dellíAmiata
Una proposta contestualizzante
Nel 1492 Ferdinando ed Isabella di Spagna scacciaro- no dai loro territori tutti gli ebrei e, nello stesso anno un analogo provvedimento fu adottato dagli Aragone- si di Sicilia. Gli ebrei provenienti dalle isole italiane si riversarono inizialmente nel Regno di Napoli, da dove perÚ furono ugualmente scacciati nella prima met‡ del Cinquecento. Sotto i papi Alessandro VI, Clemente VII dei Medici e Paolo III Farnese gli ebrei trovarono ospitalit‡ nei territori dello Stato della Chiesa. Paolo III (suocero di Bosio II Sforza conte di Santa Fiora) viene addirittura ricordato da fonti ebrai- che come ìil papa alla cui ombra e con il cui consen- so si consolidÚ questa situazione di pieno favore per gli ebreiî. Ben presto perÚ (1555, 1569 e 1593), gli
Lucio Niccolai
Consultacultura
ebrei furono banditi anche dai territori dello Stato della Chiesa mentre gli altri stati italiani (tra cui il Granducato di Toscana sotto Cosimo dei Medici nel 1570 e 1571) si vennero rapidamente omologando alle scelte spagnole e papali in materia,
Fu in questo contesto storico che si vennero a formare delle comunit‡ ebraiche nella Toscana meridionale, per lo pi ̆ raccolte intorno a banchi di prestito, in ìlocalit‡ poste a cavallo del confine orientale della Toscana e Stati della Chiesa dove esercitavano giurisdizione alcuni feudatari cui i Medici avevano concesso margini di autonomia abbastanza ampiî.
Questo seminario di studi pone, per la prima volta in maniera esplicita, la que- stione del significato della presenza di comunit‡ ebraiche, fino ad oggi poco co- nosciute e meno studiate, sul Monte Amiata tra il XVI e il XVIII secolo, acco- gliendo, in qualche modo, una sollecitazione che il grande storico Toaff ebbe modo di fare quasi 20 anni fa:
Sorprende che fino ad oggi non sia stato messo sufficientemente in evidenza dagli sto- rici dellíebraismo italiano il fatto che lungo i confini tosco-pontifici alcune piccole co- munit‡ ́anomalea sopravvissero alle espulsioni o vennero fondate dai profughi di una parte o dellíaltra. A breve distanza dallíArgentario, l‡ dove il Lazio diviene Maremma, nel Ducato di Castro dei Farnese, nella Contea di Santa Fiora degli Sforza, alle pendici dellíAmiata, nella Contea di Pitigliano degli Orsini, e, pi ̆ a settentrione, nellíalta valle del Tevere, gi‡ sotto i contrafforti appenninici, nel marchesato di Monte Santa Maria dei Bourbon, in questo stretto corridoio fatto di feudi semi-indipendenti da papi e gran- duchi, si creano o si riformano tra l fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento dei nuclei ebraici di origine eterogenea. In questi territori lontani da Roma e da Firenze, essi godono dellíinteressata protezione dei feudatari mentre le disposizioni antiebrai- che, che sono applicate con severit‡ nei territori vicini, sono volutamente ignorate. [Ö] Líattrattiva di questi feudi posti ai confini dei territori del papa, era costituita dal loro isolamento geografico e dalla loro relativa, e in certa misura conseguente, autonomia politica. Questa sorta di no manís land finiva con il trasformarsi in luogo di rifugio per i profughi, offrendo loro le condizioni indispensabili alla sopravvivenza, spesso come singoli, talvolta riuniti in nuclei organizzati.
La comunit‡ ebraica di Santa Fiora
Pur dovendo fare i conti con una documentazione frammentaria e con fonti documentarie limitate, gi‡ da qualche anno, utilizzando soprattutto il nostro annua- rio TracceÖ, abbiamo cominciato a riflettere e a pre- sentare alcuni dati relativi a questa presenza.
La prima traccia per la ricerca storica ci viene fornita, oltre che dalla persistenza del toponimo ìGhetto degli ebreiî in Borgo, dagli Annali della Terra di Santa Fio- ra, un manoscritto della seconda met‡ del Settecento redatto dallíagostiniano Paolo Battisti, priore del con-
vento di SantíAgostino, che Ë una sorta di palestra díiniziazione per chiunque affronti la storia locale di Santa Fiora. In realt‡ Battisti non ci dice che poche cose che perÚ sono sufficienti ad attestare una presenza certa di una comunit‡ ebraica tra il XVI e il XVIII secolo:
Quando gli Ebrei fossero introdotti in questa terra non se ne ‡ (ha) alcuna notizia e non trovandosi questi mai nominati in alcun libro comunitativo, nÈ in altri, e gli Ebrei viventi non nÈ ‡nno (hanno) memoria, nÈ tradizione; solo abbiamo trovato che líanno 1714, il 30 Maggio furono gli Ebrei posti nel Ghetto nellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta, stando prima in diverse case in mezzo ai cristiani, e tal risoluzione fu fatta dal Duca Gaetano Sforza, e da Monsignor Fausto Guidotti, Vescovo di citt‡ del- la Pieve, per molte istanze fattegli dal Sig. Arciprete Don Francesco Farsi e dal M.R.P. M.ro Pietro Giannetti agostiniano Vicario del S. Ofizio.
Peraltro, a questa laconica nota, aggiungeva la trascrizione integrale della ìCarta dei privilegiî che Ë stata oggetto di un primo lavoro di comparazione nellíannuario 2001 di TracceÖ e che riproponiamo in appendice. In mancanza di documenti di archivio e di altre fonti certe, utili per la nostra ricerca si sono rivelate tutte le informazioni che si potevano ricavare dai testi che, specialmente negli ultimi decenni,
si sono prodotti di sulla presenza ebraica nella Toscana meridionale, nonchÈ da alcuni libri di storia locale che, in una maniera o in uníaltra, fanno esplicito ri- ferimento agli ebrei di Santa Fiora (e qui possiamo anche apprezzare la significa- tiva contestualizzazione territoriale e i legami che esistevano tra i diversi nuclei presenti un poí in tuta líarea, come pro- prio il seminario di oggi Ë chiamato a documentare ed attestare), nonchÈ in volumi a carattere pi ̆ generale, quali La storia degli ebrei in Italia di Attilio Milano, i due fondamentali volumi degli Annali Einaudi, e tutti i testi di Toaff.
Proprio Toaff cita spesso David De Pomis, un personaggio chiave delle vicende dellíinsediamento ebraico nel territorio della Toscana meridionale, definito da Cecil Roth ́one of the most characteristic iewish figure of the sixteenth cen- turya. Figlio di un banchiere di antica famiglia romana andata in rovina in oc- casione del sacco di Roma del 1527, dopo aver trascorso la giovinezza agiata e condotto gli studi in medicina sotto la guida dello zio Vitale Alatino (medico personale del pontefice Giulio III), ed essersi laureato a Perugia nel 1551, era stato costretto dai provvedimenti antiebraici di Paolo IV (1555), a lasciare la sua condotta di Magliano Sabina e a compiere un doloroso e complesso esodo, di cui egli stesso ci d‡ testimonianza:
Grazie al cielo passai al servizio del conte NiccolÚ Orsini, che mi consentÏ di professa- re líarte medica per cinque anni nelle tre citt‡ rifugio di Pitigliano, Sorano e Sovana. Purtroppo, per il suo clima pessimo, questa Ë una terra che uccide i sui abitanti e qui ho seppellito mia moglie, la compagna della mia giovinezza, la sorella di EliËzer e di I- schak Cohen da Viterbo, medici e rabbini illustri. A Sovana mi sono morti anche due figli maschi e cosÏ sono caduti i sostegni della mia tenda, lasciandomi solo e abbando- nato. Della mia famiglia non rimane oggi che ReuvËn de Pomis, che vive con i figli nelle terre dei signori di Santa Fiora e che ha a Roma un altro figlio, AssaËl, genero del celebre medico ElÏa Corcos. In seguito mi Ë stato richiesto di offrire i miei servigi alla nobile famiglia Sforza, che ha dato alla Chiesa tre cardinali e (nella contea di Santa Fiora) mi sono trattenuto tre anni. Fu allora che ricevetti dal Consiglio del popolo di Chiusi la proposta di servire quel comune come medico condotto. Chiusi Ë sotto il do- minio del granduca di Firenze, ma Ë stato il vescovo della citt‡ con il suo veto ad impe- dire il mio trasferimento col‡.
La permanenza nella contea di Santa Fiora, dove risiedette tra il 1562 e il 1565, sarebbe inoltre esplicitamente ricordata, secondo Toaff, nel Discorso intorno allíhumana miseria e sopra íl modo di fuggirla, un libro che David pubblicÚ a Venezia, dove infine era approdato mettendosi al servizio del doge Alvise Mon- cenigo, nel 1572.
Il medico De Pomis ricordava con sincera compassione un caso particolarmente stra- ziante, di cui era venuto a conoscenza quando era al servizio degli Sforza, conti di Santa Fiora (probabilmente si riferiva a Federico, morto nel 1535, nello stesso anno del figlio Bosio II, capitano al servizio di papa Paolo III e marito di Costanza Farne- se, figlia naturale del pontefice).
́Io ho conosciuto un personaggio, a cui fra spatio díun mese gli perirno quattro fi- gliuoli, ciascun díessi di et‡ virile; uno per tutti e gradi della militia valorosamente ascendendo, riuscÏ Capitan generale in guerra; il secondo era huomo , oltre alla pulita litteratura chíavea, di gran valore e estimatione nelli negocij non meno pubblici che nelli privati; líaltro (per gli suoi meriti) il Massimo Pontefice lo constituÏ al governo di una gran provincia. Gli ne rimase a líafflitto padre sol uno, il quale essendo di cor- po e díanimo sfortunato e stroppio, fu potentissima cagione che il mal contento padre miseramente passasse a miglior vitaa.
A David De Pomis risulta legata la fase pionieristica del primo insediamento santafiorese. Andandosene, infatti, lasciava sullíAmiata il figlio ReuvËn con la famiglia. Nel 1572 un altro ebreo, in grado di dare ìin prestito per prestareî ben 400 scudi ad ebrei di Sovana, Robino di Consolo, risulta ìcontinuo abitatore di
CastellíAzzaraî che allora, come abbiamo detto, faceva parte della contea di Santa Fiora, mentre Abramo di Lazzaro da Viterbo, che esercitava il prestito a Pitigliano era cognato di De Pomis. Verso gli inizi del Seicento sono attivi dei banchi di prestito a Santa Fiora e a Onano (territorio sottoposto alla giurisdizio- ne degli Sforza di Santa Fiora): questíultimo Ë gestito da un altro De Pomis, Ventura che, nel 1608, chiede di poter aprire una filiale a Pitigliano. Tra gli e- brei pi ̆ facoltosi dellíintera comunit‡ ebraica della Toscana meridionale trovia- mo Daniello Arpino che risulta originario di Santa Fiora e che ha varie relazioni con ebrei che vivono nei territori degli Sforza:
Fra tutti i mercanti ebrei della prima met‡ del í600 tre figure spiccano sulle altre: una Ë proprio quella di Daniello Arpino (o Arpini) a Sorano e le altre sono quelle di Jacob Melucci di Pacifico, a CastellíOttieri e di Angelo Spagnoletti, di Crescenzio a Piti- gliano. Piuttosto che di mercanti si tratta di uomini díaffari intraprendenti e attivissi- mi, oltre che molto facoltosi. Vale la pena, perciÚ, soffermarsi un poco su loro e sul ruolo che hanno svolto nel contesto sociale in cui vivevano. Daniello Arpino e suo fratello Samuello provengono da Santa Fiora, dove forse erano titolari di un banco di pegni. Quel che Ë certo, ad ogni modo, Ë che sono in stretto rapporto con banchieri come Ferrante Passigli e con David Borghi (o Davidde del Borgo). Questíultimo, che si qualifica come banchiere di Santa Fiora, si trasferir‡ a Sorano verso il 1664, spo- sando Prudenza, una figlia di Daniello Arpino (probabilmente in seconde nozze per- chÈ a quellíepoca e negli anni precedenti, il suo nome figura accompagnato da quello del figlio Salomone). [...] Daniello Arpino figura con un valsente (oggi diremmo im- ponibile) di 1300 scudi, una somma di cui apprezziamo meglio la rilevanza, se tenia- mo presente che MoisË di Ventura appare al secondo posto con 500 scudi e che líe- breo pi ̆ ricco del ghetto pitiglianese, Angelo di Crescenzio, Ë registrato per 600 scu- di.
Una attenzione particolare merita tra i vari personaggi menzionati da Salvadori il banchiere David Borghi (o Davidde del Borgo), che vantava la protezione de- gli Sforza tanto da richiedere líesonero, anche nei territori di Pitigliano e Sora- no, dallíobbligo di portare il segno distintivo, e che per abbiamo trovato come agente economico dei conti Sforza nei possedimenti di CastellíArquato.
Il quadro generale, per quanto sintetico e incompleto, Ë tale comunque da farci ritenere che anche la comunit‡ ebraica di Santa Fiora seguisse il perecorso che, in questa fase, rappresentava un poí la norma di tutte le comunit‡ che venivano formandosi in territori analoghi.
Le comunit‡ ebraiche, infatti, si aggregavano quasi sempre intorno a figure si- gnificative ed economicamente importanti ñ i banchieri o i medici, soprattutto ñ che potevano instaurare ñ in virt ̆ di particolari interessi e mansioni che poteva- no loro essere attribuite ñ un rapporto privilegiato, con il signore del luogo nel quale la comunit‡ veniva ospitata.
Questi personaggi emergenti o significativi, peraltro, potevano essere trattati dal signore ìcome minori affiliati alla sua corte, come degli addetti a mansioni modeste, ma essenziali di questa; i loro rapporti con il signore sono pi ̆ stretti e
diretti di quelli di qualsiasi altro ceto della cittadinanza di media o bassa estra- zione. Il signore ñ e non il comune ñ Ë il loro vero capo, colui che li manovra a distan- zaî.
Come si capisce, da qui potevano nascere, come spessissimo nacquero ñ non sappiamo a Santa Fiora, ma sicuramente a Piancastagnaio ñ contrapposizioni tra ebrei e signore, considerato loro protettore, da una parte, e comunit‡ e popo- lo dallíaltra. Anzi: il motivo religioso e líodio per il diverso potevano semplice- mente essere una manifestazione deviata delle tensioni contro il signore e vice- versa.
Líarciprete Capocci, del resto, parlando della presenza ebraica a Santa Fiora e dei Privilegi che godevano, nota acutamente:
Pare che gli ebrei non fossero equiparati in tutto agli altri sudditi cristiani, ma dai Conti venissero loro accordati certi diritti e privilegi e fatte alcune restrizioni per mezzo di una Capitolazione temporanea da servir loro di norma e di remora nelle re- lazioni di convivenza sia verso i sudditi cristiani che verso líautorit‡.
La comunit‡ ebraica di Piancastagnaio
Gi‡ qualche anno prima dellíarrivo di De Pomis, un al- tro ebreo viene segnalato a Piancastagnaio: si tratta di Angelo Caifas che nel 1514 gestiva nel paese amiatino un banco di prestito. Ma la sua Ë ancora una presenza isolata e probabilmente non continuativa.
Alcune notizie utili sulla presenza ebraica a Piancasta- ganio furono riportate, circa un secolo fa, da Giacomo Barzellotti:
In Piancastagnaio, di dove non so dire quando siano scomparsi, non Ë rimasto del lo- ro lungo soggiorno qua se non il nome di bagno degli ebrei, dato dal popolo a una bella fontana di acqua purissima, che si allarga in una vasca naturale tutta ombre e muschio presso il paese. Che nel 1672 in Piano ve ne fossero molti, lo dice il fatto che anche qui avevano il ghetto e la sinagoga e commerciavano largamente in roba e in danaro, come apparisce da alcune deliberazioni prese dal Comune e riferite dal Bellomini.
La presenza di un nucleo ebraico in questo paese deve, probabilmente, essere messa in relazione con la creazione, da parte dei Medici, di un marchesato affi- dato ai Bourbon Del Monte (1601) che, gi‡ in precedenza, nei loro territori are- tini, avevano accolto degli ebrei:
Nel marzo del 1569 Citt‡ di Castello, feudo pontificio dei Vitelli, deve espellere i suoi banchieri, ma lo fa con particolari cautele e garanzie, contrattando il loro trasfe-
rimento nella contigua accomandita toscana dei Bourbon, a Monte Santa Maria e a Lippiano, ove gi‡ da cinque anni hanno una condotta.
Altre notizie ci vengono riferite da alcuni studiosi locali, e in particolare si tro- vano nel testo di Brogi Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio. Sap- piamo cosÏ che, ad esempio, intorno al 165-
0, Elia Passigli, banchiere, ritenuto dai pia- nesi un protetto dal marchese Gio. Batta II Bourbon del Monte, fu costretto, con líaltro ebreo Zaccheria Montebarrocci, a cedere grano ai ìmagazzini dellíAbbondanziaî; successivamente lo stesso Consiglio, mentre non esitava a richiedere un prestito di 44 scudi a Juda Passigli, domandava al mar- chese che ìgli Ebrei di Piano nel termine di un mese devino dar fuora tutti i crediti, che hanno contro i Pianesi, con dichiaratione che quelli ebrei, che den-
tro a detto tempo non líhaveranno dati, síintendino decaduti da ogni loro actio- ne e ragione, e non li possino pi ̆ addi- mandare, e ciÚ per evitare tutte le frau- diî.
A Piancastagnaio il ghetto era posto in borgo: líedificio della Sinagoga conser- va ancora questo nome ed Ë caratteriz- zato da una bella architettura in peperi- no del portale.
Pi ̆ in basso, appena fuori dalla porta díest, era ubicata la fonte denominata del Borgo o fonte del canale, conosciuta anche con líepiteto di ìBagno degli ebreiî.
Sinagoga e ghetto
Anche a Santa Fiora il ghetto era colloca- to nella parte meridionale del Borgo, pro- prio in un area dove avrebbe poi trovato spazio la struttura del convento delle Cla- risse, che sembra quasi essere posto a do- minio e controllo. La presenza in via Lunga di grossolane mensole esterne in peperino, adatte a sorreggere canne e per- tiche, e la vicinanza del corso del fiume con le sue numerose gore che alimentava- no mulini e altri impianti preindustraili
(ferriera e gualchiera), puÚ forse essere messo in relazione con le attivit‡ artigianali e commerciali, quali, ad esempio, la lavorazione della pannina che anche, e forse principalmente gli ebrei ñ come sembra di capire dalla ìCarta dei Privilegiî ñ svolgevano.
Ma líobbligo della chiusura degli ebrei santafiore- si nel ghetto deve aver conosciuto fasi alterne. I ìPrivilegiî del 1708, infatti, dichiarano aboliti il ghetto e líobbligo di portare il segno di riconosci- mento: ma, solo 6 anni dopo, il ghetto sarebbe stato ripristinato.
La Sinagoga, che Ë stato possibile ubicare grazie
alla testimonianza del manoscritto dellíarciprete Capocci (fine XIX secolo), viene cosÏ descritta dallíannalista Battisti
Questa Ë ripartita in due stanze, una di sopra, e líaltra di sotto. Quella di sopra, che propriamente chiamasi la Sinagoga; cioË luogo dove vanno ad uffiziare; Ë fatta a vol- te con quattro finestre, due verso mezzogiorno e due verso ponente. » larga braccia sette, e undici lunga. In una muraglia della medesima a man sinistra quando si entra vi Ë un Armadio, in cui vi tengono dodici Bibbie sacre scritte in ebraico in cartapeco- ra. Poco discosto dal medesimo vi Ë un Lume, che continuamente sta acceso, e vi sono anche cinque lampadari di ottone, ciascun dei quali sostiene 28 lampadini di vetro, che si accendono tutti nelle loro feste. Sopra il credenzone dove stanno le Bib- bie vi sono due occhi con sue vetrate, che servono per dare maggior lume. Vi Ë anche un Pulpito dove vanno a leggere la Bibbia. Nella muraglia a man dritta vi sono poste due cassette, che servono per porvi le limosine, per gli Ebrei poveri di Terra Santa, e líaltra le limosione per i bisogni della Sinagoga, e del Ghetto. Intorno a detta stanza vi ‡nno le banche per sedere quando uffiziano. Vi Ë una divisione, che fa una piccola stanzetta, con una gelosia di legno, dove stanno le donne in tempo di ufficiatura. La seconda abitazione Ë divisa in tre piccole stanze, una di queste serve per fare gli azzi- mi essendovi anche il Forno per cuocerli. Nella seconda vi Ë una Tavola con diversi Libri, dei quali si servono i ragazzi quando vanno a Scuola. La terza Ë scoperta ad uso di Loggia, che vi fanno la Capanna nella Festa dei
Tabernacoli, o sia Le Capannelle, che la celebrano a tanti di Settembre.
Proprio da qui sarebbe pervenuto alla Sinagoga di Pi- tigliano, nel XVII secolo, uno dei due aronÚth che voi si trovavano.
La carta dei ìPrivilegi degli Ebreiî santafioresi
Il documento pi ̆ importante che, ad oggi, conosciamo sulla comunit‡ ebraica di Santa Fiora Ë la carta dei ìPrivilegi degli Ebreiî concessa dal duca Federico Ce-
sarini Sforza nel 1708. Si tratta, perÚ, di un documento tardo, stilato quando probabilmente la comunit‡ ebraica era ormai gi‡ numericamente ridotta, come dimostra, tra líaltro, il trasporto dellí aronÚth a Pitigliano nella met‡ del XVII secolo. Inoltre, confrontando questo documento con altre testimonianze, come ad esempio quella del Battisti, non si possono non notare alcune contraddizioni evidenti, come ad esempio quella relativa al
Ghetto, tanto che ci possiamo chiedere, senza poter dare risposta, se i ìPrivilegiî siano un rico- noscimento tardivo di diritti e ìprivilegiî effetti- vamente goduti o se si tratti di un atto formale del signore teso a recuperare un rapporto con u- na comunit‡ ebraica ormai in dissoluzione, fina- lizzati, caso mai, a favorire il ritorno in loco e il ripopolamento della comunit‡ stessa ñ la contea sforzesca, non sappiamo per quale motivo, e no- nostante rimanesse pi ̆ a lungo di Pitigliano uno stato autonomo e poi un feudo, aveva perso la propria forza di attrazione nei confronti degli ebrei a favore di Pitigliano dove, di fatto si sarebbero concentrati a partire dal XVII secolo. In questo senso líar- ticolo IV, che sancisce il diritto e la possibilit‡ per gli ebrei di ìdare e pigliare denari a censoî, potrebbe essere rivelatore delle reali mire degli Sforza che, forse, oberati dai debiti e da problemi finanziari, potevano avere tutto líinteres- se alla presenza di un banco nel proprio territorio.
Da questo insieme di situazioni, forse, la grande magnanimit‡ delle concessio- ni, che peraltro ñ ad esempio relativamente al ghetto ñ vennero ben presto con- traddette dalle decisioni del Vescovo di Citt‡ della Pieve e dalla stessa cupidi- gia e arroganza dei conti.
Gli articoli dei ìPrivilegiî santafioresi possono essere accorpati per materie. Gli articoli del primo gruppo (art. I, II, X, XIII, XV, XVI, XVII, XVIII e XIX) han- no un carattere civile e definiscono i diritti degli ebrei che, di fatto, vengono equiparati nella condizione di sudditi sia dal punto di vista giurisdizionale e le- gale, con gli altri di fede cristiana. Tra questi articoli alcuni sembrano conces- sioni rilevanti come la licenza díarmi (art. XVI), e la possibilit‡ di ospitare altri ebrei (art. XVII). Líarticolo XIX, inoltre, garantisce che ìgli ebrei siano sicuri per cause civili nelle loro scuoleî, che sembra cioË riconoscere un diritto di asi- lo e impunit‡ nellíambito della sinagoga. Un altro gruppo di articoli ha invece il carattere di prescrizione religiosa e riguarda i vincoli e gli obblighi degli e- brei nei confronti delle forme di culto dominanti (sono gli articoli gi‡ citati IX e XII). In particolare, líart. XII stabilisce che nel periodo della settimana pasqua- le gli ebrei non possano circolare liberamente. Questo divieto ha origini molto antiche e si ritrova in tutte le realt‡ italiane dove erano presenti comunit‡ o in- sediamenti ebraici. Gli ebrei, infatti, venivano considerati dai cristiani corre- sponsabili della morte di Cristo e si riteneva che solo la loro vista, nel periodo
pasquale, potesse risultare offensiva per i cristiani. Per questo un decreto del Concilio Lateranense imponese che gli ebrei non dovessero comparire ́in pub- blico nei giorni della lamentazione e della Domenica della Passione, perchÈ al- cuni di essi non si peritano di andarsene in giro in tali giorni vestiti a festa e non temono di deridere i cristiani, che esibiscono la memoria della sacra pas- sione ed espongono i segni della lamentazionea.
Sembra anche che in epoca medievale, durante la settimana di Pasqua i cristiani avessero líabitudine di praticare sassaiole contro le abitazioni degli ebrei. Ma pi ̆ in generale, i rapporti in materia religiosa tra le due comunit‡ cercano di definire delle forme di rispetto reciproco, come si legge negli articoli VIII e IX:
VIII. Che nelli giorni delle Feste degli Ebrei non siano costretti gli Ebrei dalli Cristiani a far nessuna sorte di faccende, e non possino essere convenuti in giudi- zio, ne fuori per cause civili, e facendosi alcun atto contro di loro, si intenda nul- lo o di niun valore.
IX. Che nei giorni della Festa dei Cristiani, non debbano ne possino detti Ebrei aprire le Botteghe sino che non siano celebrate tutte le Messe, ma gli sia perÚ lecito di lavo- rare in segreto dentro le lor case.
Gli ebrei erano peraltro costretti ad assistere ad una predica annuale sommini- strata da preti cattolici, anche se si specifica che gli ebrei non possano ìessere astretti a andare a sentire la Predicaî pi ̆ di ìuna volta all'anno come Ë stato co-
stume fino oraî. Altri articoli (gli articoli III, relativo alla Sinagoga e alla scuola, VIII, relativo al diritto di rispettare le feste ebraiche, e VI relativo alla carne casher), di contro, stabiliscono alcuni diritti essenziali degli ebrei in materia di pratiche religiose, li- bert‡ di culto e tradizioni alimentari, senza i quali sarebbe stato per loro im- possibile vivere in un luogo e aggregare una comunit‡. Líarticolo VI dei ìPrivilegiî, in particolare, regola il diritto degli ebrei alla car- ne casher e gli obblighi dei macel- lai santafioresi in materia: ìChe li Macellari siano obligati a farli carne buona, sciettarla, e ricer- carla dassi Loro com'Ë costume de- gli Ebrei, e non essendo buona, e secondo il lor costume, siano tenuti dd.ti Macellari a fargliene tanta fin-
chÈ ne venga buona, ed in tempo di salar carne sia lecito agl'Ebrei farla da loro, com'Ë Vaccine, bufale, e quella non sar‡ buona secondo il loro costume possi- no venderla alla Porta con farla porre daglíuomini della Comunit‡ senza altra licenzaî.
Un altro gruppo di articoli (IV, VII, XIV e XX) ri- guardano le attivit‡ produttive e i rapporti economici allíinterno della comunit‡. Le attivit‡ caratteristiche degli ebrei si riducevano, normalmente, a quelle che erano loro consentite, quali: il prestito; la professione medica; la tessitura o la tintura di stoffe e lane; la confezione e il riatta- mento degli abiti; il commercio, specialmente con localit‡ lontane e sparse nel- la campagna che implicavano lunghi viaggi.
Líarticolo VII Ë espressamente dedicato alle forme dellíallevamento che, quin- di, dovevano rivestire una particolare importanza tra le attivit‡ esercitate dagli ebrei:
Che possino ritenere qualsivoglia sorte di Bestiame, e darlo a Soccio e ad affitto o in altro modo come saranno d'accordo con li contadini e gli sia lecito anche dar Bovi a callaja conforme concede il pascolo di Siena, ed Ë costume in S. Fiora.
Tra le altre attivit‡ gestite dagli ebrei, troviamo, a CastellíAzzara, lo spaccio del sale, che il conte Giuseppe affidÚ nel 1746 a Giacobbe Orvieto che, a sua volta, lo subaffittÚ a Giuseppe Sorani (gi‡ titolare del Banco di prestito). Un articolo dei ìPrivilegiî prevede esplicitamente che gli ebrei non possano essere costretti, se non dietro pagamento, a ìportar lettereî.
» una precisazione interessante, perchÈ ci informa Salvadori che, per lo meno nel corso del Seicento, era invalsa a Pitigliano líabitudine di ìobbligare gli e- brei a recapitar lettere, per conto dei cristiani, senza compensoî. Gli ebrei santafioresi, infine, potevano far lavorare alle proprie dipendenze dei cristiani, la possibilit‡ di costruire e possedere case, di allevare bestie vaccine e bufaline (queste, tra líaltro allevate, come Ë noto, per necessit‡ alimentari spe- cifiche), di fare soccide, di prestare denaro ("dare e pigliare denari a censo"), di tenere e negoziare qualsiasi sorta di mercanzia e grascia (grano, farina, lana), "purchÈ non sia in pregiudizio dei nostri Proventi, e di quelli della Comunit‡ de' Cristiani".
Di contro dovevano assicurare servizi di ìMaterazzari e Sartiî per la casa Sfor- za e pagare uno Scudo per ìfocoî oltre a rispettare altre norme relative al terri- torio e agli usi locali.
Il rapido declino della comunit‡ santafiorese
Non sappiamo fino a quando gli ebrei abbiano abitato in Santa Fiora. Le notizie fornite dal Battisti e confermate dalle visite pastorali fanno pensare che la loro presenza nel Settecento si sia progressivamente rarefatta, seppure Ë ancora atte- stata come dimostra, ad esempio il fatto che due ebrei di Pitigliano, Angelo e Abramo Levi, risultino originari (siamo agli inizi del secolo) di Santa Fiora. Díaltra parte, ormai, líatteggiamento del duca Sforza era divenuto odioso e o- stile nei confronti degli ebrei, come testimoniano esazioni immotivate, forzose obbligazioni di prestito e forniture di panni e altri materiali senza corresponsio- ne, come attesta il Regolamento proposto da Armaleoni:
ìRegolamento per la Contea di Santa Fioraî
ì [Ö] n. 18. Nellíavere detto Duca permesso da molti anni in qua, che sia tenuto in S. Fiora da uníEbreo un Banco, che presta sopra i pegni collíusura di scudi diciotto per cento líanno a quelli della Contea: E di scudi 24 ai forestieri, perchÈ detto Ebreo per tale permissione li pagava scudi 20 líanno.
n. 19. Consiste nellíaver voluto il medesimo Duca Sforza Giuseppe circa undici anni fa dallíUniversale degli Ebrei di S. Fiora scudi trecento senza alcun titolo, quali Ebrei per tale causa senza precedente intimazione da un tal Bocci di quel luogo allora Vice Conte, che adesso Ë morto, furono fatti gravare in tanti argenti, anelli ed altre robbe, che gli furono fatte vendere a bando con loro gravissimo pregiudizio, essendo stati venduti glíArgenti per ventotto Crazie líoncia a peso di stadera, e per uno scudo líuno glíanelli senza pesargli. [Ö]
Oltre a questi aggravi, che riguardano líuniversale, si Ë provato ancora, che il medesimo Duca ultimamente defunto ne ha fatti altri a pi ̆ particolari di detta Contea; e sono Il primo. Che alcuni anni fa Esso Duca si fece dare dallíEbreo Giuseppe Sorani mercante in S. Fiora quattro pezze di panno per fare Livree, nÈ mai gliele pagÚ, e líobbligÚ inoltre, anco col farlo carcerare per due mesi a provvederle altre cento venti canne del medesimo panno, che per farlo fare apposta convenne a detto E- breo mandare a Roma suo fratello, quale vi stiede due mesi, e benchÈ questo panno provvistole costasse a detto ebreo diciotto paoli la canna, detto Duca non volle pagarglielo pi ̆ di quindici paoli la canna, nÈ lo fece scarcerare finchÈ ebbe tutto detto panno.î
Proposte di Armaleoni, poi accolte dagli Uffici Granducali:
ì7°. Ordinerei che fosse levato il Banco, che presta ad usura, e dichiarerei glíE- redi del Feudatario obbligati alla restituzione del percetto dallíEbreo per tal con- to, tanto dal Duca Sforza Giuseppe, che dal Duca Gaetano suo padre alla ragione di scudi 20 líanno, quali somme dichiarerei devolute al Fisco di V.A.R., e riser- verei le ragioni ‡ chi ha impegnato finíora in detto banco per la repetizione di tutto ciÚ, che hanno pagato di usura, da sperimentarsi contro chÈ di Ragioneî.
Nella seconda met‡ del secolo, pur risultando ancora presente un banco di pre- stito, non erano rimasti che sei ìfochiî ebrei. In una visita pastorale di questo periodo troviamo scritto: ìVi Ë ancora un meschino Ghetto degli Ebrei consi- stente in sei o sette famiglie in numero circa una ventina in tutti poveri e mise-
rabili senza traffico e mercatura, ma vivono solo di qualche industria, e ajuto degli altri.î Anche padre Battisti conferma il declino della presenza ebraica: ìIn questo ghetto una volta vi erano degli Ebrei ricchi e benestanti, ma ora sono miserabi- lissimi, e poveri di numeroî. Ciononostante, agli inizi dellíOttocento cíera an- cora una modesta presenza ebraica, come attesta il registro riservato ai ìMorti di culto non cristianoî proveniente da Santa Fiora e conservato nellíArchivio vescovile di Pitigliano, dove Ë annotata la morte, avvenuta il 25 marzo 1818, di Giuseppe Colombo, un ebreo di anni 63, maritato con Stella Levi che svolgeva líattivit‡ di ìpovero trafficanteî, informandoci che la comunicazione del deces- so era stata fatta dal figlio Samuel Colombo.
Ma la presenza ebraica nellíarea amiatina continua, seppure in altre forme. Sa- ranno proprio due imprenditori ebrei di Pitigliano, Salomone Servi e il genero Samuel di Abramo, ad affittare i territori della contea sforzesca, e successiva- mente, ma siamo ormai nellíOttocento, proprio a nomi ebrei Ë legata la fase pionieristica dello sfruttamento industriale delle miniere di cinabro (a titolo di puro interesse, si ricorda come gi‡ la ricerca e líestrazione del mercurio fosse stata tentata da un ebreo a Sorano nel XVII secolo).
Pregiudizi e intolleranza
Líatto pi ̆ grave di intolleranza religiosa e razziale che si sia verificato nellíarea amiatina, e di cui si abbia notizia, Ë quello della piccola Sara, che riportiamo integralmente in appendice, che interessÚ la comunit‡ di Piancastagnaio nel 16- 73.
Qualche anno prima un fatto analogo, sempre nella Diocesi di Sovana, si era verificato a Sorano, dove tre bambini erano stati affidati, dal bisnonno paterno, Salamone Tedesco, a dei parenti:
Qui il 13 giugno 1639, mentre camminavano per via, accompagnati da uno di questi congiunti soranesi, furono fermati da alcuni uomini armati, fra i quali il luogotenente della fortezza di Sorano, e prelevati (líaccompagnatore abbozzÚ una resistenza, ma, minacciato dagli sgherri, mentre i fanciulli
piangevano impauriti, dovette desistere). Isac, MoisË ed Abramo furono condotti a Piancastagnaio, in una delle residenze del Vescovo di Sovana, cui spettava líiniziati- va dellíaccaduto, per esservi battezzati.
Díaltra parte bisogna ricordare che proprio in quel periodo non mancavano, nella let- teratura e nellíimmaginario religioso lega- to ad un certo fanatismo, episodi attestanti líuccisione di bambini ebrei da parte dei
loro genitori per impedirne la conversione. Toaff ricorda, ad esempio, la tradu- zione, la stampa e la diffusione di un libello del gesuita tedesco Elber operata da un convertito livornese, il predicatore Paolo Sebastia- no Medici, ìdove si narrava, con abbondanza di partico-
lari truci e sanguinolenti il patetico martirio di un bambi- no ebreo, torturato e massacrato dal padre, perchÈ voleva convertirsi alla fede cattolica.î A distanza di molti anni, in un clima che poi diventer‡ líhumus adatto per líapplicazione delle leggi razziali, an- tichi pregiudizi sembrano tornare a galla come attesta la novella del Piatto delle streghe (cfr. appendice) che ri- propone tutto il repertorio classico di una certa aneddoti- ca di origine controriformistica e dove non mancano il rito sabbatico delle streghe, il rapimento di un bambino e il suo trasferimento nel ghetto per il classico sacrificio rituale. Tramandata da Maddalena Fatini, insegnante elementare di Piancasta- gnaio nel 1922, non se ne conosce líorigine e pi ̆ che un racconto tradizionale, di cui peraltro non si ha notizia, sembra piuttosto una scrittura originale.
Scambi culturali e contaminazioni?
Nellíambito del nostro studio e della nostra ricerca sulla storia locale, ci siamo trovati anche a domandarci se alcune tradizioni santafioresi potessero essere il frutto di una contaminazione dovuta alla presenza, per quasi due secoli, della comunit‡ ebraica. Non sappiamo dare una risposta certa, ma ci sembra interes-
sante porre líinterrogativo, semplicemente a livello di ipotesi (che puÚ, naturalmente, essere smentita). Un primo elemento di riflessione Ë quello relativo al- líuso simbolico dei cedri.
Vuole la tradizione santafiorese che, nellíambito della festivit‡ del tre maggio (Festa della S, Croce e proces- sione dei Tronchi), avvenga uno scambio di doni tra innamorati. Se Ë facile immaginare il valore simbolico che i doni (il biscotto e il cedro) possono avere (nella sistematica mitico-fiabesca il frutto carnoso, non solo ricorda il peccato originale, ma anche rappresenta un simbolo di fecondit‡), non Ë dato sapere líorigine del- líuso di un frutto cosÏ ìesoticoî e poco comune nelle economie locali, tanto che questo rito non ha riscontro, per quanto se ne sappia, in nessuna altra zona della Ma-
remma, dellíAmiata e dellíAlta Tuscia. Proviamo, allora, ad azzardare uníipotesi, e cioË che líuso del cedro sia stato assunto, per imitazione, da un rito che la comunit‡ locale puÚ aver osservato
nelle festivit‡ ebraiche. Il cedro, infatti, fa parte del rituale della ìfesta delle ca- panneî che Ë descritta da padre Agostino Battisti nel suo manoscritto (XVIII secolo) e che regolarmente celebrata nella sinagoga santafiorese. Il cedro, per gli ebrei, Ë il frutto che simboleggia la saggezza. Da questo punto di vista, anche la simbologia dei doni scambiati tra gli innamorati, acquistereb- be un preciso significato: il pegno amoroso rivolto dal ragazzo alla ragazza, in quanto simbolo di saggezza, vuol testimoniare líavvenuta maturit‡, la seriet‡ della proposta e dellíimpegno, la garanzia verso una prospettiva matrimoniale. Da parte sua la donna risponde con un dolce con gli anici (i semi inseriti nel dolce sono uníaltra allusione alla fertilit‡) testimoniando, nel contempo, la pro- pria crescita e attitudine alla faccende domestiche, e quindi la disponibilit‡ al matrimonio.
Anche della tradizione del ìvolo della capraî, che si praticava nella festivit‡ di san Nicola da Tolentino, il 10 settembre, non si conoscono le origini. Proviamo, allora a proporre una possi- bile chiave di lettura che, di nuovo, potrebbe richiamare elementi di cultura ebraica. Infatti ìlíanno [ebraico] comincia in settembre o in ottobre con la festa di capodanno, che rappre- senta il primo dei dieci giorni di penitenza, de- dicati alla meditazione sulla responsabilit‡ del- líuomo di fronte a Dio. Líultimo dei dieci giorni Ë celebrato come giorno della conciliazione con digiuni e lunghe visite alla sinagoga. Anticamente, secondo il Levitico 16, il giorno prima si portava dal deserto un ìcapro espiatorioî su cui si pensava di riversare le colpe del popolo. Oggi il capro Ë stato sostituito dal gallo kappara (espiazione) che alcuni (ma il rito Ë condannato come supersti- zioso) fanno roteare tre volte intorno al capo e che infine viene uccisoî.
Nel Levitico 16 il Signore parla a MosË imponendo un rituale espiatorio, da svolgersi il decimo giorno del settimo mese, e consistente nellíinvio di una ca- pra, inviata con un uomo nel deserto, per essere sacrificata ad Azazel (la forza demoniaca): ìil capro prender‡ su di sÈ tutte le loro iniquit‡ [dei figli díIsraele] portandole verso la regione aridaÖî.
Rileggendo il rito del ìvolo della capraî alla luce del Levitico potremmo dare una spiegazione ad alcuni elementi che compongono il rito. Il ìvoloî potrebbe rappresentare, simbolicamente, il viaggio nel deserto; il pupazzo di paglia, che veniva posto sopra la capra, potrebbe essere una raffigurazione allegorica del- líuomo che avrebbe dovuta condurla nel deserto. Inoltre, nel calendario cristia- no la data del decimo giorno del settimo mese (che in et‡ medievale si scriveva 7embre) andrebbe proprio a coincidere con la festivit‡ di san Nicola da Tolenti- no.
Sicuramente sono solo coincidenze, ma certamente meritevoli per lo meno di una riflessione.
Conclusioni
Ci sembra, e questo seminario lo dimostra, che esistano i presupposti per af- frontare un serio studio sulla presenza delle due comunit‡ ebraiche amiatine, nel contesto della presenza ebraica nei territori di confine, generosamente defi- niti da De Pomis luoghi di ìrifugioî. Non possiamo che augurarci che, con la collaborazione delle istituzioni culturali ebraiche presenti in Italia, a partire da- gli archivi esistenti, si possa intraprendere una ricerca pi ̆ approfondita e docu- mentata che faccia piena luce sugli avvenimenti e sulle dinamiche delle varie comunit‡ locali, anche in relazione ai rapporti intessuti tra imprenditori e ban- chieri ebrei e i signori locali: non cíË dubbio che questo potrebbe rappresentare un interessante contributo alla geografica politico istituzionale di uníampia e particolare porzione della Toscana meridionale e dellíalto Lazio.
Appendice
Una storia di intolleranza: Sara líebrea
Tramandata da una cronaca manoscritta di circa 40 pagine del Bellomini di Piancastagnaio (XVII secolo) e resa pubblica da Barzellotti in Monte Amiata e il suo Profeta, Ë líatto pi ̆ grave di intolleranza religiosa e razziale di cui si ab- bia testimonianza nei confronti delle comunit‡ ebraiche presenti sullíAmiata tra il XVI e il XVIII secolo e puÚ, per questo, essere assunto ad episodio para- digmatico.
Il dÏ 20 di maggio del 1673, mentre nella pieve di Piancasta- gnaio si celebravano le funzioni del sabato della Pentecoste, entrÚ in chiesa, accompagnata da molte fanciulle, un bambina ebrea di circa sei anni. Il pievano Don Virgilio Forti, che allo- ra benediceva il fonte battesimale, la chiamÚ e le domandÚ ìcosa volesseî. Rispose volersi far cristiana. Lo stesso ripetÈ, terminate le funzioni, in presenza del Commissario del Mar- chese, che era stato chiamato dal Pievano. Allora il Commis- sario, presala per la mano, la condusse con sÈ ìalla residenzaî, e poi la conse- gnÚ al Dottore Don Pietro Pieri, uno dei primi del paese, perchÈ la tenesse nella sua casa, ove fu condotta e scortata da una massa di popolo accorsa. Sara ñ cosÏ si chiamava la bambina ñ era figlia di Efraim Pasigli e di Rosa Spagnola abi- tanti in Piano.
Díora in poi il piccolo paese, pieno in un attimo della grande notizia, non vivr‡ per quasi un mese che della vita intensa della passione religiosa, fanatica, de- stata in ognuno, senza distinzione díet‡, di sesso, di ceto, di condizione, dal de- siderio e dallíaspettativa inquieta di veder battezzata ìlíebreinaî. Intorno a lei inconscia, guardata gelosamente dai Pieri come una preda, e reclamata dai suoi,
cominciano subito ad agitarsi, fra il tumultuare continuo del popolo, sentimenti, interessi opposti, pretese di autorit‡ e di privati in vivo contrasto tra loro per contendersela. Dalle due parti, dagli Ebrei e dai Cristiani, subito si ricorre al Marchese con lettere spedite alla stessa ora a Firenze per persone di fiducia. In- tanto nellíattesa di una risposta il popolo prega in tutte le chiese, e va mormo- rando del Commissario, perchÈ si sospetta che sia díaccordo cogli ebrei, i quali dicono ñ cosÏ, pare, hanno anche scritto a Firenze ñ che la bambina Ë stata ruba- ta e domandano che sia restituita. Ed Ë in questo senso favorevole a loro la ri- sposta, che viene tre giorni dopo da Firenze per il loro spedito. La risposta dice: la bambina ìassolutamente doversi rendere per essere successo in Fiorenza non molti anni avanti un altro caso simile, cioË di una Hebrea rubata, et toccÚ a re- stituirlaî. Il Commissario, ìallegroî, partecipa subito líintenzione ìdei Sig.ri Padroniî alla famiglia Pieri con minaccia di una multa di diecimila scudi se ri- fiutavano. I Pieri rifiutarono. Come dovessero agire nellíanimo della bambina lo dice la risposta, data da lei a chi la sera stessa del sabato le portava la cena mandatale dai genitori: ìdoppo haver inteso esserli mandata dallíHebrei, negÚ di esser Hebrea, et che lei non intendeva mangiar carne in giorno di sabbato, et non haver nÈ padre nÈ madre Hebrea, ma sÏ bene il Sig. Dottor Silvestro Pieri et la Sig.ra Orsola sua consorteî.
Da questo momento, intorno alla famiglia depositaria di Sara si accende per lei una lunga lotta giornaliera, senza tregua di tutte le autorit‡ ecclesiastiche, con- cordi nel non volerne la restituzione, contro líautorit‡ laica; e per di pi ̆ la lotta delle autorit‡ ecclesiastiche fra loro, della romana del santíUffizio, che aveva un rappresentante in paese, con il vescovile, col vicario capitolare di Sovana accorso subito. Líuna e líaltra, forti dei propri diritti, vogliono ciascuna avocare a sÈ la causa di Sara. [...]
La causa di Sara, che ad ogni costo dovr‡ essere battezzata, Ë la causa di tutti. CiÚ che desta maggior interesse in questo piccolo dramma pianese, che nellía- gitarsi delle tonache, dei ferraioli e delle zimarre dei personaggi, dirÚ cosÏ, uffi- ciali non manca di una nota comica, Ë lo sfondo della scena, líambiente popola- re. Quei gravi personaggi autorevoli hanno, chi pi ̆ chi meno, un poí líaria di recitare una parte. Il popolo, il protagonista vero del dramma, Ë profondamente sincero nel suo zelo fanatico per la salute dellíanima di Sara e nel suo odio con- tro gli Ebrei, potenti in paese; odio lungamente represso e che ora scoppiava da ogni parte. Era, per le vie di Piano e fuori, una caccia allíebreo, fatta a colpi di sassi dai ragazzi, fra le grida e gli eccitamenti furiosi delle donne, che sempre nelle agitazioni sociali imitano, esagerando, perchÈ pi ̆ deboli, le passioni e le violenze degli uomini. Appena si seppe che da Firenze erano venute lettere per la restituzione della bambina, i pianesi ñ dice la cronaca ñ ìa popolo concorsero a casa Pieriî. Il Commissario, che ne usciva, tra un mormorio minaccioso, si sentÏ dire: che se aveva avuto danari dagli Ebrei, li poteva restituire ìma che di restituire la fanciulla non si pensassiî. Due giorni dopo, spartasi a un tratto la voce che gli Ebrei tentavano di portar via Sara, al grido di una donna insorse
tutto il paese, ìet in un istante si radunarono li ragazzi con sassi et pugnali, le donne con sassi, bastoni, scimitarre, accette et spade, et fra líaltri Francesca detta la Pattona et filia di Baldassarre, con una spada in mano et li pendoni al collo come li soldatiî. A ogni viso nuovo che si fosse veduto in paese, si grida- va allíebreo. In piazza i ragazzi quel giorno presero a sassate un povero mer- ciaio credendolo ebreo, ìet esso subbito, incominciando a farsi il segno della S. Croce, diceva esser battezzato da cristianoî. Arrivarono quel giorno stesso a ca- vallo da Acquapendente per via delle Vigne, ñ dalla quale a chi sale nelle gior- nate serene si apre uníocchiata sempre pi ̆ larga fino al Cimino ceruleo e al Gran Sasso díItalia, ñ tre ecclesiastici, che agli abiti non vennero subito ricono- sciuti per tali, ìet furono veduti di brutta cera, come líHebreiî. I ragazzi li pre- sero a sassate. Cíera pericolo che accadesse anche di peggio, verso sera, al ri- torno degli uomini dai lavori delle vigne, ìparte riscaldati dalla collera del suc- cesso da essi saputo, parte dal viaggio et molto di pi ̆ dal vinoî. Avevano sapu- to che un ebreo, sospetto di aver tentato di rubare Sara, era stato da alcuni pae- sani, per sottrarlo allíira dei ragazzi e delle donne, condotto con gran fatica nel palazzo del Marchese e l‡ rinchiuso in una camera. E perchÈ credevano che quelli che líavevano guardato volessero farlo uscire di notte, molti giovani ìsi erano posti a tutte le cantonate di fuori la Porticciola, et per tutti líaltri posti, chi con archibusi et chi con moschetti et miccio acceso, a tal che pareva che doves- se porsi a sacco et fuoco ogni cosaî.
Ma i tumulti e alle offese minacciate contro le persone e le case deglíIsraeliti, in quello e nei giorni successivi, si opposero molti dei pi ̆ autorevoli e stimati del paese, ñ traí quali anche alcuni preti ñ cercando in ogni modo di quietare il popolo e di proteggere i perseguitati. Un povero bambino ebreo, rincorso a sas- sate da una turba di monelli fu da alcuni paesani riportato a casa dai suoi. Il Vi- cario ìcon altri fra preti, frati et secolari, al numero di trenta persone in circaî, liberÚ il prigioniero dal palazzo del Marchese, e lo condusse ìtremante se ben senza offesaî alla porta della Sinagoga. Vi si erano rifugiati, come in un luogo díasilo, quella notte dopo il tumulto, molti ebrei ed ebree. E il Bellomini rac- conta, non senza una certa compiacenza, di avervi egli insieme con altri accom- pagnate quella notte le donne e le bambine di un certo Isacco, affidate loro dal padre, a cui mentre dormiva era stata fracassata la porta di casa ìcon puntate di moschetto, sassi et colpi díaccettaî. Traversando il paese, incontravano qua e l‡ armati in attitudine di sospetto minaccioso, ñ alcuni erano ubriachi, ñ che con molta fatica riuscirono a persuadere di tornarsene a casa. Arrivati allo sbocco di piazza, per quelle vie strette, dove scendeva appena ogni tanto un breve raggio di luna, síintesero dire a voce bassa nellíombra: ìSiete pi ̆ eretici e turchi degli ebreiî.
Il popolo giudicava cosÏ, nel suo ingenuo fanatismo, la loro opera di pacificato- ri e di salvatori; suggerita, del resto, oltre che dalla piet‡, probabilmente dalle relazioni personali, che alcuni tra i primi e tra i pi ̆ facoltosi del paese doveva- no avere cogli Ebrei, e dallíessere il Marchese - come si poteva supporre e poi
apparve chiaramente ñ risoluto di non tollerare in alcun modo che fossero offe- si. Il giorno dopo il tumulto, durante la celebrazione della messa, Monsignor Vicario in persona ammonÏ dallíaltare il popolo ìdi non dare fastidio agli E- breiî. ñ ìE questoî dice la cronaca, ìcausÚ nei Cristiani qualche terroreî. ñ Se- guitavano intanto a venire lettere e spediti dai marchesi Giovan Battista e Ora- zio, che ingiungevano di rendere la bambina ai suoi. Ma per quanto grande pe- sasse su tutti líautorit‡ dei ìsignori padroniî, non vi fu, non vi poteva essere un solo, un unico pianese, a cui non apparisse assurdo, ìimpossibileî in fatto e in diritto ciÚ che scriveva il marchese Giovan Battista: ìnon potersi Sara battezza- re fino allíet‡ di abbi dodici, et con il consenso del padre o della madre o di al- tro hebreo suo parenteî. - Impossibile! esclamavano tutti; - ìperchÈ, ritornata la fanciulla in mano delli Hebrei, non sarebbe forse pervenuta allíet‡ di anni dieci, se il Sig.re Iddio non faceva speciale miracoloî.
E tutto il paese pregava per lei. Andavano scalzi, uomini, donne, bambini al luogo vecchio; ñ cosÏ si chiamava e si chiama ancora, quello, in cui secoli pri- ma era stata dipinta, non si sa da chi sul vivo masso sotto i castagni fra i dirupi orridi, altissimi, la bella immagine della Madonna, che guarda il figlio Ges ̆ con occhi cosÏ soavi. ñ Líimmagine stava gi‡, a quel tempo, nella chiesa vicina detta di San Pietro; - ove, secondo la leggenda, era miracolosamente venuta da sÈ; ñ nella piccola chiesa solitaria, tutta bianca fra i castagni, che spira a vederla un senso arcano di pace devota. E anche l‡ andava allora ogni giorno la folla a pregare, a cantare il Rosario. La Madonna fu scoperta tre volte. La terza volta, il primo di giugno, vi fu condotta la bambina accompagnata da molte donne, e assistÈ al Rosario dietro le grate di un coretto, chíË sopra líaltare ìtrattenendovisi fino alla fine con qualche devotioneî. Salivano le litanie fra le spire odorate degli incensi da centinaia di anime; e centinaia díocchi cercavano in alto fra le grate del coretto quelli di Sara, poi si volgevano a pregare intenti la bella Madonna perchÈ la salvasse, perchÈ ìla facesse arrivare al santo battesi- moî.
DurÚ tutto cosÏ per pi ̆ di una decina di giorni [... poi ] venne finalmente risolu- ta la partenza di Sara.
Sara, con un viaggio avventuroso, venne poi trasferita alla corte dei Medici a Firenze: a questo punto il manoscritto del Bellomini, dice Barzellotti, si inter- rompe e non sappiamo cosa sia successo e quale fine abbia fatto la povera pic- cola Sara.
Il piatto delle streghe
Con questa ìnovellaî, tramandata da Maddalena Fatini, insegnante elementa- re di Piancastagnaio nel 1922, antichi pregiudizi sembrano tornare a galla. Non se ne conosce líorigine e pi ̆ che un racconto tradizionale, di cui peraltro non si ha notizia, ma di cui ricalca lo stile e la tipologia, sembra piuttosto una
scrittura originale. Non sappiamo quanti ebrei fossero presenti (o se fossero presenti) a Piancastagnaio agli inizi del Novecento. Certo la ìnovellaî rivela e anticipa in maniera inquietante quellíintolleranza che caratterizzer‡ i regimi totalitari contro i diversi, e gli ebrei in particolare, portando al tragico epilogo della Shoah.
Il Piatto delle streghe ripropone tutto il repertorio classico dei pregiudizi e di una certa aneddotica di origine controriformistica: ritroviamo i topos del rito sabbatico delle streghe, il rapimento di un bambino (cattolico), il suo trasferi- mento nel ghetto per il sacrificio rituale.
La storia Ë ambientata in Piancastagnaio e si svolge tra il giardino dei marche- si Bourbon del Monte dove emerge tra i ruderi una vasca in peperino, nota ap- punto, con il nome di il piatto delle streghe, e fonte del Borgo o del Canale, no- ta comunemente con líepiteto di Bagno degli ebrei (forse, non a caso, vi tro- neggia uníicona mariana). Nella sua struttura ripropone motivi e temi abba- stanza diffusi: vi si potrebbe, anzi, cogliere, un riferimento ai racconti sedimen- tati nellíimmaginario collettivo: ad esempio, nella vicina Pitigliano, nel 1648, due donne furono accusate di stregoneria e condotte davanti al Tribunale del- líInquisizione di Siena per aver ìguastato creatureî; pochi anni pi ̆ tardi, nel 1674, le cronache narrano di una donna ebrea, ritenuta colpevole di ìhaver con fatture, e malie ucciso un bambino [...] in concetto di strega, e per questa causa altre volte [Ö] processata dal S. Ofizioî.
Ginzburg nota come líassimilazione ebrei-streghe non rappresenti altro che líe- voluzione di una concezione che vede nei gruppi di ìdiversiî un pericolo per la societ‡ dato.ìI gruppi emarginati ñ osserva Di Nola - sono considerati porta- tori di patrimoni, di riti-credenze che si contrappongono eversivamente ai mo- delli religiosi-culturali della maggioranzaî: per questo essi vennero considera- ti responsabili della distruzione dei raccolti, del diffondersi di epidemie, dei cattivi andamenti climatici e stagionali, ecc.
In questo senso il Piatto delle streghe Ë un interessante testimonianza di conti- nuit‡ e documentazione che ripropone, in termini letterari, e forse con motiva- zioni affatto diverse (la ricerca di un tema popolare e leggendario adatto alla costruzione di una leggenda da manuale) i temi di fondo di quellíintolleranza che aveva originato líepisodio della ìpiccola Saraî, assumendo un interessan- te significato simbolico.
Il piatto delle streghe
A pochi passi da Piano, uscendo dalla porta di Voltaia, si entra, dopo aver fatto un breve tratto di strada un poí ripida e sassosa, in un bel bosco di castagni ... Lo sguardo Ë colpito da una cosa curiosa: un pilastro massiccio tiene sollevato da terra un ampio piatto di peperino fatto a forma bislunga che noi chiamiamo ìPiatto delle stregheî. [...]
Nei tempi passati, quando i nostri nonni e bisnonni credevano che per la cam-
pagna, per i boschi e per i luoghi solitari vivessero, indisturbati, i maghi, i mo- stri e le fate, anche qui si credeva che abitassero le streghe, cosÏ, a due passi dal paese. Vicino alla pianetta che Ë occupata dal ìPiatto delle stregheî, dove il ter- reno comincia a salire, erano stati scavati dei piccoli corridoi sotterranei, tutti in comunicazione tra loro e ciascuno col
paese e coi dintorni. Qui le streghe erano solite passare la giornata a lavorare o a dormire e, tutte preoccupate di non esse- re vedute, vi stavano rintanate e silen- ziose durante il giorno, finchÈ il sole non era tramontato. Nessuno perciÚ aveva mai potuto vederle, tanto Ë vero che tutti credevano che questi scavi nel terreno, dove nessuno aveva mai osato accostarsi, fossero condotti díacqua che faceva- no capo sotto al Piatto, dal quale poi, per un foro che si vede tuttora nel mezzo, usciva un forte zampillo che raffrescava e inumidiva tutto il suolo vicino. [...] Dunque, come ho detto, le streghe se ne stavano rintanate tutto il giorno e la notte uscivano a gozzovigliare fino allíalba. Tutte le notti, fino alle due, intorno al ìPiattoî, canti, suoni, balli; altro che berlingaccio! Alle due poi si ponevano a sedere intorno, perchÈ il ìPiattoî era pieno di maccheroni, di polli arrosto e, al tempo della castagnatura, non mancavano i marroni, perchÈ anche a loro pare piacessero molto le ìmonneî, i ìsuggioliî e le ìarrostiteî o ìcastrateî, come si dice. Quando uscivano dal bagno era gi‡ líora di ritornare nei loro nascondigli per non essere sorprese fuori dai primi albori della luce mattutina. CosÏ faceva- no tutte le notti conducendo una vita strana e misteriosa. Ma una volta accadde una cosa assai strana. Eravamo presso a poco di questi tempi; si coglievano le castagne. Vicino al ìPiatto delle stregheî cíera e cíË ancora un podere dove abi-
tava da qualche tempo una famiglia di contadini, cioË il capoccia, soprannominato per la sua ro- bustezza Ferro, con la moglie ed un bambino di un anno appena. Una notte, verso le tre, il capoc- cia fu svegliato di soprassalto da un cicalio che veniva di fuori. Credendo di sognare, si pose in ascolto alcuni minuti; ma non si era ingannato: ́Che diavolo succede a questíora cosÏ tarda!?... In questo luogo cosÏ nascosto!? Sar‡ gente che mi ruba le castagne! Ecco perchÈ sono tre o quattro mattine che non mi riesce díempire il pa- niere! Ora capisco! Voglio alzarmi, voglio vede- re!a
Si alzÚ piano piano dal letto, accese la candela, scese in cucina, si mise ad a- scoltare un istante, poi aprÏ la finestra. Figurarsi la sua meraviglia quando vide dalla parte del ìPiatto delle stregheî un bagliore che accecava! Ma come un ba-
leno quella luce disparve e fra il buio della notte vide fuggire díintorno al ìPiattoî una confusione di corpi neri senza udire nÈ una voce, nÈ un minimo rumore. ́Che scena Ë questa? - si disse impaurito fra sÈ.- Non mi era mai capi- tato un fatto similea. Spense la candela e facendosi coraggio, perchÈ ormai un poí di paura líaveva, stette ancora alla finestra. Eccoti il solito bagliore e il soli- to chiacchiericcio, accende la candela e vede ripetersi la strana scena di prima. Aveva sentito parlare pi ̆ volte delle streghe, ma da uomo saggio non aveva mai voluto crederci. Quella sera perÚ, non sapendo in che modo spiegare la stranez- za di quel fatto, incominciÚ a dubitare. ́Queste non sono persone! Sono spiriti, sono proprio le streghe! E che fanno? Brutte ladre! Ora capisco, il lume della candela vi fa paura! Siete proprio voi che mi fate sparire le castagne!a E cosÏ dicendo spense uníaltra volta la candela e stette ad osservare. Ma questa volta non si fecero vedere e allora Ferro chiuse la finestra e ritornÚ in camera tran- quillo. Immaginatevi la scena dolorosa che avvenne quando questo povero uo- mo, avvicinandosi alla culla accomodata con cura presso il suo letto, non trovÚ pi ̆ la sua creaturina che pochi minuti avanti dormiva pacificamente! Fu per gettare un grido di disperazione, ma lo trattenne il pensiero di quello che sareb- be capitato alla moglie, se si fosse svegliata, e quasi fuori di sÈ si mise a cercare affannosamente qua e l‡ per la camera, quando gli balenÚ in mente un discorso che aveva sentito ripetere pi ̆ volte dai paesani, cioË che le streghe rapivano con abilit‡ straordinaria i bambini per poi straziarli nel modo pi ̆ crudele. Atter- rito dal dubbio che il suo figlioletto fosse in mano alle streghe, d‡ una rapida occhiata a tutte le stanze ed esce. Líamore per il suo caro angioletto Ë ben pi ̆ forte della paura che pocíanzi líaveva invaso e perciÚ, pieno di coraggio, corre al ìPiatto delle stregheî, guarda da per tutto, si avvicina allíapertura di quegli scavi che ho detto, ma non ode nessuna voce: da tutte le parti Ë buio pesto e profondo silenzio. Il pensiero della moglie aumenta la sua disperazione, egli non sa cosa fare, nÈ da quale parte volgersi, quando si ricorda che quegli scavi sotterranei vanno a finire al ìBagno degli Ebreiî. Dunque Ferro, il contadino, non perde tempo e corre alla volta di quella localit‡. Vi dirÚ intanto che le stre- ghe avevano rapito, non si sa con quale astuzia, il bambino, e poi erano fuggite al ìBagno degli Ebreiî, ove altre sorelle avevano gi‡ preparato una caldaia di olio bollente per immergervi líangioletto. Nessuno perÚ aveva il coraggio di tuffare nella caldaia il piccino, perchÈ ognuna di esse protestava di essergli pi ̆ o meno lontana parente. E cosÏ se lo passavano da una allíaltra quando giunse Ferro. Egli vede il suo bambino in pericolo; quasi ispirato da forza divina si trattiene ad ascoltare quello che le streghe dicevano. CapÏta la causa della loro agitazione, si precipita in mezzo ad esse e pronunciando ad alta voce queste pa- role che confusero in certo qual modo le streghe: ́A me, a me! Ce lo butterÚ io che non mi Ë niente!a strappÚ dalle loro mani il bambino e scappÚ via.
Le streghe riavutesi da quellíimprovviso stupore, gridando, lo rincorsero. Ma egli ebbe la forza di tirar fuori un Crocifisso che teneva al collo e le streghe díincanto sparirono. Dove e come non si sa.
Le famiglie de Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e l'emigrazione ebrai- ca verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento
Michele Luzzati
Universit‡ di Pisa
» noto che nella seconda met‡ del sesto decennio del Cinquecento, sotto il go- verno di NiccolÚ IV Orsini, si stabilÏ a Pitiglia- no il medico David di Isacco de Pomis da Spo- leto.
Nelle terre del feudo orsiniano David de Pomis avrebbe esercitato per cinque anni (dal 1556 al 1560 o dal 1557 al 1561), e non solo a Pitiglia- no e a Sorano (il secondo maggior centro della contea), ma anche nella vicina Sovana, che, per breve tempo, fra il 1555 e il 1560, fece parte del feudo degli Orsini.
» proprio del de Pomis la definizione di "citt‡ rifugio" attribuita ai centri che lo ospitarono dopo l'uscita dagli Stati della Chiesa e, per estensione, si Ë parlato di "citt‡ rifugio" o di "terre del rifugio" per tutta una serie di localit‡ poste al con- fine orientale della Toscana che ospitarono ebrei che desideravano sfuggire al regime dei ghetti .
Per quanto riguarda la Toscana meridionale, le ricerche condotte sulle vicende del "popolamento" (o del "ripopolamento") ebraico della zona hanno pi ̆ volte adombrato l'ipotesi che la chiamata del de Pomis a Pitigliano abbia avuto un effetto trainante (1).
Le vicende delle due famiglie pi ̆ strettamente legate al de Pomis ñ che verran- no qui sommariamente ricostruite ñ consentono di confermare questa ipotesi, pur lasciando impregiudicata la questione di precedenti insediamenti ebraici che avrebbero a loro volta indotto l'immigrazione del medico David e dei suoi parenti de Pomis e da Viterbo.
I Cohen da Viterbo
1. Dagli Stati della Chiesa a Sovana.
David de Pomis giunse nella contea di Pitigliano in compagnia di una moglie (presto venuta a morte) che era sorella di Laudadio, maestro Isacco e maestro Lazzaro (questi due ultimi anch'essi medici) di Abramo Cohen (vel Sacerdote o Sacerdoti) da Viterbo.
Proprio a Sovana, ritornata sotto lo Stato di Siena (ormai comunque assorbito dal Ducato mediceo), vennero condotti come banchieri nel 1565 due dei cogna- ti del de Pomis: Laudadio e maestro Isacco di Abramo.
Non si puÚ escludere che fin dagli anni della presenza del de Pomis a Sovana ñ e quindi in un momento in cui Sovana faceva ancora parte della contea degli Orsini ñ i cognati (o almeno uno dei cognati, Laudadio) vi si fossero installati e che la condotta del 1565 non rappresentasse altro che una regolarizzazione di precedenti attivit‡ feneratizie.
I titolari del banco di Sovana appartenevano ad una famiglia di cohanim (donde anche il cognome Sacerdote o Sacerdoti) di origine aschenazita, che contava fra i suoi membri medici e rabbini, nonchÈ banchieri attivi, oltre che a Viterbo, almeno anche a Soriano nel Cimino, Rieti, Narni, Amelia, Montottone ñ nelle Marche ñ e perfino, in Toscana, a Monte San Savino.
Il 26 luglio 1532 i fratelli Abramo, MosÈ e Jacob di Lazzaro Sacerdoti da Viter-
bo ottennero di poter prestare per cinque anni a Viterbo e a Soriano nel Cimino (2).
Dal 1541 Abramo di Lazzaro, era stato co-titolare del banco di Rieti (3). Una condotta a Narni fu confermata agli eredi di Lazzaro seniore il 31 gennaio 1545 (4). Il 30 aprile 1549 Jacob di Lazzaro ottenne di prestare per cinque anni a Soriano nel Cimino, insieme con un "Amedeus Abraham de Thophia" (5). Il 23 dicembre 1551 Jacob, insieme con un socio, aveva banco a Montottone, non lungi da Fermo (6), e il primo marzo 1552 si vedeva confermare la condotta per Soriano nel Cimino insieme con Amadio di Abramo da Toffia (7). Nella primavera dello stesso anno Jacob avrebbe acquistato dagli ebrei senesi della famiglia da Rieti il banco di Monte San Savino, allargando cosÏ le sue at- tivit‡ a quella Toscana, ove gi‡ aveva soggiornato suo fratello Isacco, laureatosi in medicina a Siena nel 1543 (8). A partire dal 1549 e fino al 1556 maestro Lazzaro, personaggio di spicco dell'e- braismo romano, fu uno dei titolari del banco di Amelia (9). Laudadio, se l'identificazione Ë corretta, risiedeva a Viterbo nel 1549 (10). Varie testimonianze "laziali" abbiamo poi sui due fratelli medici Isacco e Laz- zaro e su un Asher, figlio di Jacob di Lazzaro (11).
2. A Pitigliano.
Da Sovana i fratelli da Viterbo, tutti e tre insieme (almeno quanto a titolarit‡ del banco), spostarono le loro attivit‡ feneratizie a Pitigliano nel 1571. Dati i tempi tecnici concessi per l'appli- cazione del bando granducale del 19 di-
cembre 1571, che vietava il prestito e- braico e obbligava alla residenza nei ghetti di Firenze o Siena, Ë da supporre che, sia pure per un circoscritto numero di mesi, i da Viterbo abbiano tenuto aper- ti contemporaneamente sia il banco di
Sovana che quello di Pitigliano. Per la medesima ragione non stupisce che ancora il 4 febbraio 1572 Laudadio da Viterbo, insieme con un Emanuele di MosÈ, "ebreo continuo abitatore di Sovana", ma che sappiamo originario anche lui da Viterbo (se era figlio di Mo- sÈ di Lazzaro da Viterbo, era anche primo cugino di Laudadio), abbia ottenuto 400 scudi "in prestito per prestare" da "Robino" di Consolo (che era, come ve- dremo, un de Pomis vel da Spoleto), "ebreo continuo abitatore di Castellazza- ra". Il trasferimento di Laudadio a Pitigliano risulta poi gi‡ avvenuto il 26 novem- bre 1572 (12). Sebbene avessero acquisito il diritto di risiedere a Pitigliano, non Ë certo che tutti i tre fratelli realmente vi abitassero con continuit‡: maestro Isacco, ad e- sempio, nel 1581 viveva nel ghetto di Roma, e a Roma agiva nel 1583 un ni- pote di Laudadio, in contatti finanziari con quest'ultimo, sempre attivo come banchiere (ma non necessariamente residente in modo stabile) a Pitigliano nel- lo stesso anno e ricordato anche per il 1577-1580 e il 1589-1591. Nel 1591 a Laudadio da Viterbo si erano sostituiti, nella gestione del banco di prestito ebraico di Pitigliano, Deifebo di Simone di Laudadio da Rieti e Jacob di Buonaiuto, o Bonagiunta, da Modena entrambi di origine e, probabilmente, residenza senese. Ad essi sarebbero succeduti, nel 1604, Isac da Rieti e Salvatore di Samuele Sa- cerdote, gi‡ "banchero in Sorano". Il Sacerdote, visto il nome (italianizzazione di Cohen), potrebbe esser stato un membro della famiglia da Viterbo che aveva retto il banco di Pitigliano fino al 1591. E ciÚ tanto pi ̆ che, insieme con il fra- tello Aronne, Salvatore aveva retto alla fine del Cinquecento il banco di Sora- no, centro compreso nella contea di Santa Fiora (13).
3. A Castellottieri
Nel 1572 Castellottieri (feudo indipendente degli Ottieri) Ë indicato come una delle possibili residenze del medico Laudadio di MosÈ da Viterbo, che risulte- rebbe infatti condotto nel Ducato di Castro o a Castellottieri nel 1572. Si trattava forse, come nel caso dell'Emanuele di MosÈ abitante a Sovana nel 1572, di un figlio del MosÈ di Lazzaro Cohen da
Viterbo i cui primi cugini, figli di Abramo di Laz- zaro da Viterbo, erano in quegli anni titolari del banco di Pitigliano. Il collegamento fra i da Viterbo e l'insediamento ebraico a Castellottieri sembra confermato dalla circostanza che all'inizio degli anni '70 del '500, provenendo dal Ducato farnesiano di Castro, giun- se nel feudo di Castellottieri l'ebreo Amadio di A- bramo, originario da Toffia nella Sabina, che, af-
fiancato dal figlio Crescenzio, aprÏ un banco di prestito. Come infatti si Ë visto pi ̆ sopra, nel 1549 e nel 1552 Amadio era stato socio di Jacob di Lazzaro da Viterbo nel banco di Soriano nel Cimino, di cui in prece- denza era stato partecipe anche il fratello, MosÈ di Lazzaro (14).
I de Pomis da Spoleto
Se Ë arduo stabilire quanti membri della famiglia Cohen da Viterbo si siano sta- biliti nella Toscana meridionale nel corso della seconda met‡ del Cinquecento, non vi Ë dubbio che i de Pomis vi siano stati assai pi ̆ rappresentati. Originario da Roma, questo gruppo familiare abbandonÚ la citt‡ negli ultimi decenni del XIII secolo e si trasferÏ a Spoleto.
Nella seconda met‡ del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento risultano atti- vi come banchieri a Spoleto (e anche a Sangemini) i tre fratelli Buonaiuto, Raf- faele e Ventura di Isacco, che non sembrano mai denominati "de Pomis", ma esclusivamente "da Spoleto" (15).
1. I figli di Isacco.
Il 27 aprile 1472 Raffaele di Isacco residente a Spoleto subiva una condanna pecuniaria (16). Lo stesso Raffaele rappresentava gli ebrei di Spoleto in una di- sputa per il cimitero ebraico il 9 novembre 1479 e il successivo 3 dicembre era collettore della vigesima (17). Agendo anche a nome di suo fratello, Buonaiuto, il 20 dicembre 1482 Raffaele acquistava terra nei dintorni di Spoleto (18).
Ventura di Isacco Ë citato come banchiere a Spoleto il 25 novembre 1483 (19).
Buonaiuto di Isacco era coinvolto in una lite con un altro ebreo di Spoleto il 15
luglio 1484 (20).
Il 21 febbraio 1486 i fratelli Raffaele e Buonaiuto figli di Isacco da Spoleto era-
no agli arresti a Perugia per irregolarit‡ compiute nel loro banco di Sangemini (21).
Il 28 giugno 1488 Raffaele di Isacco era fra gli ebrei incaricati di esigere la vi- gesima imposta agli ebrei (22). Il 18 settembre 1488 risulta che Ventura di Isacco era agente del banco di Spo- leto di cui era titolare Angelo di Musetto da Camerino, residente a Foligno (23). Sempre a Spoleto Ë attestato Raffaele, impegnato in attivit‡ mercantili, il 5 otto- bre 1491 (24).
Raffaele e Buonaiuto sono fra i rappresentanti degli ebrei di Spoleto il 23 gen- naio e il 26 febbraio 1493 (25). Da un documento del 12 maggio 1493 risulta che Raffaele e Buonaiuto si av- viano a dividere i beni dell'eredit‡ del loro padre Isacco (26). I due erano insieme titolari di un banco a Spoleto il 15 febbraio 1496, e il 18 settembre dello stesso anni il comune di Spoleto prendeva a prestito 6 fiorini dai banchieri Raffaele, Buonaiuto e Ventura di Isacco (27).
Tutti e tre sono di nuovo citati il 15 maggio 1497 (28), mentre il 25 settembre dello stesso anno sono ricordati i fratelli Buonaiuto e Ventura (29). Il 14 novem- bre 1498 i tre fratelli, sempre in Spoleto, effettuano un pagamento per cure me- diche che avevano ricevuto (30).
Il 21 luglio 1500 Raffaele viene incaricato della tutela delle figlie di un ebreo spoletino (31). Da un testamento steso a Perugia il 10 marzo 1501 apprendiamo che Ventura aveva sposato una Rosata di Vitale di Jacob da Perugia (32).
L'attivit‡ di banchiere di Buonaiuto Ë ricordata il 26 aprile 1501 tramite un atto rogato a Spello (33); erano sempre a Spoleto, il 26 settembre 1502, i fratelli Raf- faele e Buonaiuto (34) e il 1° marzo 1504 vi incontriamo il solo Raffaele (35). Buonaiuto viene poi ricordato in un atto rogato a Foligno il 15 aprile 1504 (36). Ventura, banchiere, era a Spoleto nel febbraio e nel dicembre del 1506 (37). Il 15 giugno 1507 i tre fratelli, Raffaele, Buonaiuto e Ventura "de Spoleto" erano in- caricati di raccogliere una tassa dagli ebrei del ducato spoletino (38). Buonaiuto subÏ un furto nel suo banco spoletino agli inizi del 1508 (39).
Da un atto del 14 ottobre 1508 apprendiamo che Raffaele aveva tre figli, uno dei quali, Servadio, uccise la moglie Eva, sia pure preterintenzionalmente (40). Il 27 febbraio del 1510 Servadio stringer‡ nuovo matrimonio con Fiorentina di Sabato di Beniamino da Recanati (41).
Sempre come banchiere di Spoleto Buonaiuto Ë ricordato in un atto rogato a Trevi il 13 giugno 1509 (42). Il fratello Raffaele, anche lui banchiere, lo affianca- va a Spoleto l'11 ottobre dello stesso anno (43). Alla data dell'11-12 aprile 1510 doveva esser gi‡ morto Ventura, perchÈ accanto ai due fratelli Raffaele e Buonaiuto (quest'ultimo rappresentato dal figlio Isac- co) compare ora suo figlio Consolo (44).
Da un atto dell'8 maggio 1510 apprendiamo che Raffaele convinse a ritornare a casa del marito sua figlia Ricca, sposata a maestro Abramo di MosÈ da Monte- olmo (45). Ancora Raffaele Ë ricordato a Spoleto il 10 luglio 1511 nell'atto di vendere taffeta (46).
Entro il 24 agosto 1514 Raffaele probabilmente morÏ, perchÈ a quella data com- pare, accanto a Buonaiuto e a Consolo di Ventura, suo figlio Servadio (47). Il 25 luglio 1515 anche Buonaiuto, comunque forse ancora in vita, risulta scomparso dalla scena perchÈ agisce per lui il figlio Abramo in occasione del ritorno sotto la patria potest‡ di Pazienza, figlia di Servadio di Raffaele e della sua prima moglie Eva (48). Buonaiuto era certamente morto alla data del 21 otto- bre 1516, quando un documento ci rivela anche che Pazienza aveva pi ̆ di 17 anni e meno di 25 (49).
Tutti i tre fratelli ebbero discendenza maschile: da Raffaele conosciamo Serva- dio, da Buonaiuto un Israel, un Abramo e un Isacco (quest'ultimo padre di Da- vid de Pomis) e da Ventura (oltre ad una figlia di nome Chiarastella) Consolo e un altro figlio di cui non Ë noto il nome.
2. I figli di Buonaiuto di Isacco.
Israel figlio di Buonaiuto, attivo come mercante, e documentato fino al 1529, venne designato con il cognome "Bonaiuti" o "de Bonaiutis", pur mantenendo anche l'indicazione "da Spoleto" (50). Il cognome "de Pomis" non compare mai negli atti relativi a Israel e agli altri membri di questo ramo della famiglia che verremo via via citando. Analogamente ad Israel, suo fratello Abramo era definito "de Bonaiuto de Spo- leto" fin da quando era ancora in vita suo padre, morto nel 1516 (51).
Abramo risiedeva sempre a Spoleto nel luglio del 1520, il 3 aprile 1522, l'1 feb- braio 1523 e il 7-14 dicembre 1525 (52). Ci Ë stato conservato il suo testamento, redatto a Spoleto l'1 dicembre 1524. Es- so ci consente di sapere che sua moglie ñ gli aveva portato una dote di 200 fio- rini ñ si chiamava Stella, che aveva una figlia, Tullia, cui assegnava una dote di 250 ducati e che suo erede doveva essere l'unico figlio maschio, Prospero (53).
Il terzo figlio di Buonaiuto di Isacco, probabilmente primogenito, dato che si chiamava Isacco, ci Ë documentato fin dall'11-12 aprile 1510 (54). Da un atto del 22 marzo 1518 sappiamo che la sinagoga di Spoleto si trovava in casa sua (55).
Isacco Ë poi ricordato, insieme con i cugini Servadio di Raffaele di Isacco e Consolo di Ventura di Isacco, nell'aprile del 1519, nel luglio del 1520, il 6 feb- braio 1521, il 3 aprile 1522, l'1 febbraio 1523, il 7-14 dicembre 1525, il 4 no- vembre 1526 e il 16 maggio 1527 (56).
A Spoleto egli Ë ricordato anche il 7 giugno 1521 e il 24 novembre 1523 (57). Da un documento del 21 febbraio 1529 si evince una sua interessenza nel banco di Bevagna (centro assai prossimo a Spoleto), tanto che Isacco richiese in ter- mini ufficiali la condotta feneratizia per quella localit‡ il 14 novembre 1530 (58). Anche se ancora il 5 gennaio 1535 sembra che la residenza di Isacco fosse sem- pre, o di nuovo, a Spoleto (59), la gestione di un banco a Bevagna vale a com- provare quanto asserito da suo figlio, il medico David de Pomis, nato a Spoleto nel 1525, sul trasferimento (1532) di suo padre a Bevagna, ove avrebbe eredita- to i beni di un fratello, quasi certamente Abramo, il cui unico figlio ed erede, Prospero, doveva esser morto prematuramente. In seguito Isacco (dal quale non Ë nota altra discendenza maschile oltre a quella di David) avrebbe preso residenza a Todi, citt‡ che suo figlio lasciÚ nel 1545 per frequentare l'Universit‡ di Perugia, ove si laureÚ nel 1551. Dopo la laurea David fu titolare della condotta medica di Magliano Sabina che dovette lasciare nel 1555 a seguito dei noti provvedimenti anti-ebraici di papa Paolo IV (60).
3. I figli di Raffaele di Isacco.
Neppure nei documenti finora noti relativi alla discendenza di Raffaele di Isac- co da Spoleto compare mai l'indicazione cognominale "de Pomis". Il figlio di Raffaele, Servadio, ai cui matrimoni gi‡ si Ë accennato, Ë attestato a partire dal 1508 (quando era in vita un suo fratello del quale non si hanno in se- guito pi ̆ tracce), e quindi gi‡ fin da prima della morte del padre (1514) (61).
In seguito Ë ricordato, fino al 1527, in atti gi‡ pi ̆ sopra segnalati e in documen- ti del dicembre 1517 e del 4 novembre 1525 (62). Non si hanno ulteriori notizie su Servadio, forse morto senza lasciare discen- denza.
Una sua sorella, Ricca, era andata sposa ad Abramo di MosÈ da Monteolmo (63). 4. I figli di Ventura di Isacco.
Nel penultimo decennio del Cinquecento il medico David de Pomis ebbe a scri- vere che della sua famiglia non sopravviveva che un "ReuvËn" (Rubino) "de Pomis" (64), che va identificato, come meglio vedremo, con Rubino di Consolo di Ventura.
Dato che il nonno di Rubino, Ventura, era fratello di Buonaiuto, nonno di Da- vid, appare chiaro, da un lato che per il de Pomis i figli di due cugini primi si riconoscevano come membri di una stessa famiglia, dall'altro che, a parte lo stesso David, non sussisteva discendenza maschile nÈ da Buonaiuto, nÈ da Raf- faele di Isacco da Spoleto.
Diverso fu il caso per Ventura di Isacco da Spoleto, morto, come abbiamo visto, prima del 1510. Conosciamo il nome di una sua figlia, Ricca, e sappiamo che oltre a Consolo, sul quale subito ci soffermeremo, aveva un altro figlio maschio, delle cui vicen- de nulla sappiamo, salvo che fu legato al banchiere Angelo di Musetto da Foli- gno (65).
Consolo di Ventura Ë attestato come banchiere nella sua citt‡ dal 1510 al 1527, come risulta da molti dei documenti pi ̆ sopra segnalati e da quattro altri atti del 24 agosto 1512, del 12 gennaio 1513, del 28 gennaio 1521 e del 9 agosto 1525 (66), nonchË da un atto del 9 dicembre 1517 (67).
Nulla sappiamo in seguito di Consolo, salvo che risiedeva probabilmente anco- ra a Spoleto il 4 novembre 1533, quando Ë ricordata una sua figlia di nome Chiarastella (68). Consolo non dovette aver molta fortuna negli affari, visto che i suoi tre figli, Rubino, Simone e Buonaventura, rifiutarono, prima del 1545, l'eredit‡ paterna (69). La famiglia, rappresentata da Buonaventura, fu co-titolare, a partire dal 15- 39, e, probabilmente, almeno fino al 1553, del banco di Terni, localit‡ dalla quale trasse anche una denominazione cognominale alternativa a quella "da Spoleto" (70).
Nel 1551 e nel 1553 Buonaventura fu uno dei cinque collettori della vigesima degli ebrei umbri (71). Ma, in contemporanea con Terni, Ventura, insieme con il fratello Simone, era banchiere a Chiavano, in quel di Cascia, sempre in Umbria, nel 1544 (72). Simone e Rubino di Consolo da Spoleto erano ancora prestatori a Chiavano nel 1554, anche se, espulsi da tutto il territorio di Cascia, dovettero sospendere le loro attivit‡ nel 1555 (73).
Erano ormai attivi, a questo punto, i provvedimenti antiebraici di Paolo IV e i da Spoleto si trovarono a dover scegliere, come gli altri ebrei degli Stati della Chiesa, fra il ghetto e l'emigrazione. Fu probabilmente anche l'esperienza del loro parente medico David de Pomis, passato da Pitigliano a Santa Fiora nel primo lustro degli anni sessanta, a indi- rizzarli verso i feudi di confine ove ben presto li ritroveremo.
5. I de Pomis nella Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento.
Forse non molto prima del 1566 Simone di Consolo da Spoleto fu banchiere a Proceno (terra laziale, ma compresa nella contea sforzesca di Santa Fiora e in diocesi di Sovana), insieme con Crescenzio "Melucci", figlio di un Meluccio di MosÈ da Pitigliano che aveva avuto la condotta per
Proceno nel 1534 e nel 1539 (90) e si era poi trasferito a San Casciano dei Bagni, nello Stato senese e di lÏ a Castro intorno al 1562. Il 22 gennaio 1566 il figlio di Meluccio, Crescenzio, si accordava per l'apertura di un banco di prestito a Castro (ducato dei Farnese) insieme con i da Spoleto, e precisamente i fratelli Simone e Rubino di Consolo e i figli del gi‡ defunto terzo fratello, Buonaventura, "Meneseo" (Menachem?, Menasce?) e Flaminio.
Il 4 febbraio 1572, come gi‡ abbiamo visto, Ë ricordato un "Robino" di Consolo "ebreo continuo abitatore di Castellazzara" (appartenente alla contea di Santa Fiora): si trattava certamente del nostro Rubino di Consolo di Ventura di Isacco dei de Pomis da Spoleto.
Il 14 dicembre 1573 ritroviamo i due fratelli Simone e Rubino da Spoleto a Santa Fiora, insieme con una nipote, Giulia, figlia del terzo fratello, Buonaven- tura, sposata con Crescenzio di Mele (o Meluccio) di MosÈ da Pitigliano, abi- tante nello stesso centro (74).
Ad Onano (dal 1561 compreso nella contea sforzesca di Santa Fiora e in dioce- si di Sovana, anche se in terra laziale) Crescenzio svolse l'attivit‡ di banchiere fra 1580 e il 1597 circa, affiancato dal cognato Flaminio di Buonaventura di Consolo da Spoleto, che fece testamento proprio ad Onano il 25 agosto 1587 e chiese di essere sepolto a Castellazzara.
Flaminio lasciÚ eredi le sorelle Sulpizia, Allegrezza, Clemenza e Giulia. Que-
st'ultima prima di Crescenzio di Meluccio di MosÈ, che era gi‡ suo marito nel 1573, aveva sposato un Buonaventura di Leone (75). Se i figli di Buonaventura di Consolo da Spoleto si stabilirono a Onano, suo fratello Rubino e gli eredi dell'altro fratello Simone scelsero di trasferirsi a Scansano, anch'esso appartenente alla contea di Santa Fiora (76).
In questo centro troviamo infatti insediata, a partire dal 1576, una famiglia composta dai fratelli Alessandro, Consolo e Ventura, figli del fu Simone di Consolo da Spoleto. Con loro vivevano la madre Speranza, il fratello del padre, Rubino, e un Gaudio di Mele da Nepi. I tre giovani possedevano una casa nel paese e si occupavano di commercio di bestiame (77).
Forse proprio da Scansano Rubino esperÏ un nuovo tentativo di rientrare negli Stati della Chiesa, e precisamente a Perugia, dove il 3 marzo del 1587 venne autorizzato l'ingresso di "Rubino di Consolo da Spoleto con il figlio Patrizio". Un altro figlio di Rubino, AssaÈl, viveva in quegli
anni a Roma. Il 19 marzo del 1588 si incontra a Scansano (ma vi operava forse dagli inizi del decennio) il fenerator Meluccio di MosÈ, ebreo detto "de Proce- no"(probabile cugino del Crescenzio di Meluccio di Mele che aveva sposato Giulia di Buonaventura di Consolo de Pomis), cui sarebbero succeduti pri- ma Consolo (1596) e poi Ventura, entrambi figli di Simone de Pomis (78). Ventura de Pomis sarebbe passato a gestire il banco di Onano nel 1604 e nel 1- 608 si sarebbe candidato, senza successo, a gestire il banco di Pitigliano, ai cui titolari gi‡ aveva prestato assistenza nel 1604 (79). Nel 1610 Ventura veniva definito "hebreus de Scansano", ma "incola" di Ona- no, ove si era trasferito intorno alla fine del secolo XVI o agli inizi del XVII. Egli abitava sempre ad Onano nel 1611, quando risultava socio di Isacco di Si- mone da Rieti (gi‡ coinvolto nel banco di Pitigliano aperto nel 1604), e vi fu attivo fin dopo il 1612. Ancora nel 1619 Ventura vendeva una propriet‡ immo- biliare posta in Onano (80). Quanto agli altri membri della famiglia soggiornÚ per un anno a Sovana, nel 1604, un Elia di Consolo, probabilmente figlio del Consolo di Simone di Con- solo stabilitosi a Scansano; e nel 1606 approdÚ a Sovana un Alessandro con il quale non Ë forse azzardato identificare l'omonimo fratello di Consolo e Ventu- ra di Simone de Pomis (81). I de Pomis/da Spoleto probabilmente non continuarono dunque a risiedere a Scansano, perpetuando cosÏ una modalit‡ di "itineranza" che ha reso problema- tica l'identificazione dei diversi membri della famiglia, e ciÚ a partire dall'equi- voca espressione del medico David de Pomis, nel suo Zemach David , secondo il quale "della mia famiglia non rimane oggi [1587 circa] che ReuvËn de Pomis, che vive con i figli nelle terre dei signori di Santa Fiora". Per il Celata, e poi per
il Niccolai, "ReuvËn de Pomis" era addirittura figlio di David. Angelo Biondi ha invece ritenuto che Rubino, che sappiamo figlio di Consolo di Ventura di I- sacco de Pomis, fosse fratello del medico David di Isacco di Buonaiuto di Isac- co de Pomis, e che suoi figli fossero Consolo e Ventura de Pomis, gli unici, a quanto finora risulti, a tornare ad usare il cognome de Pomis. In realt‡, da un lato Rubino era figlio di un Consolo, come Ë chiaro anche dai documenti citati dal Biondi, e Consolo e Ventura (oltre ad Alessandro) erano figli, come si Ë vi- sto, non di Rubino, ma di suo fratello Simone. CiÚ nonostante sembra chiaro che, al di l‡ dell'ipotesi che David de Pomis avesse lasciato in Toscana o un fi- glio o un fratello e dei nipoti, il Biondi, il Celata e il Niccolai hanno intuito, senza perÚ trarne tutte le conseguenze, che "de Pomis" e "da Spoleto" sono in- dicazioni cognominali diverse utilizzate da una medesima famiglia (82).
Conclusioni
» certo prematuro trarre conclusioni dai profili, tracciati in questa sede, di due sole famiglie. Essi consentono tuttavia di formulare ipotesi che possono essere di una qualche utilit‡ per approfondire le ricerche sulla presenza ebraica nell'a- rea della Toscana meridionale. Sia nel caso dei Cohen da Viterbo che in quello dei de Pomis da Spoleto Ë emerso che le due famiglie, l'una umbra e l'altra la- ziale, avevano relazioni con le terre delle attuali provincie di Siena e di Grosse- to fin da prima dei provvedimenti anti-ebraici di papa Paolo IV del 1555 e delle conseguenti migrazioni dagli Stati della Chiesa. CiÚ suggerisce di proseguire, specie attraverso gli archivi senesi, quell'indagine sulla presenza ebraica della zona nella prima met‡ del Cinquecento a suo tempo correttamente impostata, ma non sufficientemente approfondita, da Michele Cassandro (82).
La storia delle due famiglie, qui sopra rapidamente percorsa, rivela poi una in- discutibile continuit‡ di comportamenti (insistenza sul prestito feneratizio, mo- bilit‡, itineranza, presenza contemporanea in pi ̆ luoghi di membri dello stesso nucleo famigliare) fra il periodo precedente e il periodo posteriore ai provvedi- menti anti-ebraici del 1555. Tale similitudine di comportamenti induce a ritene- re che nella seconda met‡ del Cinquecento (altro sar‡ forse il discorso per il Seicento) non fosse ancora maturata presso gli ebrei delle terre di confine fra Toscana da un lato e Lazio ed Umbria dall'altro la piena consapevolezza di es- sere ormai entrati in una fase di irrimediabili difficolt‡ e limitazioni. Infine, se ancora fino all'inizio del Seicento le famiglie ebraiche continuarono ad operare secondo le modalit‡ cui si erano assuefatte nei due o tre secoli precedenti, po- trebbe essere opportuno affiancare alle storie degli insediamenti ebraici condot- te localit‡ per localit‡, ricostruzioni delle singole vicende familiari in grado di abbracciare aree di maggiore ampiezza.
DE POMIS Davide di Isacco: Spoleto 1525, Bevagna 152..-153.., Todi 1532-155.., Magliano Sabina 154...-1555, Pitigliano e Sovana1556-1560; Santa Fiora 1561-1563, Venezia DA PERUGIA (?) vel DA ACQUAPENDENTE (?) vel DA CASTRO (?) Cherubino di Jacob: Acquapendente 1541; Pitigliano 155...-1562
Maraviglia di Cherubino: Pitigliano 1561-1562
Vritia di Cherubino: Pitigliano 1561-1562 Jacob di Cherubino di Jacob (sposato a Fiammetta): Pitigliano 1561-1576
Cinzia di Jacob: Pitigliano 1561-1593 Leonida di Jacob (sposata a Roberto di Gioacchino da Camerino): Pitigliano 1566-
1576
[Vitale di Cherubino di Jacob] Cherubino di Vitale di Cherubino di Jacob: Tarquinia 1587 Josef di Cherubino di Vitale di Cherubino di Jacob, da Castro: Santa Fiora 1636
DA VITERBO vel SACERDOTE vel COHEN Lazzaro Abramo di Lazzaro: Rieti, 1541-1542; Narni, 1545 Lazzaro di Abramo di Lazzaro: Amelia, 1549-1556; Pitigliano 1571- 15... Isacco di Abramo di Lazzaro: Siena 1543; Sovana 1565-1571; Pitigliano 1571-15...; Roma 1581-1591
Laudadio di Abramo di Lazzaro: Viterbo 1549; Sovana 1565-1571; Pitigliano 1571-1591 Ventura Consolo di Ventura: Spoleto, 1510-1527 Ventura di Consolo di Ventura: Terni, 1539-1553
Rubino di Consolo di Ventura: Chiavano, 1554-1555; Castro 1566; Castell'Azzara 1572; Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Simone di Consolo di Ventura (sposa Speranza): Chiavano, 1554-1555; Proceno, 156..; Castro 1566; Santa Fiora 1573;
Giulia di Ventura di Consolo di Ventura (sposa Buonaventura di Leone e poi Crescenzio di Meluccio di MosÈ da Pitigliano) Menasce di Ventura di Consolo di Ventura: Castro 1566 Flaminio di Ventura di Consolo di Ventura: Castro 1566; Onano 1580-1587
Consolo di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Alessandro di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Ventura di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Non sembra possibile che Abramo di Buonaiuto coincida con l'"Habraam Bonaiuti" che, con famiglia e soci, ottenne di poter aprire banco a Esanatoglia, piccolo centro delle Marche presso Matelica, il 7 luglio 1543 [SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2266, pp. 2356-2357].
Il banchiere Consolo di Ventura, di antica famiglia ebraica spoletina, attestato come banchie- re nella sua citt‡ dal 1510 al 1527 [TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., nn. 2221-2222, pp. 1147-1148; n. 2239, p. 1156; n. 2252, p. 1163; n. 2258, p. 1165; n. 2279, p. 1173; n. 2302, p. 1184; n. 2321, pp. 1191-1193; n. 2329, p. 1196; nn. 2334 e 2335, p. 1197; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2357, pp. 1208-1209; n. 2361, p. 1210; n. 2365, p. 1211; n. 2368, p. 1212].
Gli ebrei a Santa Fiora e un notevole caso di conversione
di Angelo Biondi
» ormai ben noto che i piccoli feudi indipendenti, posti sul confine meridionale della Toscana a contatto con lo Stato Pontificio e con altri feudi allíinterno di questíultimo come il Ducato di Castro e la Signoria di Latera e Farnese, furono abitati da ebrei ed anzi diven-
nero per loro luoghi di rifugio dopo le Bolle di restrizio- ne del 1555 e soprattutto del 1569, a cui seguirono simili provvedimenti di Cosimo dei Medici in Toscana nel 15- 70 per lo Stato Fiorentino e nel 1571 per lo Stato Sene- se.
La Contea di Santa Fiora, dominio degli Sforza, com- prendente Santa Fiora, Castellazzara e Scansano, a cui si erano aggiunti Proceno ed Onano concessi in feudo dal Papa, fu tra questi staterelli di confine, che ospitarono ebrei.
Sugli ebrei di Santa Fiora ha scritto Lucio Niccolai sin dal primo numero di Tracce, ritornando poi pi ̆ volte sullíargomento; qualche altra notizia Ë stata fornita da Roberto Salvadori nel suo libro sugli ebrei di Piti- gliano. Scrive opportunamente Niccolai:
Pur dovendo fare i conti con una documentazione frammentaria e con fonti limitate, gi‡ da qualche anno, utilizzando soprattutto il nostro An- nuario ìTracceî abbiamo cominciato a riflettere e a presentare alcuni dati relativi alla presenza ebraica a Santa Fiora. La prima traccia per la ricerca storica viene fornita, oltre che dalla persistenza del toponimo ìGhetto de- gli ebreiî in Borgo, dagli ìAnnali della Terra di Santa Fioraî, un mano- scritto della seconda met‡ del ë700 redatto dallíagostiniano Paolo Battisti Ö che Ë una sorta di palestra di iniziazione per chiunque affronti la storia locale di Santa Fiora. In realt‡ Battisti ci dice poche cose, che perÚ sono sufficienti ad attestare la presenza certa di una comunit‡ ebraica tra XVI e XVIII secolo Ö
Da ciÚ si capisce bene che la storia degli ebrei di Santa Fiora Ë ben lungi dallí- essere stata scritta; anche questo mio lavoro, che aggiunge numerose notizie inedite e chiarimenti a quanto gi‡ noto e tratta anche un interessante episodio di conversione, si puÚ considerare un ulteriore passo di avvicinamento alla cono- scenza della presenza ebraica a Santa Fiora, ma serviranno ancora altre e proba- bilmente lunghe ricerche, che ci auguriamo possano essere compiute in futuro.
Notizie sugli ebrei a Santa Fiora nel ë400 e nel ë500
La presenza ebraica a Santa Fiora, come nella Contea di Pitigliano, Ë molto pi ̆ antica di quanto non si era finora supposto e ci rimanda indietro nel tempo al- meno al Quattrocento. Infatti la prima notizia, finora ignorata, di ebrei a Santa Fiora risale al 1465.
In tale anno líebreo Ventura di maestro Abramo, residente nel feudo di Santa Fiora, sposÚ Belladonna, figlia di Dattilo di Aleuccio, allora in Foligno, rice- vendo per dote la somma di 80 fiorini in moneta papale. La notizia Ë di notevole interesse, perchÈ riporta indietro nel tempo, di circa un secolo, líattestazione di una presenza ebraica a Santa Fiora; finora infatti si era creduto che il primo ebreo residente a Santa Fiora fosse stato il famoso medico David de Pomis, venuto nella Contea di Pitigliano al servizio del Conte NiccolÚ IV Orsini nel 1556, in conseguenza della Bolla restrittiva del 1555, e poi emi- grato a Santa Fiora nel 1562, a seguito della rivolta popolare che cacciÚ Nicco- lÚ IV da Pitigliano, ed ivi rimasto per tre anni al servizio del Conte Mario Sfor- za.
Il documento del 1465 avvalora anche líaffermazione di un ebreo santafiorese, che intorno alla met‡ del ë500 ricordava che ìsuo nonno gli aveva riferito che nella zona degli orti, nella parte bassa del paese (di Santa Fiora), erano seppel- liti gli ebrei, nel cimitero ìvecchioî, risalente quindi almeno al secolo prece- dente Öî.
CiÚ dimostrerebbe che gli ebrei sono stati presenti a Santa Fiora fin dal XV se- colo con continuit‡ e in numero sufficiente da avere un cimitero e probabilmen- te il loro luogo di culto. Si puÚ ritenere che il gruppo ebraico si sia rafforzato a seguito della concessio- ne di importanti privilegi da parte di papa Paolo III (1534-1549), noto per la sua protezione degli ebrei e suocero di Federico Sforza Conte di Santa Fiora, che aveva sposato Costanza Farnese.
CiÚ risulta da un monitorio di inibizione dellíAuditore di Camera del 1609 nei confronti del Vescovo di Citt‡ della Pieve, a cui era sottoposta Santa Fiora, per líosservanza di tali privilegi, poi confermati successivamente fino alla met‡ del ë700, la cui versione Ë quella della conferma del 1708, tramandataci anche dal Battisti e ampiamente analizzata da Niccolai.
Si puÚ ritenere dunque che i Privilegi concessi da Paolo III siano stati gli stessi confermati nel 1708, riguardanti la sostanziale parificazione degli ebrei agli altri abitanti cristiani di Santa Fiora, che potevano godere le stesse franchigie, compresa líassistenza medica, la possibilit‡ di abitare nella Contea liberamente e senza dover porta- re il segno, tenere la loro sinagoga e scuola, fare carne casher e celebrare le proprie feste religiose, la possibili- t‡ di commerciare qualunque genere di mercanzia, far
incetta di grano, farina e lana, fare soccide e tenere bestiame, possedere case e addirittura avere licenza di portar armi. Tali Privilegi, confermati nel tempo dai Conti Sforza, garantirono la Comunit‡ ebraica, la sua sopravvivenza e il suo benessere per circa due secoli,
impedirono per tutto il ë600 che in Santa Fiora fosse istituito un ghetto fino al 1714 e favorirono le attivit‡ economiche, specie le ìtradizionali occupazioni di me- dico, commerciante, banchiereî.
In proposito non Ë ben chiaro se fosse un ebreo il ceru- sico Tarquinio Sperandio da Todi, nominato medico della Comunit‡ di Santa Fiora nel 1574 e a cui fu rin- novata la condotta nel 1577.
Tenendo poi conto che la Contea di Santa Fiora insie- me agli altri feudi vicini non fu investita dai provvedi- menti antiebraici del 1555 e 1569 nello Stato Pontifi- cio e del 1570 e 1571 in Toscana, anzi divenne anchíessa un luogo di rifugio, si deve concludere che anche qui, come a Pitigliano e a Sorano, il nucleo ebraico gi‡ esistente si rafforzÚ con líarrivo di altri israeliti, costretti ad emigrare dagli Stati vicini, come accadde per il medico David de Pomis.
La presenza di questo medico nei feudi di confine servÏ anche ad indirizzare i suoi parenti ñ gli unici a lui rimasti, come afferma lo stesso David de Pomis ñ verso questa zona: cosÏ troviamo Simone di Consolo da Spoleto (de Pomis) a Proceno intorno al 1566; il fratello Rubino di Consolo a Castellazzara nel 1572 e poi ambedue a Santa Fiora nel 1573 con la nipote Giulia, figlia del terzo fra- tello Bonaventura di Consolo e sposata a Crescenzio di Mele da Pitigliano, an- chíesso residente a Santa Fiora; Rubino, insieme ai nipoti Alessandro, Consolo e Ventura, figli di Simone nel frattempo deceduto, e insieme alla loro madre Speranza, passarono nel 1576 a Scansano, anchíesso parte della Contea di San- ta Fiora.
Altri ebrei risultano residente a Santa Fiora in quegli anni, come Pompeo di Bonaiuto, che nel 1581 si dichiarÚ debitore di 43 scudi díoro nei confronti di tal Pellegrino Pacini, e Febo di Salomone da Castro, che nel 1582 sposÚ in secon- de nozze la vedova Perna di Giacobbe, cognata di Sabato díAngelo residente a Castellottieri.
Uno spaccato di vita ebraica negli anni 1584-1590
La possibilit‡ di consultare alcuni documenti, finora inaccessibili, ha reso pos- sibile ricostruire alcuni aspetti di vita ebraica a Santa Fiora, che per quanto in- completi e limitati agli anni 1584-1590, presentano tuttavia notevoli motivi di interesse. In quegli anni si trovano citate a Santa Fiora almeno una quindicina di famiglie di ebrei, ma probabilmente ce níerano altre, tenendo conto delle mobilit‡ degli ebrei.
La popolazione ebraica di Santa Fiora della seconda met‡ del ë500 era dunque almeno equivalente a quella esistente a Pitigliano e a Sorano ai primi del ë600 e non lontana da quella della citt‡ di Castro per lo stesso periodo, quando per questi centri abbiamo notizie demografiche certe.
Innanzi tutto a Santa Fiora si trova la famiglia di Patrizio di Rubino, che esercitava il banco in societ‡ con il padre Rubino e con la fami- glia dello zio Simone di Consolo da Spoleto (de Pomis); vi erano poi al- tre famiglie legate al banco di presti- to, come quelle dellíagente Angelo da Cori, di Abramo figlio di Samue- le (detto Sciamuello) e del nipote Samuele di Benedetto, imparentati con il banchiere Simone di Consolo, che aveva sposato Speranza figlia di Scia- muello, anchíesso con i figli abitante a Santa Fiora; si aggiungevano inoltre quelle di Salomone díAbramo, di Daniele di Samuele díArpino, di David di Daniele Levi, di Sabato di Jacob e del fratello Giuseppe di Jacob, tutti commer- cianti, quelle di Pompeo di Bonaiuto e di Febo di Salomone da Castro, gi‡ cita- ti, e ancora quelle di Prospero e del figlio MosË, di Raffaele, di Salomone ba- staio e di Daniele anchíesso bastaio.
Questi ultimi, come fabbricante di basti, si inserivano nella numerosa e varia schiera di artigiani allora presenti a Santa Fiora, specie nel quartiere di Monte- catino; nei documenti di quegli anni infatti compaiono pignattai, barlettai, car- rai, falegnami, muratori, cappellai, spadai, fabbri, chiodaroli, collegati allíatti- vit‡ della ferriera di propriet‡ del Conte e situata appunto nel quartiere di Mon- tecatino.
Gli ebrei di Santa Fiora, oltre al banco di prestito, tenevano prevalentemente botteghe soprattutto di panni e stoffe, ma la loro attivit‡ commerciale si esten- deva ai pi ̆ vari rami ed articoli che consentissero un guadagno, senza partico- lari limitazioni. Negli atti civili del Podest‡ di quegli anni si incontrano spesso istanze di ebrei per il recupero di piccole somme nei confronti di abitanti di Santa Fiora e di forestieri per forniture di stoffe, panni, grano, metalli, attrezzi e talvolta generi particolari, come nel caso di donna Virgi-
nia Camilli, debitrice di un carlino nei confronti di donna Lavinia moglie di ìSciamuelloî ebreo per ìtot pulveris sibi data ad faciendum unguentumî (per tanta polvere a lei data per fare un unguento); a volte si trattava di ricavi per noleggio di animali, come Ë dimostrato da MosË di Prospero che nel 1586 ebbe 5 carlini per aver messo a disposizione dellíebreo Salomone un asinello per un suo viaggio a Siena.
Molto attivo era anche il commercio della lana, di cui gli ebrei facevano incetta anche nelle zone vicine, come nel caso di David Levi, che nel 1590 doveva riti- rare 250 libbre di lana dagli eredi di Sandro di Jacopo a S.Martino e altre 200 libbre da Jacobo di Jacobo a Catabbio.
Interessante risulta anche líepisodio relativo al bresciano Battista chiodarolo, che lavorava al distendino del Conte Sforza, fatto carcerare dallíebreo David Levi per sospetto di fuga a causa di un debito di 121 scudi concessi in prestito dall'ebreo. Subito si presentÚ al Podest‡ il Fattore del Conte, che si oppose alla carcerazione del chiodarolo, protestando per i danni presenti e futuri che poteva subire il distendino.. Gli ebrei di Santa Fiora erano gi‡ organizzati in Comunit‡ (o Congregazione), come risulta da uníistanza dellíebreo Salomone presentata al Podest‡ nel marzo 1584.
Salomone voleva costringere líebreo Daniel díArpino, che era al tempo ìCamerlengo della Congregazione dellíhebreiî santafioresi, a dichiarare sotto giuramento ìmore hebreorumî quali denari della Congregazione avesse speso per fare gli azzimi in occasione della Pasqua ebraica (Pesach), per líelemosina al predicatore e per il bando da mandare, secondo il solito, nella Settimana San- ta a favore degli ebrei. Daniel affermÚ di aver chiesto una stanza per fare gli az- zimi a Francesco Ferrazzolo e di aver fatto due mangani, mentre riguardo allíe- lemosina del predicatore e al bando per la Settimana Santa ìla Congregazione buttÚ 16 iuli per detta causa et inanto che ci avanzasse qualche cosa si mette in comune nella cassetta o altrove dove pi ̆ piace alla Congregazione, et a Salo- mone sopraddetto, spartendosi questa cosa per soldi e lira, li spartitori li han- no messo 3 giuliî.
Si ha dunque conferma indiretta che erano gi‡ operanti i Privilegi per gli ebrei di Santa Fiora, concessi da papa Paolo III; infatti la Comunit‡ ebraica ñ detta da David Congregazione ñ faceva spese per il predicatore (per líobbligo previsto dai Privilegi una sola volta líanno) e per inviare un bando a salvaguardia degli ebrei per la Settimana Santa; tali spese venivano divise tra i membri della Co- munit‡ da ìspartitoriî.
Inoltre mentre doveva essere da tempo in funzione la Sinagoga, la Comunit‡ non disponeva di un locale per fare gli azzimi per la Pasqua ebraica e si provve- deva ad affittarlo da cristiani. Gli ebrei abitavano liberamente in Santa Fiora, mescolati con i cristiani, ma sembra che varie famiglie israelite, se non la maggioranza, abitavano nel quar- tiere di Montecatino, quello posto pi ̆ in basso, nato vicino alle copiose sorgenti díacqua per ospitare le maestranze addette agli opifici, che si avvalevano della forza idraulica, e dove di solito andavano ad abitare i forestieri, anche grazie alle facilitazioni previste dagli Statuti.
Troviamo nei documenti alcuni esempi di famiglie ebree che avevano casa in Montecatino, come quelle di Daniel díArpino e di Salomone, le cui mogli e fi- glie furono tra le persone accusate nel novembre 1584 di buttare immondizie in localit‡ Caupona, posta nelle vicinanze del Convento di S.Agostino.
Nella vita quotidiana potevano accadere talvolta piccoli inconvenienti e incom- prensioni, come nel caso di Daniel, accusato nellíagosto 1584 da donna Olim- pia di averle misurato in modo fraudolento quattro braccia di stoffa, o di Salomone di
Abramo, molestato nel 1588 per aver preso in affitto un locale ad uso di bottega, a cui aspirava un santafiorese. Non manca una interessante controversia nel 1589 tra il suddetto Salomone e il gene- ro Sabato o Sabatuccio di Jacob, che voleva ripudiare la moglie Dolce, figlia di Salomo- ne, perchÈ aveva manifestato líintenzione di battezzarsi e farsi cristiana, chiedendo la restituzione della dote di 150 scudi. LíAuditore si trovÚ in difficolt‡ a decidere líinsolito caso ed assegnÚ 10 giorni di tempo perchÈ Sabato provasse che non era tenuto a tenere con se la moglie, che aveva ripudiato ìsecundum legem he- breorumî, o viceversa perchÈ il padre Salomone a sua volta potesse provare che Sabato la doveva comunque tenere, comíegli sosteneva.
In quegli anni il banco di prestito era gestito principalmente da Patrizio di Ru- bino del Pomis, come ìpriore ed agenteî, coadiuvato dallíagente Angelo da Co- ri; Ë Patrizio infatti a presentare istanza al Podest‡ nel 1584 per líemissione del bando di riscossione o rinnovo dei pegni esistenti nel banco di prestito:
Pro Patritio et sociis banchieris hebreis Sancte Flore ad quorum instantia quis p. b. set bandisse per loca solita et consueta dicte Terre de Sancta Flora, sono tube premisso, alta et voce intellegibili prout ipsam: che tutte persone della Terra di Santa Fiora et habitanti in essa et suoi borghi et an- co i forestieri habitanti in altri luoghi et qualunque altra persona che in qualsivoglia modo havesse o tenesse pegni, di qualunque sorte si siano, impegnati nel banco di detti Banchieri debbino nel termine prefisso nelli Capitoli di detto Banco confirmati et aprovati da S.Ecc. Ill.ma haverli ri- scossi o rinovati, secondo si contiene in detti Capitoli, altrimenti passato detto tempo e non li riscotendo o rinnovando come di sopra detti pegni, si intenderanno persi o ricaduti afatto al detto Banco et si proceder‡ come in essi Capitoli si contiene senza remissione alcuna.
Il bando veniva emesso ogni tre mesi (alla met‡ di gennaio, aprile, luglio, otto- bre), a quanto pare secondo le disposizioni contenute nei Capitoli del banco di prestito stipulati con il Conte di Santa Fiora. Patrizio insieme al padre Rubino il 3 marzo 1587 ottenne líautorizzazione di ingresso a Perugia a seguito delle disposizioni di papa Sisto V, che líanno prima aveva permesso il rientro degli ebrei nelle citt‡ e terre grosse dello Stato della Chiesa.
Ma poco dopo Patrizio morÏ (risulta gi‡ deceduto nel 1588) e Rubino, che gi‡ in precedenza si era dovuto occupare dei nipoti figli del fratello Simone dece- duto intorno al 1576, dovette occuparsi della nipote Vrizia, figlia di Patrizio, essendosi la madre risposata, e della situazione patrimoniale relativa al banco di prestito di Santa Fiora.
Questo banco fu dapprima amministrato fino oltre il 1590 da Speranza, vedova di Simone de Pomis, quale tutrice dei figli, e poi da Consolo de Pomis, almeno oltre il 1601. Nel 1606 Ë documentato perÚ ìAbramo banchiereî, da identificarsi con Abra- mo di Daniele díArpino. Non sappiamo se agisse come socio di Consolo de Po- mis o ne avesse rilevato il banco di prestito.
Turbolenze e delitti tra gli ebrei ai primi del ë600
Líattivit‡ feneratizia ebraica dunque continuÚ a Santa Fiora, dove venivano ad impegnare ed a fare acquisti anche uomini di altri centri dellíAmiata, di cui si trova qualche esempio, come nel caso di Betto Sisti di Piancastagnaio, per il quale nel 1584 líebreo Daniel chiese che venisse carcerato per sospetto di fuga in quanto debitore di 12 giuli per certi panni presi nella bottega dellíebreo san- tafiorese.
Il nuovo Marchese di Piancastagnaio Giovan Battista I Bourbon del Monte, che aveva appena ottenuto nel 1601 il feudo dal Granduca di Toscana, con un ban- do del dicembre 1603 vietÚ ai pianesi di andare ad impegnare presso i banchieri ebrei di Santa Fiora, Castellottieri ed Onano ìin grave danno di essi per líin- gorda usura che detti ebrei tirano Öî.
Il Marchese Giovan Battista I perÚ aveva permesso fin dalla fine del 1601 allíe- breo Samuele di Benedetto di venire ad abitare a Piancastagnaio, esercitando ìlíarte del sartoî, con il divieto perÚ di prestare in alcun modo. Si tratta certamente di quel Samuele di Benedetto, che gi‡ nel 1584 risulta risie- dere a Santa Fiora, legato al banco di prestito della fami-
glia De Pomis. In seguito il divieto iniziale di prestare su pegno venne a decadere con i successori del Marchese Giovan Battista I e gi‡ intorno al 1620 ìlíebreo Samuelloî esercitava ormai pubblicamente la sua attivit‡ di banchiere. Non sappiamo se nella decisione dellíebreo Samuel di Be- nedetto di trasferirsi a Piancastagnaio, oltre a voler coglie- re líopportunit‡ dalla costituzione di un nuovo feudo rela- tivamente autonomo, ebbero un peso anche i guai con la giustizia di suo padre Benedetto e dei suoi familiari. Infatti alla fine di febbraio 1600 líAuditore della Contea di Santa Fiora Ambro- gio Lauro aveva condannato i fratelli Benedetto e David chiamato ìDavittoneî e il loro padre Sciamuello ad una forte multa per pugni, sassate e parole ingiu-
riose nei confronti di un certo Jacobo detto Janaco, e la multa pi ̆ alta di 87 de- nari era toccata proprio a Benedetto, mentre Davittone era stato multato per 55 lire e il padre Sciamuello di 50 lire per provocazione e incitamento dei figli alla rissa.
Le multe provocarono da parte del Bargello il sequestro di beni della famiglia: 3 some di grano, 97 libbre di rame ed altri pezzi di rame, 3 materassi, 4 paia di lenzuoli e altri utensili; i beni sequestrati furono lasciati in casa di Sciamuello, ma in consegna al banchiere Consolo de Po- mis, che offrÏ la garanzia.
Per evitare il danno conseguente al sequestro, si presentÚ allíAuditore donna Lavinia, moglie di Sciamuello, di- chiarando che sui beni sequestrati era assicurata la sua dote.
LíAuditore allora svolse con testimoni un interessante accertamento, da cui sca- turÏ che Lavinia era una delle tra figlie dellíebreo Leone, diversi anni prima proprietario di ìuna bottega grossa di merci, panni, lana, farine ed altre coseî ad Arcidosso ìe ci faceva molto beneî, perchÈ in quel paese non cíerano altri commercianti ebrei, ma ìnon ci habitava altri che luiî. CapitÚ ad Arcidosso ìnellíanno del í70 incircaî líebreo Sciamuello, ìche era allora giovanotto e sposÚ Laviniaî, una delle figlie di Leone.
Il suocero gli dette una dote di circa 200 scudi e gli consegnÚ la bottega con tutte le merci, anche perchÈ líebreo Leone, dopo 5 o 6 anni di permanenza ad Arcidosso, dovette sloggiare da lÏ ìper non so che grattacapiî, andandosene a Cetona. Sciamuello rimase ancora alcuni anni ad Arcidosso, per spostarsi poi con la famiglia a Santa Fiora probabilmente intorno al 1580 (nel 1584 Ë docu- mentato gi‡ a Santa Fiora). Compiuti gli accertamenti, che risultarono positivi, líAuditore il 23 maggio
1600 decise di restituire i beni sequestrati perchÈ garanti della dote di Lavinia. Ma se in questo caso Sciamuello e i figli riuscirono a cavarsela, ben pi ̆ gravi condanne subirono qualche tempo dopo: il 31 luglio 1602 Benedetto e il fratel- lo Alessandro furono colpiti da un precetto di espulsione dalla Contea di Santa Fiora, con divieto di tornare sotto pena di condanna ìalle triremiî. Probabil- mente i due ebrei erano considerati complici del loro fratello Abramo, condan- nato a morte e alla confisca dei beni due giorni dopo per aver ucciso a pugnala- te Febo di Salomone da Castro nella piazza del Borgo di Santa Fiora; Abramo fu condannato in contumacia insieme allíaltro fratello Davittone, che gli aveva prestato aiuto, ed i due, definiti nei documenti come ìebrei da Arcidossoî, era- no prontamente scappati dalla Contea. Non si conosce il motivo dellíomicidio, ma in precedenza era incappato nei rigori della giustizia anche Febo, condanna- to nel settembre 1600 ad una multa di 50 scudi díoro e tre tratti di corda in pub- blico per aver aggredito violentemente di notte líebrea Cremosina, moglie di Daniele díArpino, insieme a Ventura, Sabatuccio e allo stesso Abramo.
Anche questi ultimi furono condannati, ma ad una pena dimezzata rispetto a Febo, che risultÚ essere stato il capo della biasimevole impresa. Gli anni iniziali del Seicento furono dunque caratterizzati da eventi turbolenti e delittuosi in seno alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora, che portarono allíallon- tanamento dalla Contea di tutti i figli di Sciamuello e delle loro famiglie e che possiamo considerare conclusi nel 1604, quando Sciamuello presentÚ una sup- plica, corredata da un rescritto di pace e concordia con i familiari di Febo, a fa- vore del figlio Abramo ancora carcerato, la cui condanna fu commutata in esilio perpetuo da tutto lo Stato di Santa Fiora.
Il processo per Giulia ebrea che si vuole battezzare
Abbiamo visto che a Santa Fiora ai primi del ë600 ave- va un ruolo nel banco di prestito Abramo di Daniele dí- Arpino, detto Abramuccio, poi deceduto nel 1614-1615. La sua famiglia era composta dalla moglie Vrizia, a quanto pare proveniente da Siena, e dai figli Daniele, Samuele e Giulia.
Proprio questíultima fu la protagonista di un notevole caso di conversione al cristianesimo, che provocÚ un processo, affidato al confinante Vescovo di Sovana su delega del Vescovo di Citt‡ della Pieve, da cui dipendeva Santa Fiora. Non sappiamo se nella decisione del Vescovo pievese di delegare quello di So- vana, oltre alla specifica richiesta dei familiare della fanciulla ebrea, alla distan- za e ai momentanei impedimenti, ebbe qualche peso un certo ritegno per i pri- vilegi di cui godevano gli ebrei di Santa Fiora, che proprio pochi anni prima a- vevano provocato il monitorio dellíAuditore di Camera pontificio nellíottobre 1609.
Il giorno di S. Croce, 3 maggio 1625, la fanciulla ebrea Giulia del fu Abramo Arpino (o díArpino), allora undicenne, trovandosi sola nella sua casa in Santa Fiora, mentre i fratelli erano alla ìscolaî ebraica (sinagoga), decise di uscire, si portÚ alla casa di Santi di Lorenzo e della moglie Domenica cristiani e trovatala chiusa, si fece aprire da una vicina ed entrÚ dentro.
Ma sulla vicenda sentiamo la testimonianza dello stesso Santi di Lorenzo, resa al Vescovo di Sovana il 20-6-1625:
In casa mia si trova sotto la mia cura una fanciulla hebrea chiamata Giu- lia, figlia gi‡ díAbramuccio hebreo di Santa Fiora, la quale venne in ca- sa mia il giorno di Santa Croce delli tre di maggio prossimo passato et fino al presente anche vi si trova Ö e la causa et occasione per la quale venne in casa mia Ë questa et spontaneamente e senza esser chiamata da nissuno il detto giorno di Santa Croce, per quanto ella mi referÏ, si partÏ da casa sua e da fratelli e se ne venne a casa mia, dove trovÚ serrata la
porta, perchÈ mia moglie et io eravamo venuti alla messa qui a S.Agostino et essendo tornati a casa trovammo questa fanciulla sola sola in casa, e gli domandammo che cosa faceva e lei disse che era venuta in casa mia perchÈ si voleva far christiana, dove, come ho detto, sempre Ë stata e stava in sua libert‡ di tornarsene a casa sua se havesse voluto, per- chÈ nessuno mai líha impedita, et in casa ha sempre atteso a viver chri- stianamente et imparare li precetti christiani et dimostra un grande zelo dellíhonor di Dio e di farsi christianaî.
La madre ed i fratelli di Giulia, di fronte a tale situazione, si rivolsero personal- mente al Vescovo di Citt‡ della Pieve, Mons. Celsi, dichiarando di ritenere ìsospettissime le persone e il loco (di Santa Fiora)î e chiedendo che provve- desse ìconforme i Sacri Canoni e dottrina di Theologi, a dare un Prelato pi ̆ vicino a Santa Fiora, il quale veda e termini secondo jure detta causa, che cosÏ si eviter‡ ogni materia di scandaloî.
Mons. Celsi scrisse da Roma il 1° giugno 1625 a Mons. Scipione Tancredi Ve- scovo di Sovana (1624-1636), pregandolo di occuparsi della questione e dele- gandogli ogni autorit‡ in proposito. Il 5 giugno 1625 si presentÚ al Vescovo di Sovana líebreo Simone Narni, pro- babilmente il rabbino di Santa Fiora, che gli consegnÚ la lettera del Vescovo di Citt‡ della Pieve e un libello da inserire agli atti del processo, ritenendo che Mons. Tancredi avrebbe accettato líincarico.
Il libello, diretto al vescovo di Sovana da Vrizia e dal fi- glio Samuele Arpino, dopo aver esposto che era stato tol- ta loro Giulia, rispettivamente figlia e sorella, ìdíalcune donnicciole e preti in Santa Fiora Ö e quella tenuta rin- chiusa in casa Santi di Lorenzo di detto logho sotto pre- testo di farla battezzareî, dichiarava che Giulia in et‡ di dieci anni era minorenne, come appariva da deposizione di cinque testimoni e da una certa memoria in un libro della Bibia a stampa in ebraico volgarizzata da persona peritaî, e perciÚ era sottoposta allíautorit‡ dei suoi pa- renti, che chiedevano che fosse loro restituita senza im- pedimento e che la fanciulla venisse esaminata solo dopo la restituzione alla famiglia ìconforme Tomasso e altri Theologiî, perchÈ era stata rinchiusa per quaranta giorni in casa di cristiani ed era stata ìammaestrata ed imboccata a loro modoî; chiedevano inoltre che il processo non si facesse in Santa Fiora nÈ che la fanciulla vi rimanesse fino al termine della causa.
Mons. Scipione Tancredi accettÚ líincarico del Vescovo di Citt‡ della Pieve e dispose che la fanciulla ebrea fosse portata a Sovana dal pievano di Santa Fio- ra, don Angelo Blanis. Egli si presentÚ a Sovana con Giulia di Abramo il 15 giugno 1625, dopo aver ottenuto il consenso del Duca Sforza, espresso in una lettera spedita da Roma
al suo Visconte di Santa Fiora lí11-6-1625, ìessendo la causa meramente con- fessionaleî, e ponendo la sola condizione che nessuno dei parenti di Giulia po- tesse parlarle e accompagnarla. Il Vescovo di Sovana, giunta la fanciulla ebrea nella citt‡, líaffidÚ allíAlfiere Tommaso Mazzoleni e alla moglie, assegnÚ allíebreo Samuele, fratello di Giu- lia, tre giorni per produrre qualunque cosa ritenesse utile per la causa, poi con- vocÚ la fanciulla stessa per esplorarne la volont‡ se volesse pervenire spontane- amente alla fede cristiana o avesse subÏto costrizioni.
Giulia, interrogata, affermÚ di aver compiuto undici anni in dodici (era nata nel maggio 1614), di essere nata a Siena e poi portata in fasce a Santa Fiora, dove fu allevata nella casa dei fratelli dopo la morte del padre; aggiunse di essere ri- masta sola in casa propria il giorno di Santa Croce, perchÈ i fratelli erano andati alla Sinagoga, di aver chiamato donna Laudomia cristiana, che prestava piccoli servizi in casa sua, la quale ìaccatizzÚ un poco il fuoco, vi messe il pignatto e si partÏî, di essere allora uscita e andata a casa di Domenica e di Santi; ora abi- tava nella casa della ìziaî Domenica, anzi dichiarÚ di aver preso Santi, il pa- drone di casa, come padre e la moglie Domenica come madre, essendo cristiani e non ebrei.
Infatti disse di voler farsi cristiana e, di fronte allíammonimento del Vescovo di dire la verit‡, dichiarÚ di non essere stata allettata nÈ costretta da alcuno, ma di aver avuto una ispirazione divina e di essersi accostata alla fede cristiana per salvare la propria anima.
Richiesta dal Vescovo se volesse tornare con sua madre e i suoi fratelli, Giulia rispose di non volere tornare con loro in nessun modo, salvo che non si facesse- ro anchíessi cristiani, di volersi battezzare e di aver imparato il Pater Noster, líAve Maria, il Credo, la Salve Regina e i dieci comandamenti, che recitÚ al ve- scovo, facendosi anche il segno della croce.
Mons. Tancredi constatÚ cosÏ la buona inclinazione della fanciulla verso il cri- stianesimo, ma ciÚ non era sufficiente e bisognava procedere con altre riprove. Il 17 giugno 1625 líebreo Daniele Arpino presentÚ altre quattro scritture relati- ve a casi simili di fanciulli ebrei, le quali vennero allegate agli atti del processo. Lo stesso giorno il Vescovo convocÚ Giulia, interrogandola se persistesse nel voler pervenire al cristianesimo e la ammonÏ che riflettesse bene per non avere dubbi o se volesse invece essere restituita alla sua famiglia.
La fanciulla confermÚ risolutamente il suo proposito; allora Mons. Tancredi, per meglio conoscere la volont‡ reale di Giulia, convocÚ al colloquio la madre Vrizia e il fratello Samuele, i quali provarono a convincerla con le blandizie, dicendole di averle trovato marito e offrendole dei gioielli, cercando di com- muoverla con pianti e lamenti e passando poi alle minacce e alle imprecazioni, ma senza riuscire a smuovere la fanciulla, che rispondeva sempre di voler farsi cristiana e continuÚ ad opporre un rifiuto, anche quando il Vescovo le domandÚ di nuovo, in presenza dei suoi congiunti, se voleva tornare con la madre ed i fratelli. Conclusa questa prova, il Vescovo nominÚ un gruppo di ìgravi e probi
uominiî di Sovana, laici ed ecclesiastici, quali testimoni nellíesame della quali- t‡ e della volont‡ della fanciulla ebrea: don Savino Bolsi, Abate di S. Benedetto di Monte Calvello, don Alessio Alessi Rettore della chiesa di S. Maria, il cano- nico don Benedetto Bruni, don Bernardino Cheli Proposto della Cattedrale, Tommaso Mazzoleni Alfiere della milizia di Sovana e Antonio Borghi Speda- liere. Il 18 giugno 1625 Mons. Tancredi, informato che a Giulia durante la notte era venuta una febbriciattola e considerando il rischio della malaria per líaria pestilenziale di Sovana, decise di trasferirsi con la sua corte a Santa Fiora, an- che per poter meglio indagare e conoscere la verit‡ sulla vicenda affidata al suo giudizio. CosÏ il giorno dopo 19 giugno in serata giunse a Santa Fiora, sceglien- do il convento di S. Agostino come luogo adatto per svolgere il processo. La piccola ebrea Giulia fu di nuovo affidata a Santi di Lorenzo e alla moglie Do- menica.
Il 2 giugno cominciÚ líesame di numerosi testimoni: alcune donne cristiane che avevano allattato la piccola Giulia, perchÈ la madre non aveva latte, e precisamente Battista di Dionisio, Preziosa di Mario, Salvatrice di
NiccolÚ, e poi Santi di Lorenzo, che ospitava Giulia, Prudenza di Pietro, che spesso andava in casa degli Arpino ìper comprare qualcosa come si suol fareî e altri per conto di Vrizia e dei figli, come Ruffino Tancredi, Antonio di Scipione, Emilio di Cristoforo, Francesco di Tarquinio.
Tutti i testimoni risultano vicini di casa della famiglia del banchiere, a dimostrazione che a Santa Fiora gli ebrei vivevano liberamente in mezzo ai cristiani, tenevano balie cristiane e le loro case erano frequentate senza difficolt‡ dai cristiani, che svol- gevano per loro piccoli lavoretti o venivano a comprare mercanzie, secondo i privilegi di cui da tempo godevano. Tutti i testimoni concordarono nel definire Giulia ìmolto accorta, sagace e capace dellíuso di ragione e sta molto bene in cervello et saputaî, nonostante appaia di piccola statura, ma díaltra parte anche i genitori e fratelli erano piccoli, e che era stata in casa di Santi e di Domenica senza essere impedita ad uscirne, se avesse voluto, tanto che spesso era lei a ve- nire ad aprire la porta di casa. Alcuni dei testimoni affermarono che aveva gi‡ dato segni di ìvoler essere cristianaî, addirittura cercando di imitare i cristiani, facendo il digiuno volontariamente il sabato e le quattro tempora e inchinandosi quando passava davanti alla chiesa. Anche i testimoni presentati dalla madre Vrizia e dai figli non presentarono dichiarazioni differenti, anzi Francesco di Tarquinio affermÚ persino che, quando Giulia veniva allattata, ìi fratelli con- tendevano insieme che nessuno la voleva, neancho la madre, et cosÏ litigando insieme per questa causa furno da mio padre accordatiî, rendendo cosÏ pi ̆ chiara líaffermazione generica gi‡ espressa da Emilio di Cristoforo che la fan-
ciulla ìin casa era straziataî. Durante líescussione dei testimoni comparve da- vanti al Vescovo in S. Agostino Daniele di Abramo, davanti al quale fu convo- cata la sorella Giulia. La fanciulla fu interro- gata dal Vescovo se volesse ritornare con lui,
che líavrebbe accolta molto volentieri e uma- namente e in tal caso sarebbe stata restituita subito alla sua famiglia, se avesse voluto. Ma la fanciulla continuÚ a ripetere di voler essere cristiana. Allora Daniele si rivolse a lei con le parole: ìCara Giulia, sorella mia, che in que- sto mondo non ho altri che te, bene mio, tor- na dal tuo fratello che ti saran fatte carezze et anderai a star con tua madre a Siena, vieni bene mio Öî, ma rispondendo la sorella: ìIo voglio esser cristiana, io voglio esser cristiana, Dio mi aiutaî, il fratello continuÚ: ìSorella mia, che cosa ti Ë stato fatto, perchÈ non mi guarda- teî e Giulia rispose: ìPi ̆ presto guarderÚ la Croce, a me non Ë stato detto niente da nessuno, voglio essere cristiana, da voi non ci verrÚ se non quando sarete cristianoî. E cosÏ continuÚ di fronte ad ogni richiesta e promessa del fra- tello fino alla conclusione del colloquio. Daniele díAbramo, visto inutile ogni tentativo di convincere la sorella, presentÚ la Bibbia in caratteri ebraici dove era stato annotato il tempo nel quale era nata Giulia, richiamÚ tutti gli atti pre- sentati al processo e le deposizioni dei testimoni e, anche a nome del fratello Samuele e della madre Vrizia, dichiarÚ che la sorella doveva essere restituita alla sua famiglia, perchÈ incapace di ragione e perchÈ era stata adescata con lu- singhe da alcune persone e convinta ad aderire alla fede cristiana non di sua vo- lont‡; chiese inoltre che venisse tolta dalla casa di Santi e di Domenica, persone sospettissime, e portata in luogo sicuro e non sospetto o trasferita a Siena pres- so la madre oppure restituita a lui. Il 22 giugno il Vescovo convocÚ ancora la fanciulla, che chiese subito di essere battezzata e confermÚ ancora una volta di voler essere cristiana, presentando istanza per ricevere il battesimo e per avere la sua parte dellíeredit‡ paterna. A questo punto, lo stesso giorno Mons. Scipio- ne Tancredi, considerati tutti gli elementi emersi nel processo, emise la senten- za alla presenza di due testimoni: don Alessio Alessi di Sovana e il Rev. don Calanio Boldrini di Pienza. La sentenza definitiva, dopo aver ripercorso tutte le tappe del processo, considerate le istanze, le bolle pontificie e gli altri atti pre- sentati dai familiari, le testimonianze, le deposizioni anche sullíet‡ di Giulia, i colloqui con la fanciulla ebrea, le ammonizioni e le sollecitazioni nei suoi con- fronti da parte dei familiari, prende in considerazione la determinazione di Giu- lia di voler pervenire al cristianesimo, il suo grado di istruzione nella fede cat- tolica, verificato dal Vescovo, la sua ottima capacit‡ di discernimento e dellíuso della ragione, che ìin bono superat etatemî (in positivo supera líet‡) e perciÚ, respinte le petizioni e le eccezioni presentate dalla madre e dai fratelli, dichiara Giulia idonea a prendere il battesimo e ad essere ricevuta nella fede cristiana.
Nel contempo vengono obbligati i fratelli a versare a Giulia la parte a lei spet- tante dellíeredit‡ paterna nonchÈ ad assegnarle la dote secondo líuso del luogo e la qualit‡ delle persone, in relazione allíarbitrato di probiviri, dandone man- dato esecutivo nei confronti di Daniele e Salomone Arpino. La sentenza, inviata a Santa Fiora, fu aperta, letta e pubblicata da Giacomo Riccardi pubblico notaio santafiorese, alla presenza dellíAuditore e del Commissario di Contea, dei Prio- ri della Comunit‡, del Pievano e di don Lorenzo Bonizi agostiniano il 29 giu- gno 1625. Il Vescovo Tancredi ebbe cosÏ la sua prima esperienza con la presen- za ebraica piuttosto diffusa anche nella sua Diocesi di Sovana, di cui si dovette occupare proprio alla fine di quellíanno 1625, emanando uníapposita Disposi- zione.
I documenti presentati dagli ebrei nel processo
Di notevole interesse appare la documentazione presentata dai fratelli Daniele e Samuele Arpino nel processo relativo alla loro sorella Giulia e raggruppata sot- to líindicazione ìAtti riguardanti la quiete dellíebreiî. Si tratta dei seguenti documenti:
1) Trascrizione del 1616, ad uso degli ebrei dello Stato di Venezia, della Costi- tuzione di papa Martino V riguardo agli ebrei del febbraio 1429, sopra la quale Ë scritto ìBreve di Papa Martino che non si possino levar li figlioli picolini agli hebreiî
2) Decreto e sentenza del cardinal Francesco Sfondrati del 1547 riguardo ad un caso di restituzione di bambini ebrei, scritto ìpro Ventura Teutonico et eique uxore hebreisî (per Ventura Tedeschi e sua moglie ebrei) 3) îDiscursus (de) pueritateî al cardinal Varallo riguardo alla conversione di bambini ebrei, senza data, ma successivo al 1551
4) Esame della dottrina della Chiesa riguardo alla conversione di bambini ebrei, senza data, ma successivo al 1586 5) Informazione con deposizione del 1595 sul caso di un bambino ebreo battez- zato a Lanciano
Il documento 1) Ë una copia autentica del 1620 della trascrizione notarile fatta a Roma nel 1616 di un compendio del 1609 per gli ebrei della Repubblica di Ve- nezia riguardo alla Costituzione di papa Martino V del 1429. Questo ben noto documento pontificio era senzíaltro basilare per gli ebrei, per- chÈ conteneva una serie di disposizioni a loro favore, come il divieto di recare loro offesa nelle persone e nei beni, líinibizione ai predicatori di eccitare il po- polo contro di loro, la possibilit‡ per gli ebrei di vendere e comprare onesta- mente, di tenere sinagoghe, scuole e cimiteri propri e cosÏ via, compreso il di- vieto di battezzare fanciulli al di sotto di 12 anni senza il consenso dei genitori: ìnullum iudeorum filium, qui annum etatis duodecim non peregerit vel doli aut descretionis capax non fuerit, sine expresso parentum vel alterius eorum con- sensu et voluntate baptizare posse vel debereî (che non si possa o debba battez-
zare alcun figlio di giudei che non avr‡ raggiunto 12 anni di et‡ o sar‡ stato ca- pace di accortezza o di discernimento, senza espresso consenso dei genitori o di uno di loro). I documenti 3) e 4) esaminano la dottrina della Chiesa riguardo al battesimo di bambini ebrei. Il documento 3) parte dal quesito se si possa battezzare il nipote di un certo MosË, ebreo fatto cristiano, con lui dimorante, ma con la contrariet‡ del padre e della madre. Si risponde che i figli piccoli degli ebrei non si devo- no battezzare senza il consenso dei genitori, secondo la linea tracciata da S. Tommaso díAquino e da quasi tutti i teologi e canonisti che lo hanno seguito e che ormai Ë opinione comune nella Chiesa. CiÚ Ë corroborato dalla Costituzio- ne di papa Martino V del 1429 e confermata dal successore papa Eugenio IV, a cui si aggiungono le Costituzioni del pontefice Paolo III del 1539 e quella di Giulio III del 1551, precisando anche che si parla di figli e non di nipoti e il consenso va dato dai genitori o dalla madre, se Ë morto il padre, e non dal non- no.
Il documento 2) Ë una sentenza del cardinal Sfondrati, che riguardÚ la restitu- zione di due fanciulli ebrei Angelo e Samuele al nonno Vitale díIsac loro tutore, con líobbligo di versare una cauzione di 200 scudi díoro alla Camera Apostoli- ca, a garanzia che non si allontanassero da Roma e fosse possibile cosÏ verifica- re pi ̆ tardi se in loro persistesse la volont‡ di diventare cristiani.
Il documento 4) ripete i contenuti del 3), aggiungendo il Privilegio di papa Si- sto V del 1586 e il chiarimento che i fanciulli ebrei, qualora i genitori siano contrari al battesimo, devono essere restituiti alla famiglia fino al compimento dei 12 anni e poi potranno decidere autonomamente. In proposito si cita la sen- tenza del cardinal Sfondrati del 1547, relativa al documento 2).
Il documento 5) risalente al 1595 riveste notevole interesse, perchÈ si tratta del- la ricostruzione di fatti accaduti cinquantíanni prima (dunque intorno al 1545) a Lanciano; ne aveva fatto richiesta líebreo Clemente Pugliese, benchÈ fosse pas- sato tanto tempo, ìperchÈ importa per ogni altra legittima causaî. Infatti vari testimoni intorno a 70 anni díet‡ dichiararono che circa mezzo secolo prima in Lanciano era stato battezzato il piccolo Angelo ebreo, di 7 o 8 anni, figlio del banchiere Gabriele e della moglie Donna; ma per ordine papale e del Vescovo di Capua, nonostante líopposizione della Comunit‡ lancianese e delle autorit‡ cittadine, fu restituito alla famiglia fino al compimento dei 12 anni, quando An- gelo, persistendo nella sua volont‡, si fece cristiano e divenne frate di S. Fran- cesco e valido predicatore fino alla morte avvenuta poco tempo prima. Ovviamente la ricostruzione dei fatti sollecitata dallíebreo Clemente Pugliese non interessava certo per la conversione quanto per líavvenuta restituzione alla famiglia, voluta dalle autorit‡ ecclesiastiche, e perciÚ il documento poteva co- stituire per gli ebrei un importante precedente in cause simili. La presentazione di questi documenti da parte di Daniele e Samuele Arpino nel processo riguar- dante la sorella dimostra la capacit‡ di interscambio e di reciproco aiuto, anche giuridico, tra le Comunit‡ e i gruppi ebraici, per fronteggiare problemi piuttosto
diffusi, come quello dei battesimi talora forzati. Lo dimostrano anche le nume- rose repliche risultanti dal documento 1): la basilare Costituzione di papa Mar- tino V, scritta in compendio per gli ebrei della Repubblica di Venezia nel 1609, trascritta ancora a Roma nel 1616, replicata di nuovo nel 1625 e inviata in co- pia a Daniele Arpino per il processo della sorella Giulia. Tuttavia la documenta- zione presentata dai fratelli Arpino non servÏ a determinare una sentenza favo- revole: il Vescovo di Sovana, evidentemente colpito dalla grande determinazio- ne della ragazza ebrea di farsi cristiana, pur considerando che non aveva ancora compiuto i 12 anni previsti, avendo superato da poco gli 11 anni díet‡, applicÚ líalternativa relativa alla sicura capacit‡ di intendere e di volere, da tutti i testi- moni riconosciuta a Giulia e verificata dal Presule stesso. Per il resto il proces- so organizzato da Mons. Tancredi appare condotto correttamente, avendo inter- rogato pi ̆ volte la ragazza e, almeno inizialmente, fuori del contesto di Santa Fiora, avendole offerto la possibilit‡ di ripensamento e di pronta restituzione alla famiglia e avendola sottoposta per due volte al confronto con la madre e con i fratelli. La forte volont‡ espressa continuamente e senza tentennamenti da Giulia di abbracciare il cristianesimo fu evidentemente decisiva per la sentenza a lei favorevole. La documentazione presentata dai fratelli Arpino mostra anche che la posizione comunemente accettata allíinterno della Chiesa era quella di non battezzare bambini ebrei al di sotto dei 12 anni díet‡ e anzi di restituirli ai genitori e che a tale linea si attenevano pi ̆ facilmente i membri dellíalto clero. Anche per questo gli ebrei avevano necessit‡ di far circolare i documenti che potevano essere a loro favorevoli, di fronte ai rischi di abusi e costrizioni che si verificarono specialmente nel corso del Seicento. Tracce degli ebrei a Santa Fiora nel ë600 fino allíistituzione del Ghetto(1714). » noto che successivamen- te i fratelli Daniele e Samuele Arpino emigrarono prima del 1638 a Sorano, do- ve aprirono una bottega di varie mercanzie, comprando anche lana allíingrosso. Daniele Arpino risulta ancora abitante di Santa Fiora nel 1630, alla morte in Sorano del suocero Benedetto díAngelo. Anche Simone Narni si era gi‡ sposta- to da Santa Fiora a Castro nel 1629 e poi a Sorano, dove si trova nel 1635 ad esercitare la sua funzione di rabbino. A Santa Fiora nel frattempo gestiva un banco di prestito David Borghi, che a sua volta si spostÚ a Sorano intorno al 16- 60, sposando Prudenza, figlia di Daniele Arpino. Egli richiese anche a Sorano líesonero del segno, che gi‡ gli era stato concesso a Santa Fiora, dove godeva la protezione del Granduca di Toscana e del Conte Sforza, di cui forse era stato agente per Castellarquato. Risulta interessante questa emigrazione di ebrei ìeminentiî e facoltosi da Santa Fiora a Sorano nel secondo quarto del ë600; non si puÚ escludere che preoccupazioni e paure siano state indotte dalla cessione nel 1633 della Contea di Santa Fiora dagli Sforza al Granduca di Toscana, che perÚ la reinfeudÚ agli stessi Conti, senza conseguenze per gli assetti esistenti nÈ per gli ebrei. Tuttavia Sorano appare in questo periodo particolarmente appeti- bile anche per altri ebrei, come il mercante romano Giuseppe Natronai, che ne- gli stessi anni venne a impiantarvi una bottega. I fratelli Arpino risultano in
quegli anni in rapporto con il banchiere ebreo di Piancastagnaio Ferrante Passi- gli, le cui relazioni aiutarono ad inserire líattivit‡ degli ebrei della zona, in par- ticolare di Santa Fiora, Pitigliano, Sorano e Castellottieri in un pi ̆ vasto circui- to commerciale regionale e interregionale. Anche nel 1650 risulta che líebreo santafiorese Giuseppe di Michele manteneva rapporti commerciali con i Passi- gli e con il loro agente Salomone Fossombroni. In questo periodo si hanno noti- zie sporadiche e indirette di altri ebrei emigrati da o verso Santa Fiora: intorno al 1632 Amodio díIsach da Santa Fiora si spostÚ a Sovana, allettato dalle ecce- zionali provvidenze per il ripopolamento della citt‡; nel 1636 invece Giuseppe di Cherubino era venuto da Castro ad abitare nel capoluogo della Contea sfor- zesca; nel 1649 si ha notizia che un ebreo santafiorese non meglio identificato era trattenuto in carcere a Pitigliano, dopo essere stato messo al bando a Santa Fiora per omicidio. La distruzione nel 1649 della citt‡ di Castro, capoluogo del ducato farnesiano, disperse gli ebrei castrensi, i quali in parte si rifugiarono a Pitigliano, che da allora ne divenne líerede morale, tanto che qui fu portato lía- ronoth e líargenteria della Sinagoga castrense. Anche a Santa Fiora giunse, for- se in modo mediato, qualche ebreo da Castro, come Alessandro di Zaccaria con la sua famiglia, che tenne bottega aperta fino alla sua morte nel 1677; allora la moglie Gentile con i due piccoli figli: Leone di 4 anni e Sabato di 18 mesi si trasferirono nel ghetto di Pitigliano, dove Gentile aveva una casa. Dallíinven- tario dei suoi beni risulta che Alessandro di Zaccaria commerciava, incettando notevoli quantit‡ di lana e quantit‡ pi ̆ ridotte di grano e farina di castagne ed aveva crediti con uomini di Abbadia S. Salvatore, Rocchette di Fazio e Vallero- na. Agli inizi del ë700 emigrarono a Pitigliano altri ebrei santafioresi, come An- gelo e il figlio Abramo Levi, che gi‡ nel 1698 avevano ottenuto líesenzione dal segno per poter commerciare negli Stati di Firenze e di Siena. Nel 1708 furono confermati i Privilegi degli ebrei dal Duca Federico Sforza-Cesarini. Questa conferma, che Ë quella che ci Ë pervenuta, forse si rese necessaria per i contrasti con il Vescovo di Citt‡ della Pieve, il quale riteneva ormai che tali Privilegi non si potessero pi ̆ mantenere. Infine il successore Duca Gaetano Sforza-Cesarini, di fronte alle insistenze dellíautorit‡ ecclesiastica, si decise ad una concessione e nel maggio 1714 istituÏ a Santa Fiora il ghetto per gli ebrei. Il ghetto fu realiz- zato ìnellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta Ö e tale risoluzione fu fatta dal Duca Gaetano Sforza e da Monsignor Fausto Guidotti, Vescovo di Citt‡ della Pieve, per molte istanze fattegli dal sig. arciprete don Francesco Farsi e dal M.R.P. m.ro Pietro Giannotti agostiniano Vicario del S.Offizio".
Il ghetto degli ebrei santafioresi Ë stato identificato in Borgo, nel caseggiato po- sto tra líattuale via Lunga e la campagna, dove probabilmente gi‡ viveva la maggioranza delle famiglie israelite di Santa Fiora e dove si trovava la Sinago- ga, di cui rimane una descrizione settecentesca del Battisti: una grande stanza a volte con quattro finestre, con líaronoth contenente dodici Bibbie in pergame- na scritte in ebraico, la vicina lampada a luce perenne (ner tamÏd), il pulpito (tev‡), panche per sedere intorno, cinque lampadari di ottone che pendevano
dal soffitto e un piccolo matroneo, diviso da ìuna gelo- sia di legnoî; in una parete erano due cassette per le elemosine, líuna per gli ebrei poveri della Terrasanta, líaltra per i bisogni della Sinagoga e della Comunit‡. Sotto la Sinagoga cíera uníaltra stanza, divisa in tre parti: una per fare gli azzimi con il forno, líaltra usata come scuola per i ragazzi ebrei, la terza, ìscoperta ad uso di loggia Ö vi fanno la Capanna nella Festa dei tabernacoli ossia le Capannelle (Sukkoth)î.
Una donazione non rispettata
Una donazione fatta alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora dallíebreo Giacobbe di MosË Pelagrilli (o Palagrilli), per volont‡ testamentaria, provocÚ una serie di conseguenze nel piccolo mondo ebraico santafiorese. Nel suo ultimo testamen- to del 4 settembre 1718 Giacobbe, dopo aver lasciato ìiure legatiî (per diritto di legato) 5 soldi ciascuno al Vescovo di Citt‡ della Pieve e al Duca Sforza, do- nÚ ìalla Scuola dellíebrei di Santa Fiora una corona díargento con due pomi díargento e lampada pure díargento acciÚ servino in tutte le fontioni solite da farsi in detta Scuola, con che non si possino vendere nÈ impegnare per qualun- que bisogno o occorrenza di detta Scuola Öî e volle inoltre che tali oggetti fos- sero tenuti in custodia, dopo le funzioni nella Sinagoga, da Abramo Passigli e da Speranza sua moglie. Giacobbe poi lasciÚ usufruttuaria sua moglie Allegrez- za, finchË mantenesse lo stato di vedovanza e dispose una serie di altri lasciti: al nipote MosË di Abramo di Pitigliano 100 scudi ìin bestiame o in altri effet- tiî; a Tala figlia di Angelo Solitario 50 scudi per quando si sarebbe maritata; a Gentile di Giuseppe Sorano una vaccina soda; a Samuel Levi 5 vaccine sode; a Samuel Cetona 30 libbre di lana; al fratello Israel Pelagrilli 25 scudi senza po- ter pretendere altro dellíeredit‡. In tutti gli altri suoi beni mobili e stabili, ragio- ni e pertinenze, sia in Santa Fiora che in ogni altro luogo, istituÏ suo erede uni- versale il nipote Samuele, figlio del fu Alessandro Palombo e di Stella, figlia di Giacobbe. CostituÏ anche come tutori di Samuele, allora di 14 anni, il fratello Israel Pelagrilli e Samuel Cetona finchÈ il nipote non raggiungesse i 25 anni, e stabilÏ pure che non si potesse ìlevare detta tuteriaî da alcuna persona nÈ per alcun fatto che potesse accadere, con divieto di alienare alcuna cosa della sua eredit‡, specie la somma di 600 scudi, ìdenari che esistono appresso Abram Leviî. Nel caso poi che si togliessero dal Levi (gestiva forse ancora un banco di prestito a Santa Fiora?), i 600 scudi dovevano essere messi nuovamente a frutto e ciÚ valeva anche per ogni altra ìrobba dellíeredit‡î. I tutori, per cominciare líamministrazione dei beni lasciati da Giacobbe, dovevano fornire ìidonea si- curt‡ di ben amministrareî e potevano avere per loro compenso i frutti dellí- amministrazione dellíeredit‡, detratto il vitto e quanto necessario allíerede.
Se il nipote Samuele fosse morto dopo 25 anni senza testamento, líeredit‡ do-
veva andare ai parenti pi ̆ prossimi; se fosse venuto a mancare prima dei 25 an- ni, la met‡ dellíeredit‡ doveva andare a MosË di Abramo, con líobbligo di la- sciarla in Santa Fiora, líaltra met‡ doveva andare alla ìScuola degli ebrei di Santa Fioraî, eccetto 30 scudi lasciati a Israel Pelagrilli. Il testamento fu redat- to nella casa di Giacobbe, ìposta nel ghetto in luogo notoî, alla presenza di sei testimoni, tutti cristiani. Al testamento del 4 settembre 1718, due giorni dopo, Giacobbe aggiunse un codicillo, con cui escludeva Israel Pelagrilli dall'ammini- strazione della sua eredit‡. Ma le disposizioni del testatore non furono rispetta- te, anche per il verificarsi di alcune circostanze imprevedibili, che ne modifica- rono il quadro di riferimento.
Una ìinformazione di ciÚ che seguÏ dopoî, allegata al testamento, ci fa cono- scere gli avvenimenti successivi. Poco dopo il decesso di Giacobbe, venne a morte anche Abramo Passigli e sua moglie Speranza a sua volta si fece cristiana. Venuti cosÏ a mancare i due depo- sitari, gli argenti donati alla Sinagoga, con decreto del Visconte Carlo Maggio- lini, ìfurono dati in deposito a Israel Pelagrilli con la sicurt‡ di sua moglieî, nonostante líopposizione della Comunit‡ ebraica santafiorese, perchÈ non ve- niva considerata idonea la moglie di Israel, ìessendo forestiera e senza alcun affetto in Santa Fioraî. Anche il resto dellíeredit‡, nonostante le disposizioni di Giacobbe, venne in mano ad Israel e al nipote MosË di Abramo, che si distinse- ro per la cattiva amministrazione, impegnando gli argenti della sinagoga, dila- pidando una parte dei 600 scudi e portando il resto insieme ai residui beni dellí- eredit‡ a Castel del Piano, dove si trasferÏ Israel Pelagrilli, nonostante il divieto testamentario di far uscire i beni dellíeredit‡ dalla Contea di Santa Fiora.
Tutto ciÚ accadde senza che líerede legittimo Samuel di Alessandro Palombo, che abitava con lo zio Israel, mai presentasse alcun reclamo ìsÏ per esser me- lenso e anche forse speranzato di una figlia piccola di detto Pelagrilli, oltre il viver comune col medesimo e sua moglieî. Reclamarono perÚ gli Uomini dei Pupilli, cui spettava per dovere díufficio di vigilare sulla corretta amministra- zione dei beni dei minori. Essendo poi deceduto il giovane erede Samuel di A- lessandro, reclamarono anche gli ebrei santafioresi e la loro Comunit‡, a cui doveva andare la met‡ dellíeredit‡ di Giacobbe ìper il comune interesse Ö a causa che dilapidandosi detta eredit‡, cresceranno sopra di loro i dazi e si ren- deranno totalmente inabili a poterli sopportareî.
Ma ormai era troppo tardi, e se líaffermazione degli ebrei di Santa Fiora puÚ sembrare esagerata, non si puÚ escludere che si intravedessero gi‡ per la Comu- nit‡ ebraica i primi segni della crisi successiva, il cui primo segnale fu forse líi- stituzione del ghetto, e che probabilmente una corretta amministrazione dellíe- redit‡ di Giacobbe a loro favore avrebbe potuto contribuire a frenare.
La documentazione relativa allíeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli offre interessanti spunti per alcune osservazioni: - il deposito di 600 scudi presso líebreo Abramo Levi fa ritenere che costui an- cora nel 1718 esercitasse il prestito, non sappiamo se ufficialmente o meno. Se
cosÏ fosse, Ë probabile che líattivit‡ di prestito non fosse mai cessata a Santa Fiora, anche allíombra dei soliti Privilegi degli ebrei; in tal caso ci troveremmo di fronte al banco ebraico pi ̆ longevo della Toscana, anche oltre quello di Pian- castagnaio, chiuso negli anni 1710-1715, tenendo conto che i banchi di prestito avevano quasi tutti cessato la loro attivit‡ a seguito della proibizione contenuta nella Bolla di papa Innocenzo XI del 1682 e solo pochissimi erano sopravvissu- ti per qualche anno, come quello di Monte S. Savino, chiuso nel 1699.
- Lo spostamento dellíebreo Israel Pelagrilli da Santa Fiora a Casteldelpiano, forse anche per togliersi dalla situazione creatasi con i suoi correligionari per la cattiva amministrazione dellíeredit‡ del fratello Giacobbe, offre un esempio di presenza ebraica, da ritenere sporadica e limitata nel tempo, in altri centri dellí- Amiata, come abbiamo gi‡ visto per Arcidosso nella seconda met‡ del ë500 con líebreo Leone, seguito da Sciamuello e poi da MosË di Manuel, emigrato a Piancastagnaio e qui fatto cristiano nel 1606. » evidente che il centro di irradia- mento era di solito Santa Fiora, da cui qualche ebreo si spostava nei centri vici- ni, allentatasi la cogenza delle disposizioni di Cosimo I dei Medici del 1570 e 1571; anche Samuel di Benedetto, il primo ebreo che nel 1601 tornÚ a Pianca- stagnaio con líistituzione del Marchesato, venne da Santa Fiora, come ora si Ë potuto accertare.
- La conversione al cristianesimo dellíebrea Speranza, appena rimasta vedova di Abramo Passigli, Ë il terzo caso, che troviamo a Santa Fiora, di donne ebree che vogliono farsi cristiane, dopo Dolce di Salomone nel 1589 e la giovinetta Giulia Arpino nel 1625. Sembra quasi che il vivere degli ebrei santafioresi libe- ramente mescolati con i cristiani favorisse le conversioni, specie tra le donne ebree.
Nella vertenza riguardante líeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli Ë significativa líaf- fermazione degli ebrei che la moglie di Israel Pelagrilli non era da reputarsi i- donea a fornire garanzie, ìessendo forestiera e senza alcun affetto in Santa Fio- raî. CiÚ dimostra che ai primi del ë700 gli ebrei di santa Fiora, presenti in loco da circa due secoli e mezzo, avevano ormai un forte radicamento alla piccola patria locale, fatto di relazioni, di parentele, di affetti, e percepito chiaramente da loro stessi, come indica anche la clausola inserita da Giacobbe nel suo testa- mento che la sua eredit‡ non si poteva ìlevare dalla Contea di Santa Fioraî.
La decadenza della Comunit‡ ebraica fino allíestinzione
La tarda istituzione del ghetto nel 1714 costituÏ un primo colpo, forse pi ̆ mora- le che materiale, alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora, che forse percepÏ i primi segnali di difficolt‡, vivendo negativamente anche la dispersione dellíeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli, che impedÏ líattuazione del lascito istituito con il testamen- to del 1718. Certamente líistituzione del ghetto venne per la prima volta a limi- tare e a modificare i Privilegi degli ebrei, da tempo punto di riferimento e sal- vaguardia della Comunit‡, in particolare riguardo al capitolo V, che prevedeva
che gli ebrei potessero abitare liberamente in santa Fiora ìsenza che siano mai costretti a far Ghettoî. Comunque vi erano ancora ebrei dediti al traffico, come Flaminio da Santa Fiora, che troviamo nel 1724-1725 a Gradoli in attivit‡ con altri ebrei di Pitigliano e del Monte S. Maria. Forse ad aumentare le difficolt‡ contribuirono gli effetti dellíassenteismo dei feudatari e della loro consolidata abitudine, di concedere in affitto tutti i beni della Contea, dietro corresponsione di un prezzo sicuro e predeterminato, un sistema ormai diffuso tra la nobilt‡ dellíepoca, che permetteva di non occuparsi della faticosa gestione dei beni e di vivere lontano, in citt‡, affidando a qualche funzionario e per la sua parte allí- Affittuario il governo e la gestione del feudo. CosÏ erano possibili malversazio- ni e disordini di vario genere, a cui si aggiunsero gli abusi del Duca Giuseppe, sempre a caccia di nuove entrate, come dimostrÚ líinchiesta svolta nel 1744 dal Capitano di Giustizia di Siena Lodovico Armaleoni, appositamente incaricato dal Granduca di Toscana. Gli abusi riguardarono anche la Comunit‡ ebraica, costretta dal Duca intorno al 1733 ad una ingiustificata esazione di 300 scudi, per la quale gli ebrei santafioresi ìfurno fatti gravare in tanti argenti, anelli e altre robbe, che gli furono fatte vendere a bando con loro gravissimo pregiudi- zio, essendo stati venduti gli argenti per 28 crazie líoncia a peso di stadera e per uno scudo líuno gli anelli senza pesargliî.
Inoltre il Duca Giuseppe alcuni anni prima dellíinchiesta, aveva obbligato il mercante ebreo Giuseppe Sorano, facendolo mettere anche in carcere, a fornitu- re gratuite o sottocosto per le livree dei servitori, ed aveva continuato a percepi- re 20 scudi líanno dal banchiere ebreo, gi‡ autorizzato dal padre Duca Gaetano Sforza-Cesarini ad esercitare il prestito al tasso del 18% líanno per gli abitanti della Contea e a quello del 24% líanno per i forestieri; tale autorizzazione perÚ era considerata abusiva, anche alla luce del divieto contenuto nella Bolla ponti- ficia del 1682. Riguardo al banco ebraico, líArmaleoni, pur dichiarando che ìquestíusura non si puÚ permettere nÈ Ë lecito al feudatario esigere la tassa da chi tiene tal bancoî riconosceva pure che ìpar necessario per questi poveri sudditi che vi sia col‡ chi presti sopra i pegniî.
La decisione finale del 1747 obbligÚ a ìlevarsi il banco che presta ad usura e restituirsi allíebreo quanto ne avevan percetto i due ultimi Duchi alla ragione di 20 scudi líanno, riservando a chi avesse impegnato per la repetizione delle usure le ragioni da sperimentarsi contro chi di giustizia Öî.
Non Ë improbabile perÚ che il Duca Gaetano non avesse fatto altro che autoriz- zare un ebreo (Abramo Levi?) ad esercitare il banco, in continuit‡ con quanto ormai da secoli si praticava a Santa Fiora, il cui banco di prestito sarebbe dura- to fino agli anni 1746-1747, qualificandosi cosÏ come il pi ̆ longevo tra quelli conosciuti della Toscana e dellíItalia centrale. Lo stesso Duca Giuseppe confer- mÚ lí11 maggio 1744 i tradizionali Privilegi degli ebrei di Santa Fiora, nono- stante i dissapori con il Vescovo di Citt‡ della Pieve.
Un documento, privo di data ma allegato alle copie dei Privilegi del 1708 e alla conferma del 1744, contiene ìvari capi di lite mossa dal Vescovo della Pieve
con il Conte di Santa Fiora circa gli ebrei del suo Stato e altroî. Non Ë chiaro se possa riferirsi ai primi del ë700 o alla conferma del 1744, tenendo anche conto del riferimento che vi si trova al banco ebraico (quello autorizzato dal Duca Gaetano?). Tale documento co-
munque Ë illuminante circa i contrasti tra líautorit‡ feudale e quella ecclesiastica riguardo alla situazione esistente a Santa Fiora. Esso Ë redatto in lingua latina con precisi riferimenti giuridici su ciascuna controver- sia aperta, a firma dellíavvocato Francesco Paolucci e rafforzato dallíautorit‡ del cardinal Mellino per conto del Vescovo pievese, e riguarda non solo gli ebrei, ma anche altre questioni come líalienazione di beni ecclesiastici e la proibizione di fare il mercato di domenica. Riguardo agli ebrei si insiste sul fatto che nessun laico puÚ concedere nel suo Stato la facolt‡ di esercitare attivit‡ feneratizia, che non si poteva permettere agli ebrei il libero commercio di carne ìsciattataî tra i cristiani (come era permesso dal capitolo VI dei Privilegi), che era necessario che gli ebrei portassero il segno perchÈ la Terra di Santa Fiora era frequentata da donne forestiere, a cui gli ebrei potevano facilmente presentarsi ìsub velo christianorumî (sotto apparenza di cristiani). La conferma dei Privilegi nel 174- 4, pur importante, non sembra perÚ pi ̆ sufficiente a garantire la Comunit‡ e- braica santafiorese, che appare in una delicata fase di stagnazione, se non di re- gresso, messa in difficolt‡ anche dagli atteggiamenti contradditori dei feudatari, che da una parte continuavano a mantenere gli antichi Privilegi, dallíaltra li li- mitavano, cedendo a spinte diverse con líistituzione del ghetto nel 1714, e sot- toponendo gli ebrei ad abusi per la necessit‡ di denaro dovuta al loro indebita- mento. La conferma del 1744 riporta alla fine la fede di David di Angelo Sora- no, il quale ìtacto calamo more hebreorumî giurÚ di riconoscere come autenti- ca la propria sottoscrizione, li approvÚ e promise di adempierli. Non Ë specifi- cato a quale titolo David Sorano sottoscrisse i capitoli nÈ se lo fece a nome de- gli altri ebrei. Forse la Comunit‡ ebraica di Santa Fiora non era pi ̆ in grado di esprimere cariche proprie e gli ebrei erano occasionalmente ed indirettamente rappresentati da uno un poí pi ̆ eminente fra loro? Sembra proprio che i fratelli David e Giuseppe Sorano (o Sorani) fossero in quegli anni gli ebrei pi ̆ rappre- sentativi tra quelli santafioresi, anche per capacit‡ e relazioni economiche. Giu- seppe Sorano nel 1728 gi‡ godeva importanti esenzioni (di non portare il segno, di abitare fuori del ghetto, di portare armi non proibite ecc.) ed aveva nominato Abramo di Angelo Levi, ormai residente a Pitigliano, per godere gli stessi dirit- ti, secondo il Decreto granducale del 1723, che consentiva líestensione di privi- legi ad un compagno e alla sua famiglia. Non a caso ambedue i fratelli Sorano furono coinvolti nel grosso affare dellíaffitto della Contea di Santa Fiora, che eccezionalmente fu affidato ad imprenditori ebrei. Infatti il 12 aprile 1742 líe- breo Salomone Servi di Pitigliano ottenne líaffitto della Contea dal Duca Giu- seppe Sforza-Cesarini per tre anni, al prezzo di 2400 scudi allíanno; successi-
vamente intorno al 1744 il Servi subaffittÚ la Contea a David Sorano per 2600 scudi. Certamente líaffitto ad ebrei costituisce un fatto piuttosto eccezionale, tanto che il Servi usÚ la cautela di farsi rappresentare da un cristiano: Ludovico Petri, che firmÚ il contratto di affitto in Roma; in seguito Salomone Servi riuscÏ ad ottenere anche líaffitto novennale della Contea della Triana dai Signori Pic- colomini nel 1749. Nelle clausole del contratto di affitto della Contea di Santa Fiora compare il seguente capitolo:
ìChe tanto líEbrei che presentemente abitano in Contea quanto altri forestieri che potessero sopravvenire o venissero a prendere casa nella medesima, siano tenuti e obbligati Ö a pagare a detto Affittuario tutti li dazi e pesi, alli quali so- no stati e sono presentemente sottoposti tutti glíaltri e nel modo e forma che sono stati pagati allíantecessori di S. Eccellenzaî.
Tra le entrate della Contea di Santa Fiora infatti figuravano 10 scudi per la tassa per fuoco dellíUniversit‡ degli ebrei, altri 20 scudi per dazio del grano e 24 scudi per il banco dei pegni. Evidentemente negli anni intorno al 1742-1744, oltre alla conferma dellíesisten-
za del banco di prestito, vi erano ancora a Santa Fiora dieci famiglie di ebrei, considerato che essi pagavano uno scudo per fuoco allíanno, come previsto nel capi- tolo II dei loro Privilegi. Líaffitto del Servi aprÏ la stra- da ad un altro grosso imprenditore ebreo di Siena: Gia- cobbe di Salomone Orvieto, che ottenne a sua volta il 26 marzo 1746 líaffitto per nove anni, al solito prezzo di 2400 scudi allíanno, della Contea di Santa Fiora da donna Maria Giustiniani, rimasta vedova del Conte Giuseppe Sforza Cesarini, deceduto il 14-8-1744. Giacobbe Orvieto subentrÚ a Francesco Canale, che aveva preso líaffitto il 26 marzo 1745, ma poi non ave- va rinnovato la fideiussione di garanzia. Nel 1746 Giacobbe subaffittÚ a Giu- seppe Sorano lo spaccio del sale per Castellazzara, mentre nel febbraio 1748, in conseguenza della sentenza di condanna degli Sforza del 23 febbraio 1747 a seguito dellíinchiesta Armaleoni, fu intimato allíAffittuario di non pagare pi ̆ le rate di canone agli eredi del defunto Giuseppe Sforza, ma di versarle al Camer- lengo della Comunit‡, finchË la stessa Comunit‡ e i creditori non fossero soddi- sfatti. Non sembra che líaffitto ad ebrei migliorasse lo stato dei loro correligio- nari di Santa Fiora, eccetto le opportunit‡ offerte ai fratelli Sorano, anche per- chÈ gli Affittuari israeliti vennero accusati di notevoli abusi, malversazioni e danni nella loro gestione, tanto che un tal Andrea Vanni il 26 agosto 1752 pre- sentÚ al Conte Sforza un ìMetodo per espellere pi ̆ sollecitamente gli Ebrei Af- fittuari di Santa Fioraî. Tra le altre cose si segnalava ìlíesterminio di tante vi- gne, del Giardino, della Peschiera, della Ferriera Ö con esser di pi ̆ stati ta- gliati, sino con lo sbarbico delle radici, tanti alberi di pere e di frutti singolariî nonchÈ di avere fortemente danneggiato e ridotto in porcile i Palazzi di Selvena
e della Sforzesca. Nella prima met‡ del í700 il gruppo ebraico di Santa Fiora, come gli altri della zona, intensificÚ i rapporti con la Comunit‡ di Pitigliano, che si stava ormai affermando come la pi ̆ forte, avvian- dosi a raggiungere alla met‡ del secolo le 200 unit‡. Pro-
babilmente il gruppo ebraico di Santa Fiora venne in parte alimentato dalla stessa Comunit‡ di Pitigliano in un rap- porto di emigrazione-immigrazione attraverso lo sposta- mento e la circolazione di famiglie israelitiche nei centri delle vicine Contee. Non Ë improbabile che gli stessi Da- vid e Giuseppe Sorano, il cui cognome Ë spia della loro provenienza, fossero giunti a Santa Fiora passando per Pitigliano; altri ebrei pitiglianesi intrattenevano rapporti con quelli di Santa Fiora, come Abramo della Pergola, che alla sua morte nel 1745 risultava debitore di 5 scudi alla ìscolaî santafiorese. Qualche decennio dopo, negli anni 1770-1880, gli ebrei santafioresi risultano ridotti a sei famiglie per circa 20 persone a fronte di una popolazione di 262 famiglie Santa Fiora, ormai in miseria, vivendo ì di poca industria, di piccoli affitti e di bestiameî, come afferma una visita pastorale del 1777. Essi non erano pi ̆ in grado di mantenere un rabbino, cosÏ nelle loro feste nella Sinagoga, dove si conservava- no ancora sei bibbie scritte in ebraico, chiamavano ìun sottorabino Ö da Piti- gliano, lo mandavano a prendere e li pagavano il viaggio e líincomodoî. Sono i sintomi della fine ed Ë dunque credibile che non molti anni dopo la Comunit‡ di Santa Fiora sia giunta allíestinzione e il suo aronoth sia stato portato, come oltre un secolo prima quello di Castro, a Pitigliano, rimasta ormai líunica Co- munit‡ ebraica della zona dei feudi ed erede di tutte le altre. Non Ë ben chiaro se la residenza a Santa Fiora, ancora ai primi dellí800, della famiglia dellíebreo Giuseppe Colombo ìpovero trafficanteî, morto nel 1818, costituisca líultimo residuo della gi‡ florida Comunit‡ ebraica santafiorese o se rientri ormai nel fenomeno di disseminazione nei centri vicini di ebrei pitiglianesi, che continua- vano a mantenere perÚ stretti legami spirituali e religiosi con la Contea di Piti- gliano e la sua Sinagoga.
Elenco di ebrei che hanno abitato in Santa Fiora
N.B.: Gli anni riportati, anche come date estreme, sono quelli reperiti nei docu- menti, perciÚ non Ë escluso che i singoli ebrei abbiano vissuto a Santa Fiora anche prima o dopo, nÈ che nellíintervallo di anni qui indicato possano aver trascorso qualche periodo altrove, considerata la loro facile mobilit‡. Si avverte anche che sono espressamente indicati pochi casi dubbi, per i quali la documentazione non da certezza
1465 - Ventura di Abramo; moglie Belladonna di Dattilo di Foligno 1562-1564 - David di Isacco de Pomis medico, proveniente da Pitigliano
1573- (morto intorno al 1576) - Simone di Consolo de Pomis da Spoleto, banchie- re proveniente da Proceno, con la moglie Speranza di Sciamuello e i figli Alessan- dro (il maggiore, nato circa nel 1575), Consolo e Ventura, poi emigrati a Scansano nel 1576
1573-1576 - Rubino di Consolo de Pomis, fratello di Simone, proveniente da Ca- stellazzara, poi emigrato a Scansano con la cognata e i nipoti nel 1576 fino al 1580 1573 - Crescenzio di Mele da Pitigliano, moglie Giulia di Bonaventura de Pomis 1581- Pompeo di Bonaiuto
1582 - (morto líanno 1600) - Febo di Salomone da Castro; moglie Perna di Gia- cobbe 1584- (morto ante 1588) - Patrizio di Rubino de Pomis, agente responsabile del banco di Santa Fiora; moglie Giammilla di Salomone Ason di Matelica con la fi- glia Vrizia
1584-1589 - Salomone díAbramo, mercante con bottega; figlia Dolce, che sposa Sabatuccio di Jacob 1584-1600 - Daniele di Samuele díArpino, commerciante con bottega, Camerlen- go della Comunit‡ nel 1584; moglie Cremosina
1584-1590 - David di Daniele Levi, commerciante con bottega 1584 - Salomone bastaio 1584 - Prospero 1584-1604 - Samuele di Benedetto detto Sciamuello, commerciante, proveniente da Arcidosso; moglie Lavinia di Leone con i figli Benedetto, Davittone, Alessan- dro, Abramo, Speranza, moglie del banchiere Simone de Pomis
1584-1602 - Alessandro di Sciamuello, esiliato dalla Contea nel 1602 1584- 1602 - Davittone di Sciamuello, condannato in contumacia perchÈ fuggito da Santa Fiora nel 1602 1584-1604 - Abramo di Sciamuello, condannato per omicidio e carcerato fino al 1604, quando la pena fu commutata allíesilio perpetuo; moglie Fiordispina di Leo- ne 1584-1602 - Benedetto di Sciamuello, esiliato dalla Contea nel 1602, moglie Cri- stina, figlio Samuele 1584- 1601 - Samuele di Benedetto, emigrato a Piancastagnaio alla fine del 1601 1586- 1601 - Consolo di Simone de Pomis, banchiere 1586 - MosË di Prospero 1586 - Daniele bastaio 1588-1600 - Sabato di Jacob detto Sabatuccio; moglie Dolce di Salomone, da lui ripudiata per voler diventare cristiana 1588 - Giuseppe di Jacob, fratello di Sabatuccio ante 1589-1590 - Angelo di Samuele da Cori, agente del banco di Simone de Po- mis 1589 - Raffaele 1600 - Ventura (di Simone de Pomis?) ante 1606 - (morto nel 1614-1615) - Abramo di Daniele díArpino, detto Abramuccio; moglie Vrizia di Siena con i figli Daniele, Samuele e Giulia, fatta cristiana nel 1625
ante1625-ante 1638 - Daniele di Abramo Arpino, facoltoso commerciante, emi- grato a Sorano prima del 1638; sposÚ la figlia di Benedetto díAngelo di Sorano; figlia Prudenza ante 1625 - ante 1638 - Samuele di Abramo Arpino, facoltoso commercante, emi- grato a Sorano prima del 1638; sposÚ in tale anno una figlia del fratello Daniele
1625 - Simone Narni, rabbino, spostatosi a Castro intorno al 1629 e poi a Sorano prima del 1635 post 1626 - ante 1664 - David Borghi banchiere, spostatosi a Sorano intorno al 1664, dove sposa in seconde nozze Prudenza, figlia di Daniele Arpino; figlio Salo- mone delle prime nozze
ante 1632 - Amodio díIsach, emigrato a Sovana nel 1632 1636 - Giuseppe di Cherubino, proveniente da Castro 1650 - Giuseppe di Michele, in affari con i banchieri Passigli di Piancastagnaio post 1649 - (morto nel 1678) - Alessandro da Castro; moglie Gentile e figli Leone (nato nel 1674) e Sabato (nato nel 1676), emigrati tutti a Pitigliano dopo la morte del padre 1698 - (morto prima del 1728) - Angelo Levi, emigrato a Pitigliano insieme al fi- glio Abramo dopo il 1718 1698-1718 - Abramo di Angelo Levi, banchiere (?), emigrato insieme al padre do- po il 1718 a Pitigliano, dove abitava ancora nel 1728 ante 1718 - Giacobbe di MosË Pelagrilli, morto nel 1718, moglie Allegrezza, figlia Stella ante 1718 - Israel di MosË Pelagrilli, con moglie forestiera e almeno una figlia, trasferitosi a Casteldelpiano poco dopo il 1718 ante 1718 - Abramo Passigli, morto nel 1718-1719; moglie Speranza, fattasi cri- stiana dopo la morte del marito 1718 - Samuele Levi 1718 - Samuele Cetona ante 1718 - Alessandro Palombo, morto prima del 1718; moglie Stella di Giacob- be Pelagrilli con figlio Samuele. Non Ë certa la residenza a Santa Fiora 1718 -Angelo Solitario; figlia Tala. Non Ë certa la residenza a Santa Fiora 1718 -1750 - Giuseppe di Angelo Sorano (o Sorani), commerciante, figlia Gentile. 1724 - Flaminio 1744-1750 - David di Angelo Sorano (o Sorani) ante 1818 - Giuseppe Colombo, morto nel 1818; moglie Stella Levi con figlio Sa- muel
Gli ebrei nella Toscana meridionale
Roberto G. Salvadori
A partire dal XVI secolo ñ e cioË dallíinizio dellíet‡ dei ghetti o, come la chia- mava il Milano, líet‡ dellíoppressione ñ la condizione delle singole comunit‡ ebraiche in Italia si fa sempre pi ̆ differenziata, tanto dal punto di vista giuridi- co che da quello sociale (poichÈ situazione di diritto e situazione di fatto si inte- grano a vicenda). Il fattore determinante di queste distinzioni, talvolta profon- de, Ë la frammentazione della penisola in una molteplicit‡ di Stati, i cui gover- ni, posti dinanzi al problema del comportamento da tenere nei confronti della minoranza ebraica presente nel loro territorio, adottano provvedimenti diversi. Anche quando, tra la seconda met‡ del XVI secolo e la prima met‡ del XVII, il principio di recludere gli ebrei in quartieri a loro appositamente destinati viene adottato quasi dovunque e sembrerebbe, quindi, costituire un criterio unificato- re, le norme che regolano i vari ghetti sono tra loro diverse e diverse sono le in- terpretazioni che il governo ne d‡. Ossia, gi‡ diverse in sÈ, si diversificano ulte- riormente attraverso il tempo. Spesso esse sono líespressione del volere del Principe o del Pontefice, delle variabili finalit‡ politiche che si propone e, tal- volta, del suo arbitrio o del suo capriccio. Naturalmente, anche a proposito di questo fenomeno cíË da tener conto del fatto che il passato grava sul presente. Nemmeno il periodo precedente ñ quello della istituzione e della attivit‡ dei banchi di pegno -, tra XIV e XVI secolo, ha conosciuto uníomogeneit‡ della condizione ebraica in Italia. Per pi ̆ motivi, se non ogni banco, ogni gruppo di ebrei impegnati nel commercio del denaro ha avuto una sua propria configura- zione, dipendente da condizionamenti sia esterni che interni. Sarebbe sufficien- te a testimoniarlo líafflusso verso il nord di prestatori romani e la quasi contem- poranea discesa verso il sud di prestatori provenienti dalla Germania, dovuti, líuno e líaltra, a motivazioni tra loro diverse che generano, sÏ, intrecci, ma an- che rivalit‡. Non solo. PuÚ accadere che anche nellíinterno di uno stesso Stato le varie comunit‡ ebraiche che ne sono ospiti ricevano un trattamento differen- ziato. » questo il caso della Toscana. Se prendiamo in esame le cinque keilloth principali che vi sono presenti, nella seconda met‡ del XVII secolo e fino ad oggi note ñ Livorno (che fa tuttíuno con Pisa), Firenze, Siena, Pitigliano, Mon- te San Savino ñ il fenomeno balza agli occhi con assoluta evidenza. Livorno fa testo a sÈ. Dalla data della sua nascita (1593) la comunit‡ ebraica, a maggioran- za sefardita, gode di privilegi che non trovano riscontro non solo in Toscana, ma in tutta Italia . » vero: non si tratta di diritti nÈ, tanto meno, di uguaglianza con gli altri sudditi del Granducato di Toscana. La condizione giuridica degli ebrei livornesi rimane squilibrata e, per alcuni versi, inaccettabile, almeno in rapporto al nostro modo di sentire. Ad esempio, sono esclusi dallíaccesso allíu- niversit‡ di Pisa, con alcune eccezioni che riguardano la medicina, e non hanno accesso alle cariche pubbliche. I matrimoni misti sono proibiti. Il culto che essi
professano Ë tollerato ed Ë sottoposto ad alcune limitazioni (soprattutto nel pe- riodo dellíInquisizione). Ma per altro verso gli ebrei sono fortemente tutelati. La libert‡ di commercio, entro i limiti delle leggi vigenti, Ë garantita e anzi
favorita. Gli ebrei godono del diritto di propriet‡ di beni immobili. A Livorno vi Ë un quartiere in cui essi si concen- trano pi ̆ che altrove, ma non vi Ë un ghetto. Non cíË ombra del segno a cui sono obbligati i correligionari che vi- vono nelle altre localit‡. Ecc. Le altre comunit‡ ebraiche toscane guardano a Livorno come a uníoasi, oltre che di benessere, di sicurezza sociale, di rispetto, di dignit‡. La ìLivorninaî ñ ossia le disposizioni o ìlettere patentiî emanate dal Granduca Ferdinando I, appunto nel 1593 ñ viene vista come un modello insuperabile per regolare i rapporti tra mondo ebraico e mondo cristiano e ad essa fanno costante riferimento le peti- zioni, volte a chiedere líannullamento o líattenuazione di provvedimenti op- pressivi e talvolta odiosi, avanzate dagli altri ebrei toscani. Allíaltro estremo,
rispetto a Livorno, stanno gli ebrei dei ghetti di Firen- ze e di Siena, dove líoppressione si dispiega in modo pieno e continuato e, tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII, con Cosimo III, si muta in una vera e propria vessazione. Una vita squallida in un ambiente squallido. Un lungo, oscuro e tormentoso cammino che va dalla istituzione del ghetto (1570) allíavvento sul trono granducale della casa di Lorena (1738). Dif- ficile (e anche poco significativo) stabilire delle com- parazioni tra Firenze e Siena, ma probabilmente la condizione peggiore toccava agli ebrei fiorentini, a causa della maggiore vicinanza con il centro del pote-
re, un potere ostile e incombente. In uníaltra posizione ancora sono le comunit‡ periferiche, talvolta piccole, co- me quelle di Pitigliano e Sorano (anche se la prima Ë destinata a una crescita notevole che si verificher‡ soprattutto nella prima met‡ del XIX secolo), talvol- ta addirittura minuscole, come quelle di Monte San Savino, di Lippiano e Gioiello (poco pi ̆ di cento persone nel primo caso, meno di cento nel secon- do). Tuttavia queste limitate dimensioni, con il concorso di una collocazione geografica marginale e con la protezione di cui godono dei poteri locali, procu- rano loro dei vantaggi non trascurabili. Líautorit‡ centrale le dimentica, o, al- meno, non le raggiunge con la stessa prontezza e con la stessa efficacia che ri- scontriamo a Firenze e a Siena. Le regole della chiusura del ghetto non sono cosÏ severe come altrove (per quel che riguarda Monte San Savino Ë dubbio che
un ghetto vi sia stato: gli ebrei vivono in uníunica strada in cui le loro case si alternano con quelle dei cristiani e in cui si affaccia anche un monastero femminile). » consentito svolgere attivit‡ commerciali e artigiane: si tratta di poca cosa,
certo, (merciai ambulanti, calzolai, sarti, ecc.) ma in paesi contadini, afflitti da una povert‡ secolare, tale da porre chi le esercita in una condizione, comparativa- mente, superiore alla media. Gli ebrei di Pitigliano, poi, come quelli livornesi, godono del diritto di pro- priet‡ immobiliare. Poco o nulla siamo in grado di di- re intorno alla comunit‡ che si sarebbe tentato di far nascere, alla fine del XVII secolo, a Piombino, sul modello della ìLivorninaî, per opera del signore di quella localit‡. Assai pi ̆ tardi ñ nella prima met‡ del XIX sec. ñ si costituiscono le due piccole comunit‡ di Portoferraio e di Arezzo (questíultima Ë nientíaltro che líeffetto del dissolvimento delle comunit‡ di Monte San Savino e di Lippiano-Gioiello, avvenuto alla fine del secolo prece- dente), ma anchíesse restano poco significative. Le vicende degli ebrei in To- scana (e in Italia) sono state molto a lungo ignorate o conosciute in termini molto approssimativi e spesso inesatti. Con poche eccezioni, delle quali diremo subito, gli studi pi ̆ validi appartengono tutti alla seconda met‡ del XX secolo. I motivi della trascuratezza precedente sono da ricondurre al fatto che tutto líin-
teresse era assorbito, tanto da parte ebraica che da parte non ebraica, dalle questioni religiose non da quelle storiche. Per gli ebrei ciÚ che contava veramente era la Tor‡h e il suo inse- gnamento perenne e, in certo modo, senza tempo, e per i non ebrei il popolo deicida me- ritava attenzione soltanto come minoranza da condurre, talvolta con la persuasione e talvolta con la forza, alla verit‡ del cristianesimo. Non vi Ë dubbio che gli eventi della seconda guerra mondiale abbiano convinto tutti quanti dellí- opportunit‡ di ricostruire meglio il cammino che aveva condotto a una conclusione cosÏ tra-
gica come quella della shoah. In poco tempo gli studiosi di entrambe le parti ñ in molti casi in modo complementare ñ hanno tessuto una fitta rete di narrazioni che copre gli aspetti essenziali della vita degli ebrei della diaspora, dovunque. Sono nati centri di documentazione, si sono investigati archivi o fondi di archi- vio prima lasciati nellíoblio, se ne sono costituiti di nuovi, sono sorte bibliote- che specializzate, si sono approntati strumenti di ricerca, bibliografie, enciclo- pedie, repertoriÖ Si Ë fatto un lavoro gigantesco che ha colmato gravi lacune che datavano da secoli. Ovvia la preminenza degli interessi per gli accadimenti pi ̆ vicini a noi nel tempo ñ le indagini su Auschwitz dominano il campo - ma
ci si Ë resi conto che per capire Auschwitz (o, per meglio dire, per avvicinarsi maggiormente alla sua incomprensibilit‡) occorreva sondare il passato, anche quello pi ̆ remoto. Per quel che riguarda la Toscana Ë necessario ricordare, pri- ma di tutto, un saggio che serve da modello o, ad ogni modo, da riferimento per la gran parte di quelli che lo seguono nel tempo: Gli Ebrei a Firenze nellíet‡ del Rinascimento, di Umberto Cassuto, pubblicato per la prima volta nel 1918 e poi ristampato, non a caso dopo il conflitto mondiale nel 1965, quando ormai gli interessi per la storia ebraica si sono ridestati. Una documentazione archivi- stica affrontata con rigore critico e una narrazione serrata e organica mettevano in luce, per la prima volta, il significato della presenza ebraica in Firenze e pi ̆ in generale in Toscana, non pi ̆ limitatamente alle pur importanti questioni eco- nomiche, ma anche nella sua dimensione culturale e sociale. Gli avidi e sordidi usurai dipinti dalla letteratura corrente rivelavano il loro volto di uomini che si occupavano di affari, sÏ, ma che sapevano unirvi líamore per la letteratura, per le tradizioni religiose, per la filosofia. Segue un lungo intervallo di tempo che coincide, grosso modo, con il fascismo e che, dal punto di vista storiografico, potrebbe definirsi di assenza, di silenzio, anche se, dal punto di vista propagan- distico, soprattutto a partire dalle leggi razziali del 1938, Ë stato occupato da una squallida letteratura di invettive e di calunnie che hanno come loro riferi- mento, da un lato (e pressochÈ obbligatoriamente) i
Protocolli dei Savi di Sion, pubblicati in Italia nel 192- 1, e, dallíaltro, il mensile ìLa Difesa della Razzaî, di- retto da Telesio Interlandi, volti entrambi a dare degli ebrei e dellíebraismo uníimmagine quanto pi ̆ falsa e distorta fosse possibile. Nemmeno negli anni che se- guono immediatamente la seconda guerra mondiale si nota un interesse per la storia ebraica, locale o regio- nale. Si possono citare le poche pagine dedicate da Nello Pavoncello alla comunit‡ di Siena, e poco pi ̆. Poi líattenzione si desta, quasi improvvisamente, in- torno al 1975.
Da allora in poi gli studi sullíargomento si succedono gli uni agli altri, si intrec- ciano fra loro con una serie di rinvii che finiscono con il comporre una rete molto fitta alla quale ben poco sfugge di una realt‡ fino ad allora ignorata, rive- landone líimportanza in sÈ e nei suoi rapporti con líambiente circostante.
Nel 1974 si ha líavvio delle pubblicazioni di Michele Luzzati con un saggio ñ
Per la storia degli ebrei italiani nel Rinascimento. Matrimoni e apostasia di Clemenza di Vitale da Pisa - che, fin dagli esordi, delinea con chiarezza líambi- to degli interessi prevalenti del suo autore, sia nel tempo ñ il Medioevo e il Ri- nascimento ñ sia nello spazio: la storia degli ebrei in Toscana in generale e nel- líarea pisana, livornese e lucchese in particolare.
Da allora in poi uníattivit‡ di ricerca molto intensa porter‡ il Luzzati a costitui- re il principale riferimento per gli studiosi della storia dellíebraismo toscano,
soprattutto per quel che riguarda líorganizzazione e il significato dei banchi di prestito, in ogni loro dimensione, economica, sociale, culturale. Dieci anni dopo (per líesattezza, nel 1985) i saggi che via via erano apparsi in questo intervallo, saranno raccolti, in gran parte e con pi ̆ di una novit‡, in un volume díinsieme che rappresenta una tappa importante in un cammino che tut- tíoggi prosegue.
Nel 1977, Michele Cassandro fornisce agli studiosi un utile strumento di ricer- ca con il saggio Per la storia delle comunit‡ ebraiche in Toscana nei secoli XVI e XVII, una rassegna bibliografica ragionata che raccoglie quanto di rilevante era uscito sullíargomento fino a quella data.
Una decina díanni dopo, lo stesso Cassandro amplier‡ e aggiorner‡ questo suo primo lavoro con il saggio Sulla storia economica degli ebrei in Italia nei seco- li XV-XVII. Pi ̆ tardi (1991) ñ e sempre con líintento di provvedere di utili sus- sidi coloro che si occupano dellíargomento ñ il Luzzati scriver‡ Su alcuni a- spetti della documentazione sugli ebrei negli archivi toscani.
Nel giro di pochi anni gli studi sugli ebrei toscani si moltiplicano. Prosegue líintensa attivit‡ di ricerca del Luzzati, sempre con preferenza per Livorno, Pisa e Lucca. Inizia líinteresse per la Toscana meridionale (coincidente, allíincirca, con le attuali province di Siena, Arezzo e Grosseto).
Degli ebrei senesi si occupano, soprattutto, il Cassandro e Sofia Boesch Gaja- no. Il Cassandro dapprima indaga sul Cinquecento e poi estende la sua attenzio- ne al Seicento. La Boesch Gajano esamina il periodo del Basso Medioevo. Ancor prima Giuseppe Celata e Angelo Biondi cominciano a gettar luce sugli ebrei di Pitigliano, Sorano e Sovana, proseguendo e approfondendo gli studi, gi‡ citati, di Evandro Baldini.
Nel 1987 appare Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ́di confi- nea (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano), di Ariel Toaff. Si tratta di poche pagine che rappresentano, perÚ, lo sfocio e il compendio di ricerche i cui primi frutti erano apparsi una ventina díanni prima.
Il Toaff mostra come e perchÈ sono nate, ai margini della Toscana, queste pic- cole comunit‡, tra il XVI e il XVII secolo. Il fenomeno, certo, non era ignoto, ma ora emergono con chiarezza le cause che lo determinano: si tratta, quasi esclusivamente, di ebrei cacciati, a pi ̆ riprese, dallo Stato Pontificio e che trovano rifugio in territori di confine con lo Stato pi ̆ vicino, e cioË con la Toscana.
Questi ìluoghi díasiloî (concepiti, verosimilmente, come provvisori, in attesa di un rientro nelle localit‡ díorigine in periodi meno tempestosi che, perÚ, non verranno) sono resi possibili dallíaccoglienza che riservano agli ebrei i feudi di cui Ë ancora composto il Granducato e che, senza avere alcuna autonomia poli- tica, ne hanno perÚ una amministrativa.
I signori di queste ìconteeî e ìmarchesatiî vedono con un certo favore questi insediamenti come fattore di incremento demografico e come mezzo per pro- muovere attivit‡ economiche, commerciali e artigiane, svolte tipicamente dagli
ebrei. Gli Orsini ñ signori di Monte San Savino, dopo esserlo stati di Pitigliano e Sorano ñ arrivano fino a consentire líingresso nel loro feudo agli ebrei ricercati dalla giustizia per debiti, purchÈ non contratti con sud- diti del marchesato. Sulla scia dellíinterpretazione del Toaff si pongono i miei lavori, che ne confermano la piena validit‡, dapprima rivolti a Monte San Savino e, subito dopo, a Pitigliano.
Naturalmente (e fortunatamente) la ricognizione delle vicende ebraiche in Toscana non si arresta qui. Baste- rebbe, per dimostrarlo, ricordare la scoperta, resa nota pochi anni fa, delle comunit‡ di Massa e Carrara, fino ad allora trascurate per non dire del tutto dimenticate.
E, per quanto riguarda la Toscana meridionale, tralasciando il resto, Ë doveroso citare il saggio che dedica allíargomento, in un ambito pi ̆ vasto, Michele Luz- zati, nellíimportante raccolta di saggi, pubblicata da Einaudi, tra il 1996 e il 19- 97, negli ìAnnali 11î della Storia díItalia.
A queste ulteriori indagini e a queste acquisizioni si aggiungono, ora, per meri- to di studiosi locali attenti e sagaci quelle che riguardano le comunit‡ di Santa Fiora e di Piancastagnaio e, in genere, le presenze ebraiche nella zona del Mon- te Amiata.
Allo stato attuale delle ricerche líentit‡ di questi insediamenti ñ che avvengono tra il XVI e il XVII secolo ñ Ë di difficile valutazione, ma, anche se modesta, Ë certamente significativa e non trascurabile. Lo provano il fatto, documentato, che in ciascuno dei due paesi ora ricordati esisteva una sinagoga (anche se líubicazione di questi edifici Ë ricostruita in via ipotetica) e le abbondanti testimonianze archivistiche raccolte.
In questo modo si estende (e, probabilmente, si completa, almeno nelle sue li- nee essenziali) il panorama delle nostre conoscenze sugli ebrei che prendono residenza nelle localit‡ di confine del Granducato di Toscana, per effetto della loro espulsione, decretata pi ̆ volte, dallo Stato della Chiesa. Particolarmente importanti, in questo senso, i bandi del 25 febbraio15-
69 (bolla di Pio V, Hebraeorum gens sola quondam a Deo delecta, che decreta la cacciata di tutti gli ebrei, ad eccezione di quelli abitanti a Roma e Ancona) e quello del 25 febbraio 1593 (bolla di Clemente VIII, Caeca et obdurata) che riprende e conferma questa di- sposizione. In entrambi i casi vi fu un afflusso, certa- mente notevole anche se non quantificabile, verso i feudi, relativamente indipendenti ai confini fra la To- scana e i possessi pontifici.
Tra questi il ducato di Castro (Farnese), le contee di Pitigliano e Sorano (Orsini), di Santa Fiora (Sforza), di
CastellíOttieri e S. Giovanni (Ottieri) e, pi ̆ tradi, del marchesato di Monte San Savino (dove, nel 1608, si trasferiscono gli Orsini che sono stati costretti ad ab- bandonare Pitigliano). La scelta Ë, in certo modo, obbligata. Nel 1569, infatti, Cosimo I, per ottenere il favore del Pontefice e ricevere da lui líambito titolo di Granduca, si mostra altrettanto intransigente nei confronti de- gli ebrei, mutando in proposito radicalmente la sua politica precedente, e vieta líaccesso nei suoi domini diretti degli ebrei espulsi dal Papa.
I profughi non hanno altra risorsa che cercare scampo in quei domini feudali i quali conservano ancora una relativa indipendenza tanto dal Granducato di To- scana che dallo Stato della Chiesa. Tra questi la contea di Santa Fiora. Líabile politica perseguita dai Medici, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, li condurr‡ a entrare in possesso pieno di molti di questi territori, al te- nue prezzo della concessione di una certa autonomia amministrativa; Pitigliano e Sorano vengono unite al Granducato nel 1608, CastellíOttieri e San Giovanni nel 1616, Santa Fiora nel 1633, Monte San Savino nel 1644, ma a quel punto le presenze ebraiche sono un dato acquisito destinato a durare, pi ̆ o meno a lun- go, nel tempo.
Le comunit‡ ebraiche sorte, cosÏ, in queste localit‡ verranno a fine, in vario modo, nel corso del XVIII secolo (quelle di Sorano, CastellíOttieri, Santa Fiora e Piancastagnaio si dissolveranno e quasi svaniranno nel nulla; quella di Monte San Savino conoscer‡, nel 1799, in piena vandea anti-rivoluzionaria e anti- ebraica, il dramma di uníirreversibile espulsione).
Unica eccezione, Pitigliano che continuer‡ a vivere fin quasi ai nostri giorni e, anzi, verso la met‡ dellíOttocento raggiunger‡ le sue massime dimensioni. Se dispieghiamo dinanzi ai nostri occhi una carta geografica della Toscana della prima met‡ del Seicento la vediamo, dunque, disseminata di presenze ebraiche. Piccole comunit‡, piccoli nuclei, talvolta addirittura singole famiglie o singoli individui, ma quasi non cíË luogo in cui non le incontriamo.
Si ripete quello che era avvenuto nel periodo del commercio del denaro tra il XIV e il XV secolo, quando líintera Toscana era stata coperta da una rete di banchi di prestito, ma in una forma sostanzialmente diversa. Ci sono, sÏ, banchieri ebrei in molti di questi paesi e prestatori di denaro ebrei quasi dovunque, ma ñ come ha notato acutamente Ariel Toaff - anche se costo- ro occupano, solitamente, una posizione di relativo maggior prestigio nellíinter- no delle rispettive comunit‡ ebraiche di appartenenza, svolgono ormai, in real- t‡, una funzione del tutto marginale in un contesto sociale, caratterizzato dalla povert‡ ñ per non dire dalla miseria ñ dei borghi rurali di cui sono ospiti.
Ne Ë una testimonianza quello che avviene a Monte San Savino, dove il locale banco di pegno ebraico, sopravvive fino al 1699 (ed Ë líultimo a estinguersi in Toscana e forse in Italia), ma in modo stentato e privo di qualsiasi risonanza e- conomica effettiva.
» ovvio che fra tutti questi ebrei in esilio vi siano tratti in comune, si sviluppino rapporti sociali, abbiano luogo transazioni commerciali, si creino relazioni di
parentela, e via dicendo. Gli ebrei dellíepoca ñ o almeno buona parte di essi: i pi ̆ intraprendenti ñ hanno una mobilit‡ molto maggiore di quello che general- mente viene loro attribuita. I loro traffici, le loro modeste attivit‡ artigiane, una compravendita di tessuti che, nella migliore delle ipotesi, va poco al di l‡ della merceria, il piccolo nego- zio di cianfrusaglie, non hanno ñ certamente ñuna funzione primaria nellíeco- nomia dellíepoca (che, nelle zone sulle quali ci andiamo soffermando, Ë uníe- conomia essenzialmente agricola, pressochÈ di pura e difficile sussistenza), ma ñ oltre a rappresentare una fonte di vita per chi li esercita ñ costituiscono anche un tratto differenziatore rispetto al ceto contadino, da un lato, e a quello dei no- bili e dei notabili, dallíaltro, che nel loro insieme compongono la maggioranza della societ‡, in quellíepoca e in quei territori.
Pur senza volerlo gli ebrei vengono a collocarsi in una condizione di ceto me- dio e la miserrima popolazione contadina dei paesi li giudica ricchi, anche quando non lo sono affatto, non fossíaltro perchÈ non conoscono la dura vita dei campi.
Se al pregiudizio sociale si aggiunge il pregiudizio religioso, si capisce perchÈ fra le due parti, quella ebraica e quella cristiana, continua a esservi una separa- zione e una contrapposizione di fatto che si traduce, poi, in concreto, nella ghettizzazione o nellíobbligo di portare il segno.
Occorre, perÚ, non insistere troppo sullíomogeneit‡ delle comunit‡ ebraiche di confine. Vi sono anche delle differenze non lievi. Una di esse, sulla quale ho insistito in altra sede, Ë quella che vede gli ebrei pitiglianesi titolari di un diritto di proprie- t‡ di immobili (case e terreni) che agli ebrei savinesi Ë negato.
Líorigine di questo privilegio ñ che avvicina Pitigliano a Livorno - riesce oscu- ra, oltre che inaccettabile agli stessi amministratori dellíepoca della contea e tuttavia ogni tentativo di sradicarlo fallisce. Forse una parte almeno della spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che i nuclei di ebrei dispersi nei dintorni, a cominciare da quelli di Santa Fiora godo- no, come ha mostrato il Niccolai, dello stesso diritto.
E con esso anche di quello di poter stipulare contratti di soccida. Questa condizione, del tutto anomala rispetto a quello che avviene a Firenze, Siena e Monte San Savino, Ë di grande importanza per due aspetti: perchÈ d‡ conto della maggiore vitalit‡ della comunit‡ pitiglianese rispetto a quella savi- nese e perchÈ consente un contatto continuo con la popolazione locale renden- dolo anzi indispensabile e facendo sÏ che ebrei e cristiani comincino, finalmen- te, a conoscersi. Nemmeno questo, Ë vero, serve per abbattere gli steccati che sono stati eretti per tenere a distanza gli ebrei e per togliere loro la fantasiosa e temibile imputa- zione di deicidio, ma almeno tiene aperto uno spiraglio nella giusta direzione.
DallíAmiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVII secolo
Angelo Biondi
Recenti studi hanno potuto chiarire che i provvedimenti di restrizione nei con- fronti degli ebrei emanati nello Stato Pontificio nel 1555 e pi ̆ ancora nel 1569, seguiti da quelli di Cosimo dei Medici del 1570 e 1571 in Toscana, provocaro- no una emigrazione di ebrei anche nei piccoli feudi semi-indipendenti, posti al confine tra la Toscana e lo Stato della Chiesa.
Questi staterelli erano la Contea di Pitigliano degli Orsini, che comprendeva Pitigliano, Sorano e Montevitozzo, quella di Castellottieri degli Ottieri, compo- sta da Castellottieri, S. Giovanni e Montorio, e quella di Santa Fiora degli Sfor- za, che dominava su S. Fiora, Castellazzara, Scansano, con líaggiunta di Proce- no e Onano, infeudati loro dal Papa, oltre al pi ̆ consistente Ducato di Castro dei Farnese, il cui ramo minore deteneva la signoria delle terre di Latera e Far- nese.
Si deve considerare poi la Contea del Monte S. Maria dei Bourbon del Monte, posta nella Val Tiberina e di cui facevano parte anche Lippiano e Gioiello; in essa trovarono rifugio gli ebrei di Citt‡ di Castello, dando vita alla Comunit‡ ebraica di Lippiano.
Líautonomia politica di questi feudi consentÏ ai loro Signori di ignorare le di- sposizioni antiebraiche, applicate invece nei territori confinanti dello Stato Pon- tificio e poi del Granducato di Toscana. In alcune delle suddette terre feudali cíerano gi‡ ebrei, come a Castro, a Piti- gliano, a Sorano e probabilmente a Santa Fiora, oltre che nella vicina citt‡ di Sovana, in cui la presenza ebraica Ë attestata almeno dalla fine del Quattrocen- to.
Inoltre a Sovana, ridotta in disastrose condizioni durante la guerra di Siena (1552-1559), nellíambito dei provvedimenti di Cosimo I Medici per risollevar- la aprirono un banco di prestito nel 1565 Laudadio e Isac díAbramo Coen da Viterbo, imparentati con il famoso medico David de Pomis.
Costui, dopo i provvedimenti restrittivi del 1555, era stato a sua volta accolto nei suoi domini dal conte NiccolÚ IV Orsini e aveva prestato servizio a Pitiglia- no, Sovana e Sorano fino al 1561, per passare poi per altri tre anni alle dipen- denze degli Sforza nella Contea di Santa Fiora.
David de Pomis per primo aveva chiamato queste terre ìcitt‡-rifugioî, un ter- mine che si riveler‡ quanto mai appropriato anche per i secoli successivi.
1. Il periodo dei banchieri
» sfuggito finora a chi si Ë occupato delle Comunit‡ israelitiche delle terre feu- dali che líepicentro principale di disseminazione ebraica ñ almeno per le Conte- e sul confine meridionale della Toscana ñ fu principalmente la citt‡ di Castro,
capitale del contiguo omonimo Ducato dei Farnese, costituito nel 1537 da papa Paolo III con i domini aviti per il figlio Pierluigi. La protezione accordata dai Farnese ñ e dal- lo stesso Paolo III ñ agli ebrei portÚ subito
allíapertura di un banco di prestito a Castro nello stesso anno 1537 da parte dellíebreo Sabadullo di Giuseppe da Ancona, con il fa- vore del Duca Pierluigi.
I consistenti lavori di trasformazione urbani- stica ed edilizia, voluti dal Duca nella sua nuova capitale e affidati ad Antonio da San- gallo il Giovane, attivarono nel decennio successivo notevoli flussi di denaro e, unita- mente alle vantaggiosissime condizioni accordate a Sabadullo, favorirono líim- migrazione a Castro di ebrei da vari centri vicini e lontani sia del Lazio che del- la Toscana.
Intorno al 1550 Ë documentata la presenza di ebrei in altre terre dei Farnese, co- me Latera e Valentano, dove fu aperto un banco di prestito da Salomone díIsac Spagnoletto. Mentre non sembra che ebbero conseguenze a Castro i provvedimenti pontifici del 1555, notevole allarme produsse invece la Bolla di Pio V del 1569.
Infatti numerosi ebrei se ne andarono dalla citt‡ e si spostarono nei vicini state- relli autonomi, rafforzando i gruppi ebraici gi‡ esistenti o creando le condizioni per nuovi insediamenti con líapertura di banchi di prestito. CosÏ Amadio di Abramo da Toffia, insieme a Guglielmo di Gabriel da Sovana, aprÏ un banco a Castellottieri, Meluccio di MosË con il figlio Crescenzio tornÚ a Proceno, da cui era venuto a Castro, Simone di Consolo da Spoleto e il fratel- lo Rubino andarono anchíessi ad esercitare il prestito nella Contea sforzesca, rispettivamente a Scansano e a Castellazzara, da cui poco dopo Rubino si spo- stÚ, riunendosi al fratello a Scansano.
In seguito ai provvedimenti di Cosimo dei Medici di concentrazione degli ebrei dei suoi Stati a Firenze e a Siena, Laudadio e Isac díAbramo nel 1571 spostaro- no proprio a Pitigliano il banco, che esercitavano nella vicina citt‡ di Sovana. In tal modo tutti questi luoghi di confine divennero ìcitt‡-rifugioî per gli ebrei, secondo la felice definizione, gi‡ citata, del medico David deí Pomis.
Intorno al 1580 Crescenzio di Meluccio da Proceno aveva esteso la sua attivit‡ di prestatore nella vicina terra di Onano e forse fu lui che tentÚ senza fortuna di aprire un banco anche a Gradoli nel 1589 e a Valentano nel 1594. Anche i nipoti del medico David deí Pomis esercitarono il prestito su pegno nella zona: Consolo deí Pomis era nel 1596 a Scansano, Ventura deí Pomis aprÏ un banco ad Onano, dimostrando notevole intraprendenza in varie attivit‡; allíi- nizio del í600 risulta cointeressato anche al banco di prestito di Pitigliano di I- sac da Rieti, banchiere senese.
Questíultimo a sua volta era subentrato intorno al 1604 ai banchieri Deifebo di Simone, imparentato con i da Rieti, e Giacobbe di Bonaiuto da Modena, che avevano ottenuto la condotta pitiglianese nel 1591. Particolarmente significativa appare la presenza a Pitigliano di un banchiere della famiglia da Rieti, che fino al 1571 avevano esercitato un notevole control- lo sullíattivit‡ bancaria nellíarea senese, anche attraverso rapporti di parentela con vari prestatori.
Altri banchi di prestito ebraici nei feudi di confine sono attestati alla fine del í500 a Sorano con i fratelli Salvatore e Aron Sacerdoti, e a Santa Fiora con A- bramo Arpino. Inoltre a Castro, dopo la smobilitazione seguita alla Bolla pontificia del 1569, poco dopo fu riaperto un banco nel 1577 da Rafael di Salomone Spagnoletti, che vi si trasferÏ da Valentano.
La Comunit‡ valentanese cercÚ di far riaprire sia nel 1590 che nel 1592 un ban- co di prestito, a seguito delle disposizioni di papa Sisto V del 1586, che permise il rientro degli ebrei nello Stato Pontificio fino alla definitiva cacciata del 1593. Comunque pi ̆ tardi, a dimostrazione che i provvedimenti del 1593 non ebbero ancora una volta molto effetto nel Ducato di Castro, fu concessa una nuova condotta di banco a Valentano allíebreo Isac .
A Farnese poi fu aperto un banco di prestito nel dicembre 1600 da Pacifico di Meluccio insieme al figlio Prospero da Castellottieri. Dunque líesistenza tra la bassa Toscana e líalto Lazio di vari staterelli autono- mi, tra loro confinanti, rese disponibili per gli ebrei espulsi o concentrati nelle sole citt‡ di Roma e di Ancona nello Stato della Chiesa, di Firenze e di Siena nel Granducato di Toscana, oltre una decina di terre vicine tra loro, dove poter vivere senza restrizioni e in condizioni generalmente molto pi ̆ favorevoli.
CosÏ Pitigliano e Sorano nella Contea ursinea, Castellottieri in quella ottiera, Santa Fiora e Scansano con Proceno e Onano nella contea sforzesca, la citt‡ di Castro e Valentano nel ducato farnesiano, con Latera e Farnese in Signoria del ramo cadetto, diventarono, grazie ai banchieri ebrei, un vero e proprio ìcircuito del prestitoî, in cui era possibile e molto praticata líintercambiabilit‡ da un luo- go ad un altro.
Díaltra parte il ruolo del banchiere ebreo era essenziale per il prestito in am- bienti rurali, dove annate di cattivo raccolto potevano portare alla rovina nume- rose famiglie. » ben noto che i banchieri ebrei, nello stipulare i capitoli per le condotte di ban- co con Signorie e Comunit‡, oltre a quelle per líattivit‡ bancaria e commercia- le, inserivano anche clausole atte a salvaguardare líesercizio delle pratiche reli- giose (avere una Sinagoga, un cimitero, carne casher ecc.), che comprendevano líimportante libert‡ dallíobbligo di portare il segno distintivo.
I gruppi ebraici, che si formarono nelle terre feudali, si consolidarono attorno ai banchieri, ma dove pi ̆ numerosa fu la presenza di ebrei, cominciarono a diffe- renziarsi anche le attivit‡ economiche nei settori del commercio e dellíartigia-
nato (conciatori, sarti, calzolai, fabbricanti di basti ecc.). In questa zona dei feu- di gli ebrei ottennero e poi mantennero nel tempo alcune condizioni particolar- mente privilegiate, dalla seconda met‡ del í500 generalmente non pi ̆ consenti- te in altre parti, come la libert‡, almeno parziale, dal pagamento di tasse e ga- belle, il godimento di parte o di tutti i privilegi della popolazione locale, la pos- sibilit‡ di prestare su grano, orzo, farina di castagne, vino, quella di fare soccide di bestiame o mezzerie per la sementa con cristiani e soprattutto la possibilit‡ eccezionale di possedere beni stabili. Oltre a ciÚ, potevano vivere liberamente nei centri abitati, senza restrizioni e senza essere separati dal resto della popola- zione cristiana. Queste condizioni eccezionali permisero agli ebrei, partendo dal prestito su pegno, di estendere líattivit‡ commerciale ed imprenditoriale a quasi tutte le forme possibili dellíattivit‡ economica delle zone tipicamente ru- rali in cui si trovavano ad operare. Il commercio ebraico infatti, da quello tradi- zionale delle pannine, si allargÚ anche alla lana, alle pelli e al cuoio, ai metalli usati e lavorati, al legname, alle spezie e a generi particolari, come la carta da scrivere, le carte da gioco ed anche il salnitro e il vetriolo, senza disdegnare quanto poteva capitare dal contrabbando, abbastanza attivo nella zona di confi- ne tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, sebbene questo fenomeno sia stato ancora poco indagato e documentato.
2. Il consolidamento delle Comunit‡ ebraiche nei feudi di confine
Ai primi del Seicento, in un periodo di crisi dovuto a carestie, si ebbero alcune importanti novit‡ nellíassetto politico e istituzionale del territorio di confine della Toscana meridionale. Nel 1601 un nuovo feudo si aggiungeva sullíAmiata a quelli gi‡ esistenti: Piancastagnaio, che veniva eretto in Marchesato e conces- so al nobile Giovan Battista Bourbon del Monte. Subito a Piancastagnaio si in- stallarono ebrei, aggiungendosi cosÏ agli altri gruppi e Comunit‡ vicine.
Nel 1604 gli Orsini, oberati di debiti, cedettero la loro Contea di Pitigliano ai Medici, in cambio del Marchesato di Monte San Savino. Il passaggio fu perfe- zionato nel 1608 con líinvestitura imperiale, cosÏ i Granduchi di Toscana rag- giunsero finalmente líobiettivo, tenacemente perseguito per quasi cinquantían- ni, di disattivare ed assorbire lo staterello di Pitigliano, piccolo ma pericoloso per la sua rilevanza strategica e militare, potendo con le sue Fortezze costituire una grave minaccia o viceversa consolidare il confine meridionale del Grandu- cato. Poco dopo i Medici riuscirono ad acquistare anche Scansano dagli Sforza nel 1615 e Castellottieri con S. Giovanni dagli Ottieri nel 1616. Queste ultime acquisizioni furono aggregate alla Contea di Pitigliano, che rimase autonoma dal resto del Granducato e retta con ordinamenti propri, sicchÈ si creÚ quel par- ticolare organismo amministrativo che prese il nome di ìContea di Pitigliano e annessiî. Anche la Contea di Santa Fiora nel 1633 fu ceduta ai Medici dai conti Sforza, anchíessi indebitati, che perÚ la ricevettero di nuovo in feudo dal Gran- duca, cosÏ la Contea santafiorese rimase a se stante, anche se ormai legata defi-
nitivamente al Granducato di Toscana. Queste importanti modifiche politiche ed istituzionali ebbero notevoli conseguenze per gli ebrei delle localit‡ entrate a far parte dello Stato toscano. Innanzi tutto líavvento dei Medici, visto con preoccupazione, provocÚ líemi- grazione dei banchieri ebrei da Pitigliano, Sorano, Castellottieri e Scansano. Infatti il nuovo regime allíinizio non fu tenero con gli ebrei, che abitavano nei feudi appena acquistati.
Nel 1612 il Granduca Ferdinando I obbligÚ gli ebrei pitiglianesi e soranesi a sborsare 4000 scudi fiorenti- ni, pena lo sfratto dai suoi Stati, per finanziare la co- struzione di una pubblica Fonte e un Acquedotto a Pi- tigliano.
Infine, di fronte allíevidente anomalia di ebrei che vi- vevano liberamente nella Contea a differenza di quelli del Granducato, furono istituiti i Ghetti: a Sorano nel 1619, a Pitigliano nel 1622.
CiÚ non accadde a Scansano e a Castellottieri, proba- bilmente per lo scarso numero di israeliti, che erano rimasti in quelle terre. A Sorano perÚ la formazione del Ghetto avvenne in modo particolare, effettuando la permuta delle case tra gli ebrei e i cristiani del quartiere dove fu istituito il quartiere chiuso. In tal modo gli ebrei rimasero proprietari delle case e riuscirono anche a conservare la propriet‡ di piccoli appezzamenti di terreno.
Simili favorevoli circostanze, nonostante le restrizioni, insieme ad una certa di- namicit‡ commerciale, mantennero gli ebrei soranesi nei primi decenni del ë600 in condizioni complessivamente migliori rispetto ai loro confratelli di Pitiglia- no, costretti nel quartiere chiuso e abbastanza livellati in basso per líemigrazio- ne del banchiere e il salasso economico imposto dal Granduca.
Si spiega probabilmente cosÏ líimmigrazione a Sorano di ebrei facoltosi come i fratelli Daniel e Samuel Arpino e poi David Borghi, tutti venuti da Santa Fiora, e il mercante romano Giuseppe Na- tronai, a cui fu concesso di aprire bot-
tega e tenere casa fuori del Ghetto. Díaltra parte líamministrazione gran- ducale, dopo le prime durezze, ren- dendosi conto del notevole ruolo commerciale, che poteva essere svol- to dagli ebrei della Contea tra lo Stato Pontificio e il porto di Livorno, aveva mitigato di molto i propri atteggia- menti.
CosÏ, non potendo modificare le norme che riguardavano gli ebrei di tutto il
Granducato, agÏ attraverso la concessione di privilegi personali, che in definiti- va interessÚ pressochÈ tutti gli israeliti abitanti nella Contea, a cominciare dallí- esonero dal segno. In tal modo le condizioni di vita per gli ebrei tornarono rapidamente ad essere senzíaltro pi ̆ favorevoli che in altri luoghi, determinando il consolidamento della loro presenza.
Si hanno infatti testimonianze tra la fine del í500 e gli inizi del í600 dellíesi- stenza di Sinagoghe in vari centri della zona feudale, dove ormai si erano for- mate Comunit‡ o almeno gruppi significativi di ebrei: a Pitigliano, dove nel 15- 98 fu eretto il ìtempioî, a Sorano, a Castellottieri, a Scansano, a Piancasta- gnaio, a Proceno.
Le notizie riguardo a questi luoghi provengono in ge- nere dai verbali delle visite vescovili, perchÈ, almeno nella Diocesi di Sovana, a cui appartenevano, il Vesco- vo durante la visita pastorale delle parrocchie era soli- to visitare anche la Sinagoga, controllando come veni- vano tenuti i libri sacri e la Bibbia.
Inoltre Sinagoghe, insieme a cimiteri per gli ebrei, so- no documentate fin dal ë500 anche per Castro, Latera e Santa Fiora. Banchi ebraici rimasero a Castro, benchË la citt‡ fosse molto decaduta, a Onano, a Santa Fiora, e, come abbiamo visto, un banco di prestito fu aperto a Farnese alla fine dellíanno 1600 da Pacifico di Meluccio e dal figlio Prospero, che ripresero ad esercitare il prestito anche a Castellottieri. Inoltre un banco sorse pure a Piancastagnaio, alcuni anni dopo la morte nel 16- 14 del primo Marchese Giovan Battista Bourbon del Monte, che aveva accolto gli ebrei, ma aveva loro assolutamente proibito il prestito ad usura.
Per i primi del Seicento possediamo sicure notizie, che permettono di valutare la consistenza demografica degli ebrei in alcuni centri della zona. Nel 1608 a Pitigliano abitavano 58 ebrei divisi in 15 famiglie, a Sorano 61 isra- eliti anchíessi in 15 famiglie; a Castro nel 1600 cíerano 67 ebrei e a Scansano dopo il 1616 sopravvivevano solo 3 famiglie, probabilmente poco pi ̆ di una decina di persone.
Non si hanno dati precisi in questo periodo per Castellottieri, dove comunque il nucleo ebraico pare ormai ridotto, su Santa Fiora, su Piancastagnaio allora in formazione, su Latera, Proceno, Onano e Farnese. In queste ultime due localit‡ comunque tutto ruotava ñ a quanto pare ñ intorno alla famiglia del banchiere. Si deve notare dunque che ai primi del Seicento le Comunit‡ ebraiche di Piti- gliano e Sorano erano cresciute e si equivalevano, e il loro numero era quasi uguale a quello della Comunit‡ di Castro, di cui Ë evidente la diminuzione, con- nessa alla decadenza della citt‡ dopo la morte del potente cardinale Alessandro Farnese avvenuta nel 1589.
Tuttavia Ë ragionevole ipotizzare che agli inizi del XVII secolo gli ebrei, pre-
senti in dodici terre della zona feudale presa in esame, raggiungessero il nume- ro di 400-500 persone in tutto, di cui circa la met‡ abitanti nei centri di Castro, Pitigliano, Sorano e Santa Fiora. Un caso a parte Ë quello di Sovana, dove gli ebrei erano stati presenti fin dal Quattrocento fino agli ordini di Cosimo I del 1571.
Gli ebrei tornarono di nuovo ai primi del í600 grazie ai provvedimenti emanati dal governo granducale nel 1588-89 per risollevare le sorti della citt‡ di Sova- na, in grave stato di desolazione e di abbandono per la malaria. Con i successivi provvedimenti del 1612 vennero concessi numerosi privilegi, tra cui líassegnazione di case e terreni a chi venisse ad abitare a Sovana, senza distinzione alcuna.
Si verificÚ allora un singolare fenomeno, per cui anche gli ebrei ebbero parte nel tentativo di ripopolamento di Sovana, pur essendo la citt‡ compresa nel ter- ritorio granducale dellíex Stato Senese e per di pi ̆ sede di Capitanato di Giusti- zia.
Ne sono riprova le garanzie offerte da Aronne di Bonaiuto, ebreo con notevoli interessi a Castellottieri, per favorire líimmigrazione di famiglie israelite a So- vana e la concessione nel 1616, da parte del Granduca, di un importante privile- gio di esenzione dal segno per tutti gli ebrei che venissero a Sovana ad esercita- re il commercio, líartigianato, líagricoltura, con la sola proibizione di abitare sotto lo stesso tetto dei cristiani.
Nel 1615 a Sovana abitavano gi‡ sei o sette famiglie di ebrei, con botteghe a- perte nella citt‡. Ma il tentativo di ripopolare Sovana anche con ebrei non durÚ a lungo e si scontrÚ
con le difficili condizioni ambientali: una decina díanni dopo, a causa della malaria, della cattiva amministrazione locale e de- gli atteggiamenti eccessivamente protezio- nistici dellíArte della Lana di Siena, nella citt‡ maremmana, dove ìsi trovavano sette o otto fondachi Ö di presente non ve ne sono nessunoî. Tuttavia la concessione di case e terre continuÚ a richiamare nella de- relitta citt‡ qualche famiglia israelita. Per- ciÚ a Sovana durÚ per quasi tutto il secolo il fenomeno di immigrazione- emigrazione di ebrei, provenienti da luoghi vicini come Sorano, Castellottieri, Onano, Proceno, Santa Fiora o da pi ̆ lontano, come Roma, Siena, Borgo San Sepolcro, lo Stato di Urbino, senza perÚ che si formasse in citt‡ un nucleo e- braico in modo stabile.
Intorno al 1636 risulta presente a Piancastagnaio il banchiere Ferrante Passigli, che nel 1626 aveva ottenuto dagli Orsini la condotta di banco di Monte San Sa- vino. Egli, collegandosi commercialmente con altri ebrei di Pitigliano, Sorano e
Castellottieri contribuÏ ad inserire la zona in un pi ̆ vasto circuito commerciale regionale e interregionale. Díaltra parte il nucleo ebraico di Piancastagnaio, che non andÚ mai oltre una cinquantina di individui, si collegÚ strettamente al banco di prestito fino alla sua estinzione.
Pochi anni dopo si registra una certa tendenza ad una polarizzazione degli ebrei della zona verso Pitigliano: nel 1644 la popolazione israelita pitiglianese ñ fra cui si cominciano a trovare individui immigrati da Scansano, Sorano, Castellot- tieri, Proceno ñ cominciÚ ad avvicinarsi al centinaio di persone, superando cosÏ nettamente quella di Sorano, in diminuzione a causa delle difficolt‡ economi- che del paese.
Questo fenomeno si accentuÚ con la distruzione della citt‡ di Castro avvenuta nel 1649; varie famiglie di ebrei provenienti dalla citt‡ distrutta si sparsero nei luoghi feudali della zo- na vicina.
A Pitigliano líimmigrazione castrense non superÚ le 6-7 famiglie perchÈ, nonostante le numerose richie- ste, fu difficile trovare posto nei Ghetti della Contea. Molto importante fu perÚ il trasferimento a Pitiglia- no dellíaronoth di Castro e probabilmente dellíar- genteria della sua Sinagoga.
CiÚ rese Pitigliano come una sorta di erede morale della dispersa Comunit‡ ebraica castrense e ne raf- forzÚ perciÚ notevolmente il ruolo nella zona. Díaltra parte, distrutta Castro, Pitigliano rimaneva nel territorio feudale il centro pi ̆ popoloso, in cre- scita demografica ed economica, sede di magistrature come capoluogo delle Contee medicee, e si avviava di lÏ a poco a raccogliere anche líeredit‡ di Sova- na con il trasferimento di fatto del Vescovo diocesano.
Ne abbiamo una riprova nella vertenza che si sviluppÚ nel 1678 tra gli ebrei della Comunit‡ di Sorano e quella di Pitigliano, ormai non pi ̆ numericamente alla pari. Ma i balzelli e le contribuzioni venivano ancora ripartiti in parti uguali tra le due Comunit‡ ebraiche e gli israeliti soranesi dovevano cosÏ pagare individual- mente di pi ̆ di quelli di Pitigliano, pur essendo diventati ormai pi ̆ poveri. PerciÚ richiesero che la ripartizione venisse fatta ìa testaî e, dopo una accesa controversia, il Granduca dette loro ragione.
Díaltra parte gli ebrei di Sorano erano scesi ad un numero inferiore alla cin- quantina, mentre quelli di Pitigliano avevano superato il centinaio, usufruendo in parte anche dellíestinzione del nucleo ebraico di Castellottieri e dellíesaurirsi del flusso di ebrei verso Sovana.
Il rafforzamento della Comunit‡ di Pitigliano, attraverso al circolazione e lo spostamento tra i luoghi feudali di famiglie israelitiche, a sua volta tenne in vita
pi ̆ a lungo i gruppi ebraici di Scansano e di Sorano, dove andarono ad abitare alcune famiglie di ebrei pitiglianesi, e in parte alimentÚ anche la Comunit‡ e- braica di Santa Fiora. » senzíaltro interessante soffermarsi sulla provenienza, diretta e indiretta, delle famiglie ebraiche che si insediarono nelle terre feudali dalla seconda met‡ del Cinquecento alla fine del Seicento.
In molti casi, come Ë piuttosto usuale per gli israeliti, la provenienza Ë docu- mentata dal luogo di residenza precedente, che poi si trasforma in vero e pro- prio cognome. Innanzi tutto si deve considerare che la fondazione del Ducato di Castro nel 15- 37 portÚ nella citt‡ divenutane la capitale un numero consistente di ebrei prove- nienti dallo Stato Pontificio e dalla bassa Toscana; si ha notizia di famiglie e- bree provenienti da Roma, Montefiascone, Viterbo, Tivoli, Formello, Nerola, Toffia, Ancona, Tolentino, Spoleto, Trevi, e inoltre da Sarteano, S. Casciano dei Bagni, Pitigliano, Sovana.
Abbiamo visto che da Castro, a seguito dei provvedimenti restrittivi del 1569, varie famiglie emigrarono nei vicini feudi, come Amadio di Abramo da Toffia a Castellottieri, i fratelli Simone e Rubino di Consolo da Spoleto rispettivamente a Scansano e a Castellazzara.
Si deve aggiungere il cognome Capranica, che indica una provenienza dalla lo- calit‡ di tal nome, che a quel tempo faceva parte dei domini dei Farnese nellíal- tro feudo di Ronciglione. » evidente che le vicende delle Comunit‡ ebraiche delle terre di confine, legate in buona parte alle espulsioni della seconda met‡ del Cinquecento, favorirono il prevalere di famiglie ebree provenienti dallo Stato Pontificio e in misura mino- re dalla Toscana, come i Da Rieti a Pitigliano, i Borghi a Santa Fiora e a Sora- no, i Passigli a Piancastagnaio.
Anche successivamente la provenienza dallo Stato Pontificio, con una accen- tuazione dal territorio delle Marche, Ë attestata da cognomi romani come La- gnetti a Sovana, Pavoncello e Spizzichino a Pitigliano, dove si rinvengono co- gnomi di ascendenza marchigiana come Pergola, Pesaro, Montefiore, Urbino, Camerino, e inoltre i Montebarroccia a Piancastagnaio e poi a Sovana e a Piti- gliano
Osserva giustamente Ariel Toaff che ìÖquasi tutti giungono in queste comuni- t‡ con un processo ìdi ritornoî, cioË passando prima per i ghetti di Firenze, di Siena e soprattutto di Romaî e inoltre che ìnon va sottovalutata in queste co- munit‡ Ö la presenza di una forte componente di origine sefardita, quivi giunta in seguito allíespulsione dal Regno di Napoli del 1541î. CosÏ i Ceprano, i Na- tronai e i Sadun a Sorano, i (da) Arpino a Santa Fiora e poi a Sorano, i Capua a Pitigliano, gli Spagnoletto a Valentano, Castro e poi a Pitigliano, erano ìtutti profughi dal Regno di Napoli, che si erano trattenuti per qualche tempo a Ro- ma, iscrivendosi alla Scola catalana e aragoneseî.
Anche i Passigli, venuti a Piancastagnaio da Monte S.Savino e prima ancora da
Firenze, erano una famiglia giunta dalla Spagna e rifugiatasi nel Regno di Na- poli dopo la cacciata dalla penisola iberica. In proposito le tracce di ebrei di ascendenza spagnola nei feudi di confine sono piuttosto scarse: oltre alla presenza della famiglia Spagnoletto si puÚ aggiunge- re quella piuttosto tarda, di Daniello díAbramo Suarez a Sovana nel 1667. Tuttavia Ë interessante la ininterrotta tradizione orale della Comunit‡ di Piti- gliano, che designava il proprio forno delle azzime, particolarissimo ambiente ricavato in grotta nel Ghetto, come ìforno dei marraniî.
Si deve inoltre ricordare che dopo la distruzione di Castro del 1649, si trovano varie famiglie designate come Da Castro a Pitigliano, Sorano, Sovana, Santa Fiora e nello stesso periodo si formano cognomi di famiglie ebraiche da alcuni dei luoghi di confine, come Scansano e Sorano (poi alla toscana divenuti Scan- sani e Sorani, come díaltra parte era accaduto per Spagnoletto/Spagnoletti, Spoleto/Spoleti, dal Borgo/Borghi ecc.).
3. Líestinzione degli insediamenti ebraici e la concentrazione a Pitigliano
Agli inizi del Settecento si verificÚ la tarda istituzione del Ghetto a Santa Fiora; il conte Gaetano Sforza nel 1714 lo istituÏ ñ o piuttosto lo ripristinÚ ñ su pres- sioni ecclesiastiche, costringendovi gli ebrei ìnellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta, stando prima (essi) in diverse case in mezzo ai cristiani Öî, no- nostante che il suo predecessore, il Duca Federico Sforza, appena pochi anni prima nel 1708 avesse confermato agli ebrei santafioresi gli importanti privile- gi, di cui da tempo godevano.
Díaltra parte Gaetano Sforza, nel tentativo di trarre i maggiore profitto possibi- le dal suo feudo, consentÏ la riapertura di un banco ebraico a Santa Fiora, pur- chÈ gli venissero pagati 20 scudi allíanno. Tale banco di prestito ebbe vita ecce- zionalmente fino quasi alla met‡ del Settecento, quando da tempo questo gene- re di attivit‡ era dappertutto estinta.
Anche il banco di prestito di Piancastagnaio era stato chiuso agli inizi del seco- lo e il gruppo ebraico pianese si era avviato cosÏ allíestinzione. Intanto la Co- munit‡ ebraica di Pitigliano continuÚ a rafforzarsi, non solo con líimmigrazione da localit‡ vicine, ma attraendo ebrei anche da Siena e Firenze e da varie zone dello Stato Pontificio, coma Roma, Senigallia, Urbino ecc., specialmente nel periodo compreso tra il 1735 e il 1750.
Al suo interno la Comunit‡ pitiglianese si era ormai notevolmente differenziata anche economicamente: cíerano famiglie ricche, che esprimevano i Massari e quindi il governo della Comunit‡, e famiglie povere, che perÚ non accettavano pi ̆ una ripartizione dei contributi comunitativi per semplice divisione.
Infatti nel 1746 i pi ̆ poveri presentarono una istanza per una ripartizione delle contribuzioni proporzionale ai beni di ciascuno. LíAuditore della Contea accol- se in parte la richiesta, stabilendo che per un terzo si continuasse a ripartire ìa testaî le gravezze ordinarie, mentre líimposizione per quelle straordinarie si do-
veva fare in proporzione agli averi. Il problema venne poi di nuovo risollevato nel 1781, quando gli ebrei pi ̆ poveri chiesero che le tasse venissero ripartite per censo. Díaltra parte gi‡ nel 1734 gli ebrei di Sorano erano riusciti ad ottenere lo sgra- vio di 12 su 36 scudi della tassa sui birri, che ancora veniva pagata a met‡ con i correligionari di Pitigliano.
La Comunit‡ ebraica di Sorano aveva cominciato ad avvertire la crisi che la porter‡ allíestinzione; le famiglie israelite soranesi intorno al 1730 erano scese a dodici ìe sempre qualcuna ne sfratta da quel luogo, mentre nessuna di loro ha traffico in quel paeseî.
Particolarmente intraprendente risulta in questo periodo líebreo pitiglianese Salomone Servi, titolare di numerose iniziative economiche, anche con líimpie- go di rilevanti capitali, come líaffitto della Contea di Santa Fiora. Le profonde riforme intraprese in Toscana dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena offriro- no anche agli ebrei pitiglianesi altre interessanti opportunit‡.
Alcuni di loro infatti poterono partecipare ai benefici derivanti dalla grandiosa smobilitazione fondiaria del Demanio granducale nelle Contee, che portÚ allía- lienazione di circa 11000 ettari di terreno, insieme ad edifici ed opifici, per la formazione della piccola propriet‡ privata.
CosÏ i fratelli Abramo e Rafael di Salomone Servi comprarono una tenuta, un podere e due mulini da grano, mentre Angelo Servi e Giuseppe Sadun acquista- rono un frantoio a Pitigliano e un mulino e un frantoio a Sorano. Con le riforme comunitative del 1783-1785 gli ebrei si videro concedere pure la possibilit‡ di essere eletti consiglieri comunali. Di conseguenza alla fine del ë700 si ebbero i primi rappresentanti ebrei nel Consiglio comunale di Pitigliano e in quello di Sorano, sebbene in questíultimo si trattasse di ebrei pitiglianesi possessori di terre nel vicino Comune di Sorano.
In tal modo, mentre i gruppi ebraici di Scansano e di Piancastagnaio si erano estinti nella prima met‡ del í700 e le Comunit‡ ebraiche di Sorano e di Santa Fiora cessarono la loro esistenza nella seconda met‡ del secolo, la Comunit‡ di Pitigliano, dapprima oscillante tra i 150 e i 200 individui, superÚ le 200 unit‡ prima della fine del secolo, per avviarsi, ormai da sola, verso il suo periodo di massima prosperit‡. Intanto nel 1778 la Comunit‡ ebraica di Pitigliano si era meglio organizzata con un apposito Regolamento, approvato dallíUffico del Commissario di Grosseto.
E proprio alla fine del ë700 accadeva il fatto che doveva cementare definitiva- mente un rapporto del tutto eccezionale di convivenza tra ebrei e cristiani a Pi- tigliano. Líepisodio Ë ormai noto: nel 1799, nellíambito della reazione sanfedi- sta allíoccupazione francese, un gruppo di dragoni giunti a Pitigliano da Orvie- to, cominciarono a taglieggiare gli ebrei, a offendere il loro luogo di culto e a commettere varie violenze e soprusi. Ma incontrarono líinaspettata reazione della popolazione cristiana, che si sollevÚ in armi in difesa degli ebrei, ucciden- do alcuni dragoni e cacciando gli altri.
Líepisodio di Pitigliano si differenziÚ del tutto da quanto accadde in altre parti della Toscana, dove gli ebrei subirono gravi violenze come a Siena o Comunit‡ intere vennero cancellate come a Monte San Savino. Díaltra parte quanto accadde nel 1799 a Pitigliano si poneva al culmine non so- lo del periodo immediatamente precedente, in cui con le riforme lorenesi si era avviato un netto processo di maggiore integrazione degli ebrei allíambiente lo- cale, ma di un pi ̆ lungo periodo che, pur attraverso luci ed ombre, aveva visto nel territorio feudale líinstaurarsi sia di rapporti economici, sia di relazione e talora di familiarit‡ tra ebrei e cristiani, in ciÚ favoriti dallíeccezionalit‡ delle condizioni di vita permesse agli ebrei nella zona, da un atteggiamento in genere non ostile sia delle autorit‡ civili che del clero, dal comportamento equilibrato di alcuni Vescovi di Sovana.
Pitigliano, divenuto erede delle Comunit‡ ebraiche di tutta la zona, riceveva in eredit‡ anche tutto questo e líepisodio del 1799 determinÚ la svolta definitiva verso una convivenza pacifica, che, partendo dai tempi delle ìcitt‡-rifugioî del í500, andÚ a costituire sostanzialmente la sua caratteristica peculiare.
Nel corso dellíOttocento e poi nel Novecento Pitigliano, che aveva assorbito le Comunit‡ ebraiche del territorio, divenne a sua volta centro di disseminazione di ebrei nel territorio. Per ragioni commerciali ebrei pitiglianesi tornarono ad abitare luoghi prossimi della Maremma toscana, come Scansano, Manciano, Montemerano, Sorano e Grosseto, e luoghi vicini dellíalto Lazio, come Acquapendente, Grotte di Ca- stro, Gradoli e Latera.
Ma in nessuno di questi luoghi si formÚ una Comunit‡ autonoma, nemmeno dove gli ebrei furono abbastanza numerosi come a Manciano, perchÈ tutti rima- sero legati spiritualmente alla Comunit‡ di Pitigliano, alla cui Sinagoga torna- vano abbastanza regolarmente per le feste pi ̆ importanti dellíanno ebraico. Díaltra parte nel corso dellíOttocento la Comunit‡ ebraica pitiglianese visse il suo periodo pi ̆ fulgido, superando il numero di 400 ebrei con una percentuale altissima ñ 12-13% ñ rispetto al resto della popolazione della cittadina, con no- tevoli istituzioni locali come il Pio Istituto Consiglio .
La Comunit‡ ebraica di Pitigliano espresse personaggi di rilievo non solo in campo locale, come Cesare Sadun, a cui si deve la riscoperta e la valorizzazio- ne delle miniere di mercurio dellíAmiata, o come líing. Temistocle Sadun, che nel 1898 portÚ la luce elettrica a Pitigliano e Sorano, ma anche in campo na- zionale, come i rabbini Flaminio e Ferruccio Servi e Dante Lattes, cosÏ da giu- stificare líappellativo di ìpiccola Gerusalemmeî meritato da Pitigliano.
Pitigliano ebraica
ìTerra di rifugioî, ìPiccola Gerusalemmeî. Comunit‡ di estinzione, comunit‡ che rinasce.
Elena Servi
CosÏ si potrebbe sintetizzare, molto rapidamente, la storia della Comunit‡ e- braica di Pitigliano; ma questa Comunit‡ vive e scrive la sua storia per oltre quattro secoli, in un alternarsi di vicende e di eventi ora positivi e lieti, ora ne- gativi e drammatici ora insperatamente propizi: Ë doveroso, quindi scriverne in modo esauriente.
Davide di Pomis, ebreo di Spoleto (citt‡ allíepoca facen- te parte dello Stato Pontificio) che giunse qui nel 1556 come medico personale del Conte NiccolÚ IV Orsini, de- nominÚ Pitigliano ìterra di rifugioî. Egli fu il primo e- breo la cui presenza nel paese Ë storicamente provata dai documenti díarchivio dellíepoca.
Fu al servizio del Conte di Pitigliano fino al 1562 e da lui ottenne un appezzamento di terreno nel quale seppellire la moglie, morta durante la sua permanenza nel paese. Da quella prima tomba ebbe origine il Cimitero ebraico di Pitigliano, ormai ultrasecolare, ma ancora curato ed attivo.
Altri ebrei si aggiunsero al medico in quegli anni ed altri ne vennero dopo di lui. Dagli Orsini ebbero privilegi che, al tempo, non era facile ottenere in altri luoghi e agli Orsini e alla popolazione gli ebrei dettero ciÚ di cui avevano biso- gno: un banco di prestito su pegno; esperti artigiani, piccoli commercianti che mancavano ad uníeconomia essenzialmente rurale e certo non agiata comíera, in quegli anni, líeconomia di Pitigliano.
Líinsediamento ebraico, dunque, si era ormai formato e il numero dei suoi membri si era cosÏ accresciuto, tanto che nel 1598 un tessitore ñ Jeud‡ ben Shabbatai ñ fece edificare una Sinagoga pi ̆ grande, come quella attuale, sul piccolo oratorio nel quale i primi ebrei giunti a Pitigliano si erano fino a quel momento riuniti per la preghiera e per lo studio.
Quando, allíinizio del secolo successivo, la Contea di Pitigliano passÚ dagli Or- sini ai Medici ñ signori di Firenze che ambivano estendere il loro dominio su tutto il territorio toscano ñ le cose cambiarono per gli ebrei di Pitigliano e, pur- troppo, non cambiarono in meglio: furono costretti a vivere in un ghetto (come del resto, gli ebrei di altre citt‡); a portare un segno che li distinguesse dal resto della popolazione; a pagare tasse e tributi urgenti.
E il rapporto con la popolazione? Non buono, soprattutto inizialmente, con al- cuni membri della borghesia locale; migliore con i pi ̆ semplici ed umili. Fu con i granduchi di Toscana della famiglia dei Lorena ñ principi illuminati e
liberali ñ che nel secolo XVIII e nella prima met‡ del XIX, la situazione degli ebrei di Pitigliano cambiÚ radicalmente: abolito in pratica il ghetto, riconosciuti di fatto agli ebrei i diritti fondamentali, la Comunit‡ ñ nel frattempo molto au- mentata di numero, fino a raggiungere e forse a superare i trecento membri ñ vive la sua epoca di massimo sviluppo e di organizzazione completa.
CíË tutto quanto puÚ servire ad una Comunit‡ ebrai- ca: oltre alla Sinagoga (restaurata ed arricchita di dorature e di stucchi) e al cimitero, suggestivo e molto ben curato, funzionano una scuola elementare ed una materna; una jeshiv‡, una biblioteca ricchis- sima, un forno per la preparazione e la cottura del pane azzimo; un bagno rituale, un locale per la ma- cellazione Kasher, oltre ad alcune istituzioni di mu- tuo soccorso.
Non si puÚ non ricordare che a Pitigliano nacque, e trascorse gli anni dellíinfanzia e della prima adole- scenza, uno dei pi ̆ insigni studiosi dellíebraismo italiano: Dante Lattes ed altri figli di Pitigliano: MoisË Sorani, Flaminio Servi, Samuele Colombo, furono guide e insegnanti nelle principali Comunit‡ e nei collegi rabbinici italiani. Na- sce cosÏ, per Pitigliano, líappellativo ìLa piccola Gerusalemmeî. Nel luglio del 1799, alcuni facinorosi provenienti dalla vicina Orvieto entraro- no minacciosi nel ghetto, sottoposero gli ebrei a soprusi inauditi, insultarono il Rabbino e profanarono la Sinagoga, sordi anche alle proteste di qualche rappre- sentante del clero locale. Gli agricoltori che tornavano dal lavoro nei campi insorsero allora in difesa de- gli ebrei e sopraffecero gli Orvietani prepotenti e arroganti. Fu da quel giorno che i rapporti fra le due anime di Pitigliano ñ la cattolica e líebraica ñ divennero difinitivamente aperti, amichevoli, in molti casi stretti ed affettuosi, nel pieno rispetto reciproco della fede di ciascuno. La presenza ebraica, del resto, giova allíintero paese, economicamente, social- mente, culturalmente e di questo i cattolici diventano consapevoli. LíItalia, intanto, va cambiando fino a raggiungere la quasi completa unit‡ terri- toriale e politica. Nel 1861 viene proclamato il Regno díItalia sotto la casa Savoia e gli ebrei fi- nalmente, dopo secoli di discriminazioni e di sofferenze, ottengono líugua- glianza di diritti e di doveri, al pari di tutti i cittadini italiani. Inizia da quel momento, perÚ, la parabola discendente della Comunit‡ di Piti- gliano: molti dei suoi figli decidono di andare verso le citt‡ pi ̆ grandi ñ in par- ticolare Roma e Firenze ñ ora che tutte le facolt‡ universitarie si aprono anche agli ebrei, ora che Ë possibile svolgere ogni attivit‡ professionale. Ma i figli lontani non dimenticano quella che fu ìterra di rifugioî per i loro an- tenati: tornano a pregare nel piccolo Tempio per festivit‡ pi ̆ solenni; scelgono, molti di loro, il suggestivo Cimitero per il riposo eterno.
Se pure diminuita di numero, la Comunit‡ Ë ancora viva, finchÈ le leggi razziali imposte dal governo fascista non si abbattono come un fulmine, nel 1938, su tutti gli ebrei italiani, cambiandone radicalmente líesistenza. Molte famiglie che perdono il lavoro nelle strutture pubbliche, lasciano Pitiglia- no, ancora per Roma e per Firenze, per cercare l‡ uno sbocco futuro per sÈ e per i propri figli: non torneranno pi ̆.
Nel 1943-44, con líinvasione nazista, inizia la caccia allíebreo e le poche fami- glie rimaste fino ad allora in Pitigliano si disperdono per le campagne circo- stanti, in cerca di un rifugio: Ë allora che si dimostra pi ̆ ampia e generosa la solidariet‡ degli amici cattolici e perfino di tante persone semplici, che mai pri- ma avevano avuto modo di conoscere e di avvicinare un ebreo.
Rischiando la propria vita, aprono le loro case, nascondono, proteggono, aiuta- no con ogni mezzo, salvano i fuggiaschi disperati. Finito il secondo conflitto mondiale, ben pochi sono ormai gli ebrei a Pitiglia- no; il Tempio si apre soltanto una volta líanno, nel giorno di Kippur, quando si puÚ contare su coloro che tornano da fuori.
E agli inizi degli anni í60, anche il Tempio secolare cede: non Ë stato possibile evitarne il crollo parziale, malgrado il tentativo fatto per reperire i fondi, attra- verso una sottoscrizione aperta sul giornale ìIsraelî. Pochissimi sono i soldi raccolti, del tutto insufficienti per riparare i guasti, pri- ma che accada líirreparabile. ìLa piccola Gerusalemmeî Ë ormai una Comunit‡ finita.
Passano cosÏ molti anni: triste veder la rovina di quello che fu il quartiere ebrai- co, un tempo pulsante di vita operosa e di fervore religioso. Ma Pitigliano rimpiange la sua Comunit‡ ebraica, soffre per quello squarcio a- pertosi nel suo panorama stupendo, ora che Sinagoga, biblioteca, scuola, forno delle azzime non sono che ruderi spettrali.
Nel frattempo, perÚ, la Cantina Cooperativa inizia la produzione del vino Ka- sher, sotto la sorveglianza del Rabbino capo di Livorno: sar‡ di buon auspicio per mia futura rinascita della vita ebraica in Piti- gliano? Sembra proprio di si: negli anni í80 líam-
ministrazione comunale, con a capo il sindaco Au- gusto Brozzi, si fa promotrice della ricostruzione della Sinagoga. Non sono pochi i problemi, gli ostacoli, anche bu- rocratici, da superare; ma finalmente il 23 marzo 1995 la Sinagoga di Pitigliano, completamente re- staurata secondo líantico aspetto, spalanca le sue porte a tanti ebrei e a tanti cattolici convenuti insie- me per celebrare líevento che ha quasi del miraco- loso, e i canti antichi e le antiche preghiere della ìPiccola Gerusalemmeî tornano ad echeggiare al suo interno, fra la commozione generale.
Da quel giorno, molta strada si Ë percorsa e molta ci si Ë impegnati a percorrere ancora: uníassociazione (ìLa piccola Gerusalemmeî non a caso) voluta e costituita dagli ultimi ebrei rimasti in Pitigliano, ed aperta anche ai non ebrei, ha allestito una mostra permanente di cul- tura ebraica nei locali del matroneo adiacente alla Sina- goga e svolge uníintensa attivit‡ per conservare il patri- monio storico culturale dellíantica Comunit‡ di Pitiglia- no e per diffondere la conoscenza della cultura ebraica in generale.
La nostra, la Sinagoga, il Cimitero nuovamente restaura- to, sono meta di numerosissimi visitatori provenienti da ogni parte díItalia, dellíEuropa e del resto del mondo. Uníimponente opera Ë in atto da parte del Comune di Pitigliano, della Provincia di Grosseto, della Co- munit‡ Montana ìColline del Fioraî e con il contributo della Regione Toscana, per riportare alla luce tutti i locali sottostanti la Sinagoga, in gran parte scavati nel tufo, che costituivano il ghetto antico; la macelleria e la cantina, il forno, il primo oratorio, i resti del bagno rituale, i pozziÖ Un patrimonio storico unico in tutta la nostra provincia e, forse, in tutto il terri- torio nazionale. Líantico oratorio accoglier‡ la mostra gi‡ esistente, per diventa- re un vero e proprio museo ebraico, per arricchire il quale confidiamo nelle do-
nazioni di correligionari generosi e, so- prattutto, nella restituzione, almeno in parte, degli oggetti sacri trasferiti dalla nostra Sinagoga a Roma, a Livorno ed anche in Israele, al momento del crollo. Uníaltra stanza sar‡ adibita a sala per conferenze, congressi, concerti Ö. Anche nel forno, forse, si torner‡ a preparare e a cuocere il pane azzimo. Nella Sinagoga ricostruita, intanto cinque coppie negli
ultimi due anni hanno celebrato il loro matrimonio (quattro provenivano da I- sraele): hanno scelto Pitigliano senza avere con esso nessun legame precedente, ma attratti dalla sua storia e dalla sua bellezza particolare. Diverse famiglie di ebrei non italiane ad eccezione di una hanno acquistato qui la loro seconda casa; un comitato per Pitigliano ebraica Ë stato costituito negli Stati Uniti, su iniziativa e a cura della signora Judith Roumani di Potomac: si prevede che un folto gruppo di Americani si incontreranno qui per celebrare i ìsedariviî del prossimo Pesach. Altre iniziative importanti sono in programma. Si puÚ ben dire, dunque: ìPitigliano, una Comunit‡ ebraica che rinasce!î
Banchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVII secolo
Bonafede Mancini
LíAlta Tuscia, líarea geografica pi ̆ a nord della provincia di Viterbo compren- dente i centri al confine con la Toscana (propaggini del Monte Amiata) ed Um- bria, líintero apparato dei Monti Volsini a sud, il Mar Tirreno fino al Fiora ad occidente e il Paglia ad est, intorno alla met‡ del XVI secolo, amministrativa- mente e politicamente appariva un territorio meno accentrato rispetto a quello del secolo successivo. Come quello della Toscana Meridionale, costituito dalla contee di Pitigliano (compredente: Sorano e Montevitozzo), di Santa Fiora (CastellíAzzara, Scansano), di CastellíOttieri (San Giovanni e Montorio) e dal- la Repubblica di Siena, cosÏ il territorio dellíAlta Tuscia viterbese, nella sua frammentazione politica di staterelli allíinterno dello Stato Pontificio, include- va il Ducato di Castro (Arlena di Castro, Bisenzio, Canino, Capodimonte, Cel- lere, Gradoli, Grotte di Castro, Ischia di Castro, Marta, Montalto di Castro, Mu- signano, Pianiano, Piansano, Tessennano, Valentano, le due isole della Bisenti- na e della Martana), i feudi appartenenti alla famiglia dei Monaldeschi della Cervara (Onano ñ fino al 1561 ñ, Torre Alfina, Trevinano), dei Farnese dellíe- ponimo ramo di Farnese e Latera, degli Sforza di Santa Fiora (Proceno e Ona- no), le citt‡ di Montefiascone e Acquapendente. Questi due centri, grazie alla via Francigena (SS. Cassia), fin dal XIV secolo avevano avviato una vivace serie scambi commerciali con Roma a sud, e con Siena e Firenze a nord. Vere enclavi giurisdizionali di diocesi allíinterno dello Stato della Chiesa erano Pro- ceno e Onano i cui castelli, fin dalla fondazione del vescovato facevano parte della diocesi di Sovana e solo dopo il 1785, con la permuta di Capalbio e Man- ciano, hanno cominciato a far parte di quella di Acquapendente.
La conclusione della guerra di Siena (1552-1559) a favore di Cosimo I Medici e le successive annessioni delle terre di frontiera della Toscana meridionale al Granducato cosÏ come líaccentramento politico voluto nel 1592 da Clemente VIII (bolla del Buon Governo) allíinterno dello Stato Pontificio, ridussero solo in modo parziale le antiche autonomie di cui godevano questi staterelli di confi- ne. Del resto anche le particolari condizioni morfologiche del territorio, diffici- le da controllare per la presenza di folte macchie, forre, corsi díacqua, agevola- vano i contatti e gli scambi di persone e merci spesso ai margini della legalit‡ e del potere centrale. CiÚ rende comprensibili i motivi per i quali, nonostante la bolla Hebraeorum gens (26 febbraio 1569) di Pio V (1566-1572) che disponeva líespulsione degli ebrei dallo Stato Pontificio o la concentrazione nei due soli ghetti di Roma ed Ancona e quella successiva Caeca et obdurata hebraorum perfidia (25 febbraio 1593) di Clemente VIII (1592-1605), i provvedimenti pa- pali non ebbero che applicazione parziale nei centri di confine dellíAlta Tuscia in considerazione anche del fatto che il pontefice, pochi mesi dopo (2 luglio 15- 93), riconosciuti i vantaggi che i mercanti ebrei recavano allíeconomia dello
Stato, cercÚ presumibilmente di limitarne líesodo. Lo stesso dicasi per i centri toscani di confine cosÏ, benchÈ inizialmente Cosi- mo I non applicasse le norme antiebraiche di Paolo IV nel suo Stato, col bando del 1567 (7 maggio) che imponeva il segno di riconoscimento agli ebrei, il Me- dici si allineava alla curia Romana tanto che nel 1569 (27 agosto) da Pio V gli venne conferito il titolo di granduca di Toscana. Brusco irrigidimento che in quegli stessi giorni terminÚ con la chiusura del confine toscano ai profughi pontifici per il fatto che ìS.E. ha tanti ebrei nelli Stati suoi, che non ne vuol pi ̆, volendo riempire le Maremme de cristiani e non díebreiî. Líingresso nel Gran- ducato fu vietato a quegli ebrei che ìvivono díopere manuali di lana, di scarpe, et simili exercitiiî con la sola eccezione per gli ebrei levantini. Giova ricordare che solo nel 1608, con la cessione di Giovanni Antonio Orsini a Ferdinando I, la contea di Pitigliano iniziÚ a far parte del Granducato di Toscana. Tra le intransigenti azioni antiebraiche di Pio V e Clemente VIII si inserisce il pontificato di Sisto V (1585-1590). Con il breve Chri- stiana pietas (22 ottobre 1586), il pontefice autorizza- va gli ebrei ad insediarsi in tutti i luoghi murati dello Stato Pontificio ìcitt‡, castelli grosse e terre [Ö] ec- cettuate le ville e borghiî, senza obbligo di portare il segno in viaggio, con la facolt‡ di esercitarvi la medi- cina, di impiegare manodopera cristiana, di svolgere ogni tipo di commercio, compreso quello dei grani e dei generi alimentari essenziali. Da questi privilegi inerivano la riattivazione di comunit‡, sinagoghe e cimiteri; il tasso di prestito, col motu proprio del 158- 9 (4 gennaio), fu fissato al 18 per cento. Líintensa opera di riforma attuata da Sisto V conteneva anche una riorganizzazione finanziaria che introduceva una tassa di ingresso e di residenza nello Stato Pontificio per ogni ebreo maschio dai 15 ai 60 anni (rispettivamente di 20 giuli e 12 annui). Uníimposta di bene entrata era gi‡ prevista nel 1566 (22 gennaio) a Castro per il cui ingresso Cre- scenzio di Meluccio, unitamente ai suoi soci di banco (Simone, Rubino, Mene- seo e Flaminio) pagarono 10 fiorini. Come lascito testamentario appare anche una quota che gli ebrei residenti nelle diocesi di Sovana, Castro e Orvieto dove- vano versare al vescovo al momento della loro morte (quota gi‡ regolata nei primi decenni del XVI secolo): in genere 10 soldi per ogni canonica porzione. La maggiore o minore mobilit‡ di banchieri e mercanti ebrei nei centri di confi- ne dellíalto Lazio e bassa Toscana, come indicato, era condizionata dalla politi- ca voluta dalle autorit‡ centrali e periferiche di questi due stati. Mobilitazione coatta che poteva tuttavia risultare anche economicamente vantaggiosa per il fatto che i banchieri ebrei espulsi, recandosi da uno Stato allíaltro, potevano ap- plicare ai prestiti interessi maggiorati anche del 6% (da18 al 24) ai clienti dive- nuti ora forestieri, e praticare una sorta di prestito circolare da un stato allíaltro. La conferma di questi privilegi ed autonomie nelle terre di confine ci viene dal-
la testimonianza di David de Pomis il medico ebreo spoletino che, dopo essere stato costretto dai provvedimenti di Paolo IV a lasciare la condotta di Magliano Sabina, prestÚ servizio prima presso i conti Orsini di Pitigliano e poi presso gli Sforza di Santa Fiora (1562-1565 ca.). Precisava il de Pomis nel 1587 come tra il confine pontificio e quello toscano esistesse un certo numero di ́citt‡ rifu- gioa per gli ebrei: delle accomandigie ossia feudi papali e imperiali, che una serie di privilegi e convenzioni svincolavano dallíuno o dallíaltro stato. Il me- dico, salutava Sisto V, dedicando al pontefice del dialogo il suo Zemah David. Dittionario novo ebraico, dato alle stampe a Venezia con i tipi di Giovanni de Gara.
In questo contesto storico pi ̆ generale vanno ad inserirsi le piccole comunit‡ o gruppi di ebrei, banchieri e mer- canti, che hanno operato nelle citt‡ rifugio dello Stato Pontifi-
cio tra la met‡ del XVI secolo e i primi due decenni di quello successivo. Se si escludono gli studi iniziati da A. Biondi per alcuni centri del Ducato di Ca- stro (Valentano, Gradoli) e La- tera e le poche notizie contenute in R. G. Salvadori, non esistono per líAlta Tuscia viterbese ri- cerche sistematiche che permettano di comprendere nella sua complessit‡ il fe- nomeno oggetto di questo mio intervento. Utili notizie sono contenute anche in N. Pavoncello ma lo studioso limita perlopi ̆ la sua indagine alle comunit‡ e- braiche laziali fino agli anni che precedono il bando di Pio V. LíArchivio di Sta- to di Viterbo conserva, al contrario una ricca, quantit‡ di documenti che neces- sitano di una pi ̆ ampia e ordinata analisi per far emergere nella sua completez- za un aspetto non marginale della storia sociale della Tuscia. Alle fonti cartacee si aggiungono poi quelle in pergamena provenienti dagli archivi notarili di So- riano al Cimino, Bagnaia, Capranica, Vetralla, Orte e dei centri che in questa sede interessano maggiormente: Acquapendente e Bolsena. Si tratta di perga- mene ebraiche del XV secolo che i notai viterbesi, soprattutto del XVI secolo, hanno riutilizzate come copertine per i loro repertori e alle quali si aggiunge quella recuperata da A. Biondi a Gradoli e gi‡ oggetto di studio di N. Pavoncel- lo.
Le informazioni che ho acquisite dai rogiti notarili viterbesi non sono dunque che una prima esplorazione parziale e cronologicamente limitata (dalla prima met‡ del XV secolo ai primi decenni del XVII) della presenza ebraica nel terri- torio dellíAlta Tuscia viterbese. I dati raccolti, sebbene incompleti, sono co- munque sufficienti a delineare nelle sue linee essenziali la ricca quanto ignora- ta storia degli ebrei di Tuscia.
Tralascio per il XIV secolo la presenza di banchi di prestito a Montefiascone e a Orte in quanto ho dati troppo isolati cronologicamente o fuori contesto geo- grafico díindagine. Le citt‡ di Montefiascone e Acquapendente, come quella di Tuscania, gi‡ nella prima met‡ del XV secolo costituivano per líAlta Tuscia, i due principali nuclei di riferimento per le comunit‡ di mercanti e banchieri e- brei provenienti da Roma e Viterbo. Attivit‡ queste che vi continuarono per i successivi due secoli estendendosi, a partire maggiormente dalla met‡ del XVI secolo, anche ai vicini centri di Onano, Proceno, Bolsena, Latera, e a quelli del ducato di Castro. In tutti i casi si tratta di ondate di trasferimento di piccoli gruppi famigliari la cui mobilit‡ era regolata dalle autorit‡ pontificie ma anche dagli stessi ebrei per evitare margini troppo ristretti di profitti e le paure che po- tevano provocare, tra gli abitanti dei piccoli centri, le massicce presenze di giu- dei il cui flusso non era pi ̆ ora esclusivamente da sud a nord. Alcune famiglie di Castro risultano infatti provenire da Tolentino, Spoleto, San Casciano Bagni, Sarteano. In un capitolato del 1566 tra la Comunit‡ di Castro e una societ‡ di banchieri ebrei veniva regolato: ìChe nesciun altro hebreo sia lecito ne possi sopto qual si voglia quesito colore prestare ad usura ne exercitio de usura fare in la detta Citta o suo distretto senza licentia delli detti banchieri Ú sui agenti in scriptis sopto pena ‡ chi conta fara de scudi sesanta de oro per ciasche pe- gno apricarsi la quarta parte alla Camera Ducale et la quarta parte alla Ma- gnifica Comunita et la quarta parte alli detti banchieri et il restante al signor podest‡î.
Da primi due decenni del XVII secolo assistiamo perÚ ad un ridursi progressivo dellíattivit‡ creditizia per continuare invece quella mercantile (1613, Canino), (1664-1688, Montefiascone): per la citt‡ falisca Ë probabile che si trattasse pi ̆ propriamente di ambulanti. Nonostante i divieti di Clemente VIII ricordiamo che, nel corso del primo decennio del 1600, fu deliberato di aprire banchi di prestito a Farnese e a Latera. Da una relazione di F. Giraldi del 1600, sappiamo che a Castro vi abitavano 67 ebrei, una percentuale di non poco conto in consi- derazione del fatto che la popolazione della citt‡, capitale del ducato, compresi gli ebrei era di 900 anime. Ad Onano nel 1611 risulta abitare il banchiere Ventu- ra di Simone Pomis mentre nel 1612 la Comunit‡ di Valentano inviava una sup- plica affinchÈ Odoardo Farnese rilasciasse
la patente ad Isac ebreo come Ë stato in passato, tanto pi ̆ che questi doveva ri- scuotere ìbuone somme di grano e denari dalla maggior parte degli uomini della terra, che non potrebbero soddisfarlo, es- sendo danneggiato dalla tempesta.î
In generale líattivit‡ di prestito dei ban- chieri ebrei nei centri minori dellíAlta Tu- scia viterbese risulta concentrata tra la se- conda met‡ XVI del secolo e i primi due
decenni di quello successivo. Anche líerezione di Acquapendente a sede vesco- vile (1650) appena dopo la distruzione di Castro, forse per líosservanza e un pi ̆ rigido e coerente controllo da parte dei presuli nella nuova diocesi come an- che líapertura di un banco di Pegni gi‡ alla fine del XVI
secolo, hanno fortemente ridotto gli spazi di azione ai creditori e mercanti ebrei. Giudizio differente sembra estendersi a Castro in quanto la iniziale e febbrile co- struzione della citt‡Ö ideale (1537) aveva spontanea- mente richiamato nella capitale del ducato una consi- stente quantit‡ di uomini e capitali (gi‡ nel 1537 risulta in Castro Sabaullo di Giuseppe da Ancona) ma succes- sivamente, con líassegnazione di Paolo III al figlio Pier Luigi Farnese del ducato di Parma e Piacenza (1545) e poi con la morte del card. Alessandro Farnese (1589), nipote del pontefice, la citt‡ andÚ incontro ad un co- stante declino fino alla sua totale distruzione (1649) da parte del conte Vidman e voluta da Innocenzo X per i debiti che i Farnese avevano contratti con la Ca- mera Apostolica. Gi‡ nel 1558 i giudei che abitavano la citt‡, in occasione della solennit‡ del santo patrono (san Savino), dovevano versare ogni anno dodici fiorini al Podest‡ per il palio. Nei decenni del declino, per ordine dei Bandi Ge- nerali (1 aprile 1613), il duca Ranuccio Farnese, aveva obbligato tutti gli ebrei del Ducato ad abitare nella capitale la cui economia ed aria non apparivano ora propriamente fiorenti e sane. A seguito poi della distruzione di Castro (1649) gli ebrei che abitavano la citt‡ trovarono sistemazione nei vicini centri del Granducato.
Nonostante la bolla di Clemente VIII, banchi di prestito allíinizio del 1600 era- no attivi anche a Latera e Farnese ma i due centri, appartenenti fino al 1658 ai signori Farnese del ramo eponimo, non facevano parte del ducato castrense. La Comunit‡ di Farnese, a partire dal 1 dicembre del 1600, stipulÚ con Pacifico di Meluccio e suo figlio Prospero, un contratto della durata di 5 anni ìper eserci- tare un banco di prestanza ad interessi sopra pegni [Ö] a ragione del 12% al- líannoî. La Comunit‡ concesse loro: di abitare nella terra di Farnese o nella citt‡ unitamente alle famiglie e garzoni; di vivervi secondo i loro costumi; di essere esentati dallíobbligo di portare il segno di riconoscimento; di fabbricarvi un proprio cimitero; di riconoscere loro gli stessi trattamenti riservati agli altri vassalli dello stato.
Líattivit‡ economica dominante tra gli ebrei dellíAlta Tuscia Ë quella tradizio- nale del prestito di denaro, qualificato nei rogiti maggiormente col termine di fenerator (il cui significato include una valutazione morale spegiativa), e del commercio di derrate alimentari: le due attivit‡ risultano talvolta accomunate (1554, Acquapendente: vino bianco e rosso; 1570; Marta: grano; 1594 Onano: grano; 1613; Canino: vino ed olio), cosÏ come anche quella di banchiere e me- dico (1449-1463 Orte, maestro Manuele). Medici ebrei hanno svolto il loro e-
sercizio in Acquapendente (1529, Amadio Benevento), Corneto (1545), Castro (1564, Gabriel), Latera (1574, maestro Gabriello), nel 1572 Laudadio di MosË, phisico di Viterbo, prendeva domicilio in uno dei centri del Ducato di Castro o a CastellíOttieri. Da Viterbo proveniva anche Eliezher Cohen, talmudista e me- dico personale (1470) di Giulio II. A queste attivit‡ vanno aggiunte quelle al- trettanto tradizionali della vendita di panni (Acquapendente, 1509 Joseph he- breo sutor) e di mercanzie ad uso di spezieria (Gradoli, 1585; Montefiascone, 1664-1688 Salomone di David AyÚ). Attivit‡ tutte che portavano i banchieri e i mercanti ebrei a tenere stretti contatti con i Signori delle singole comunit‡ e che originavano un positivo incontro di reciproci vantaggi tra le popolazioni delle piccole comunit‡, dove era assente ogni forma istituzionale di prestito di dena- ro, e i gruppi sociali ebrei che hanno lasciato tracce di questa loro permanenza in alcune usanze culinarie e leggende della Tuscia.
In questo non sempre facile confrontoÖ esegetico Ë leggibile anche il verbale díinquisizione redatto in Acquapendente dal notaio Pietro Paolo di Giovanni (luglio 1467) contro Persius, Moysis e Allentius ebrei e mosso da Berardino di Simone, dellíOrdine dei Minori del convento di Santa Maria, intorno alla rap- presentazione fatta nella piazza della Chiesa di Santa Maria e raffigurante il sa- crificio di Isacco. Anche lo Statuto di Montefiascone del 1471, rispettoso dei rituali alimentari degli ebrei residenti nella citt‡, al cap. 51, regolava che i ma- cellai falisci erano tenuti a fare carne sciattata, ma consentiva loro anche di poterla vendere agli altri cittadini ad un prezzo minore di quello fissato per i Giudei: ìÖItem dicimus quod dicti Macellarii teneantur facere Carnes hebreis cum hac conditione quod si residuum aliquod remaneret de bestiis scattabis per hebreos quod volentes vendere dictas carnes palam dicere et assignare debeant carnes illas fore sciattatas, et volentibus emere de ipsis carnibus vendere li- bram duobus denariis minus, et minori pretio quod Iudei venditum fuit et si se- cus facerent incurrant in poenam dicti Macellari vel aliquis ipsorum XX [viginti] soldorum paparinorum [Ö]. Il rispetto alimentare rituale Ë contenuto anche nel capitolato che gli Ufficiali di Castro regolarono nel 1566 con alcuni banchieri. ìItem che il Macellaro della
nostra Citt‡ sia obligato fare della Carne ‡ modo de essi [ban]chieri una volta la septimana almeno et quella venderla se- cundo [lacuna] vende per li bandi della Terra, et li sia lecito pigliarne con il pa- gamento quanto li parera per loro usoî. Alla tolleranza appare ispirato anche il capitolato del 1600 (1 dicembre) tra la Comunit‡ di Farnese e Pacifico di Meluc- cio e suo figlio Prospero ai quali la Co- munit‡ concedeva loro oltre che abitare nella terra o al Borgo di Farnese, unita-
mente alle mogli ed ai figli, anche la possibilit‡ di fabbricarvi un proprio cimitero e con gli stessi trat- tamenti riservati agli altri vassalli dello Stato di Mario Farnese. Cimiteri ebrei risultano a Castro e a Latera.
Nella capitale del ducato, nel 1584 gli ebrei otten- nero la concessione di una grotta per uso di sepol- tura posta fuori Porta Castello, sopra la strada di Palombara. Per il prezzo di dieci scudi, il successi- vo anno (4 novembre 1585), Raphael Spagnoletti, maestro Consiglio di maestro Salomone e Prospero di Leone, a nome della loro Comunit‡ o Sinagoga, acquistarono da Giulio Claverini quattro grotte in un sol corpo nello stesso luogo di quella del 1584, ad ampliamento dei luoghi di sepoltura.
A Latera, secondo quanto riferisce líAnnibali, Sabato di Nepi, ebreo del ghetto, acquistÚ una grotta in contrada Valle (localit‡ posta a poca distanza fuori dellí- abitato), per sepoltura della sua famiglia e della sua Nazione. Il fatto che per sua volont‡ testamentaria (1587) Flaminio Bonaventura di Spo- leto, banchiere in Onano unitamente al cognato Crescenzio Meluccio, dispones- se di essere sepolto in CastellíAzzara, fa supporre che in Onano non vi fosse un sepolcreto o che il testatore era legato al vicino centro della Toscana da forti vincoli. In Acquapendente la comunit‡ ebraica aveva un proprio cimitero sicu- ramente gi‡ dal XV secolo. Salamon di Raffaele, ebreo díAcquapendente, per sua volont‡ testamentaria (1520) aveva disposto che ìcorpus suum sepelliri in sepoltura hebreorum more et stelo hebraicoî.
Gli statuti delle Comunit‡ ci consegnano anche le intolleranze e le iniquit‡ cui erano soggetti gli ebrei nella Tuscia. CosÏ ordinava il cap. 92 dello Statuto della citt‡ di Corneto (Tarquinia) del 1545: ìStatuimus, imitantes sacros canones, quod omnes haebrei cuiuscumque sexus, et aetatis decem annorum, debeant portare signum in vestibus eorum de panno rubeo, palam, et non occulte, itaquod palam videatur, ad poenam unius ducati auri, sine aliqua diminutione pro qualibet vice, exceptis illis qui haberent e- xemptione vel privilegium ‡ communitate. Statuentes insuper quod dicti haebrei non possint exire de domibus eorum, incipiendo ad hora tertiarum die iovis, et toto die veneris sancti, usque ad sonum campanae magnae communis sabbati sancti, exceptis medicis in casu necessitatis, qui possint exire, et ire per Corne- tum, cum licentia tamen Magnificorum Dominorum priorumî.
Lesivo della dignit‡ della persona il cap. 41 (Quod Iudei non vadant die Veneris Sancti per Civitatem quoquomodo) dello Statuto di Montefiascone del 1471: ìItem statuimus, et ordinamus quod nullus Iudeus seu Iudea debeat ire, vel va- dat per Civitate Montisflasconis in die Veneris Sancti ad poenam centum soldo- rum paparinorum, et de hoc quilibet possit eum accusare et eius accusae stetur,
et credatur cum uno teste bonae fame, et habeat tertiam partem poenae et cuili- bet liceat eum impune verberare sine ferro, et sanguinis effusione, et hoc ban- niatur in die Iovis Sancti ad hoc ut non imputetur ignorantiaî. Il divieto di uscire dalle proprie abitazioni dal mercoledÏ a tutto il sabato della Settimana Santa Ë leggibile anche nei Bandi Generali del ducato di Castro e Ronciglione (1613) dove si ordinava che gli ebrei dovevano rimanere: rinchiusi nelle loro case nÈ in quel tempo comparir tra i Cristiani.
Il divieto Ë completato per la citt‡ di Castro da altre fonti. ìItem che la Magnifi- ca Comunita debbia il giorno del MercordÏ santo far fare proibitione per bandi che alcuna persona non molesti hebrei ne lor case Ú bene, sopto pena de uno scudo per ciaschuno et ciasche volta, purche detti hebrei stiano reserrati nelli lor case et quelle che contrafaranno oltra la pena pagano il danno che ‡ essi hebrei li pervenisse.î
Nei Bandi vi appare anche líobbligo di portare il segno di riconoscimento in modo ben visibile affinchÈ siano distinti dai cristiani. Gli ebrei autorizzati a risiedervi recavano un ìsegno rosso, secondo il solito, nel cappello o altrove in maniera paleseî e qualora detto segno lo ìhaveranno, ma lo terranno col ferraiolo o altrimenti coperto [Ö] non saranno scusatiî, avrebbero pagato 25 scudi e inoltre condannati a tre tratti di corda: líobbligo veniva meno solo in caso di viaggio.
Questíultima agevolazione rispondeva ad una esigenza pratica nei confronti de- gli ebrei la cui mobilit‡ li sottoponeva alla pi ̆ facile individuazione e minaccia di briganti che nei mercanti e banchieri ebrei vedevano borseggi ed estorsioni di pi ̆ consistente profitto e di pi ̆ miti pene in caso di fermo.
Nel 1657 (24 maggio) Samuello Arpino, il pi ̆ facoltoso ebreo di Sorano, unita- mente ad un contadino che lo accompagnava, venne assalito da una banda di uomini armati e sequestrato in una boscaglia presso Onano.
Per il di lui rilascio le autorit‡ sospettavano che il fratello Daniello avesse pa- gato un riscatto. Líobbligo di recare il segno di riconoscimento era in uso anche in Acquapen- dente.
Nelle sue Croniche del 1588 il notaio aquesiano Pietro Paolo Biondi scriveva: ìHabitandoci líhebrei, la Communit‡ li faceva portare un segno, acciÚ fosseno conosciuti dai christiani. Et in molte altre cose si lege la grande authorit‡ che havevaî. Dai primi decenni del XV e fino alla bolla di Pio V molti ebrei aque- siani risultano abitare perlopi ̆ nel quartiere di Santa Maria (1450, Salamon A- bac; 1520, Salamon di Raffaele; 1554, Isaac Vitali e Salamon di Abramo) vale a dire lungo líintero percorso urbano della via Francigena o strada romana (Via Cassia, attuali Via Cesare Battisti e Via Roma): líasse viario e commerciale pi ̆ importante della citt‡.
Ghetti erano stati istituiti a Castro, a Valentano (in contrada La Ripa nel vicolo di Via Manin) e a Latera. Nella capitale del ducato risulta eretta anche la Sina- goga mentre a Viterbo, fino al 1569, se ne contavano due, una in contrada San
Biagio, líaltra in Valle Piatta prospiciente e allíinterno di Porta Faul e, rispetto alla prima, di pi ̆ recente fondazione. Ad Acquapendente, se interpretati corret- tamente il titolo di maestro riferito a Persio (Persius Magister filiorum Salamonis hebrei) e quello di hebre-
os de bibia per lo stesso Persius, MoisË e Allenzio gi‡ nel 1467 vi sarebbe stata una Sinagoga. Per il successivo secolo Ë certa invece la sua esistenza come per quella di Montefiascone, Orvieto e Orte poi- chÈ le due Sinagoghe pagarvano la quota annua di 10- 12 scudi alla Casa dei Catecumeni di Roma.
In merito alla conversione di ebrei alla fede cristiana al caso di Latera (1570) si aggiunge quello di Acquapen- dente (1570) e di Marta (1569). Per la prima citt‡, la notizia ci Ë nota da Pietro Paolo Biondi, il notaio nel redigere nel 1589 le Croniche relative alla descrizione delle casate in Acquapendente, annotava: ìMastro Angelo Famoso. QuestíË dí- hebreo fatto cristiano líanno 1570 con tre figli e poi poco doppo si battezzorno la moglie et la matre con molta gratitudine della Comunit‡, che li vestÏ tutti di bianco, e li fece molti doni, oltre alli doni, che hebbero dal popolo. Ma il primo che si batezzasse era nato in Acquapendenteî, per il centro lacuale dai Verbali Consiliari del 1569 (dal 25 agosto al 16 ottobre).
Nella seduta del 25 agosto dagli Ufficiali della Comunit‡ venne approvata, per 28 voti favorevoli e due contrari, la proposta avanzata da una famiglia ebrea di Marta ìcioË il padre, la madre e cinque figlioli et quella per volunta de Dio se vogli fare Cristiana si piace alle spettabilita vostre de voler proporre che la Comunit‡ li agiuti in tutte le cose che saran de bisogno[Ö].î
Nelle successive sedute (25 settembre) dal pievano di Marta venne avanzata la richiesta che detti ebrei non potevano essere battezzati se prima non fossero stati catechizzati. La domanda del sacerdote fu accolta dal Consiglio che volle comunque che fossero abbreviati i tempi per la catechizzazione alla dottrina cristiana. Nel verbale del 2 ottobre si riferisce che la Comunit‡ ordinava le cappe e berrette per i battezandi e ancora deliberare, a conversione avvenuta (16 ottobre), che: ìse hanno da pagare la manifatura delle pannj dellj hebrej fattj cristianj et ancora se hanno da pagare le scarpe dellj dectj et si ha da pa- gare il tamburino et lo Sindico non ha modo de posserlj pagareî. Dagli stessi Verbali Consiliari conosciamo che gi‡ nel 1561 vi era stata nel centro una pre- cedente conversione.
Anche a Montefiascone, negli anni in cui Salomone di David AyÚ forniva medi- camenti alla spezieria del Monastero delle Benedettine, assistiamo alla conver- sione di una ebrea (1611-1678) ad opera del card. Zacchia, vescovo di Monte- fiascone, divenuta poi monaca benedettina col nome di Maria Felice Zacchia. Dal verbale delle Uscite della Confraternita di San Francesco di Valentano sia- mo informati che la pia societ‡ devozionale nel 1755 (22 ottobre) versÚ 5
baiocchi ad un ebreo fatto cristiano, cosÏ come anche due altri baiocchi nel 17- 57 (20 novembre) e 1758 (19 aprile) per identico motivo: in questíultimo caso si trattava di uníebrea venuta alla S. Fede. Il riscontro effettuato nel Libro dei Battesimi della parrocchia di quegli anni non mi ha perÚ confermato quanto verbalizzato dal camerlengo della confraternita.
A partire dal secondo decennio del XVII secolo, líattivit‡ creditizia di banchi ebrei nellíAlta Tuscia venne meno. Numericamente ridotta a pochi nuclei famigliari anche la presenza di commer- cianti o artigiani su tutto il territorio fino a tutto il Novecento: fino agli anni prebellici del secondo conflitto mondiale la comunit‡ ebraica contava nel viter- bese 61 membri, quasi tutti commercianti.
Le leggi razziali del 1938 e le successive deportazioni del dicembre 1943 han- no consentito alle genti di Tuscia di offrire riparo a molti ebrei, mettendo in pe- ricolo oltre alla propria vita anche quella delle proprie famiglie. Renato Sadun (Acquapendente) potÈ nascondersi tra i boschi di Torre Alfina e Castel Viscardo mentre la famiglia Servi (Pitigliano) trovÚ rifugio presso Mezzano (Valentano), localit‡ ove in una grotta (detta del Seccante) ripararono in modo temporaneo ad alterno numerose altre famiglie di profughi ebrei.
Permanenza resa sicura dal consenso del proprietario del fondo (Brazz‡), del fattore (Sonno) e da altri giusti contadini che sebbene a conoscenza del fatto lo protessero col silenzio. Tra il settembre 1940 ed estate 1943 piccole comunit‡ (10 unit‡ ca.) di ebrei stranieri coniugati con ariani furono internate nei centri viterbesi di Montefia- scone, Tuscania (internati provenienti da Salerno, famiglia Adler), San Lorenzo Nuovo (internati provenienti da Positano, i coniugi Wolff) e Valentano (perlopi ̆ ebrei, cecoslovacchi, francesi ed inviati poi al campo di Ferramonti Tarsia).
Nel febbraio 1944 gli ebrei detenuti nel carcere viterbese di Santa Maria in Gradi a disposizione delle autorit‡ tedesche erano ventisei. Tragiche, poichÈ vittime della shoah, le vicende della famiglia di Vittorio Ema- nuele Anticoli che, iniziate nel carcere di Viterbo (dicembre 1943) e continuate nel campo di Fossoli, si conclusero ad Auschwtiz e Mauthausen tra il maggio 1944 e quello successivo del 1945. Il drammatico viaggio della morte dei tre ebrei viterbesi Ë stato ricostruito da G. B. Sguario.
Nel suo intervento lo studioso ha evidenziato come anche in quegli eventi tragi- ci la ragione di semplici cittadini viterbesi seppe per alcuni elevarsi a legge uni- versale ma, per altri, mostruosamente inabissarsi nel sonno pi ̆ profondo.
Regesto
Acquapendente
1434 (20 dicembre) Sabatus Daptoli, ebreo di Roma ma abitante in Acquapendente, costituÏ una societ‡ bastarorum con maestro Paolo di Nanni. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot.
390, c. 18v.]
1450 (7 dicembre) Salamon Habac, ebreo di Viterbo ma abitante in Acquapendente, agÏ in nome e per conto di maestro Angelo Daptoli, ebreo abitante in castro Clanceano, per confu- tazione di quietanza a Paolo Francesco de Senis Daptoli di Siena. Líatto fu rogato in strada pubblica, davanti líabitazione di Salamon posta nel quartiere di Santa Maria. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot. 392, c. 29v.]
1455 (16 febbraio) Consilius e Salamon, figli di Abac di Consilio, ebrei di Viterbo ma abi- tanti in Acquapendente, fecero confutazione di quietanza a Cristoforo e Francesco Catalucci, Martino e Pietro di Perugia. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot. 391, c. 237.]
1467 (2 luglio) Verbale díinquisizione del notaio Pietro Paolo di Giovanni contro Persius, Moysis e Allentius dopo che i tre, habitatores terre Aquependentis ed hebreos de bibia, ven- nero ad un litigio esegetico con Berardino di Simone, frate dellíOrdine dei Minori, intorno alla rappresentazione del sacrificio di Habraam ed avvenuta in Acquapendente nella Piazza antistante la chiesa di Santa Maria della Scala il precedente sabato 27 giugno.
Nel verbale, redatto iuxta ostium fratrum dicte Ecclesie e alla presenza di maestro Francesco di Enrico, dellíOrdine dei Minori ed inquisitorem heretice pravitate, si leggono la deposi- zione del teste, frate Berardino di Simone, e dei testimoni: Antonio di Giovanni, Sebastiano di Antonio, Nicola di Angelo Pietro Piccioli, Giacomo di Marco. Tutti i testimoni, dopo aver esposto líantefatto (le prove della rappresentazione di Abramo che sacrifica Isacco), confer- marono, pi ̆ o meno con identiche parole, quanto dichiarato dal religioso:
veniens dictus Persius ad multa verba cum ipso frate Berardino, inter alia asserebat quod Saria mortua fuit per dolore filii. Et dictus frater Berardinus negabat predicta, dicendo non esse veritatem et quod hoc non reperiebatur in bibia. Et tunc dictus Persius insistendo asse- rens quod reperiebatur in bibia ipsorum hebreorum, dicens quod bibia ipsorum erat, sed bibia Cristianorum erat falsificata et quod fuerat falsificata per discipulos Cristiî.
I figli di Salamon ebreo indicati nel verbale e dei quali risulta maestro Persio, presumibil- mente sono da identificarsi con i figli di Salamon Habac o Abaac con diversa grafia. [A.S.Vt.
not. Acq., Pietro Paolo di Giovanni, prot. 601 bis, cc. 5-6 recto e verso. Per la trascrizione parziale del verbale (a cura di Fabiano T. Fagliari Zeni Buchicchi) cfr., Q. Galli, Valore religioso e Culturale della Sacra rappre- sentazione nellíarea nord-orientale del Lago di Bolsena, in Bollettino di Studi e Ricerche, Bolsena, a. VI, 1991, p. 91 e 92.]
1509 (29 settembre) Concordia tra Gentile Monaldeschi della Cervara, Signore di Onano, e Josef hebreo, sarto, dopo che il Monaldeschi aveva acquistato dallíartigiano una veste di vel- luto negro ad uso di donne broccata díoro e uníaltra di seta alessandrina. Arbitri della con- cordia: Giovanni Silvestro Zambi, Astolfo Necci, Bernardino di Mario di Ancona, tutti suto- res. [A.S.Vt. not. Acq., Bartolomeo Morelli prot. 458, c. 79.]
1520 (11 settembre) Testamento di Salamon di Raffaele, hebreo díAcquapendente. Per sua volont‡ il testatore disponeva: che il suo corpo fosse tumulato in sepoltura hebreo-
rum more et stelo hebraico; di lasciare al vescovo di Orvieto (diocesi di appartenenza di Ac- quapendente) 10 soldi per ciascuna sua canonica porzione.
Erede universale Ë nominato il figlio Lazzaro (nato dal primo matrimonio con donna Pru- denzia), mentre a Flosgentile, nata dal suo secondo matrimonio con Perna di Helia Drodari da Nola, lasciava 200 ducati. Una veste del valore di 10 ducati pi ̆ altri 50 sono lasciati alla di lui sorella Gentile.
Curatori e tutori dei beni della moglie Perna furono nominati: maestro Amedeo Bonaventura di Castro, Bonaventura Sabatelli di Viterbo, Lazzaro di Volterra, Heliseo Angelo di Orvieto, Isac e Raffael di Giacomo di Montalcino. Tra i beni elencati alcuni sono riservati a Jacobo, hebreo di Orvieto (un ducato) e a Salamon Leoni di Sorano. Il testamento, che annullava un precedente atto del 1513, fu espresso con giuramento secondo i modi e le consuetudini delle leggi ebraiche.
Líatto fu rogato nellíabitazione del testatore posta nel quartiere di Santa Maria, lungo la stra- da Romana (via Cassia). [A.S.Vt. not. Acq., Giulio Pietro Paolo prot. 362, c. 268.] 1529 (29 gennaio) Acquisto casa. Líesimio artium medecine, doct. Magistro Amadio Benevento, hebreo fisico acquistÚ da Le- onardo Lotti una casa posta nel quartiere di San Lorenzo, per il prezzo di 25 fiorini. [A.S.Vt. not. Acq., Sforza Maidalchini prot. 434, c. 139.]
1553 (5 settembre) Prestito di denaro Habramo di Jacobo Caynano, hebreo fenerator in Acquapendente, prestÚ a Sante di Andrea di Pontremoli, tessitore, scudi 5 a giulii 10 per scudo ad usura e interesse secondo la forma dei capitoli del banco.
Il precedente giorno il banchiere aveva ricevuto 6 scudi da Fiano di Sebastiano.
Nel dicembre (11), Girolamo Battista Archilei, dichiara di aver ricevuto un prestito di 10
scudi dallo stesso Habramo a nome di Salamon di Samuele di Torano. [A.S.Vt. not. Acq., Ludo-
vico Morelli sr. prot. 484, cc. 49v e 50v; 87. La forma latinizzata Caynano Ë quella di Cohen e dalla citt‡ di Viterbo proveniva anche Eliezher Cohen, il medico di Giulio II.]
1553 (27 dicembre) Pagamento Maestro Laudadeos di MoysË, hebreo de Viterbio, nominÚ quale suo procuratore e agente in Acquapendente Josef di Salamon che ricevette da Angelo di Cristoforo di Melchiorre 21 giu- li per una certa quantit‡ di stagno vendutagli in occasione e causa havendi et recipiendi ali- quos vasos seu vascellos figolorum. Di un certo interesse appare il fatto che i banchieri ebrei abbiano tenuto contatti con i maestri figuli aquesiani (G. Archilei, Fiano di Sebastiano) in considerazione del fatto che questa era una delle principali attivit‡ economiche della citt‡. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot.
484, c. 100v. Vd. inoltre Le ceramiche Medievali e Rinascimentali di Acquapendente (a cura di R. Chiovelli), Atti del I Con- vegno di studi (20 magggio 1995), 1997, Acquapendente.]
1554 (10 aprile e 30 agosto) Prestito denaro Tale Abramo di Jasaac Caynano di Acquapendente, mutuante per Salamon di Samuel, he- breo fenerator in Montefiascone, fece un prestito (10 aprile) a Mariotto di Ludovico. Líoperazione creditizia tra i due banchieri venne ripetuta pochi mesi dopo (30 agosto) a fa- vore di Domenico Allegretto e Battista Nelli di Latera (30 agosto 1554). [A.S.Vt. not. Acq., Lu- dovico Morelli sr. prot. 484, c.130; 174v; 209v.]
1554 (4 ottobre) Prestito denaro Salamon di Abramo, alias Paragrille, ebreo di Castro ma abitante in Acquapendente, insie- me alla moglie Dulcetta di Jasahac, presero un mutuo da Salamon di Samuele, hebreo fene- rator in Montefiascone. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c.204.]
1554 (5 novembre) Pagamento Joseph di Salamon hebreo, bastarius, di Acquapendente pagÚ 50 scudi a Jasaac Vitalis di Siena ma abitante in Acquapendente nel quartiere di Santa Maria unitamente alla moglie Diana di Consilio. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c. 209.]
1554 (6 novembre) Acquisto vino. Abramo di Jacobo Caynani e MoysË di Benigno da Torano, banchieri in Acquapendente, u- nitamente a Salamon di Samuele, ebreo fenerator in Montefiascone, acquistarono da Corne- lio Ser Sforza di Acquapendente 53 salme di vino puro, met‡ bianco e met‡ nero, ad bocca- lia 50 per ciascuna salma alla misura di Acquapendente. Alcune settimane dopo il solo MoysË di Benigno riacquistÚ dallo stesso venditore altre 30 some di vino. Dai rogiti successivi si evince che Abramo Coynani risulta essere sposato ad Allegretta Davit, avere una sorella germana, Camilla, ed un cognato di nome Laudadei e che MoysË di Benigno di Torano Ë suo affine. A seguito dei debiti contratti tutti i suoi beni vennero confiscati dalla Camera Apostolica ed egli stesso posto in carcere (11 novembre 1554). Suo procuratore in Roma fu eletto Davit MoysË, fratello consubrino di Allegretta. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c. 210, 217 e 243.]
1590 (13 aprile) Acquisto grano. Francesco Alemanni, gonfaloniere, Augnone Augnoni e Cristoforo Minelli, priori della Co- munit‡ di Acquapendente, in nome e per conto della stessa acquistarono in CastellíOttieri 44 moggi di grano alla misura senese per il prezzo di 72 paoli per il sostegno dei poveri della citt‡. Il negoziato avvenne per tramite di Pier Francesco Pesi di Borgo San Sepolcro, Auditore ge- nerale dello Stato degli Sforza, il quale in sua assenza fece agire Crescenzio Melucci, hebreo banchiere in Onano. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 352, c. 47v e 48.] Della comunit‡ ebrai- ca aquesiana facevano parte anche R. Josef, autore di una poesia liturgica, scritta per il di- giuno di espiazione, e ShelomÚ di Refael, proprietario del Manoscritto 54 della Biblioteca Angelica di Roma. Una delle pergamene ebraiche conservate a Viterbo proviene dalla coper- tina del repertorio del notaio Vincenzo Neri, prot. 503 (1543-1588). Il folio, in scrittura ita- liana del XV secolo, contiene brani del formulario di rito tedesco. Il testo Ë vocalizzato.
Bolsena
Da Bolsena provengono due pergamene del XV secolo riutilizzate come copertina di reper- torio da due notai
La prima (fasc. 48) faceva parte del repertorio (prot. 48) di Domenico Laurenti (1486) ed Ë costituita di 2 foli con scrittura tedesca facenti parte di un unico originario. Ogni folio ha 4 facciate di 16 righe ognuna. Nei foli si leggono brani frammentari del formulario liturgico del rito di Roma: preghiera del VenerdÏ sera, ufficiatura mattutina e serale del Sabato. La seconda pergamena (fasc. 49) fa- ceva da copertina al repertorio di Claudio Salvatori (prot. 174) e presenta scrittura italiana. Il folio, a quattro facciate, contiene Samuele. Il testo Ë vocalizzato ed Ë disposto in due co- lonne per facciata. In alto e in basso, con scrittura pi ̆ minuta, sono riportate le concordanze di Ben Asher e di Ben Naftali. Lo scriba ha rispettato la masora lasciando spazi vuoti tra i
versetti. [A.S.Vt., cartella pergamene ebraiche, fasc. 48 e 49. Per la descrizione delle pergamene mi sono avvalso della schede elaborate dagli archivisti.]
Montefiascone
Líattivit‡ creditizia di banchieri ebrei romani era iniziata a Montefiascone gi‡ nel 1312 quan- do si dichiararono disponibili a rilasciare un mutuo di 15.000 fiorini a favore del Comune a condizione perÚ che fossero riconosciuti loro e ai loro eredi il diritto di cittadinanza e quello di legale appartenenza alle locali corporazioni ed arti. La compagnia ebraica trasferitasi da Roma a Montefiascone risultava composta da: MosË, Emanuele e Beniamino di Donato, A- bramo, Alleuccio e Diodato di MosË, Elia di Manuele, Salomone e Musetto di Leo, Salomo- ne di Elia.
Lo Statuto della citt‡ del 1471 conferma che la comunit‡ falisca accolse il privilegio. Fino al 1569 esisteva nella citt‡ una Sinagoga, che pagava dapprima 10, poi 12 scudi alla Casa dei Catecumeni di Roma. Intorno alla prima met‡ del XVI secolo la presenza di banchieri e mer- canti ebrei in Montefiascone sembra essere stata agevolata dal card. Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, vescovo della citt‡ dal 1535 al 1548. Salamon di Samuele dal 1542 fino alla met‡ del decennio successivo appare come il banchiere pi ̆ influente della citt‡. Nei rogiti notarili Ë inizialmente indicato come proveniente da Torano, centro dal quale proveniva an- che MoysË di Benigno (cfr. Acquapendente) ma in quelli del 1553-55 il fenerator Ë pi ̆ sem- plicemente qualificato come abitante di Montefiascone. Nellíagosto del 1545 (11 e 16) risul- ta aver concesso dei mutui a diversi privati (Bellisario di Castro Peri) mentre dal 1553 e 1554 teneva continui rapporti con altri banchieri di Acquapendente (Abram Caynano e Mo- ysË di Benigno) con i quali, oltre al prestito, conduceva anche attivit‡ commerciali. Come indicato, nel 1554 (6 novembre), il banchiere aveva acquistato in Acquapendente di 53 salme di vino. [A.S.Vt., notarile di Montefiascone, Collesio Gisberto prot. 177 (1530-1574), cc. 60; 62; 66 e segg.] Altro banchiere attivo in Montefiascone risulta Jasach Carcosci (?) di Roma, líattivit‡ di prestito di questíultimo appare perÚ meno fortunata rispetto al suddetto Salamon essendosi conclusa nel 1569 (26 febbraio) con il pignoramento di 380 salme di grano da parte dellíAu- ditore della Camera Apostolica. [A.S.Vt., notarile di Montefiascone, Giulio Giusti jr. prot. 231 (1562- 1572), c. 164.]
Singolare appare invece líattivit‡ di Salomon di David AjÚ in quanto il mercante, presumibil- mente ambulante, tra il 1664 e 1688, risulta tra i fornitori della spezieria delle Monache Be- nedettine di Montefiascone. In data 25 novembre 1680 le religiose acquistarono dallo stesso pietre preziose ad uso di spezieria: zaffiri (3 scudi), topazi (1 scudo), smeraldi (1 scudo), ru- bini (80 baiocchi) e franati (20 baiocchi). Per líacquisto del 1688 Ë registrato che le spese per le droghe furono scontate con lo ìstallatico del suo somaro prestatogli dallo Monasterio per lo spatio di 50 giorni in circaî.
Onano
Contrariamente a quanto finora si conosceva possiamo rilevare che líattivit‡ di prestito in Onano, prima ancora che con Ventura de Pomis, Ë iniziata con Crescenzio Melucci. Il ban- chiere risulta abitare in Onano stabilmente a partire dal 1580 dopo che unitamente a Simone e Rubino hebrei fratelli et sui Nipoti Meneseo et Flaminio figlioli gi‡ di bona Ventura de Consulo da Spoleto, aveva ottenuto dagli Ufficiali della citt‡ di Castro, la licenza di fare un banco nella capitale per la durata di dieci anni. Crescenzio di Meluccio di MosË, prima di raggiungere Castro, risultava abitare in Proceno. La sua attivit‡ di bancherio e di mercante in Onano Ë da relazionare a Paolo Sforza di Santa Fiora, Signore del castello dopo che il centro nel 1561, a seguito della condanna per eresia luterana di Luca Monaldeschi della Cervara, era passato al cardinale Guido Ascanio e per esso agli Sforza fino alla quarta generazione. Con la morte di Crescenzio Melucci (1597 ca.) líattivit‡ creditizia in Onano venne continua- ta fin dopo il 1612 da Ventura De Pomis.
Accanto a questi due banchieri va collocata anche líattivit‡ di Flaminio di Bonaventura che risulta imparentato con detto Crescenzio per averne sposata la sorella Giulia. In data 24 ago- sto 1587 in Onano, nella casa del cognato, detto Flaminio fece il suo ultimo testamento. Nel rogito (che annulla le precedenti disposizioni del 4 e 5 agosto), che qualifica il teste sano di mente ma di corpo languens, il banchiere disponeva: di voler essere sepolto in CastellíAzza- ra; di lasciare al vescovo di Sovana 5 soldi per ogni sua canonica porzione; di nominare suoi eredi universali le di lui sorelle Solpitia, Allegrezza, Clemenzia, Giulia. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351 (1582-1589), cc. 202-204.]. Detto Crescenzio pochi anni prima (1584, 4 giugno), per il prezzo di 38 fiorini, aveva acquistato una casa da maestro Vergilio Cechi, posta nel quartiere di Santa Maria del Fiore e confinante con i beni dello stesso vendi- tore e Berto di Cino. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351 (1582 ñ 1589), c. 106.]
Dalla consultazione dei protocolli notarili (rogati per lo pi ̆ da Paolo Giannetti) si evince che Crescenzio di Melucci ha iniziato la sua attivit‡ di prestito in Onano a partire dal novembre 1580 e che allíattivit‡ creditizia affiancava quella del commercio dei grani. Ottimi i rapporti che lo univano a Paolo Sforza. Nellíaprile 1590, per il sostegno dei poveri della loro citt‡ gli ufficiali di Acquapendente, acquistarono in CastellíOttieri 44 moggi di grano, alla misura senese. Il negoziato per líassenza di Pier Francesco Pesi, Auditore generale dello Stato degli Sforza, fu seguito da Crescenzio Melucci, hebreo banchiere in Onano, suo procuratore. Quattro anni dopo (30 giugno 1594) lo stesso banchiere promise di consegnare al luogote- nente di Paolo Sforza, Ambrosio P., tante salme di gran pari a cinquanta scudi, somma che era stata precedentemente concordata dallo stesso banchiere con Camillo Gorci, medico del Signor Paolo Sforza. Il grano, proveniente dal nuovo raccolto, sarebbe stato estratto da Ona- no. Per la sorella Clemenzia, sposata a Raffael di Habuc, ebreo di Bolsena, Crescenzio aveva istituito una dote di 300 scudi (1591, 29 marzo). [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 352 (1589- 1591), c. 106.]. La donna perÚ precedentemente risulta sposata a tale Angelozzo dal quale ave- va avuto anche due figlie: Signoretta e Pacenzia. A seguito della morte di Crescenzio, la mo- glie Giulia (precedentemente coniugata con Bonaventura di Leoni), in data 28 febbraio 1598, tramite líagente di Lucrezia Pia Sforza, chiedeva ad Antonio Danielli di Gradoli che le fosse- ro consegnati i 45 scudi che lo stesso aveva avuti in prestito dal marito. A garanzia del credi- tore il Danielli aveva impegnato un suo oliveto posto in Gradoli in contrada Piano della Fratta. [A.S.Vt. not. Acq., Scevola Giannetti prot. 353 (1596-1623), c. 10.]
A partire poi dagli anni 90 del XVI secolo agisce in Onano anche Ventura di Simone de Po- mis. Il banchiere, proveniente di Scansano (feudo degli Sforza), aveva in Onano un suo ban- co nel 1604. Sono questi anche gli anni in cui la Contea di Pitigliano entrÚ a far parte del Granducato (1608) e venivano autorizzati da Ferdinando I líapertura dei Monti di Piet‡ a Pi- tigliano e a Sorano; condizione questa che provocÚ il trasferimento di banchi di prestito ebrei dal Granducato allo Stato ecclesiastico. Il primo marzo del 1611, quale socio e procuratore di Isach di Simone Rieti da Siena, il de Pomis ratificava la somma di 700 scudi che Giovanni Antonio Orsini, marchese di Monte San Savino, doveva restituire al banco degli ebrei di Piti- gliano secondo le convenzioni contenute nel chirografo del 5 luglio 1610 tra líOrsini e il Rieti. A sua volta, con procura dellí11 marzo, il de Pomis, hebreus de Scansano incola Ona- ni, girava ed eleggeva quale suo agente in Firenze Angelo Pesero, hebreum florentinum ha- bitatore Florentie, líinteresse della societ‡ mense mutui di Pitigliano. Ancora nel 1619 il de Pomis risultava avere dei beni in Onano poichÈ in data 21 novembre vendeva una cantina a tale Reginaldo. [A.S.Vt. not. Acq., Pier Francesco Casanova prot. 248, c. 151v.]
Líattivit‡ di banchi di prestito ebrei si Ë conclusa in Onano intorno al secondo decennio del XVII secolo ma ciÚ non comportÚ la scomparsa dei mercanti ebrei dalle attivit‡ del centro, tanto che negli anni che precedono líannessione del Lazio al Regno díItalia il Moroni, nel suo Dizionario, segnalava che in Onano, vi era un forte contrabbando da parte degli ebrei; giudizio condivisibile a condizione perÚ di essere esteso anche ad altri soggetti. Nel 1706
donna Polifema di Sabato Spagnoletto di Sorano e moglie di Giuseppe Servodio, quale erede universale della sorella Refea, venne a patti col fratello Alessandro. Nellíatto di concordia veniva regolato che i censi che la stessa aveva in Onano venivano venduti allíaltare delle Anime Purganti della chiesa di Santa Croce di Onano e per esso al suo ufficiale Annibale Luzi. [A.S.Vt. not. Acq., Giuseppe Biccellai prot. 188 (1704-1708), c. 163v. e segg.]
Proceno
Per líaltro centro dello Stato Pontificio feudo degli Sforza, conosciamo che Meluccio di Mo- ysË, hebreo de Proceno ma fenerator in Scanzano (19 marzo 1588), non avendo pagato a Consulo di Isach di Viterbo, abitante a Castro, la dote per la figlia Dolce aveva fatto fideius- sione nei confronti del figlio Pacifico. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351, c. 101.]. Ancora a Proceno, prima che iniziasse líattivit‡ feneratizia in Castro (1566), risultano risie- dere Crescenzio Melucci, e Simone di Consulo.
Farnese e Latera
I due centri, autonomi rispetto a quelli del Ducato di Castro, fino al 1658 sono appartenuti alla famiglia Farnese del ramo eponimo. Mario Farnese tra il 1599 e 1603 aveva rilasciato patenti per líapertura di banchi di credito a Latera e a Farnese. Nel 1599 (1 giugno) aveva concesso a MoisË e Aron di Clemente da Velletri di aprire un banco a Latera per la durata di 5 anni con la condizione che pagassero 15 scudi per ciascun anno. Prima della scadenza dei termini (maggio 1604), la concessione venne loro rinnovata per i successivi 5 anni. Con let- tera patentale (6 novembre 1603) Mario Farnese regolÚ i termini del nuovo banco (da ini- ziarsi a partire dal primo giugno 1604) e aumentÚ da 15 a 40 scudi annui la quota che i due banchieri dovevano versare al Signore: le nuove e pi ̆ esose condizioni vennero accettate dai due banchieri in data 20 novembre 1603. Dal rogito, redatto in Farnese dal notaio aque- siano Ludovico Morelli jr., conosciamo che al momento dellíatto era presente il solo Aron e che questi agiva anche a nome del fratello, pertanto il banchiere si impegnava a rispettarne i capitoli e quindi ìiuravit tacto calamo more hebreorumî. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli jr., prot. 493 (1601-1610), c. 12.] Le agevolazioni poste ai due banchieri di Latera, sebbene non e- spletate nel protocollo notarile, sono le stesse di quelle del capitolato del 1600 (1 dicembre) regolate tra la Comunit‡ di Farnese e Pacifico di Meluccio e suo figlio Prospero. La Comu- nit‡ come ricordato concedeva loro: di poter abitare nella terra di Farnese o nella citt‡ unita- mente alle famiglie e garzoni; di vivervi secondo i loro costumi e ìalla stessa maniera di quelli di Lateraî, vale a dire di essere esentati dallíobbligo di portare il segno di riconosci- mento, di fabbricarvi un proprio cimitero, di riconoscere loro gli stessi trattamenti riservati agli altri vassalli dello stato. [A. BARAGLIU, Mario Farnese Signore del ducato di Latera e Farnese, cit., p. 87.]
Ducato di Castro
A quanto gi‡ detto si aggiunge che a seguito dei Bandi (1 aprile 1613) agli ebrei fu consenti- to di prendere dimora solo nella citt‡ di Castro. La capitale, come si legge nella Informatione et discorsi dello stato di Castro (1600) di Francesco Giraldi, ìnon fa pi ̆ che anime 900 com- presoci fra essi 67 hebrei, che quivi habitanoî. Líobbligo di residenza nella citt‡ Ë leggibile anche nella Informatione e cronica della Citt‡ di Castro e di tutto lo Stato suo [ Ö] di Bene- detto Zucchi del 1630 ma la notizia appare meno precisa. ìVi sono sempre state famiglie di Ebrei, e vi hanno tenuto spesse volte il banco, quali non possono stare in altro luogo dello stato sotto gravi pene per prima abitazione bandimentaleî.
Prima della esecuzioni dei Bandi emanati dal duca Ranuccio Farnese, creditori e mercanti ebrei avevano operato a Gradoli e Valentano, centri nei quali, alla fine del XVI secolo, vi era stata pi ̆ volte la richiesta avanzata da un banchiere hebreo di Onano di aprirvi un banco. A Marta nel 1561 risultano attivi un banco e presumibilmente anche degli artigiani. In questí- anno (3 febbraio), Habramo hebreo, aveva richiesto che gli fosse concessa líautorizzazione a continuare líattivit‡ creditizia ìal meno per insiní al mese díAgosto proximo accio non mo- lestassino tanto questi loro Creditore perlla Terra. Nella seduta di Consiglio del 23 marzo venne messa a votazione ìsi pare che li hebrej hanno da stare in Marta et si la Comunit‡ si contenta o, no, maximi lartisciani chj vole che ce stiano metta nella bossola negra chi non voli che ce stiano metta nella biancaî. Per 41 voti contro 12 fu deliberato che ìgli ebrej che non ci habino da stareî. [Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. ANGELOTTI, F. FA- NELLI, E. FUCINI), Viterbo, tip. Quatrini, 1988, p. 198 e 211.] Nellíottica di questíultima risoluzione appare forse leggibile il caso di un ebreo martano che si era convertito al cristianesimo (dicembre 1561)? [Ivi, p. 238 e segg.]
Sebbene esplicitate come loro volont‡ testamentarie, veri e propri contribuzioni e pagamenti obbligatori appaiono le donazioni, fatte al vescovo di Castro da parte di ebrei residenti nel ducato; condizione questa che li accomunava a quelli delle vicine diocesi di Sovana e Orvie- to. Nei testamenti rogati in Castro da Benedetto Zucchi tra il 1594 e 1598 e da Domenio de Angelis appare costante il versamento di 10 soldi a favore del vescovo come anche quello di altri 5 cinque per i canonici della cattedrale di San Savino. Costanti sono anche i lasciti alla Sinagoga: si va dalla semplice donazione per líolio per la lampada (Camna di Prosparo, 15- 98, 26 gennaio) ad offerte pi ̆ generose come quella di Dianora di Abram, moglie di Aron di Joseph, che dona, oltre ad uno scudo per la lampada, anche un materasso di lana bianca e due di linthea usati (1600, 12 aprile), o quella di Gentile, vedova di Consolo, che destinava alla stessa tutti i suoi beni (1594, 6 settembre). [A.S.Vt., notarile di Tuscania, Benedetto Zucchi prot.
532, cc. 18; 38 e segg. Archivio Storico di Valentano, fondo di Castro, Domenico de Angelis (1555-1604) c. 137.] Termino citando il capitolato del 22 gennaio 1566 fra i Priori e Gonfalonieri della Comunit‡ di Castro (Laurantio Scaramucci, Framentio Querciola, AntonClario di Andrea, Egidio di Castro, Jacubo Concuo) e ìCrescentio de Meluccio hebreo de Proceno et Simone e Rubini hebrei fratelli et sui Nipoti Meneseo et Flaminio figlioli gi‡ di bona Ventura de Consulo da Spoleto esser confirmati dalla Magnifica Comunit‡ di Castro con bona gi‡ dellíIllustrissimi Signor Padroni et essi hebrei et loro haredi compagni et fattori et successori prestar denari ‡ utile et far bancho in la Magnifica Citt‡ di Castro et suo Contado et discreto secundo la forma et tenore delli infrascripti Capitoliî.
La richiesta di aprire detto banco in Castro era iniziata gi‡ alla fine del 1564 e sebbene Ge- rolama Orsini, gi‡ in data in data 14 novembre 1564, aveva inviato da Canino agli Ufficiali della capitale la sua lettera di patente, il contenuto della stessa pare giustificare tale ritardo ìMagnifici nostri carissimi. Qui Ë venuto prete Cecho Vostro mandato míha referto tutto quello serÏa il aiuto vostro circha la cosa dello hebreo li ho detto me ne contento de tutto quello farete. Ma io non ci vo mettere ‡ sopto scrivere i Capitoli perchÈ non voglio mettermi in cose de hebreiî. Da Valentano infine apparirebbe provenire Rausea. Nel 1648 la donna, abitante in Pitigliano e soprannominata la Valentana, per aver guastato dei bambini causan- done la morte fu accusata di stregoneria unitamente ad Agnola detta la Pergola.
Una testimonianza sulla presenza ebraica a Scansano
Dino Petri
Tutti i relatori, con puntuale e profonda conoscenza, hanno esposto i diversi ver- santi della vicenda umana di queste fran- ge di popolo spinte e costrette a vivere nei paesi amiatini e maremmani.
Anche a Scansano si erano insediate al- cune famiglie e, fra queste abbastanza abbienti, vi furono i Baroccia e i Bem- porad pi ̆ conosciuti, questíultimi, dopo che in seguito a Firenze fondarono una nota casa editrice.
Il palazzetto in via Marconi allíaltezza dellíinnesto con via della Botte fu rico- struito, su fondazioni cinquecentesche, proprio dai Bemporad per farne la pro- pria abitazione. Questa loro propriet‡ comprendeva un giardinetto ed un orto e si estendeva da via Marconi fino alla sottostante via IV Novembre dove avevano una stalla ed una uscita di servizio.
Il piano terra comprendeva un magazzino, una cantina e il bucatoio con un pozzo, nel primo piano i locali da giorno con una grande sala, nel se- condo piano le varie camere collegate con il primo da due scale, una ufficiale ed uníaltra interna e nascosta ma di di- mensioni pioutosto ampie. Quindi le soffitte in gran parte abitabili in un dedalo di vari locali.
Dalla lettura diaciamo ìsocialeî di questa tipologia di abitazione appare evidente come chi vi abitava intendeva poter vivere autonomamente e con la disponibilit‡ di tutti quei beni necessari alla propria sopravvivenza anche per periodi relativamente lunghi. In caso di ostilit‡ esterne potevano, coime in un castelletto, trovare con facilit‡ ri- fugi o fughe. Non siamo in grado di sapere se queste condizioni fossero una li-
bera scelta o vi influissero motivi di cautela verso líambiente circostante.
Nel salone del primo piano i Bemporad acco- glievano le altre famiglie ebree presenti a Sa- cansano in occasioni di festivit‡, riti e cele- brazioni che si verificavano abbastanza spes- so. Abbiamo potuto avere una simpatica testi- monianza diretta da parte di Jose Sandrucci, nato a Scansano nel 1864 e morto ancora in piena lucidit‡ alla veneranda et‡ di 106 anni. Egli, giovane calzolaio, veniva chiamato in questa casa ad eseguire gli ordinari lavori di riparazione delle scarpe per cui vi trasferiva il proprio deschetto per alcuni giorni ed aveva occasione di seguire lo svolgimento della vita quotidiana. ìEra la signoraî, dice Jose ìche dirigeva tutto, una signora alta, distinta e un poco burbera, mentre il marito, pi ̆ cordiale e buontempone, mi corrompeva con piccole mance perchÈ gli procurassi della salsiccia o del prosciutto che poi mangiava con vivo piacere quando la moglie era assen- teî. ìCosa avete mangiato a colazione?î, gli chiedeva riservatamente al ritorno. ìDue acciughine, signora!!!î, rispondeva Jose ligio al patto e riceveva anche da lei un piccolo compenso.
Gli ultimi ebrei hanno lasciato il paese di Scansano alla fine dellíOttocento. Ri- mane a ricordo il palazzo decritto sopra e il cosidetto ìPalazzo rossoî (altra lo- ro costruzione). In entrambi si puÚ osservare sopra al portone di ingresso una elaborata rostra in ferro battuto in cui campeggia la prima lettera dei rispettivi cognomi. Nellíarchivio comunale vi sono documenti che, finalmente ordinati e consultati, potrebbero ricostruire questa parte della vita e della storia della comunit‡ ebrai- ca a Scansano, certamente di particolare interesse sotto il profilo sociale ed eco- nomico.
Líiniziativa di questo seminario santafiorese, ha mostrato come esistano ancora, per varie localit‡ che furono interessate da questa convivenza, lacune di cono- scenza e di ricerca: sarebbe veramente interessante se potessero, con il tempo, essere colmate adeguatamente e essere, caso mai, oggetto, di un secondo semi- nario.
Líattualit‡ della riflessione sulla Shoah
Claudio Franci
Deputato al Parlamento
Vorrei prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questa iniziativa a Santa Fiora per avermi invitato, alla quale ho dato la mia adesione, non solo come rappresen- tante di questo territorio in Parlamento, ma anche come amiatino legato profonda- mente a questa terra, dove sono vissuto e continuo a vivere, per sottolineare il fatto che una piccola comunit‡, come quella dellíAmiata, non rinuncia a costruire, in ogni occasione, motivi di ricerca e di approfondimento delle proprie radici, della propria storia, della propria cultura e compie un approfondimento che non cerca mai di lasciare la storia o guardare alla storia come un evento che Ë legato al pas- sato, ma cerca sempre di guardare a ciÚ che Ë avvenuto, alle nostre tradizioni, alle culture che qui si sono incontrate, come un momento per rinnovare valori, idealit‡, possibilit‡ e prospettive di costruire un futuro migliore. » per questo che ho ritenu- to di aderire a questo importante appuntamento cosÏ come il 27 gennaio ho parte- cipato a Pitigliano allíiniziativa promossa dallíassociazione ìla piccola Gerusa- lemmeî dedicata a ìLa giornata della memoriaî, una celebrazione che ha visto la partecipazione della provincia di Grosseto in una realt‡ dove la presenza di questo popolo Ë stata particolarmente significativa. Io vorrei partire da qui, con due o tre considerazioni per lasciare poi il giusto spazio a chi dovr‡ intervenire dopo di me, ma anche per non apparire colui che fa uníincursione in un convegno ñ io sono arrivato da poco pi ̆ di uníora. E díaltra parte sarebbe scorretto da parte mia, e non sarei nemmeno in grado, tentare di formulare dei giudizi sulle questioni relative alla presenza degli ebrei nel nostro territorio e il significato che questa ha assunto, che sono stati oggetto della mattinata di studio. Al di l‡ di ciÚ che leggiamo ñ la persecuzione perenne di un popolo, che ritroviamo nel corso dei secoli ñ Ë impor- tante il ruolo che i piccoli stati (Santa Fiora, Pitigliano...) al confine fra lo Stato Pontificio e gli altri stati, dove gli ebrei hanno avuto la possibilit‡ e líopportunit‡ anche di radicarsi e di assicurarsi una presenza continuativa. Ritengo giusto che líAmiata continui e non interrompa questo processo che Ë della ricerca e della me- moria. Noi viviamo in una societ‡ che brucia tutto, nel giro di pochi attimi si bru- ciano le immagini, le sensazioni ed anche i sentimenti della gente; ciÚ che Ë vero e che Ë falso Ë difficile distinguerlo da un giorno allíaltro proprio perchÈ bombardati ogni giorno da varie vicende. Stamani, quando mi sono svegliato, pensando al convegno di oggi, mi sono ripreso un poí di libri che avevo in biblioteca tra cui ìTracceÖî e alcune cose che ripercorrevano la storia e vi dico anche una cosa grave per la mia ignoranza personale, ma ve la dico proprio per dare il senso anche dellíimpegno e della necessit‡ che dobbiamo mettere in campo. Leggevo líarticolo di Leoncarlo Settimelli, che Ë apparso su ìTracceÖî un poí di tempo fa, che par- lava della presenza degli ebrei a Santa Fiora nel rapporto con la musica e le tradi- zioni popolari e oltre a Santa Fiora indicava anche altre presenze, penso a quelle di Castel del Piano ñ dove io vivo da anni e ho fatto líamministratore fin dal í75,
quindi non un giorno fa ñ e sono sobbalzato leggendolo, perchÈ nella mia memoria non cíera la presenza ebraica in una comunit‡ come quella di Castel del Piano. Al- lora mi sono ricordato che ci sono delle strade che sono intitolate agli ebrei: cíË via Fosso degli Ebrei, cíË il Fosso degli Ebrei. Pure nella mia esperienza di un cit- tadino normale, ma che guarda con un poí di attenzione alle vicende di questo ter- ritorio, non avevo mai legato questa vicenda ad un fatto come la presenza di una comunit‡ nel nostro territorio. Sono uscito e sono andato come tutte le mattine al- líedicola a comprare il giornale, ho trovato una ventina di persone e gli ho fatto la domanda che mi ero posto io: ìMa per voi, qual Ë stata la presenza degli ebrei nel comune di Castel del Pianoî? Nessuno ha saputo darmi una risposta. Dico questo, non solo per confessare la mia ignoranza, ma per sottolineare il valore di un lavoro che Ë appunto quello della ricerca, che Ë quello di comprendere a fondo le ragioni di un territorio che vive sempre in un crinale difficile fra la non modernit‡ e la co- struzione dello sviluppo, ma che Ë anche quello della necessit‡ di non perdere le proprie radici, la propria storia e la propria cultura perchÈ solo da questo puÚ tro- vare una progettualit‡, uníiniziativa, un lavoro nuovo da portare avanti. Io potrei dire davvero che oggi Ë stata ìLa giornata della memoriaî, perchÈ ha aperto uno spaccato che nella mia testa non cíera, líavevo rimosso nella realt‡ del comune do- ve vivo. Indubbiamente non Ë cosÏ nel quadro generale.
Questa giornata, che Ë collegata con la giornata della memoria, si produce come una sorta di continuit‡ con la testimonianza ñ che non deve mai finire ñ dellíolo- causto che non deve finire. Ritengo, in questo senso, opportuno sottolineare positi- vamente líiniziativa assunta dalla Regione Toscana sulla visita ai campi di con- centramento e di sterminio: mia figlia liceale ha partecipato a questo giro che cre- do abbia lasciato anche una traccia tra tutti coloro che ci sono andati ñ cinquecento giovani partiti dalla Toscana ñ che hanno compiuto un cammino dentro la storia ed ha rappresentato per le loro coscienze un significato importante. Dobbiamo ri- cercare le nostre radici, la capacit‡ di dialogo che la nostra comunit‡ non ha mai perso ñ e ci tengo a sottolinearlo, lo dico da amiatino.
Ci siamo visti tempo fa a Santa Fiora per presentare il libro di un poeta del nostro territorio. Mi sembra utile, a questo proposito, ribadire che una delle forze di que- sto comprensorio Ë di non avere mai perso di vista due questioni: una sono le sue radici e líaltra la capacit‡ di dialogare e di capire anche i bisogni e le necessit‡ di altre comunit‡, di altri soggetti, di integrarli, di dialogare.
Questíultimo Ë un elemento importante perchÈ noi dobbiamo non solo mantenere la memoria della testimonianza di fatti gravissimi, indicibili che nel passato sono avvenuti ñ penso allíolocausto, allo sterminio di un popolo e alla negazione dei suoi diritti ñ ma anche operare ñ a questo deve Questo mi sembra il punto vero di come la storia e il futuro si incontrano, di come formano cultura, idealit‡, valori, opportunit‡ nuove, incontro di generazioni, possibilit‡ di popoli di costruire con determinazione nel rispetto dei propri diritti e dei loro valori un futuro che, indub- biamente, deve essere migliore. Allora quando io penso alla ìGiornata della me- moriaî, al ricordo o a vicende come queste, allíindagine sulla presenza di una co- munit‡ nel nostro territorio come Ë stata quella ebraica, le penso di questo tipo.
Viviamo in un mondo che oggi soffre grandi conflitti irrisolti e rispetto ai quali le risposte non sono nÈ scontate nÈ definite, io ritengo che il destino sia un poí nelle nostre mani e non solo di chi ci governa, ma anche dei cittadini che debbono agire come protagonisti in questo processo. Penso, ad esempio, allíEuropa. Noi oggi ab- biamo una moneta unica, ce la portiamo in tasca, compriamo, scambiamo e la mo- neta unica non Ë, in ogni modo, da sola, líEuropa che ha ancora da definire diritti e valori su cui si fonda e che dovrebbero servire ñ ad uníentit‡ istituzionale ñ a co- struire un mondo pi ̆ giusto e nuovi equilibri internazionali. Dopo il crollo del mu- ro di Berlino, le sorti dellíumanit‡ sono state lasciate in mano a pochi paesi e chi ha esercitato e sta esercitando un ruolo importante forse Ë un soggetto solo. Noi non possiamo pi ̆ permettercelo nel futuro ñ e questo lo dico prima di tutto in uní- Europa che guarda a costruire sia i sistemi pi ̆ equilibrati dove tanti popoli vengo- no liberati dal sottosviluppo ñ, ma lo penso innanzitutto in relazione al Medio O- riente e a ciÚ che lÏ sta avvenendo. La questione della pace ha oggi la propria cen- tralit‡ nella risoluzione del problema mediorientale. LíItalia non Ë altra cosa ri- spetto a questo, non puÚ essere marginale ñ nÈ rispetto allíEuropa e neanche ri- spetto agli Stati Uniti díAmerica ñ: questi popoli si affacciano ai nostri confini ñ il Mediterraneo, di fatto, Ë il nostro mare ñ, ed Ë a partire da qui che un dialogo deve improntarsi. Per questo Ë impensabile che non ci sia un ruolo di questa entit‡ isti- tuzionale per costruire una pace giusta in quella realt‡, una pace che a mio avviso si fonda su due elementi: il primo Ë che noi dovremo garantire ñ la comunit‡ inter- nazionale dovr‡ garantire ñ a Israele la possibilit‡ di avere uno stato sicuro, libero, in grado di assicurare diritti e la libert‡ dei cittadini che ci vivono; ma, dallíaltra parte, il problema del popolo palestinese credo che debba essere affrontato perchÈ anche questo popolo ha diritto ad una terra e a uno stato sicuro e legittimo. Quan- do noi guardiamo alla nostra storia, al passato, agli eccidi gravi e alle efferatezze che sono state compiute, se noi dobbiamo costruire un futuro questíocchio rivolto al passato deve aiutarci ad avere in testa, ognuno di noi, una bussola che non Ë fat- ta dellíadesione a quello o a quellíaltro partito ñ la ritengo marginale ñ ma ancora- ta ad alcuni valori che riguardano tutta líumanit‡ e sono: la democrazia, la libert‡, líautodeterminazione dei popoli, la possibilit‡ di liberarsi da vincoli come la fame, il sottosviluppo e il diritto alla salute. Credo che líAmiata possa dare un contributo a questo, perchÈ nelle nostre radici ci sono uomini che ci hanno insegnato ed aiu- tato a ricercare nella nostra storia, uomini come padre Balducci, come Di Giulio e come lo stesso Lazzaretti a cui, in questi giorni, si vorrebbero dare appartenenze di parte, fuori dalla storia e da ogni luogo. Credo che líAmiata negli ultimi cento an- ni, abbia imparato a ragionare, a dialogare, a costruirsi su forti valori e questo la rende una parte importante della comunit‡ toscana che sta agendo, anche in una fase difficile sul piano internazionale, per riaprire porte ed opportunit‡ di dialogo in una parte del mondo che ha bisogno di trovare una soluzione dignitosa per tutti i popoli che vi abitano.
Vi ringrazio.
Le persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto
Luciana Rocchi, Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dellíEt‡ Contemporanea Grosseto
ìIl 18 giugno 1944 va pure ricordato per líarrivo di Lello e Edda a Roccatederi- ghi dopo un viaggio di 9 giorni percorso a piedi tra le macchie ed a fianco della guerra, giunti in stato pietoso. Il 14 luglio Lello riparte per Pitigliano, via Gros- seto-Arcidosso, parte a piedi, parte con mezzi di fortunaî (1)
Si conclude cosÏ, con il ricongiungimento ai figli ed il ritorno, líodissea della famiglia di Azeglio Servi, nella scarna descrizione offerta da una delle quattro pagine del diario, che scrisse duran- te i sette mesi della sua prigionia
nel campo di internamento di Roc- catederighi. La vicenda della famiglia Servi (2) puÚ ben rappresentare il vissuto di molti altri ebrei, residenti nella pro- vincia di Grosseto, dallíemanazione delle leggi razziali in Italia, nel no- vembre 1938, allíinizio della ìpersecuzione delle viteî, avviata nel novembre 1943 con líapplica- zione della nuova legislazione della Repubblica Sociale Italiana sugli ìappartenenti alla razza ebraicaî, alla Liberazione, avvenuta nel giugno 1944. Anche se non per tutti ci fu un lieto fine: 33 furono i deportati nei campi di ster- minio del Reich; di questi 29 non tornarono.
La presenza ebraica nella provincia di Grosseto non era particolarmente signifi-
cativa; il censimento del 1938 ne contava 149 (3), di cui 68 residenti a Pitigliano
(4), sede nei secoli passati di una numerosa e attiva comunit‡ ebraica, che dalla
fine dellíí800 aveva conosciuto un rapido e cospicuo processo di emigrazione. (5)
Líassimilazione degli ebrei grossetani prima del 1938 era quella stessa, che Ë documentata in tutta líItalia da: partecipazione alla vita civile, appartenenza al- lo stato nazionale (compresa da parte di molti una sostanziale accettazione del regime fascista) (6) serena convivenza con la comunit‡ cattolica.
La comunit‡ ebraica di Pitigliano, proprio in ragione di una secolare permanen- za nel luogo, offre un esempio di pacifica convivenza, che si manifesta con un rapporto di collaborazione tra le autorit‡ religiose cattoliche ed ebraiche e di armonia tra i membri delle due comunit‡.
Ma il clima cambiÚ, se gi‡ nellíestate del 1938 il veterinario di Pitigliano veni- va convocato dal Prefetto di Grosseto per fornire spiegazioni in merito ad un articolo, che aveva pubblicato proprio su ìlíunione tra ebrei e cristianiî a Piti- gliano (7). La lettera che Giuseppe Ugo Boscaglia inviava il 23 giugno al Prefet-
to Ë un esempio di trasformismo: quellíarmonia, che gli era apparsa prima un valore, nelle giustifi- cazioni che si sente obbligato a dare Ë rappresenta- ta con un nuovo linguaggio, allusivo ed ambiguo. Descrive ìun incrocio cristiano-ebraico: le due raz- ze si sono mischiate, impastateî; denuncia un ìmorboso desiderioî degli ebrei, che ìper spregio si accoppiavano volentieri a cristiane e special- mente a vergini cristianeî, che avrebbe ìinfettatoî anche i cristiani, che, perÚ, ìhan meno quattrini per soddisfarloî.
In un altro luogo della provincia, a Monte Argenta- rio, un altro episodio documenta la nuova atmosfe- ra. In una lettera al Prefetto di Grosseto (8), il 13 novembre 1938, il Podest‡ di Monte Argentario espone un problema: si Ë insediata da tre anni, in un edificio acquistato dalla colonia israelitica Pitigliani di Roma, una colonia estiva, che ospita ragazzi ebrei ìcontro líunanime sentimento di questa popola- zione, tutta cattolicaî.
PoichÈ le recenti direttive in materia razziale hanno trovato, sostiene il Podest‡ ìpiena corrispondenza in questo popolo, tali ebrei sono indesiderabili, e non si gradirebbe il loro soggiorno in questo Comune, sia pure limitato al breve perio- do estivoî. Conclude prospettando la costruzione di un albergo, grazie alla vo- lont‡ di alcuni cittadini disposti ad acquistare líedificio.
Mentre si verificano questi episodi, prende corpo nella provincia di Grosseto una campagna di stampa dai toni beceri ed aggressivi su La Maremma, il foglio díordini del Partito Nazionale Fascista locale. (9)
Vi compaiono con sempre maggiore frequenza articoli, che alternano disquisizioni teoriche sul tema della raz- za, esaltazione delle misure adottate dal governo fasci- sta, denunce dei vizi degli ebrei.
Sono limitatissimi i riferimenti alla realt‡ locale. Ma cíË un articolo, che merita di essere segnalato per uníinter- pretazione del carattere tipico della ìrazza italianaî, che
secondo líautore va ricercato nelle campagne maremmane, la cui popolazione rimane da sempre attaccata alla sua terra (ìesistono famiglie che abitano lo stesso podere da mille anniî).(10) Qui, senza accenti eroici, razzismo Ë: fedelt‡ alla terra, al lavoro, alla famiglia, e questa fedelt‡ i maremmani la incarnereb- bero perfettamente.
Sono espressioni, che probabilmente tendono a sollecitare una partecipazione attiva alla politica razziale in una popolazione, che ìcontinua ad essere indiffe- rente alla questione razzistaî, come recita la relazione mensile del Questore di
Grosseto del gennaio 1939. (11) N ellíinsieme, dun- que, una propaganda accanita della sezione gros- setana del Partito Nazionale Fascista, lo zelo delle autorit‡ locali, líindifferenza delle popolazioni, che dobbiamo interpretare ñ in riferimento ai due episodi citati ñ come disponibilit‡, in un caso a su- bordinare il rispetto per i diritti di cittadini italiani a pieno titolo ad un tornaconto, nellíaltro ad inchi- narsi trasformisticamente allíautorit‡ fascista, che ora ìcon senso di giustizia e di saggezza cristiana, vigilaî.(12)
Anche líautorit‡ religiosa, a Pitigliano, sembra vo- ler prendere le distanze dal passato, se il vescovo rimprovera alcuni suoi parroci per un eccessivo contatto con gli ebrei del luogo. Le testimonianze di ebrei grossetani attestano
da parte loro, dopo le leggi, la lenta percezione di un cambiamento di stile nei rapporti, ma non per mani- festazioni di aperta ostilit‡, piutto- sto per le condizioni oggettive di esclusione ñ per esempio dalla scuola ñ e per un graduale indeboli- mento delle relazioni sociali.(13) Durante gli anni della guerra, a Grosseto non esiste ancora, come
altrove, in Italia,(14) un luogo destinato allíinternamento degli ebrei stranieri e degli italiani giudicati pericolosi (15) ma Ë documentata la presenza di alcuni e- brei in carceri della provincia di Grosseto. Nel momento in cui, con uno dei suoi primi atti, la RSI indurisce le misure per- secutorie contro gli ebrei (16) , passando dalla persecuzione dei diritti alla perse- cuzione delle vite, la presenza di ebrei nella provincia di Grosseto Ë ulterior- mente diminuita.
Líunico dato certo di cui disponiamo Ë un aggiornamento del censimento, dei primi mesi del 1944, che conta 100 ebrei residenti.(17) Dunque, ancora una oggettiva marginalit‡ del problema ebraico, ma, nonostan- te ciÚ, uno speciale accanimento delle autorit‡ repubblicane nellíadozione delle nuove pratiche di controllo, esclusione, persecuzione.
Tra ottobre e novembre del í43 líesercito occupante tedesco ha gi‡ avviato ra- strellamenti e deportazioni di massa nel territorio della RSI. Il 14 novembre, la Carta di Verona del PFR dichiara che ìgli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante la guerra appartengono a nazionalit‡ nemicaî.
Il 30 líordine di polizia n. 5, firmato da Buffarini Guidi, dispone arresto e inter- namento di tutti gli ebrei, per cui debbono essere istituiti, laddove non esistono,
nuovi campi provinciali. Il 5 dicembre il campo di prigionia di Fossoli di Carpi Ë trasformato in campo di concentramento per ebrei, luogo di raccolta ed attesa di ciascuno dei numerosi convo- gli, che trasferiranno nei campi
di concentramento del Reich la maggior parte degli oltre 6000 ebrei deportati dallíItalia.(18) Nellíapplicazione delle nuove norme, i rappresentanti locali del governo della RSI procedet- tero di concerto con le autorit‡ politiche e militari tedesche in Italia, ma dopo il novembre 19- 43 líiniziativa diretta fu soprat- tutto italiana, salvo per líintervento tedesco nellíorganizzare la deportazione.(19) La singolarit‡ del caso grossetano appare evidente dalla cronologia degli even- ti. Tra 16 e 17 novembre furono emanati i primi tre decreti, che disponevano congelamento e sequestro dei beni di cittadini di razza ebraica (20).
Il 16 novembre fu sequestrata la prima propriet‡ terriera: la tenuta della Societ‡ Paganico, nel cui consiglio erano presenti, anche se non in maggioranza, ebrei. La corrispondenza tra le istituzioni locali e il presidente della Societ‡, il mar- chese Serlupi Crescenzi (21), attesta lo stupore che accolse il provvedimento. Serlupi denuncia, alternando le proteste agli attestati di fedelt‡ al regime, lías- senza di precise disposizioni in merito ed esprime fiducia in un atto di clemen- za. Ma gli si risponde con una secca conferma del sequestro.(22)
A questo seguono nel giro di pochi giorni sequestri di depositi bancari, di a- ziende commerciali e di altre propriet‡ agrarie e infine delle case di abitazione. Il 7 dicembre Ë istituito líEGELI (Ente di gestione e liquidazione immobiliare), incaricato di operare verifiche sulla posizione razziale dei proprietari di beni mobili e immobili, di nominare stimatori e liquidatori, di gestire il cospicuo pa- trimonio risultante dai sequestri. Si trattÚ di una risorsa per il le finanze pubbli- che, la cui situazione fu sempre precaria, ma anche di un mezzo per favorire con un ruolo ed uno stipendio una clientela locale. Parte del denaro incamerato confluÏ anche nelle casse del PFR, parte fu indebitamente distratto da responsa- bili dellíEGELI e dallo stesso capo della Provincia, come documentano le in- chieste per malversazioni, aperte dalla Prefettura di Grosseto nellíestate del 19- 44 (23).
Ma il capitolo pi ̆ doloroso fu quello degli arresti e dellíinternamento. Il 24 novembre ebbero inizio i lavori per líinstallazione di un campo provincia- le, in uníala della sede estiva del Seminario vescovile di Roccatederighi, nel comune di Roccastrada; il 27 avvennero i primi arresti nel territorio provincia- le; il 28 il campo cominciÚ a funzionare.(24) Tutto questo ñ la complessa messa in movimento della macchina della persecu-
zione ñ in anticipo rispetto allíordine di polizia n. 5, del 30 novembre, e senza alcun intervento da parte del Comando territoriale militare germanico. Tutti gli atti, che dispongono líapplicazione delle singole misure, portano la fir- ma di Alceo Ercolani, che fu capo della provincia di Grosseto dallíottobre 1943 al giugno 1944. Originario di Viterbo, era stato nel 1940 Federale di Treviso, quindi Ispettore della G.I.L. a Roma, prima di partire volontario per la campa- gna di Russia, dove fu maggiore del 3° Reggimento Bersaglieri e si guadagnÚ una medaglia díargento al valor militare.
Dopo la fuga da Grosseto, fu Presidente dellíEnte Nazionale profughi a Milano, fino alla Liberazione. SubÏ una condanna severa per omicidio e collaborazionismo, pronunciata dalla Corte díAssise straordinaria di Grosseto il 18 settembre 1946, che scontÚ solo in minima parte. Ebbe nel 1953 una nuova, lieve condanna per bancarotta, ma nel 1962 il Tribunale Supremo Militare rispose positivamente ad una sua istan- za di riabilitazione.(25)
Dagli atti del processo di Grosseto emerge la ferma decisione, con cui perseguÏ i renitenti alla leva (in un rapporto del Comando militare territoriale germanico la sua azione era stata segnalata come ìeccellenteî) (26). Tra i capi díimputazione, il pi ̆ grave Ë la responsabilit‡ nellíuccisione di undici giovani renitenti alla leva, arrestati e fucilati dopo un processo sommario a Maiano Lavacchio, presso Grosseto.
Dopo la strage, Ercolani scrisse un compiaciuto elogio per gli esecutori e pro- pose per loro una ricompensa in denaro (27), mentre censurÚ il Questore di Gros- seto, che aveva espresso gravi riserve per la ferocia di questo atto.(28) Se analizziamo i singoli atti relativi alla persecuzione degli ebrei, troviamo in rapidissima sequenza, con sistematicit‡, i provvedimenti di Ercolani finalizzati al sequestro ed alla gestione dei beni ebraici.
Il fatto che non fossero state emanate istruzioni dal Ministero degli Interni quando scattarono i suoi primi provvedimenti non fermÚ il capo della Provin- cia, che, in risposta alle proteste del marchese Serlupi Crescenzi, riconfermÚ la volont‡ di procedere: ìÖovunque esist[esse] anche un solo ebreoî.
Sostenne anche di aver agito ìin seguito ad ordine del Ministro dellíInternoî, riferendosi ad un incontro, avvenuto a Firenze tra Buffarini Guidi ed i capi del- le province, dopo il quale, perÚ, solo lui aveva ritenuto di dover assumere im- mediatamente líiniziativa. (29) Complessivamente, nel gennaio 1944 líEGELI aveva gi‡ disposto e realizzato il sequestro di 15 aziende agrarie, per uníesten- sione di 13.000 ettari (30) Gi‡ dal 5 novembre, Ercolani aveva avviato uníinchie- sta sulle case di abitazione degli ebrei e sul numero degli occupanti; la lettera, che inviÚ ai Podest‡, si trova, nel fondo regia Prefettura, collegata ad una di- sposizione, che vieta di dare ospitalit‡ a sfollati di altre province, per riservarla a quelli della fascia costiera della provincia di Grosseto (31).
Appare evidente líintenzione di utilizzare le abitazioni degli ebrei per venire incontro alle necessit‡ di alloggi, create dallo sfollamento della popolazione dai
luoghi pi ̆ esposti ai bombardamenti. Ma la prova pi ̆ evidente di sollecitudine del capo della Provincia Ë data dallíistituzione del campo provinciale díinterna- mento di Roccatederighi. » gi‡ il 24 novembre, dunque prima del citato ordine di polizia n. 5, che comu- nica al Ministero degli Interni líavvenuta istituzione del campo, corredando líinformazione con vari dettagli: sede, nomina del direttore, provvedimenti per la custodia. Colpisce anche la predisposizione di misure di sorveglianza esterna tali da poter far fronte ad azioni di guerra: 20 militi, armati di mitragliatrici, fu- cili mitragliatori, ìun congruo numero di bombe a mano per ogni militeî ed un reticolato di protezione, sorvegliato notte e giorno (32), per impedire fughe e co- municazioni.
Il tutto per sorvegliare 80 detenuti, tra cui vecchi, donne, bambini, offrendo u- níimmagine esterna, che ricorda i campi di concentramento del Reich. In uníal- tra occasione, con un telegramma, aveva rivolto al Ministero degli Interni un quesito ìper conoscere se legge di Norimberga debba essere applicata confronti ebreiî, (33) riferendosi presumibilmente al trattamento degli ebrei ultrasettanten- ni, dei malati, dei nati da matrimoni misti e dei coniugati con non ebrei, su cui le disposizioni della RSI tra dicembre í43 e gennaio í44 tendono a farsi pi ̆ ri- gide.
Vi si puÚ leggere líatteggiamento del militare, incline al rigore ed alla discipli- na, ma Ë anche implicita qui la disponibilit‡ ad applicare la legislazione tede- sca, pi ̆ dura di quella italiana, dunque a superare in rigidit‡ le norme italiane, per avvicinarsi al modello tedesco. Líeccesso di zelo dellíistituzione del campo di sua iniziativa provocÚ una secca richiesta di chiarimenti da parte della Dire- zione generale di P.S. del Ministero, che precisava, in una nota inviatagli: ìla costituzione e líorganizzazione di campi di concentramento, comíË noto, sono di competenza di questo Ministeroî (34).
Per Roccatederighi, nessuna autorizzazione era stata nÈ richiesta nÈ ottenuta. Dunque, Ë chiaro che il ruolo di Alceo Ercolani non fu secondario, nella condu- zione di uníazione tanto precoce, quanto accanita. Quale la spiegazione? Una speciale, innata durezza, magari mista ad ammira- zione per il rigore tedesco; un retaggio della disciplina militare, un ossequio to- tale al regime, forse anche la disinvoltura di chi non ha radici nel luogo in cui opera e puÚ consentirsi eccessi altrimenti difficili.
Certo Ë che Ercolani non Ë líunica variabile di questo sistema: seppure Ë stato il promotore dei molti atti, che portano la sua firma, ha avuto bisogno di una fitta rete di relazioni e di complicit‡ per realizzarli. Lo attestano intanto i molti col- laboratori di cui si servÏ per il sequestro e la gestione dei beni. Sono documen- tate offerte spontanee di collaborazione: un sequestratario che non vuole nem- meno compensi in denaro per il suo lavoro; agricoltori che si affrettano a garan- tire alla Confederazione fascista degli agricoltori la propria disponibilit‡ a ge- stire le imprese agrarie sequestrate a ebrei del loro stesso paese (35), in un caso lo stesso mezzadro del proprietario ebreo.
Uníattenta considerazione merita líatteggiamento della Chiesa locale. Spesso i parroci, qui come altrove, dettero uno spontaneo sostegno sia agli antifascisti, che a chi sfuggiva allíarruolamento nellíesercito della RSI, che agli ebrei perse- guitati. Ma le pi ̆ alte gerarchie di fronte alle persecuzioni, ai rastrellamenti, al- le deportazioni, come sappiamo, tacquero. (36) A Grosseto, fa riflettere líutilizzo della sede estiva del Seminario vescovile. Non si trattÚ di un gesto di brutale requisizione, ma di un accordo stipulato tra il Vescovo di Grosseto ed il capo della Provincia, sancito da un regolare contratto di affitto. Una biografia di Pao- lo Galeazzi, allora Vescovo di Grosseto, Ë ancora da scrivere, ma appare gi‡ og- gi un personaggio interessante, se suscitÚ un incidente diplomatico tra Vaticano ed addetto statunitense presso la Santa Sede, nel giugno 1943, con la scrittura di un articolo forte a proposito del bombardamento americano del 26 aprile 19- 43, che i cardinali Maglione e Tadini definirono inopportuno, perchÈ politico; ed a seguito del quale ricevette dal S.C. Concistoriale ìun rebuffoî.(37)
Il documento che attesta líaccordo riporta líammontare del canone díaffitto, il compenso pattuito per le suore e gli uomini, messi a disposizione per la gestio- ne del campo.(38) Pur considerando líovvia cautela del Vescovo, che cerca di ga- rantirsi da un ñ peraltro improbabile ñ esproprio,(39) non appare altrettanto ov- via la motivazione espressa nel testo, di ìprova di speciale omaggio verso il nuovo statoî, quando mai la Santa Sede volle riconoscere la RSI.
Diversa sar‡ la versione dei fatti, a Liberazione avvenuta, quando il vescovo pretender‡ dalla Prefettura di Grosseto quanto gli sarebbe dovuto, dal momento che líaffitto non Ë mai stato pagato, con due lettere, in cui dichiara di aver do- vuto cedere il seminario costretto dalle pressioni delle autorit‡. (40)
Al di l‡ della difficolt‡ di spiegare un gesto tanto singolare rispetto alle scelte del vescovo ed al clima politico locale, sarebbe interessante sapere se la Santa Sede fu informata e, se sÏ, quale atteggiamento tenne. Ma per saperlo sar‡ ne- cessario aspettare líapertura degli archivi vaticani, dove sono ancora secretati i documenti relativi a questo periodo. Di particolare interesse, su questo tema, Ë il confronto con la memoria di alcuni tra i superstiti del campo e tra i religiosi, che convissero con gli internati (41).
Tutti ricordano lëassistenza spirituale del Vescovo, che in quel periodo occupa- va uníaltra ala del Seminario, e le cure della sorella, che alleggerivano il peso della detenzione. Nessuno Ë disposto ad attribuirgli una qualche responsabilit‡: una memoria selettiva líha esclusa ed ha consolidato in loro líimmagine dei ge- sti di solidariet‡. Un punto fermo Ë che ìil vescovo ha salvato la vita ad ebrei grossetaniî. (42)
In effetti, un dato significativo Ë quello delle deportazioni. Osservando i due trasferimenti di ebrei da Roccatederighi a Fossoli, preludio alle deportazioni, troviamo nel primo gruppo 9 italiani e 12 stranieri, nel secondo 25 stranieri.(43) Nessun ebreo grossetano uscÏ da Roccatederighi, diretto a Fossoli; i pi ̆ furono rilasciati per motivi di salute. Si era costituita una rete solidale intorno agli e- brei grossetani, che comprendeva anche alcuni militi, che prestavano servizio
allíinterno del campo, e lo stesso direttore, Gaetano Rizziello. (44). Erano loro a guidare opportunamente la composizione della lista. Resta il fatto che uno dei testimoni intervistati, nel richiamare alla memoria quei due momenti pi ̆ tragi- ci, rivive ancora con profonda commozione sia la paura, che la piet‡ per chi ñ privo di protezione ñ prese la strada per Auschwitz, magari al posto di un so- pravvissuto. Al di l‡ di questi momenti, líimmagine della vita nel campo, che i testimoni restituiscono, fa dimenticare le drastiche misure di sorveglianza ar- mata, predisposte allíinizio. Dal campo era possibile uscire ed intrattenere con- tatti costanti con gli abitanti di Roccatederighi. Tra le memorie pi ̆ vive, resta- no quelle della solidariet‡ del paese, fatta di offerte di ospitalit‡ e di aiuti di o- gni genere, qui ed in altri luoghi della provincia (45), esempio di uníaltra faccia delle persecuzioni antiebraiche, altrettanto rilevante di quella delle numerose complicit‡ con i nazifascisti. Gino Servi ricorda di esser riuscito ad introdursi nel campo con il fratello, per rivedere i genitori (46). » impossibile non percepire il paradosso di un tranquillo scorrere dei giorni al campo, in un contesto in cui la ìmacchina della morteî avviata dalla Germania nazista e sostenuta dallíItalia fascista continuava a perseguire líobbiettivo dello sterminio di tutti gli ebrei, anche in Italia. E in Italia troviamo, nella societ‡ civile, líuna a fianco dellíal- tra, la solidariet‡ e la delazione, la comprensione e líindifferenza. Valutando complessivamente il caso Grosseto, vi troviamo ben rappresentata quellíambi- guit‡, che ha consentito la lunga durata del modello interpretativo, fondato sul- lo stereotipo del ìbravo italianoî. La storiografia, dopochÈ per molto tempo lo studio di Renzo De Felice (47) Ë rimasto líunica lettura sistematica della storia degli ebrei sotto il fascismo, ha introdotto in anni pi ̆ recenti nuove categorie interpretative (48). Proprio quello che abbiamo indicato come un paradosso ci mette di fronte alla natura delle responsabilit‡ e degli atteggiamenti degli italia- ni. In un caso come quello grossetano, dove líiniziativa persecutoria fu in modo speciale accanita e feroce, a fronte di una presenza di ebrei tanto limitata, Ë le- cito chiedersi perchÈ a nessun livello questa macchina non si sia inceppata, co- me una parte non piccola della societ‡ civile abbia potuto accettare di adeguarsi alla condotta, che veniva richiesta. Non possiamo ignorare, per spiegarlo, la martellante propaganda, che La Maremma aveva condotto su una popolazione resa sempre pi ̆ passiva da generazioni di assuefazione al regime fascista, che a Grosseto, a dispetto dei importanti tradizioni democratiche prefasciste, aveva trovato un largo consenso. (49) Ma vale anche la pena di osservare la vasta gam- ma di comportamenti di coloro, che garantirono con la loro pi ̆ o meno ampia collaborazione il funzionamento della macchina: il Presidente dellíEGELI, che godeva di uno stipendio mensile di 2000 lire, il sequestratario che collaborÚ gratuitamente, il Vescovo che firmÚ líaccordo per líistituzione del campo e con- temporaneamente si prodigÚ per gli ebrei grossetani, il comandante del campo ed i militi, che manipolarono la lista per non far deportare i grossetani. Questi ultimi fanno ricordare quel Raffaele Alianello, commissario di P.S. ñ citato da Giacomo De Benedetti in un racconto (50) ñ che fece cancellare dalla lista delle
vittime designate della rappresaglia delle Fosse Ardeatine otto ebrei, per dimo- strare proprio verso gli ebrei un pietismo, che era stato un vizio secondo líetica fascista, e dunque guadagnarsi a futura memoria un favore, presso coloro, che domani avrebbero sostituito i fascisti al potere. Anche il comandante Rizziello forse pensÚ al dopo, in un momento in cui i segni del tracollo fascisti si faceva- no chiari. Mettendo a confronto i comportamenti dei vari ìAlianelliî e quelli di chi, senza ambiguit‡, offrÏ solidariet‡ e aiuto agli ebrei, troviamo un confine molto pi ̆ netto di quanto non possa sembrare. Seguendo Giovanni De Luna, (51) Ë possibile definirlo come il confine tra fascismo e antifascismo intesi non co- me categorie immediatamente politiche, ma esistenziali. De Luna ha visto la realizzazione del progetto di dominio fascista in corrispondenza con la costru- zione di processi, che favorivano uníatmosfera di corruzione, in modo cosÏ pe- netrante da introdursi anche nella vita privata dei singoli, spezzando legami di solidariet‡, utilizzando il sospetto, la delazione, il compromesso. Questo con- temporaneamente apriva spazi, non direttamente legati alla politica, di crescita dellíopposizione e valorizzava quindi quello che lui chiama un antifascismo e- sistenziale. Si puÚ aggiungere che quei comportamenti, cresciuti sul terreno a- rato dal regime fascista, potevano radicarsi tanto meglio, quanto pi ̆ erano de- boli la cultura e la coscienza civile degli italiani. Gino Servi, nella sua testimo- nianza, ha ricordato il momento in cui scattÚ in lui la presa di coscienza, nellí- autunno del í43, quando la persecuzione líobbligÚ alla fuga nelle campagne di Pitigliano e si trovÚ, non solo come aveva temuto, a condividere un progetto con i partigiani ed a ricevere un caloroso ed essenziale sostegno dai contadini (ìNon ho ricordi di una porta chiusaî, dice oggi ) (52). Servi mostra nella sua te- stimonianza una percezione abbastanza chiara del significato di quei diversi comportamenti, indicati prima.
Ma non Ë sempre facile, per i portatori di queste memorie difficili, ricostruire quel passato, operando nette distinzioni. Nellíanalisi del caso grossetano, non Ë sempre stato agevole il confronto tra le fonti archivistiche e le memorie dei te- stimoni, che danno líimpressione di non voler contrastare fino in fondo quel senso comune, che tende a ridurre le responsabilit‡ del fascismo. » impossibile, con loro, tentare passaggi, che vadano oltre la loro elaborazione dellíesperienza vissuta e le cristallizzazioni, che la memoria ha consolidato ñ grazie ad una let- tura pi ̆ o meno selettiva ñ ed ora trasmette, narrando.
Per questo, pur dovendo continuare a misurarci con delicatezza e rispetto con quelle memorie, riteniamo utile estrarre documenti dagli archivi locali. PerchÈ negli ultimi anni, sono state proprio le ìmicrostorieî, i casi locali, a contribuire a far sÏ che si venisse a capo di ìuna curiosa discrasia tra una storiografia, che tende[va] a stemperare presupposti e circostanze di ciÚ che furono le leggi raz- ziali ed una ìmicrostoriaî che invece narra[va] episodi di uccisioni, massacriÖ un altro paese, fatto di delazione, di indifferenza, di egoismo e di cinismoî (53)
Non ci furono soltanto razzistiÖ
Elena Servi
Associazione ìPiccola Gerusalemmeî di Pitigliano
Settembre 1938: avevo appena otto anni e mezzo e, dopo aver frequentato la prima e la seconda elementare nella scuola pubblica di Pitigliano ñ mio paese di nascita e di residenza ñ mi preparavo ad iniziare la terza classe. Una mattina mio padre mi disse:
- Questíanno non potrai pi ̆ andare a scuola!- - PerchÈ, che cosa ho fatto? ñ domandai con sorpresa. Nel mio cervello di bambina era ben chiara la consapevolezza che soltanto per averla fatta grossa non si era ammessi a scuola e io non mi sentivo in alcun mo- do colpevole. - Niente, non hai fatto niente- mi rispose tristemente mio padre accarezzando-
mi la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. ñ Non hai fatto
niente, ma non potrai frequentare-. CosÏ, da quel giorno, seppi di essere diventata diversa, esclusa, respinta, inac-
cettabile, cosÏ come lo seppero tanti al- tri bambini come me e tanti altri adulti come mio padre. In quei giorni erano state emanate in Italia, dal governo fa- scista, le leggi razziali; in quei giorni gli ebrei italiani, che dallíunit‡ díItalia e fino a quel momento erano vissuti in piena parit‡ di diritti e di doveri con tutti gli altri cittadini dello Stato, si ri- trovarono espulsi dagli impieghi, dalle scuole, dai ranghi militari, da ogni in- carico pubblico. Essi furono privati di ogni diritto civile, umiliati, disprezzati, perseguitati in quella stessa Patria per la quale, durante il Risorgimento e nei lunghi e duri anni della prima guerra mondiale, avevano combattuto e molti erano morti. ìIn Italia- aveva affermato Mussolini poco tempo prima, riferen-
dosi alle persecuzioni razziali gi‡ in atto in Germania, sotto il governo di Hit- ler- ìnon esiste una questione ebraicaî. E ancora: ìIl contributo di sangue dato dagli ebrei allíunit‡ díItalia Ë stato va- sto, generosoî.
Parole ben presto rimangiate, come prezzo da pagare allíalleanza con la Germa- nia nazista. CominciÚ dunque, per tutti noi, quel periodo nero che doveva dura-
re per ben sette anni e che ebbe il suo culmine tragico nelle deportazioni e nello sterminio. Anche a Pitigliano, dove ormai da quattro secoli viveva e prosperava una Co- munit‡ ebraica; dove gli ebrei di volta in volta cacciati dallo Stato Pontificio o da altre terre, avevano trovato sempre un rifugio sicuro ed erano vissuti , in ge- nere, in armonia col resto della popolazione, le persecuzioni razziali cambiaro- no improvvisamente la vita della Comunit‡ fino a
determinare la graduale scomparsa. Proprio a Pitigliano, anzi, le leggi razziali trova- rono uníapplicazione rigida, zelante, che superÚ per tanti aspetti i dettami stessi delle leggi. CiÚ non per opera dei Pitiglianesi, ma di alcuni gerar- chi fascisti venuti da fuori o che vivevano e lavo- ravano a Pitigliano ma non erano originari del pa- ese. Agli ebrei di Pitigliano, conosciuti personal- mente uno per uno data la piccolezza del paese, fu vietato di frequentare qualsiasi locale pubbli- co- cinema, teatro, bar - ; ai cattolici fu vietato díintrattenere rapporti con gli ebrei e, perfino, di rivolgere loro il saluto.
Per quello che ne so, in nessuníaltra localit‡ italiana furono presi simili prov- vedimenti e del resto, poichÈ agli ebrei italiani non era stato imposto alcun se- gno distintivo particolare, nelle grandi citt‡ essi avevano maggior libert‡ di mo- vimento.
Fu a quel punto, perÚ, che molti dei nostri amici cattolici, in aperta sfida agli ordini ricevuti, ci dimostrarono tutta la loro solidariet‡ e il loro sostegno: le a- miche pi ̆ care delle mie sorelle maggiori continuarono a frequentare la nostra casa, mentre i genitori delle mie sue pi ̆ care amiche ñ uno dei quali addirittura impiegato comunale ñ si rifiutarono di impedire alle figlie di giocare con me.
Io fui, per cosÏ dire, ìadottataî dalla madre di una di queste che regolarmente, la domenica sera o le altre sere festive, mi prendeva con la sua famiglia per an- dare al cinema o a mangiare il gelato, seduta a un tavolo fuori del bar, sotto gli occhi di tutti.
CosÏ, fra amarezze, angherie e disagi di ogni genere, arrivammo al 1943 e dopo lí8 settembre, con líuscita dellíItalia dal conflitto mondiale e con la conseguen- te occupazione di gran parte del territorio nazionale da parte dei tedeschi, ebbe inizio, per tutti noi, il periodo pi ̆ tremendo.
Dopo la deportazione degli ebrei romani ñ il 16 ottobre 1943 ñ e dopo che ap- parve ben chiaro quale sorte sarebbe toccata a chi fosse caduto nelle mani dei nazisti, i miei genitori decisero di scappare da Pitigliano: nel pomeriggio dellí1- 1 novembre, in una splendida giornata di sole degna dellíestate di San Martino, abbandonando la nostra abitazione e, portando con noi soltanto poche cose, prendemmo la via dei campi. Le mie due migliori amiche di cui ho gi‡ parlato
ñ Leda Carrei e Agnese Ragnini ñ mi accompagnarono per un lungo tratto di strada; poi ci salutammo e il distacco fu doloroso: ci saremmo riviste? IniziÚ cosÏ per noi quel triste andare da un posto allíaltro; quella paura di essere scoperti, presi, deportati, quel terrore che ogni sconosciuto potesse costituire una minaccia: nascondersi al prossimo senza aver fatto niente di male Ë una sensazione di pena indescrivibile.
Per quattro mesi ci spostammo da un podere allíaltro, camminando spesso a fa- tica sulla neve alta, pronti a fuggire e cercare rifugio in un altro luogo non ap- pena si presentava o si presagiva un pericolo. Allíinizio del marzo í44, infine, trovammo rifugio un una grotta in mezzo a
una macchia e lÏ restammo fino al 14 giu- gno quando, finalmente occupata la nostra zona dagli ìAlleatiî potemmo far ritorno a casa, a vivere la vita come uomini liberi in mezzo a uomini liberi.
La prova era stata dura e avrebbe lasciato i segni indelebili in ognuno di noi; ma rin- graziammo Iddio di averci salvato, rispar- miandoci i tormenti atroci della deportazio- ne. Per tanti anni, il 14 giugno, io e la mia famiglia digiunammo in segno di gratitudi- ne verso Dio.
Ringraziammo Iddio e demmo, per quanto ci fu possibile, segni tangibili di ri- conoscenza a coloro che, a rischio della propria vita, ci erano stati vicini e ci avevano aiutato, moralmente e materialmente, a superare il pericolo. Senza la solidariet‡, senza líabnegazione di tanta gente semplice non ci sarebbe stato possibile scampare allo sterminio.
Mio padre e tutta la mia famiglia erano molto conosciuti nella zona, stimati e ben voluti: i nostri migliori amici erano cattolici e da loro ci vennero il soste- gno e la salvezza.
Sarebbe troppo lungo descrivere, qui, tutte le dimo- strazioni di solidariet‡ concreta e di vero affetto da cui fummo circondati in quel periodo triste: tante porte si aprirono per accoglierci e per nasconderci; tante mani di prodigarono con estrema semplicit‡ e con generosit‡ grande per darci cibo e protezione nella fuga o per mettere in salvo quanto possibile di tutto ciÚ che avevamo lasciato nella nostra casa, pronte a riconsegnarci tutto se avessimo avuto la fortuna di tornarvi un giorno.
Non fummo mai lasciati soli, non ci sentimmo mai abbandonati, anche se non mancarono momenti di grande sconforto e di paura.
Ognuno di quelli che ci accoglievano o che ci aiutavano in qualche modo, sape- va bene il rischio che correva e che faceva correre ai propri familiari. Alcuni ci conoscevano da sempre e avevano anche debito di riconoscenza verso mio pa- dre; altri non ci avevano mai visto prima di allora e ci accolsero e ci protessero con uguale slancio generoso. Di tutti sento il dovere di citare qui i nomi:
Rinaldo Carrei e fam. Elena Ragnini e fam. Ernesto Pellegrini e fam. Eliseo ed Angelo Conti e fam. Quinto Sarti e fam.
Manetti Adriano e fam. Guido Niccolucci Araldo e Lea Vetrulli. A tutti costoro ñ molti dei quali ormai deceduti ñ andr‡ sempre il nostro pensie- ro riconoscente, ben consapevoli che, per quanto abbiamo cercato di ricambiare in qualche modo, non potremo mai ricompensare adeguatamente il rischio cui si esposero per senso di fraterna amicizia, di carit‡ genuina e umana giustizia. Oltre alla mia esperienza personale, trovo giusto ricordare qui anche líaiuto che fu dato alla famiglia di colui che - allíepoca come
Fortunato Sonno e fam. Conti Bracceschi-Brazz‡
Piero Vagnoli e fam. Famiglia Cica
me un ragazzo ñ divenne poi mio marito. I genitori e due figli vivevano a Latera, un paesino della provincia di Viterbo, ed erano gli unici ebrei residenti sul posto. Aiutati a fuggire di casa da alcuni compaesani, fu- rono fatti giungere in modo fortunato a Roma, ad- dirittura su un camion di soldati tedeschi che tra- sportavano farina: ciÚ per il coraggio e per líintra- prendenza di una signora tedesca, sposata ad un signore di Latera. A Roma furono nascosti in casa di una famiglia cattolica: Antonio Giannarini ñ cosÏ si chiamava il capofamiglia ñ era anchíegli originario di Latera ed aveva un fratello sacerdote dellíordine dei Sale- siani. Mentre i miei futuri suoceri rimasero presso la stessa famiglia fino alla liberazione, i due figli, ad un certo momento, furono accolti, sotto falso nome, presso líIstituto religioso ìAngelo Maiî dei ìCarissimiî il cui rettore era, allíepoca, Fratel Nicasio Freddiani, anchíegli compaesano e amico della famiglia di mio marito. Sempre nellíautunno del í43, il fratello di mio padre e sua moglie, che abitava- no a Firenze, trovarono rifugio a San Miniato, nella zona di Pisa. Rievoca il fi- glio maggiore in un suo scritto: ìLa famiglia che ha aperto loro le porte di casa sapeva il pericolo cui andava
Famiglia Parotti Emilio Torrini Ferdinando Cini
incontro, nel caso in cui la loro identit‡ venisse svelata. I miei genitori, che era- no muniti di documenti falsi, facevano in modo di apparire persone del luogo: coppia di anziani, profughi dalle citt‡ bombardate, come molte migliaie di profughi nello stesso perio-
doî. Essi erano stati accolti, a San Miniato, nella casa del Sig. Neri (un dipendente della ditta di propriet‡ del fratello di mio padre) il cui figlio era un sacer- dote. Si trovarono coinvolti nel crollo della catte- drale di S. Miniato, minata dai tedeschi al momen- to della ritirata, dove si erano radunati con tutti i cittadini del posto su ordine del Comando Tedesco; ne uscirono miracolosamente illesi, mentre molte furono le vittime. Scrive ancora il figlio: ìSoltanto molto pi ̆ tardi fu
chiarito che la ma- gnifica cattedrale del decimo secolo era stata mi- nata con le persone dentro, come rappresaglia ad una attacco di un reparto di partigiani contro sol- dati tedeschi nella zonaî. Líepisodio della distruzione della cattedrale di S. Miniato fu pi ̆ tardi ricostruito nel film ìLa notte di S. Lorenzoî dei fratelli Taviani: nel film il pae- se Ë San Martino. Altre persone di mia conoscenza, in quegli anni bui, trovarono rifugio nei monasteri e quando, in qualche caso, anche dentro quelle mura la situa- zione si fece pericolosa, furono salvati dal corag- gio e dalla prontezza di spirito delle suore. Tali persone, perÚ, sono ormai decedute e io non ho
dati certi ñ come, ad esempio, i nomi degli Istituti religiosi ñ da poter fornire. Tutto quanto ho qui scritto, in ogni caso, sta per ringraziare una volta di pi ̆ co- loro che rischiarono la loro vita per salvare la nostra e serva ad onorare la me- moria di quanti, fra loro, non ci sono pi ̆.
Dal profondo dellíinferno Canti e musica ai tempi dei lager
Leoncarlo Settimelli
Regista e scrittore
Io sono qui per presentare questo libro ma consentitemi prima di dire alcune cose come riflessione a questo seminario. Qualcuno tra i relatori ha qui affer- mato oggi che la Shoah viene da lontano e che Ë maturata nel corso dei secoli. Ossia, líodio contro gli ebrei Ë stato continuamente nutrito e la loro deportazio- ne Ë apparsa alla fine come un fatto naturale. Credo che neppure líAmiata sia rimasto al di fuori di questo fenomeno e ricorderei la serie di episodi che ho gi‡ raccontato in un numero di Tracce e che sostanziano questa mia convinzione:
- la storia cui ha accennato anche Niccolai, ovvero quella della piccola Sara di Piancastagnaio la quale ñ affidata nel 1673 dai genitori per un breve lasso di tempo a una famiglia cattolica ñ venne immediatamente fatta abiurare e poi battezzata.
Quando i genitori la vollero nuovamente con sÈ, líintera Piancastagnaio in- sorse;
- le ordinanze sforzesche che stabilivano che gli ebrei di questo paese andavano rispettati e non sottoposti a beffe e torture, atteggiamento che evidentemente erano, se non di tutti i giorni, cosa assai frequente tra i cittadini; - i soci della famiglia Modigliani, cioË i livornesi Bonaventura e Disegni, che vennero qui per acquistare terreni da escavare in relazione alla presenza del mercurio e che furono costretti ñ per portare a buon fine la trattativa ñ a entrare in chiesa e cantare la messa cattolica, episodi che riferisce il Romei nella sua storia delle miniere;
- uno stornello santafiorese che diceva, con evidente sarcasmo e rimprovero, e anche con un senso di frustrazione, che le ragazze del paese si trovavano tutte a Livorno per servire gli ebrei; - la descrizione degli eventi minerari ad opera di storici anche recenti, nei quali si afferma con toni ammiccanti che ìil commercio del mercurio era tutto in ma- no agli israelitiî, sottintendendo abili e spregiudicate trame finanziarie da parte di chi ñ gli ebrei ñ ha sempre maneggiato denaro. Questi episodi, pur lontani tra loro, dimostrano che Ë abbastanza azzardato parlare come si Ë fatto ampiamente in questo convegno, di ́Amiata terra di rifugio degli ebreia. PerchÈ se Ë vero che gli ebrei vennero accolti dalle autorit‡ locali Ë anche vero che essi vennero subito circoscritti ad un ghetto. E che se le autorit‡ sforzesche sentirono il biso- gno di promulgare gli editti nei quali si proibiva alla popolazione di recare offe- sa agli ebrei, tali editti dimostrano ñ lo ripeto ñ che essi erano oggetto di puni- zioni e scherno. E io immagino (leggendo quegli editti e líelenco delle cose proibite ai cittadini) gli ebrei trascinati qui nella piazza e costretti a subire le beffe della popolazione e anche qualche bastonata.
Dunque, non mistifichiamo la presenza degli ebrei a Santa Fiora o altrove e non facciamola apparire come una generosa ospitalit‡. E, se ben conosco i santafio- resi, un certo loro atteggiamento antiebraico Ë tuttora presente a livello istinti- vo: negli sguardi, nelle reazioni allíaccenno di una tematica ebraica, nei con- sueti stereotipi con cui vengono giudicati gli ebrei. E veniamo al mio libro Dal profondo dellíinferno, canti e musica al tempo dei lager, che si occupa del fe- nomeno musicale legato alla deportazione in una dimensione europea pi ̆ che italiana. » un libro che nasce dalla condanna che dovrebbe essere di tutti per la pi ̆ grande carneficina che líuomo abbia mai compiuto, la Shoah. Ma nasce an- che da una esperienza personale, che Ë quella che mi ha reso particolarmente sensibile al problema: poichÈ i miei genitori, che erano dei giusti, accolsero nella nostra casa di Firenze la signorina Marcella Millul, affidata loro dai geni- tori, ormai sicuri dellíimminenza della loro deportazione. Erano anziani, i si- gnori Millul, e andarono incontro allo sterminio dicendo a mio padre, un comu- nista, un partigiano dei gruppi di azione patriottica nella Firenze occupata dai nazisti, ́noi siamo vecchi, possiamo anche morire, ma vorremmo salvare no- stra figliaa. Mio padre e tutti noi gi‡ rischiavamo per la sua attivit‡ partigiana. Con líarrivo di Marcella il rischio raddoppiÚ e io ricordo quante volte andava- mo a dormire altrove, poichÈ si temeva una spiata. Bastava che un agente della milizia fascista si aggirasse nei paraggi perchÈ fossimo costretti a trasferirci. Ma andÚ bene. Marcella sperÚ per molto tempo che i suoi genitori tornassero. Oggi i loro nomi sono tra le vittime della Shoah e nel libro io ho intervallato le tappe dello sterminio, raccontato dalle canzoni, proprio con la vicenda di Mar- cella. Canzoni scritte per essere cantate durante le marce verso il lavoro fuori dei campi, di cui erano autori gli stessi deportati, tutti oppositori del regime na- zista e quasi tutti musicisti, registi teatrali, attori ai quali si chiese da parte dei comandanti del campo di scrivere quelle canzoni. Oppure canzoni da cabaret, ironiche verso gli stessi prigionieri, quando i lager non erano ancora strumenti di eliminazione fisica. Canzoni di cupa sofferenza, quando la deportazione si fece eliminazione di massa. Canzoni di tragico umorismo, quando i prigionieri impararono a convivere con la morte, giorno dopo giorno. Canzoni strazianti, come quella del trasportatore di cadaveri dalle camere a gas ai forni crematori, che un giorno trasportÚ anche il cadavere dei figlio di tre anni. E si suonava, nei lager. Si suonava jazz e musica classica, come si faceva nel ghetto di Tere- zin, dove i nazisti ebbero líingenuit‡ ñ se di ingenuit‡ si puÚ parlare, di fronte allíattuazione dello sterminio - di riunire i migliori musicisti ebrei díEuropa. Costoro, di fronte alla morte imminente, dimostrarono allíoppressore la sua be- stialit‡, elevandosi al di sopra della condizione contingente.
Misero in scena opere di Mozart, Smetana e persino il Requiem di Verdi. ́Come come ñ osservÚ ridendo il cattolico Adolf Eichmann, uno degli artefici dello sterminio ñ gli ebrei cantano una composizione ispirata alle preghiere cri- stiane?a. ́Certamente ñ rispose líebreo Schaechter: ñ Voglio dimostrare líinconsistenza
e la falsit‡ delle aberranti teorie sulla purezza e sullíimpurit‡ del sangue, sulla razza superiore e sulla razza inferiore, dimostrare tutto questo servendomi del- líartea. Anche Adolf Eichmann, aguzzino tra gli aguzzini, volle assistere allo spettacolo. A due passi dal forno crematorio e dal fuoco che ardeva giorno e notte, la musica esplodeva mentre il coro fendeva il pubblico di internati e SS, intonando ́Concedi o signore misericordioso che attorno a me non ardano le fiammea, oppure il Dies Irae o il Libera me che nella ripresa del coro diventa LIBERA NOS!
Suonatori, coristi e lo stesso Schaechter avevano posto solo due condizioni per eseguire il Requiem: non doversi inchinare di fronte alla SS e restare sempre tutti insieme, anche dopo il concerto. E infatti vennero gasati tutti insieme e bruciati tutti insieme nel crematorio di Birkenau. Líultima parte del libro con- tiene le canzoni che sono state scritte in Europa dopo lo sterminio.
Di italiane ce ne sono solo tre: una di Emilio Jona e Fausto Amodei, una di Ivan Della Mea, la terza di Francesco Guccini. La loro popolarit‡ Ë stata minima, le prime due sono assolutamente sconosciute ai pi ̆ e in ogni caso la loro diffusio- ne non Ë stata pari a quella di altre canzoni italiane, largamente diffuse nel pri- missimo dopoguerra, alle quali accenno in una appendice dedicata alla ́Canzonetta razza padronaa.
Io ne ho spulciate a centinaia, di canzoni, convinto come sono che le canzoni facciano cultura, ossia trasmettano messaggi e pensieri. Ebbene non una Ë stata scritta sui lager. » chiaro che la canzonetta Ë istituzionalmente delegata a tra- smettere divertimento e quindi resta alla larga dai temi forti e civili.
Invece molte sono state scritte sulle cosiddette ́razze inferioria. Per esempio molte sono dedicate a figure di neri che parlano tutti dicendo ́no badrone io non sdare bene quia come la famosa Bongo Bongo. Canzoni davvero razziste. Tantissime altre hanno invece per protagonisti gli zingari, che sono sempre visti in maniera folcloristica, tipo ́Prendi questa ma- no zingara/dimmi che destino avrÚa o ́zingarella/dimmi se il mio amore dure- r‡a; mentre nella realt‡ líatteggiamento verso lo zingaro Ë ben diverso.
Ma torniamo alla guerra e alla deportazione. E a una canzone in particolare, quella che dice ́Chi ha avuto ha avuto ha avu- to/ chi ha dato ha dato ha dato/ scurdammoce ëo passato/simmo ëe Napule pai- s‡a. Ecco, contro questo pensiero, che invitava a dimenticare, a rimuovere le re- sponsabilit‡, a far finta che nulla fosse accaduto, a pacificare, io ho voluto scri- vere questo libro.
Per ricordare il passato, non per dimenticarlo. Libro che dedico a Marcella Millul e alla memoria di tutti quelli uccisi nei lager nazisti.
Le leggi razziali strumenti di discriminazione e persecuzione
Ugo Caffaz
Studioso di storia e cultura ebraica
Vi ringrazio per líinvito ad intervenire in questa giornata di studi: mi Ë stato particolarmente gradito come dirigente della Regione Toscana che ha organiz- zato ìla Giornata della memoriaî, citata anche dallíonorevole Franci, e credo che delle manifestazioni alle quali ho assistito questa sia una delle pi ̆ signifi- cative perchÈ parte da un dato positivo.
Stamani si Ë parlato di storia di persecuzioni ñ questa Ë la storia ebraica ñ perÚ, sar‡ che sono lontane nel tempo, sar‡ che non si trattava di persecuzioni piani- ficate, ma con luci ed ombre, storie di uomini, di famiglie e di piccoli nuclei, mi ha fatto molto piacere il modo con cui Ë stata raccontata, con tanto affetto, che in una citt‡ grande per esempio come Firenze non si trova.
Líamore che voi studiosi di storia locale avete il privilegio e il piacere di poter mettere Ë un amore diverso da quello che normalmente guida lo storico. Questa Ë uníesperienza positiva che suggerisce il pensiero di trasferirsi in un paese e non di stare nelle metropoli nemiche.
Quello che invece Ë successo nellíepoca moderna non ha nessuna luce ma solo líombra dellíolocausto. LíItalia vi partecipÚ, dette un contributo fattivo di grande collaborazione e di grande impegno.
Io ho sentito molto interesse stamani: la signora Servi, che ha raccontato con tono drammatico, ma anche affettuoso, la storia di lei bambina, líha raccontata come veniva vissuta allora. In realt‡, vista dopo, era stata molto pi ̆ tragica. CíË un equivoco di fondo che sta alla base del giudizio che si puÚ e si deve dare sul periodo delle leggi razziali e gli anni successivi dal í43 al í45 e questíequi- voco sta nel comodo paragone che si fa fra i forni crematori e le leggi razziali. Sono due cose che hanno sicuramente un grande collegamento, ma non sono paragonabili; equipararle significa sminuire quello che fu la persecuzione del fascismo nei confronti degli ebrei. » del tutto evidente!
Le leggi razziali sono comunque provvedimenti di discriminazione e anche di persecuzione, ma, evidentemente, questo paragone fa comodo, perchÈ consente di dire che in fondo líItalia era fuori dallíecatombe dellíolocausto, consente di dire ìItaliani brava genteî ed ha consentito il fatto, come causa-effetto, che in Italia non fu processato il fascismo ñ ma non sono stati processati neanche i fa- scisti e questo Ë un dato.
Il clima di ìvogliamoci beneî ñ che nel dopoguerra fu una scelta tra líaltro vo- luta da chi aveva tanto contribuito alla resistenza, penso a Togliatti ed alla sini- stra ñ, la scelta di una pacificazione immediata con poche eccezioni ñ certo qualche processo fu fatto, non andÚ tutto liscio ñ la reintegrazione integrale di tutto quello che era stato fino a quel momento, senza un ragionamento sulle re-
sponsabilit‡, a mio modo di vedere, Ë stato un errore grave che non Ë servito a nessuno e fa sÏ che ancora oggi stiamo a domandarci se líItalia sia stata o meno dentro il cono díombra dellíolocausto. Fu una scelta condivisa anche dagli ebrei. Bisogna mettersi, per capirlo, nei panni di chi era stato denunciato dal vicino di casa e si era miracolosamente salvato, magari era ritornato dal campo di sterminio e aveva solo due possibilit‡ quando tornava a casa e il vicino abitava ancora lÏ: o líammazzava o faceva fin- ta di nulla e ricominciava a vivere anche vergognandosi di essere stato perse- guitato.
Il sentimento della vergogna di un perseguitato Ë un sentimento forte, soprattut- to se ha conosciuto líonta e il terrore dei campi di sterminio. Se si toglie líecce- zione del ghetto papalino ñ aperto solo nel 1870 grazie ai bersaglieri, fu líulti- mo ghetto al mondo ñ, gli ebrei italiani, una piccola minoranza, uno su mille, avevano, di fatto, diluito i rapporti con chi in qualche modo in passato li aveva beffeggiati, perseguitati, catecumenizzati (cioË a forza portati ad altra fede). Nel settembre del 1938 si svegliÚ da questo sogno e centinaia e centinaia di bambini, studenti, insegnanti furono cacciati con ignominia dalle scuole.
A quei tempi non cíerano i mezzi di comunicazione come oggi cosÏ sicuri ed immediati, e ci fu chi andÚ a scuola col panierino come se fosse un normale giorno di scuola e si trovÚ davanti un bidello in camicia nera e gli stivali di cuoio che, avendo acquisito chiss‡ mai quale importanza, con un calcione lo mandÚ a casa dicendo che era di razza diversa e quindi non doveva pi ̆ stare nel contesto civile: 1000 studenti delle scuole medie, 4400 studenti delle scuole e- lementari, 200 studenti universitari, 200 insegnanti.
Con i numeri di allora queste erano percentuali molto alte: in alcuni quartieri romani le classi si dimezzarono perchÈ la maggior parte o perlomeno la met‡ erano ebrei. IniziÚ cosÏ un periodo oscuro in cui gli amici non ti salutavano pi ̆, perdevi il lavoro o la casa alla quale avevi diritto perchÈ lavoravi, non ti faceva- no curare in alcun ospedale, non potevi avere la radio, non potevi pi ̆ svolgere alcun mestiere.
Colpirono la scuola per colpire la cultura nazionale e dimostrare che la cultura era ariana, era romana perchÈ cosÏ avevano stabilito, in una notte tra il 6 e il 7 di ottobre del 1938, che esisteva la razza italiana. Gli ebrei non appartenevano a questa razza: prima líavevano fatto dire agli scienziati, nel luglio poi líaveva ratificato il Gran Consiglio.
Sono tutti italiani questi, fascisti e italiani e la protesta fu quasi inesistente. Ini- ziÚ quindi un periodo terribile. Fra líaltro, leggendo un poí di cose ñ lo dir‡ si- curamente líintervento successivo ñ líarea grossetana fu una di quelle dove i politici di allora, gli amministratori, i podest‡ furono pi ̆ ligi al dovere. Para- dossalmente dove vi erano meno ebrei, maggiore era líattacco che veniva por- tato ai pochi ebrei presenti, soprattutto a livello díinformazione dei mass- media, proprio a significare che non era líebreo reale che interessava ma líuso dellíebreo che si doveva fare per affermare una romanit‡ e una cultura (come
sappiamo nel í38 il regime era al momento massimo di consenso, ma capiva bene che sarebbe stato líinizio della discesa perchÈ non aveva dietro tutto quel- lo che diceva di avere). Gli ebrei furono quindi buttati fuori dalle scuole, dai posti di lavoro pubblici poi anche dai privati, dalle professioni, ci furono episodi incredibili e funziona- va cosÏ: líingegnere che non poteva pi ̆ svolgere il suo ruolo si ricordava chi era il suo babbo ñ mediamente gli ebrei italiani, e soprattutto la generazione precedente, erano molto poveri, nonostante il pregiudizio, ancora in vigore, che gli ebrei non sono solo ricchi ma anche attaccati al denaro ñ, magari prendeva un negozio di rigattiere che aveva il babbo, lo rimetteva in essere e allora il vi- cino di negozio, che era invidioso, andava dal podest‡ e gli diceva: ìMa un e- breo puÚ avere un commercio di mobili usati?î.
Non faceva storie, perchÈ questi scriveva immediatamente a Roma ed arrivava un telegramma: da quel momento gli ebrei non potevano avere un negozio di mobili usati. Un elenco incredibile di divieti fu definito: non potevano commerciare in cloru- ro di sodio, non potevano allevare piccioni viaggiatori ñ che, se non fosse una cosa tragica farebbe anche ridere, perchÈ uno va a pensare di proibire agli ebrei di allevare piccioni viaggiatori ? ñ ecc.
Nel 1938, per il censimento che doveva avvenire in quellíanno, i moduli erano gi‡ stati preparati ñ non cíerano calcolatori come oggi ñ nei mesi precedenti, prima di aver deciso la politica razziale del regime, prima che Mussolini dices- se che era arrivata anche per líItalia il momento di fare una politica della razza. Allora ritirarono i moduli e, con la colla, attaccarono una strisciolina per scrive- re líappartenenza di razza e, molto rapidamente, si provÚ a distribuirlo nei pri- mi mesi dellíautunno.
Fu quel censimento che schedÚ i 40 mila ebrei italiani, e fu il primo atto con cui líItalia entrÚ nel cono díombra che sarebbe stato líinizio dellíolocausto: líelen- co, la lista degli ebrei italiani che il regime, molto volentieri, consegnÚ nelle mani díitaliani perchÈ, insieme alle SS, insieme ai tedeschi, casa per casa, dela- zione per delazione andassero a prendere vecchi e bambini da portare ad Au- schwitz. Questo vuol dire stare dentro o fuori del cono díombra dellíolocausto: líItalia cíera a pieno titolo! In pochi mesi, e non anni, il 25% degli ebrei italiani fu portato nelle camere a gas, anche vecchi e bambini nati anche nei vagoni piombati: questa era la realt‡. CíË una rampa ad Auschwitz che sembra non fi- nisca mai. Il treno arriva fino in fondo ad un piazzale dove cíË una rampa e lÏ venivano fatti scendere quelli che erano ancora vivi: donne, bambini e vecchi, mediamente per il 90%, venivano mandati appena pi ̆ in l‡, 100 metri pi ̆ in l‡ dove cíera il forno crematorio, con uníatroce catena di montaggio che ingoiava dalle 10 alle 20 mila persone al giorno. Gli italiani erano stati spinti dentro i va- goni piombati da gendarmi, cittadini, fascisti e collaborazionisti italiani. Allora, quando in un posto non sospetto, e cioË al Museo dellíolocausto di Gerusalem- me, si trova scritto che nel 1938 anche líItalia, come tante nazioni europee, ap-
plicÚ e promulgÚ le leggi razziali le quali perÚ, stante il carattere degli italiani ñ pressappoco in inglese dice cosÏ ñ furono applicate blandamente, quella Ë una targa che grida vendetta, un falso. Quello che dico ai ragazzi, ai giovani, che sono molto bravi ñ il viaggio in Polonia mi ha insegnato quanto si sciupino i ragazzi dopo: cíerano 400 ragazzi alla conferenza che abbiamo fatto di prepara- zione e non volava una mosca, accanto a me cíerano degli ex deportati politici non ebrei, due donne anche loro con il numero sul braccio ñ Ë di non fidarsi di chi racconta cose diverse. Oggi lo dico ai non giovani di non ascoltare cose di- verse perchÈ i fatti sono questi, non sono come tutti vi vogliono far credere. In Italia praticamente ciascuno ha salvato almeno un ebreo: gli ebrei erano 40 mi- la e gli italiani erano 50 milioni, non si riesce a capire come sia possibile. La realt‡ fu molto diversa e cioË che ci furono decine di migliaia díitaliani che atti- vamente, fattivamente e personalmente contribuirono prima allíapplicazione delle leggi razziali e poi allíinvio degli ebrei nei campi di sterminio. Ci furono centinaia, forse migliaia díitaliani eroi che nella fase della persecuzione, non nella fase delle leggi razziali, impedirono che morissero pi ̆ di 8 mila ebrei ita- liani, a rischio della vita, semplici contadini, preti di campagna, monache; Ë so- lo grazie a loro che morirono soltanto 8 mila ebrei e non 40 mila. Ma sarebbe ingiusto nei loro confronti non dire che erano eroi e pochi, ma la stragrande maggioranza degli italiani si abbandonÚ allíindifferenza o, ancora peggio, voltÚ lo sguardo dallíaltra parte. Allora per capire davvero, perchÈ la memoria sia maestra di vita, Ë giusto far riferimento ai drammi di oggi. Quando alla televi- sione si vede la guerra in Kosovo, quando si sente di episodi che nulla hanno da invidiare ai campi di sterminio, quando si sbudellano donne per tirarne fuori il feto ñ cosa che avveniva regolarmente ad Auschwitz magari con líaggiunta di usare il feto per il tiro a piccione ñ questi episodi oggi li guardiamo mentre si mangia, a qualcuno pi ̆ sensibile puÚ dargli pi ̆ fastidio, ma lo vede lo stesso e continua a mangiare. PerchÈ ci sia davvero un atto di ribellione e díimpegno, perchÈ almeno una volta il detto ìla storia sia maestra di vitaî, bisogna imme- desimarsi in questo, capire che in fondo siamo degli scampati: ci furono dei sommersi e noi siamo i salvati. Se uno síidentifica in questo, se capisce quanto sia lieve e banale, come si dice nei libri ìla banalit‡ del maleî e ìla banalit‡ del beneî, poter finire in un forno crematorio ma identificarsi davvero, allora la storia Ë maestra di vita. Oggi abbiamo avuto un convegno di grande qualit‡, si sa come Ë andata dallíinizio alla fine, perchÈ la fine perÚ non si ripeta, nÈ per gli ebrei nÈ per nessuno altro al mondo, bisogna che la storia si insegni in modo da potersi identificare. PerchÈ altrimenti Ë una storia magari commovente, ma ognuno deve immaginare, lo dico con chiarezza, di trovarsi di fronte una donna con un bambino al petto nella camera a gas ed invitare il proprio figlio a respi- rare profondo, altrimenti non capisce come Ë andata.
Grazie.
Il luogo del ricordo
Mario Fineschi
Comunit‡ ebraica di Firenze
A me Ë dato il compito di concludere. Ma, perchÈ e cosa concludere? La storia Ë sempre aperta e cosÏ, anche la memoria di ciÚ che Ë stato non si puÚ chiudere. Quando incontrai il Prof. Niccolai a Massa Marittima, in occasione di un incon- tro celebrativo per la strage operaia di Niccioleta, mi si spalancÚ una finestra che offriva un panorama eccezionalmente stimolante e soprattutto nuovo, anche per noi ebrei.
La proposta di incontrarci per riflettere sulla presenza ebraica a Santa Fiora ed in quelle che erano chiamate ìTerre di Rifugioî, mi trovÚ subito entusiasta, per- chÈ, in fondo, questa presenza non rappresentava solo una mera pagina di storia locale, ma solleticava il contenuto principe della nostra cultura: ricordare! NellíEbraismo ciÚ che conta Ë il ritmo stesso della storia, il suo scorrere, ma ancor di pi ̆ il suo ricordo. Noi Ebrei viviamo con adesione totale al concetto di ìzikkaronî (ricordo) che non significa semplice ricordo mnemonico, bensÏ compenetrazione e coinvolgimento esistenziale con i fatti gi‡ avvenuti, cioË con la storia.
Dice la Torah: ìRicorda cosa ti ha fatto ëAmalecíî (Deut. XXV, 17-19); ìRicordati del giorno di Sabatoî (Es. XX, 8). Sono inviti a ricordare contenuti della Bibbia; non li abbiamo pi ̆ dimenticati, quindi ce li ricordiamo. Ecco quindi che per líEbraismo il ricordo Ë fonte primaria ed originaria senza la qua- le non vi puÚ essere nÈ passato, nÈ futuro.
E noi siamo qui, per ricordare! Le relazioni che questo seminario ha prodotto e che ho líincarico di menzionare a chiusura dei lavori, hanno evidenziato contenuti molto importanti; ma soprat- tutto spero che questo seminario fornisca a tutti noi ulteriori motivi di riflessio- ne affinchÈ resti un ulteriore ìricordoî e contribuisca, di conseguenza, ad un domani migliore dellíieri gi‡ vissuto. Da poco si Ë chiuso un secolo che non merita per certi aspetti di essere ricorda- to: quanto vorrei che in quello spazio temporale non si fosse avverato ciÚ che ha costituito líabisso dellíumana abiezione ferendo a morte la coscienza univer- sale! La chiarissima relazione del Prof. Salvatori, ha evidenziato una serie di esempi di tolleranza per il ìdiversoî che, seppur innestati nel finire della cultura rina- scimentale, hanno testimoniato di una storia antica che rifletteva un esempio civile di convivenza, proprio al confine dellíintolleranza medicea ed, ancor di pi ̆, di quella del Papa. Le testimonianze di vita vissuta cosÏ raccontate, prive di animosit‡ razziale, senza spirito di vendetta, ma tracciate con essenzialit‡, de- vono rappresentare per noi un monito ad evitare che di nuovo si possa produrre una nuova lacerazione collettiva della nostra umanit‡.
Al seminario di Massa Marittima era presente uno scampato del crematorio di Auschwitz e testimoniÚ la sua tragedia mostrando il numero tatuato sul braccio: era la testimonianza di un sopravvissuto. Mi viene spontaneo líaccostamento, pur se da diversa origine, con líincantevole ed incantata presenza di Elena Servi, dalla quale abbiamo recepito le testimo- nianze sulla presenza ebraica a Pitigliano. Quando Elena Servi non sar‡ pi ̆ tra noi (ìat meaí esrimî, ovvero fra 120 anni, come si usa nelle formule di augurio ebraiche), chi altri testimonier‡? Quando gli scampati allo sterminio non ci sa- ranno pi ̆, chi altri potr‡ testimoniare su sei milioni di innocenti scomparsi nei lager? Ecco perchÈ la memoria, il ricordo rappresenta oggi una vera e propria assunzione di responsabilit‡ collettiva, e non puÚ essere altrimenti. NÈ si pensi che trattando di storia locale, il contributo che viene anche da questo seminario sia da relegare ai confini della Storia con la esse maiuscola. La storia non puÚ misurarsi con líampiezza delle superfici interessate agli avvenimenti, oppure alle persone coinvolte nei fatti avvenuti nel tempo: essa rappresenta un momen- to di educazione collettiva oltre il tempo e lo spazio. Líimportanza di questo in- contro Ë veramente notevole e questo Ë provato dallíautorevolezza dei relatori presenti. La relazione del Prof. Salvatori ha messo in luce, con la consueta e ben nota lucidit‡ dello storico, come nel ricostruire la storia degli insediamenti ebraici nelle Terre di Rifugio, sia stata comunque privilegiata la parte religiosa delle consistenze comunitarie ebraiche nella zona. Forse ne ha sofferta líanalisi storiografica, con evidenti limiti alla ricerca.
Questa caratteristica ha potuto mettere in luce avvenimenti di oltre trecento an- ni fa, lasciando tuttavia la parte storica degli insediamenti colma di stereotipi che certamente hanno giovato ad uno studio díinsieme del fenomeno dellíinse- diamento ebraico.
Il rigore storico e le puntuali analisi delle circostanze che contribuirono alla co- stituzione di comunit‡ ebraiche nel versante grossetano dellíAmiata, fornite dal Prof. Salvatori, hanno veramente aperto uno spazio di ricerca, pur se limitata alla sola funzione religiosa, di grande interesse.
Di grande spessore líintervento del Sindaco di Santa Fiora, che auspica una de- libera della Regione Toscana per líaffidamento al Comitato Scientifico Regio- nale e, parallelamente, alle Associazioni Culturali amiatine, la conservazione e la promozione degli studi riferiti sia ai fenomeni díinsediamento di cui si parla oggi, sia anche a quanto attiene alla storia recente connessa ad episodi legati alla Resistenza ed agli anni del primo dopoguerra. Non Ë questa storia da archi- vio, ma storia di anni di sacrificio che deve essere conservata e studiata a pro- fitto delle giovani generazioni.
Lo scopo palese dellíintervento del Sindaco non Ë tanto quello di renderci orgo- gliosi di quello di cui sono stati protagonisti i nostri padri, ma anche di puntua- lizzare, affinchÈ non si ripetano le stragi, ciÚ che poteva esser fatto ed invece non Ë stato fatto.
Ecco quindi la necessit‡ di dare vita a continui incontri di studio ad alto livello,
come questo, proprio perchÈ non Ë di sola storia locale che si parla, ma di un pezzo di storia di tutti. Dalla relazione Ë anche scaturito come altre comunit‡ ebraiche scomparse nella polvere della storia, come quelle amiatine, sia da ricordare per esempio quella di Massa Carrara. Al momento della definizione degli accordi fra Governo Ita- liano e líUnione delle Comunit‡ Ebraiche Italiane, il territorio geografico ove avevano sede antiche Comunit‡, fu suddiviso fra le stesse; ma la giurisdizione della Comunit‡ di Livorno si fermÚ a Viareggio, e non si estese a Massa Carra- ra. La presenza del Prof. Michele Luzzatti mi incoraggia a chiedere un analogo incontro in terra Apuana per verificare le circostanze che portarono alla scom- parsa della Comunit‡ Ebraica di Carrara, circostanze che potrebbero avere ana- logie interessanti con quelle delle Comunit‡ Ebraiche delle Terre di Rifugio. Nel territorio di Massa Carrara, era vigente il dominio dei Principi Cybo- Malaspina; fuori, quindi, dal potere mediceo o della Chiesa, rappresentava co- me nei possedimenti degli Orsini, dei Farnese, dello Stato di Castro, uníocca- sione privilegiata per un insediamento ebraico. La relazione storica del Prof. Luzzatti ha in fondo confermato come le posizioni dei Papi nella seconda met‡ del 1500 imponessero di fatto líemigrazione forzata degli Ebrei da Roma, ove risiedevano stabilmente fin dal II secolo dellíE.V.
Drammatico, nel resoconto del Prof. Luzzatti, dovette essere quellíanno 1555 quando le angherie del papa Paolo V Borghese, indussero molti Ebrei romani a scegliere Santa Fiora come nuova sede di vita religiosa e civile. Da questa relazione appare un tratto di vita ebraica ricostituita con pacifica ac- cettazione, da parte della gente amiatina, delle differenze culturali e religiose che gli Ebrei si portavano seco. Quanto differente il clima dellíAmiata del XVI e XVII secolo dalla tragica intolleranza razziale non solo dellíepoca, ma anche da quella secoli successivi e quanto importante Ë coglierne adesso gli stimoli per un rapporto sociale vissuto fra diverse culture con reciproco rispetto! Da queste analisi Ë ancora presente a tutti la necessit‡ di riflessione, non pi ̆ sulle evidenze storiche dei fatti, ma sullíinsegnamento di come puÚ essere, come de- ve essere vissuta líalterit‡ che arricchisce, se non emarginata e perseguitata. Líintervento del Prof. Niccolai ha chiarito alcuni aspetti di festivit‡ religiose e popolari che erano in uso nella Santa Fiora dellíepoca, che potrebbero colle- garsi ad analoghe liturgie praticate nellíambito ebraico, e che furono trasferite nellíuso cristiano del paese. Per le festivit‡ del 3 maggio, a Santa Fiora, era uso scambiarsi dei doni fra innamorati. Solitamente venivano scambiati il biscotto ed il cedro. Vada per i biscotto, tradizionale dolce amiatino anche oggigiorno, ma il cedro? Come collegarlo con naturalezza alla cultura montanara, estranea a questo frutto di regioni calde e solatie?
Il Prof. Niccolai azzarda líipotesi che líuso del cedro sia stato assunto dalla po- polazione locale in imitazione di quanto gli ebrei del paese facevano per cele- brare la ricorrenza della Festa di Succoth. » infatti prescrizione della Torah (Lev. XXIII, 40) che per la Festa delle capanne si usi un fascio di tre piante
(ramo di palma, salice e mirto) tenuto in una mano e nellíaltro ìun frutto di bel- líaspettoî, il cedro giustappunto che significa ìsaggezza, stabilit‡, tradizioneî. PuÚ quindi essere giusta líanalisi del Prof. Niccolai nel vedere apprezzata que- sta simbologia ebraica nel momento delle solenni promesse pre-matrimoniali a testimonianza della seriet‡ díintenti fra giovani che avevano scelto di vivere ili loro domani assieme.
Líaltra festa popolare di Santa Fiora che si teneva verso il 10 settembre, in oc- casione della festa di san Nicola, era il volo della capra. Dallíalto di una fine- stra una capra veniva proiettata verso il muro della chiesa sottostante; quasi un rito espiatorio teso a liberare la collettivit‡ dalle colpe, le quali simbolicamente erano caricate sulla povera bestia. Anche qui, nota il Prof. Niccolai, le connes- sioni con líebraismo sono possibili, e meritevoli di riflessione. La Torah narra (Lev. XVI, 7) che MosË doveva portare davanti alla Tenda della Radunanza due capri estratti a sorte tra le greggi. Uno dei due era destinato al Signore, líaltro veniva inviato fuori dallíaccampamento, cioË nel deserto; con lui si allontana- vano le colpe della collettivit‡.
Sono veramente singolari queste assonanze culturali con la piccola comunit‡ di Santa Fiora; forse, sussurra il Prof. Niccolai, sono solo coincidenze; ma merita- vano di essere evidenziate per un possibile accostamento alla permeabilit‡ di culture diverse, che potevano dirsi integrate nel tessuto sociale locale, ed accet- tate con semplicit‡.
Ma il trascorrere della presenza ebraica sullíAmiata ha conosciuto anche mo- menti di vita minima che hanno coinvolto le comunit‡ in maniera drammatica, come dimostra la storia della piccola Sara Passigli, che sembra un caso di con- versione analogo a quello che avvenne Bologna con il famoso caso di Edgardo Mortara.
Il piccolo, battezzato segretamente dalla fantesca perchÈ in pericolo di morte, fu poi tolto alla famiglia carnale e portato a Roma dove studiÚ in seminario. Di- venne addirittura cardinale! Torna qui a proposito la considerazione fatta dal Prof. Luzzatti quando annota- va come ad equilibrare la scarsa consistenza numerica delle comunit‡ ebraiche dellíepoca vi era, in compenso, la relativa numerosit‡ delle aggregazioni citta- dine di allora; tutto questo insieme consentiva un equilibrio di valori che si per- meavano naturalmente nella cultura locale, senza traumi, tanto da ritenere il di- ritto si uno, diritto di tutti.
Della relazione del Prof. Biondi, densa di dettagli di grande interesse, si evince il limite territoriale oltre il quale la presenza ebraica nellíAmiata si ferma. Oltre Piancastagnaio, gli Ebrei delle Terre di Rifugio, non si spingono; eppure a soli quattro chilometri cíË il florido borgo di Abbadia San Salvatore. PerchÈ?
Si puÚ immaginare che la presenza antica di una notissima Abbazia benedetti- na, fondata nel 750 e fin dal 1035 retta dalla potente famiglia monastica dei Circestensi, abbia consigliato gli Ebrei a starne alla larga. Da ricordare che gli Abati del Monastero di San Salvatore tennero testa perfino alla potente famiglia
degli Aldobrandeschi, signori di Santa Fiora, per cui non vi erano le migliori condizioni per estendere la presenza ebraica oltre Piancastagnaio. Mi permetto di chiedere al Prof. Biondi: se questa ipotesi puÚ essere provata e, perchÈ no, essere oggetto di ulteriore studio storico in un prossimo tempo.
Il cerchio delle indagini storiche si stringe: il Prof. Mancini ci ha spiegato le circostanze che hanno fatto di Pitigliano il paese che nellíimmaginario colletti- vo dellíEbraismo italiano ha costituito la pi ̆ importante comunit‡ della regione amiatina.
Forse non Ë stata la pi ̆ importante, ma líultima delle tante insediatesi nel cir- condario. Esauritesi le comunit‡ di CastellíAzzara, di Piancastagnaio, di Ca- stellíOttieri, dellíAlta Tuscia compresa fra il Ducato di Castro e le terre dei Far- nese, Pitigliano si trovÚ a chiudere il periodo delle migrazioni ebraiche in Ma- remma, seguendo gli ebrei di allora il percorso inverso dellíantico tratto della Via Francigena, unico tramite nellíepoca di allora di trasmigrazione di uomini ed idee. La precariet‡ di vita degli ebrei, in questa e purtroppo ancor di pi ̆ nel- le successive epoche, trovÚ nel territorio dellíAmiata un momento di serenit‡ e di pace.
Questo abbiamo voluto ricordare non gi‡ come appendice storica ad un qualsia- si dÈpliant turistico ad uso di turisti distratti; ma ricordare per sottolineare la tradizione di tolleranza e civilt‡ di questa gente che ha saputo accogliere tra sÈ una cultura diversa dalla propria.
Questi valori che sono eterni ed universali, non sono scomparsi con la scompar- sa delle antiche comunit‡ ebraiche; líiniziativa di oggi lo attesta! Si Ë voluto ricordare come si possa essere uomini, nella modestia del vivere e nella cultura del proprio paese; oggi da Santa Fiora si Ë ricordato il passato per cercare un avvenire degno di essere vissuto.
La nostra generazione Ë quella della Shoah, dellíOlocausto, che non deve esse- re celebrata poichÈ rappresenta un buco nero della Storia contemporanea; buco nero che ha inghiottito sei milioni di ebrei, di persone, e tra questi un milione e mezzo di bambini. Non si puÚ celebrare il trionfo della tragedia, ma si deve ri- cordarla, cosÏ come si ricorda la storia degli Ebrei accolti su queste antiche vie, ove potevano riconfermare in libert‡ e rispetto la propria diversa identit‡. Vorrei concludere questa riflessione sul seminario con il simbolico accostamen- to della memoria di questa citt‡: il monumento ai martiri di Niccioleta e la tom- ba di un grande Figlio di questa terra: Padre Ernesto Balducci. Questo semina- rio, se Padre Ernesto fosse stato tra di noi, lo avrebbe certo visto protagonista; e non ci avrebbe consentito di cancellare il senso di questa nostra storia. CiÚ, vi chiedo in suo nome.
Ad un grande mistico ebreo del XIII secolo, Rabbi Shimon, fu chiesto: - Cosa significa la fine? - Egli rispose: - Quello Ë un luogo nel quale non vi Ë pi ̆ ricor- do. Oggi Santa Fiora Ë stato il luogo del ricordo.
NOTE
*Presentazione (Zeffiro Ciuffoletti)
Ordinario di Storia Contemporanea e Storia del Risorgimento dellíUniversit‡ di Firenze
[1] Cfr. R. SALVADORI, Gli ebrei toscani nellíet‡ della Restaurazione (1814 - 1848), Firenze, C.E.T., 1993. [2] Cfr. A. TOAFF, Italia Judaica. Atti del II convegno internazionale, Roma, 1986, pp. 99-117. [3] Cfr. E. CAPUZZO, Gli ebrei nella societ‡ italiana. Comunit‡ e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Roma, Carocci, 1999.
*Le comunit‡ dimenticate dellíAmiata (L.Niccolai)
1. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, p. 243 2.Le ìmigrazioniî interessarono in particolare gli stati cuscinetto posti a confine tra la Toscana e lo Stato Ponti- ficio quali il Ducato di Castro (eretto da Papa Paolo III, con Bolla del 1537, a favore del figlio Pierluigi Farne- se), la Contea di Pitigliano (comporendenete anche Sorano), sottoposta al dominio degli Orsini, e la Contea di Santa Fiora (che comprendeva, oltre alla ìcapitaleî, anche CastellíAzzara, Selvena, Sforzesca, Scansano, Ona- no e Proceno), CastellíOttieri e, dagli inizi del Seicento, il Marchesato di Piancastagnaio. I signori di questi territori, peraltro, erano spesso legati tra loro da solidi vincoli di parentela: infatti la moglie di Pierluigi Farnese era una Orsini di Pitigliano, mentre Bosio II, conte di Santa Fiora e nipote di Guido Sforza, aveva sposato Co- stanza Farnese, figlia di Paolo III. Dal punto di vista geografico si trattava di territori abbastanza vasti e conti- gui, che, quindi, consentivano anche una certa libert‡ di movimento, lungo líasse del fiume Fiora, tra la monta- gna e il mare, e si ricollegavano, anche con analoghi territori posti nellíarea aretina. 3. M. LUZZATI, ìBanchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro settentrionale fra tardo Medioevo e inizi del- líet‡ modernaî,in Gli ebrei in Italia, cit. p. 200 4. A. TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ìdi confineî (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in AA.VV. Italia judaica ́Gli ebrei in Italia tra rinascimento ed Et‡ baroccaa, Atti del Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i beni culturali e ambientali. Pubblicazioni degli archivi di stato. Saggi 6, Roma 1986, pp. 100-101 5. Cfr.: L. NICCOLAI, Gli ebrei nella Contea di Santa Fiora, ìTracceî, 1, 1996, pp. 57-62, Ancora sulla pre- senza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceî, 3, 1998, pp. 203-207, Ebrei. Le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata: Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBSSMî, 72-73,1998, pp. 43-51; Nelle terre di rifugio. Sui privile- gi accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceî, 6, 2001, pp. 73-96 6. Purtroppo, rispetto ai tempi del Catasto leopoldino, líarea del ghetto risulta drasticamente ridimensionata: alcune case, infatti, compresa quella nella quale si trovava la sinagoga, sono andate distrutte per cause diverse, fra cui eventi franosi. Una lettura anche archeologica e architettonica, anche come base documentaria, risulta pertanto difficile. 7. P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, ms.1765 c.a, Archivio vescovile di Pitigliano, carte 110 aeb 8. Cfr. L. NICCOLAI, Nelle terre di rifugio, cit., ìTracceÖî 2001 9. In particolare: A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc.XV-XVIII), ìRassegna Mensile di Israelî (RMI), 1979, pp. 418-442, La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, ìRMIî,1980, pp 205-211, Gli ebrei a Sovana nei secoli XVI-XVII, ìBollettino della Societ‡ Storica Maremmanaî (BSSM), 43-44,1982, pp.45-65, Ebrei a Castellottieri, ìBSSMî, 49, pp.65-70, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, ìAtti del Convegno di studi ́I Farnese: dalla Tuscia alle Corti díEuropaa, Viterbo 1985, pp.105-120; G.CELATA, Gli ebrei a Pitigliano, ATLA, Pitigliano 1995; R.G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; A.TOAFF, Il Commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine tra Cinquecento e Seicento, ìItalia Judaicaî, Roma 1986, pp. 99-117. 10. Cecil Roth, citato da A. TOAFF, Mostri giudei. Líimmaginario ebraico dal Medioevo alla prima et‡ moder- na, ed. il Mulino, Bologna 1996, p. 85 11. cfr. A. TOAFF, Mostri giudei. cit., p. 85/6 12. D. De POMIS, ZËmach DavÏd, citato da A. TOAF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ́di con- finea (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, cit. p. 99 13. A. TOAFF, Mostri giudei. cit., p, 170 14. Ivi, p. 56 15. R.G. SALVADORI, Op. cit., pp. 23/4
16. G.CELATA, Op. cit., p. 87 17. Ivi, p. 85/6 18. R.G. SALVADORI, Op. cit., pp. 57/8 19. Cfr. Tracce ... 1996 20. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, op. cit., p. 198 21. A. CAPOCCI, Manoscritto, Archivio vescovile di Pitigliano. Si tratta di una miscellanea con copertina in tela rossa da cui abbiamo trascritto e presentato su Tracce.. alcuni testi, da attribuire allíarciprete di Santa Fiora Amerigo Capocci. 22. G. BARZELLOTTI, Mante Amiata e il suo Profeta, Treves, Milano 1910 23. Ivi, p. 44 24. AA.VV., Gli ebrei in Italia, Einaudi, Annali della storia díItalia, Torino, Tomo 1, p. 729/30 25. A. BROGI, Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio, 1984, pp. 51 e 76/80 26. Ivi, pp. 51 e 76/80 27. cfr. AA.VV., Le fonti di Piancastagnaio, Siena 1993 28. Cfr. ìPrivilegi degli ebrei di Santa Fioraî, in A. BATTISTI, Op. cit., c. 110 a, pubblicato in Tracce 1996; p 61-2 29. A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, cit., c. 110 a 30. Cfr. L. NICCOLAI, TracceÖ 2001 31. P.A. BATTISTI, Op. cit., Libro II, f. 110-1. 32. R.G. SALVADORI, Op. cit., p. 110 33. P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, cit. 34. Cfr. A. TOAFF, Il vino e la carne. Op. cit., p. 221 35. R.G. SALVADORI, Op. cit., p. 66 36. ìPrivilegi degli ebrei di Santa Fioraî, in A. BATTISTI, Op. cit., c. 110 a, pubblicato in TracceÖ 1996; p 61-2 e di nuovo in L. NICCOLAI, Nelle ìterre del rifugioî, cit. ìTracceÖî 2001 37. A. BATTISTI, Op. cit., Cfr. TracceÖ 1996, p 57-9 38. A.S.F., Auditore poi Segretario delle Riformagioni, filza 291, lettera D, cc. nn. Si tratta di una Rela- zione agli Uffici del Granducato di Toscana da arte di Domenico Lodovico Armaleoni, Capitano di Giu- stizia di Siena, redatta il 25 gennaio 1744 ab incarnatione Ringrazio Valentino Fraticelli per avermene fornito il testo. 39. Archivio vescovile di Citt‡ della Pieve 40. P. A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, f. 110-111 41. Cfr. L. SETTIMELLI, Le miniere e la presenza ebraica, ìTracceÖî 2000 42. Cfr. R. SALVADORI, Op. cit., p. 56, n. 160 43. R. G. SALVADORI, Op. cit., p. 45 44. A. TOAFF, Mostri giudei, Ed, il Mulino, Bologna 1996, p. 103 45. Nota Carlo Ginzburg che líassimilazione ebrei-streghe non rappresenta altro che líevoluzione di una conce- zione che vede nei gruppi di ìdiversiî un pericolo per la societ‡. 46. Il testo, che riprendiamo, Ë stato pubblicato in Cultura contadina in Toscana, primo volume, Il lavoro del- líuomo, Bonechi Ed., Firenze, 1989, pp. 494/95 47. Cfr, A. CAPOCCI, Le funzioni religiose, ìTracceÖî, 1998 48. H. VON GLASENAPP, Le religioni non cristiane, Enciclopedia Feltrinelli Fischer 1, Feltrinelli , Milano 1962, p. 200
Bibliografia di riferimento
AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomi 1 e 2, Einaudi, Torino 1996 P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora , Manoscritto, 1765 circa, Archivio vescovile di Pitigliano E. BALDINI, Pitigliano A. BIONDI, Ebrei a Castellottieri (met‡ sec. XVI, met‡ sec. XVII), ìBollettino della societ‡ storica maremma- naî, n. 49, Grosseto 1985 A. BIONDI, Gli ebrei a Sovana nei secoli XV-XVII, ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 42-43, Grosseto 1982 A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in ìLa rassegna mensile di Israelî, col. XLV, n. 10.11-12, ottobre-novembre-dicembre 1979 A. BROGI, Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio, 1984 G. CELATA, Gli Ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diversa, Pitigliano 1995 G. CELATA, La Contea di Pitigliano nel ë500, Pitigliano 1982 D. LISCIA BEMPORAD - A. TEDESCHI FALCO, Toscana. Itinerari ebraici, Marsilio Editori, Regione To- scana, Venezia 1995
M. LUZZATI, Banchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro-settentrionale, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia. Annali, Tomo 1., Einaudi, Torino 1996 A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963 L. NICCOLAI, Gli ebrei nella contea di Santa Fiora, ìTracceÖî 1996
L. NICCOLAI, Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceÖ î, Santa Fiora 1998 L. NICCOLAI, Ebrei: le comunit‡ dimenticate dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 72-73, Grosseto 1998 L. NICCOLAI, Quando líAmiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza, in AA.VV., Il pia- cere di leggereÖ il piacere di scrivere, Cittadini del mondo, Annuario IPCT Santa Fiora 1997-1998 L. NICCOLAI, Nelle ìterre del rifugioî. Sui ìPrivilegiî accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceÖî 2001 R. PIVAROTTO - M. SIDERI, Líebreo errante. Guida ai luoghi ebraici tra arte e storia nella Maremma colli- nare, Roma 1997 D. QUAGLIONI, Fra tolleranza e persecuzione. Gli ebrei nella letteratura giuridica del tardo Medioevo, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996. RUFFALDI, La terra di Castel la Zara, I libri dellíOrso, CastellíAzzara 2000 R. G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze 1991 R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díIta- lia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996 S. SIEGMUND, La vita nei ghetti, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996 A. TOAFF, Il vino e la carne. Una comunit‡ ebraica nel Medioevo, Ed. Il Mulino, Bologna 1989 A. TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ìdi confineî (Pitigliano, Sorano, Monte San Savi- no, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in AA.VV. Italia judaica ́Gli ebrei in Italia tra rinascimento ed Et‡ baroccaa, Atti del Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i beni culturali e am- bientali. Pubblicazioni degli archivi di stato. Saggi 6, Roma 1986 A. TOAFF, Mostri giudei, Il Mulino, Bologna 1996
Appendice:
Una storia di intolleranza: Sara líebrea
49. G. Barzellotti, Mante Amiata e il suo Profeta, Treves, Milano 1910, p. 44-70 50. Dovrebbe essere Passigli con la doppia s.
Il piatto delle streghe
51. Il testo completo Ë pubblicato in Cultura contadina in Toscana, primo volume, Il lavoro dellíuomo, Bonechi Ed., Firenze, 1989, pp. 494/95 52. R. Salvadori, Op. cit., p. 46 53. Cfr. C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 1995 e A. Di Nola, Il dia- volo, Scipioni ed., Roma 1980
* Le famiglie de Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e l'emigrazione ebraica verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento (Michele Luzzati-Universit‡ di Pisa)
Note
1. Per tutte le notizie per le quali non si danno in questa sede specifiche referenze si rimanda a MICHELE LUZZATI, Postille sull'emigrazione ebraica dagli Stati pontifici alla Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento in corso di pubblicazione in Italia Judaica. Storia e cultura degli ebrei a Roma e nello Stato pontificio nell'epoca del ghetto (1555-1870). Atti del VII Convegno internazionale, Reggio Emilia, 15-19 giu- gno 1998, Ministero per i beni e le attivit‡ culturali, Ufficio centrale per i Beni Archivistici, Roma. Per tutta una serie di ricerche alle quali si fa qui riferimento cfr. MICHELE CASSANDRO, Gli ebrei e il prestito ebrai- co a Siena nel Cinquecento, GiuffrÈ, Milano 1979; ANGELO BIONDI, Una comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII) in "La Rassegna Mensile di Israel", XLV (1979), n. 9-12, pp. 417-442; ID., La comu- nit‡ di Sorano: norme e capitoli in "La Rassegna Mensile di Israel", XLVI (1980), n. 5-8, pp. 204-211; ID., Gli Ebrei a Sovana nei secoli XV-XVIII, in "Bollettino della Societ‡ Storica Maremmana", XXIII (1982), n. 43- 44, pp. 45-65; ID., Ebrei a Castellottieri (met‡ sec. XVI-met‡ sec. XVII) in "Bollettino della societ‡ storica ma-
remmana", n. 49 (1985), pp. 65-70; ID., Banchieri e mercanti ebrei a Castro nel periodo del ducato farnesiano (1537-1649) in "Bullettin de l'Institut Historique Belge de Rome", 63 (1993), pp. 79-113; ID., Dall'Amiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVIII secolo in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 97-106; ID., Gli ebrei nel Marchesato di Piancastagnaio, Atla, Pitigliano 2002; GIUSEPPE CELATA, La Contea di Pitigliano nel '500. Feudatari, borghesi, contadini ed ebrei nella Toscana meridionale, Atla, Pitigliano 1982; ID., Gli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diver- sa, Laurum Editrice, Pitigliano 1995; ARIEL TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche "di confine" (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento in Italia Judaica. Gli ebrei in Italia tra Rinascimento ed et‡ barocca. Atti del II Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1986; ROBERTO G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; ID., Gli ebrei nella Toscana meridionale in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 91-96; RICCARDO PIVI- ROTTO-MONICA SIDERI, L'ebreo errante. Guida ai luoghi ebraici tra arte e storia nella Maremma collina- re, Best-Service, Orbetello 1997; LUCIO NICCOLAI, Introduzione a Quando l'Amiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza in Il piacere di leggere....il piacere di scrivere. Cittadini del mondo, An- nuario IPTC, Santa Fiora 1997-1998, pp. 68-71; ID., Nelle "terre del rifugio". Sui "Privilegi" accordati agli ebrei di Santa Fiora in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VI (2001), pp. 73-96; ID., Le comunit‡ dimenticate dell'Amiata in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 107-122; BONAFEDE MANCINI, Banchieri e mercanti ebrei nell'Alta Tuscia tra XV e XVII secolo in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 127-140.
2. Cfr. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 1558, p. 1836; cfr. anche n. 1627, p. 1879, del 2 novembre 1533. 3. Cfr. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2061, p. 2239 (cfr. anche n. 2086, p. 2259 e n. 2198, p. 2320, 27 gen- naio e 11 dicembre 1542).
4. Ibid., n. 2480, p. 2463. 5. Ibid., n. 2849, p. 2687. 6. Ibid., n. 3052, p. 2813. 7. Ibid., n. 3067, p. 2817. 8. CASSANDRO, Gli ebrei, cit., p. 36. Il banco di Monte San Savino sarebbe perÚ presto tornato nelle mani dei da Rieti (cfr. ibid., pp. 28-29), per passare a Laudadio de Blanis agli inizi degli anni sessanta: cfr. ROBERTO G. SALVADORI-GIORGIO SACCHETTI, Presenze ebraiche nell'aretino dal XIV al XX secolo, Olschki, Fi- renze 1990, p. 78; ARIEL TOAFF, Maestro Laudadio de Blanis e la banca ebraica in Umbria e nel Patrimo- nio di San Pietro nella prima met‡ del Cinquecento in "Zakhor. Rivista di storia degli ebrei d'Italia", I (1997), pp. 96-97 e 107-108; per la laurea di Isacco cfr. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2335, pp. 2382-2384.
9. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2972, p. 2768 e n. 3005, p. 2785, del 14 febbraio e del 10 giugno 1551; per le attivit‡ di prestito cfr. ARIEL TOAFF, The Jews in Umbria, III, 1484-1736, Brill, Leiden-New York- Kˆln 1994, n. 2489, pp. 1263-1269, n. 2492, p. 1270, n. 2507, p. 1275, n. 2557, p. 1296, n.2574, p. 13202 e n. 2594, p. 1309; per Narni cfr. ibid., p. 1269.
10. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, cit, n. 2846, p. 2686. 11. NELLO PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V in "Lunario romano", XI (1980) [= Rinascimento nel Lazio, a cura di Renato Lefevre, Palombi, Roma 1979], p. 65; SHLOMO SIMON- SOHN, The Apostolic See and the Jews. History, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1991, p. 176; KENNETH STOW, The Jews in Rome, 2, 1551-1557, Leiden-New York-Kˆln 1995, n. 1326, p. 562, del 5 aprile 1553; n. 1343, p. 570, del 6 maggio 1553; n. 1857, pp. 812-813 del 14 e 15 aprile 1556. Per Ascher cfr. STOW, The Jews in Rome, 2, 1551-1557, cit., nn. 1337 e 1339, pp. 567 e 568 dell'aprile e maggio 1553. 12. Cfr. LUZZATI, Postille, cit., note 28-29 e testo corrispondente. 13. Ibid., note 30-37 e 61-62 e testo corrispondente. 14. Ibid., note 138-142 e testo corrispondente. 15. Ibid., note 81-82 e testo corrispondente. 16. ARIEL TOAFF, The Jews in Umbria, II, 1435-1484, Brill, Leiden-New York- Kˆln 1994, n. 1602, p. 852. 17. Ibid., n. 1769, pp. 935-936 e n. 1772, p. 936 18. Ibid.,n.1827,p.961. 19. Ibid., n. 1845, p. 969. 20. Ibid., n. 1863, p. 975. 21. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 1900, p. 1003. 22. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1464-1521, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 1100, p. 1386.
23. Ibid., n. 1939, p. 1023. 24. Ibid., n. 1984, p. 1041. 25 Ibid., nn. 2009 e 2010, pp. 1053-1054. 26. Ibid., n. 2012, p. 1055. 27. Ibid., n. 2037, p. 1066 e n. 2047, p. 1075. 28. Ibid., n. 2057, p. 1079. 29. Ibid., n. 2061, p. 1080. 30. Ibid., n. 2087, pp. 1089-1090. 31. Ibid., n. 2107, p. 1099. 32. Ibid., n. 2117, p. 1104. 33. Ibid., n. 2121, p. 1105. 34. Ibid., n. 2135, p. 1112. 35. Ibid., n. 2148, p. 1118. 36. Ibid., n. 2150, pp. 1119-1120. 37. Ibid., nn. 2165 e 2166, pp. 1080-1081 e n. 2175, p. 1129. 38. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1464-1521, cit., n. 1195, pp. 1498-1499. 39. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2195, p. 1137. 40. Ibid., n. 2204, pp. 1140-1141. 41. Ibid., n. 2219, pp. 1146-1147. 42. Ibid., n. 2207, p. 1143. 43. Ibid., n. 2212, p. 1144. 44. Ibid., nn. 2221 e 2222, pp. 1147 e 1148; e cfr. anche n. 2239, p. 1156 del 26 giugno 1511. 45. Ibid., n. 2225, p. 1149. 46. Ibid., n. 2240, p. 1156. 47. Ibid., n. 2279, p. 1173; cfr. anche n. 2302, p. 1184, del 16 novembre 1516, ma con riferimento ad epoca precedente. 48. Ibid., n. 2291, pp. 1178-1179. 49. Ibid., n. 2301, pp. 1183-1184. 50. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1406, del 12 settembre 152- 9, n. 1412, del 4 novembre 1529 (di qui, e dal testamento di Abramo ñ si veda pi ̆ avanti ñ, apprendiamo che la moglie di Buonaiuto di Isacco si chiamava Perna), n. 1419, p. 1759, del 15 novembre 1529, e n. 1438, p. 1770, del 5 dicembre 1529. 51. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1217, p. 1526, del 15 gen- naio 1514; n. 1230, pp. 1540-1541, del 4 agosto 1514 e n. 1255, pp. 1571-1573, del 9 dicembre 1517. 52. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2329, p. 1196; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2361, p. 1210. 53. Ibid., n. 2352, pp. 1206-1207. 54. Si veda pi ̆ sopra. 55. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2312, p. 1188. 56. Ibid., n. 2321, pp. 1191-1193; n. 2329, p. 1196; n. 2335, p. 1197; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2361, p. 1210; n. 2365, p. 1211 e n. 2368, p. 1212. 57. Ibid., n. 2336, p. 1198; n. 2346, p. 1204. 58. Ibid., n. 2377, p. 1215. 59. Ibid., n. 2393, p. 1222. 60. ARIEL TOAFF, Gli ebrei a Perugia, Deputazione di storia patria per l'Umbria, Perugia 1975, pp. 133-134 e 146-147. 61. Si veda pi ̆ sopra. 62. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2310, p. 1187 e n. 2360, p. 1209. 63. Si veda pi ̆ sopra nota 45 e testo corrispondente. 64. TOAFF, Il commercio, cit., p. 99. 65. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2344, pp. 1202-1203 dell'1 febbraio 1523. 66. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2252, p. 1163; n. 2258, p. 1165; n. 2334, p. 1197 e n. 2357, pp. 1208-1209. 67. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1255, pp. 1571-157. 68. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2389, p. 1220. 69. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2510, p. 2476. 70. Ibid., n. 1927, pp. 2127-2128; n. 2088, p. 2260; n. 2298, p. 2370; n. 2300, p. 2371; n. 2304, p. 2372; TO- AFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2657, p. 1399, Perugia 2 maggio-11 luglio 1566, per un processo che interessÚ Rubino di Consolo, qui detto "da Terni". 71. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, cit., n. 2973, p. 2768; n. 3004, p.
2784; n. 3005, p. 2785; n. 3166, pp. 2890-2891. Per Bonaventura cfr. anche TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2505, p. 1274, 5 giugno 1550, e n. 2528, p. 1286, 3 gennaio 1552. 72. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2469, p. 2457. 73. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2572, p. 1301, 2 settembre 1554; n. 2578, p. 1304, del 13 gennaio 1555; nn. 2581 e 2582, p. 1305, del 21 aprile e del 6 maggio 1555; n. 2586, p. 1306, del 13 novembre 1555.
74. Cfr. LUZZATI, Postille, cit., note 90-93 e testo corrispondente. 75. Ibid., note 118-120 e testo corrispondente. 76. Ibid., nota 94 e testo corrispondente. 77. Ibid., nota 80 e testo corrispondente.
78. Ibid., note 95-97 e testo corrispondente. 79. Ibid., nota 36 e testo corrispondente. 80. Ibid., nota 122 e testo corrispondente. 81. Ibid., nota 81 e testo corrispondente.
82. Ibid., note 101-104 e testo corrispondente. 83. CASSANDRO, Gli ebrei, cit.
* Gli Ebrei di Santa Fiora e un notevole caso di conversione (Angelo Biondi)
54. Sugli ebrei nei feudi di confine esiste ormai una bibliografia abbastanza consistente, anche se ancora non esaustiva, qui riportata alla fine. 55. L. NICCOLAI, vd. Bibliografia, e R. SALVADORI, 1991, pp. 40, 57-58, 133. 56. L. NICCOLAI 2002, p. 108.
57. A. TOAFF ìThe jews in Umbriaî, II, Leiden-New York 1994, n. 1415. 58. L. NICCOLAI 1996, p. 57 e 1998, p. 203, considera ì David de Pomis il primo ebreo la cui presenza sia attestata a Santa Fioraî, ma solo per una documentazione ancora inadeguata. Riguardo al periodo di perma- nenza di David de Pomis, appare pi ̆ corretto indicare il periodo passato a Pitigliano dal 1556 (o 1557) al 1561 (la rivolta dei pitiglianesi avvenne nel gennaio 1562) e a Santa Fiora dal 1562 al 1564 rispetto alle date propo- ste da M. LUZZATI 2004, p. 157: Pitigliano (1556 -1560) e Santa Fiora (1561-1563). 59. C. BENOCCI ìSanta Fioraî, Bonsignori Ed., Roma 1999, p. 18. 60. C. BENOCCI, cit., p. 19. Riguardo alla dipendenza di Santa Fiora dal Vescovo di Citt‡ della Pieve vd. A. BIONDI ìSanta Fiora in Diocesi di Citt‡ della Pieve: le ragioni storiche di uníanomaliaî in Tracce, VI, 2001, pp. 61-68. 61. P. BATTISTI ìAnnali della Terra di Santa Fioraî, ms. in AVP e L. NICCOLAI 2001, pp. 73-96. 62. C. BENOCCI, cit., p. 18. 63. ACSF Libro di memorie1574-1580, cc.12, 119. 64. M. LUZZATI 2004, pp. 155-158; per la mobilit‡ dei banchieri vd. A. BIONDI 1993, pp. 94-98 65. A. TOAFF, ìThe jews Öî, cit., III, nn. 2738, 2740. 66. ASS Feudo di Santa Fiora n. 64, Atti civili e del danno dato del Podest‡ Aurelio Polidori da Sangemini 158- 4; n. 67; Atti civili del Podest‡ Dionisio Petrazzini da Sarteano 1586; n.72, Libro degli atti e decreti dellíAudi- tore di Santa Fiora 1588-1591; n. 99, Sentenze criminali della Curia 1600-1617. 67. A. BIONDI 2002 b), p. 101. 68. Líebreo Daniele Ë indicato con il nome della localit‡ di provenienza (da Arpino) e cosÏ si trovano indicati i suoi discendenti fino a circa il 1625; In un caso Ë definito ìDaniello hebreo Arpinatoî; poi Arpino diventÚ il cognome della famiglia. 69. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 91; 67, c. 95; 72, c. 223. 70. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 34. Il Fattore Giovannino poco dopo si querelÚ anche contro i carbonai Luca e Giovanni del Casentino, che si erano obbligati a fornire il carbone per la ferriera, ma avevano causato dei danni, per non averlo fornito nei tempi dovuti. Idem, c. 84. 71. ASS Feudo di Santa Fiora 64, cc. 80-81. 72. Il Cap. 43 del Libro IV degli Statuti prevedeva tra líaltro che ìper accrescere la Terra nostra di popolo Ö sia lecito a qualunque forestiero verr‡ ad abitare a Santa Fiora Ö pigliar siti per fabbricare case a Montecati- no Öî ; i lavoranti degli opifici come la ferriera e il distendino erano spesso di origine ìforestieraî e ad essi venivano assimilati pure gli ebrei, i quali comunque tendevano a stare vicini, anche quando non vi erano co- stretti. 73. ASS Feudo di Santa Fiora 64, Atti del danno dato, c. 80. 74. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 59; 72, c. 11. 75. ASS Feudo di Santa Fiora 72, cc. 130 e 164. 76. ASS Feudo di Santa Fiora 64, cc. 14, 90, 149. 77. ASS Feudo di Santa Fiora 72, cc.36-38, 111-115 e 256-257.
78. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. K (libro di entrate e uscite 1601-1613), cc. 6, 8, 37. 79. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 82. 80. A. BIONDI 2002 a), pp. 12-14 e 46-47. In tale studio non era stato possibile accertare da quale luogo prove- nisse líebreo Samuele di Benedetto, che ora siamo in grado di determinare come proveniente da Santa Fiora. 81. ASS Feudo di Santa Fiora 99, Sentenze criminali della Curia 1600-1617, cc. 4-8. 82. Non Ë improbabile che líebreo Leone fosse venuto ad Arcidosso proprio da Cetona a seguito delle disposi- zioni di Cosimo I dei Medici per gli ebrei dello Stato Senese del 1571; come si puÚ vedere comunque tali di- sposizioni non sembrano applicate rigorosamente in zone periferiche e di confine, come la montagna dellíA- miata. Riguardo ai motivi che costrinsero Leone ad andarsene da Arcidosso, forse intorno al 1576 o 1577, le testimonianze sono piuttosto vaghe, accennando al fatto che aveva detto ìnon so che parole contra le sue leg- giî. 83. Si tratta dellíuso di mandare i condannati come forzati ai remi delle navi da guerra, soprattutto delle galere, che avevano necessit‡ di numerosi rematori, le cui condizioni di vita sulle navi erano terribili. 84. Per queste vicende delittuose e le relative condanne vd. ASS Feudo di Santa Fiora 99, cc. 10, 14, 16, 30. 85. AVP Processo del Vescovo di Sovana Scipione Tancredi per una ebrea fatta cristiana di Santa Fiora. 86. ìQuanto al termine ëscolaí, esso Ë comunemente usato dagli ebrei per indicare la casa di preghiera Öî chiarisce opportunamente A. TOAFF, Il vino e la carne. Una Comunit‡ ebraica nel Medioevo, Il Mulino, Bolo- gna 1989, p. 109. 87. Troviamo che Simone Narni era rabbino a Castro nel 1629 e poi a Sorano nel 1635. Vd. B. MANCINI 2003, cit., p. 11 e R. SALVADORI 1991, p. 41. Si deve dunque credere che esercitasse tale funzione anche a Santa Fiora, sebbene il documento processuale non lo indichi espressamente. 88. Nella sua Disposizione del 30 dicembre 1625 il Vescovo Tancredi cercÚ di limitare líeccessiva familiarit‡ riscontrata nella sua Diocesi tra cristiani ed ebrei, tanto che i figli dei cristiani sia maschi che femmine seguiva- no addirittura i bambini ebrei nella loro ìscuolaî. G. CELATA 1995, p. 95. 89. AVP Processo del Vescovo di Sovana Scipione Tancredi per una ebrea fatta cristiana di Santa Fiora. Docu- menti a corredo. 90. Vd. in proposito A. MILANO îStoria degli ebrei in Italiaî, Roma 1963. 91. Archivio del Comune di Sorano Inventari pupillari 1630-1644, cc. 5-7. 92. R. SALVADORI 1991, pp. 40-41, 57-60, 119; alcuni cenni in A. BIONDI 1993, p. 98 e in B. MANCINI 2002, p. 132. 93. A.BIONDI2002a),pp.47-48,53,78. 94. A. BIONDI 1982, pp. 52, 65; M. LUZZATI 2004, p. 157; R. SALVADORI 1991, p. 66; Salvadori riporta alle pp.60-63 anche il caso di Crescenzio Spagnoletto da Proceno, ma abitante a Pitigliano, che intorno al 1640 risulta al servizio di Paolo Sforza. 95. ACP Inventari pupillari 1668-1678, c. 177; vd. anche A. BIONDI 1993, p. 102. 96. ACP Miscellanea 1564-1783, cc. 91, 99, 107. 97. Alcune copie di questi Privilegi si trovano in ASF Archivio Sforza-Cesarini, Serie I 699, nn. 5 e 6, oltrechË riportati da P. BATTISTI, cit., cc.110-111. 98. P. BATTISTI, cit, cc.110-111, ripreso in L. NICCOLAI 2001, p. 82 e 2002, p. 112 99. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I, 699, n. 13 100. Si tratta di Pietro di Antonio Moroni, Carlo di Carlo, Pasquino di Angelo, Pietropaolo Corsini, mastro Do- menico Lazzeri, Vespasiano Calderai ìtutti di Santa Fiora o in essa habitatoriî. 101. » questa la prima volta che si ha notizia di una sporadica presenza di ebrei a Castel del Piano. 102. AA. VV. ìGli ebrei a Monte S. Savinoî, Citt‡ di Castello 1994, p. 25 e A. BIONDI, 2002 a), pp. 59-60 e 79. 103. Archivio del Comune di Gradoli Atti Civili 1724-1725, c. 1, dove Ë citato Flaminio da Santa Fiora con A- bramo Servi, Angelo Servi e compagni e Diodato Sadun tutti di Pitigliano, Giacobbe Montebarroccia, MosË e Zaccaria del Monte S.Maria, oltre a MosË di Castro, Laudadio di Sabato e Giacobbe. 104. Questo sistema, ormai generalizzato tra ë600 e ë700, pur producendo quasi sempre una cattiva amministra- zione, non era sempre negativo per la popolazione locale, come si verificÚ per il caso del Marchesato di Pianca- stagnaio; vd. A. BIONDI, 2002 a), pp. 42-45. 105. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. D. 106. L. RUFFALDI ìLa Terra di Castel la Zaraî, Grotte di Castro 2000, pp. 75-77 e L. NICCOLAI, 2001, p. 93. 107. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I 699, n. 5. 108. ACP Miscellanea 1564-1783, c. 107. 109. Archivio della Pretura di Pitigliano, Filze sciolte, ìCausa tra Filippo Rinaldi di Scansano e Salomone di Servo Servi di Pitigliano a causa del subaffitto della Contea di Santa Fioraî del 1750. Il Rinaldi aveva citato Salomone Servi perchÈ aveva stipulato con lui un contratto di subaffitto della Contea nel 1744, ma il Servi, per escluderlo, aveva poi subaffittato invece a David Sorano ebreo di Santa Fiora. 110. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I, 596, cc. 7-11; 133-141; 199-204; 229-232.
111. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. D. Per la condanna degli Sforza vd. anche L. RUFFALDI, cit., pp. 77-78. 112. ASR Archivio Sforza-Cesarini, Serie I 699, n. 6. 113. ACP Inventari pupillari 1750-1778.
114. Un Decimario del 1778 riporta le seguenti famiglie nei terzieri di Santa Fiora: Castello 128, Borgo 74, Montecatino 59 per complessive 261 famiglie, a cui si aggiungevano 5 a Macereto, 22 a Bagnore, 122 a Bagno- lo, per un totale di 410 famiglie. Il pi ̆ antico Decimario del 1648 ci offre un confronto: a Santa Fiora 319 fami- glie, distribuite 162 in Castello, 90 in Borgo, 67 a Montecatino, con líaggiunta di altre 11 a Macereto, 17 a Ba- gnore, 31 a Bagnolo per un totale di 378; in oltre un secolo si nota una crescita complessiva della popolazione, ma dovuta quasi esclusivamente al Bagnolo, dove le famiglie risultano quadruplicate, mentre si registra una consistente diminuzione a Santa Fiora, ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. K, n. 13.
115. L. NICCOLAI 2002, p. 115. La conferma viene anche da P. BATTISTI, cit., c. 111, che riferisce: ìin que- sto ghetto una volta vi erano degli ebrei ricchi e benestanti, ma ora sono miserabilissimi e poveri di numeroî. 116. L. NICCOLAI 1998, p. 206, sulla scorta di R. SALVADORI 1991, p. 110 attribuisce alla prima met‡ del ë600 il trasferimento dellíaronoth di Santa Fiora, ma si tratta certo in ambedue di una svista, essendo impossibi- le che ciÚ sia avvenuto quando la Comunit‡ santafiorese era florida e ben funzionante.
117. Vd. su ciÚ A. BIONDI 2002 b), p. 106. » da notare che Giuseppe Colombo era sposato con Stella Levi, probabilmente di origine santafiorese. Vd. L. NICCOLAI 2002, pp. 115-116.
Bibliografia
Abbreviazioni: ACP = Archivio Comunale di Pitigliano ACSF = Archivio Comunale di Santa Fiora ASF = Archivio di Stato di Firenze ASR = Archivio di Stato di Roma ASS = Archivio di Stato di Siena AVP = Archivio Vescovile di Pitigliano
Angelo BIONDI ìUna Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (sec. XV-XVIII) in Rassegna Mensile di Israel (RMI), 9-12, 1979, pp. 417-442; - Idem ìLa Comunit‡ di Sorano: norme e capitoliî in RMI, 5-8, 1980, pp. 204-211; - Idem ìGli ebrei a Sovana nei secoli XV-XVIIIî in Bollettino della Societ‡ Storica Maremmana (BSSM), 43- 44, 1982, pp. 45-65;
- Idem ìEbrei a Castellottieriî in BSSM, 49, 1985, pp. 65-70; - Idem ìBanchieri e mercanti ebrei a Castro nel periodo del Ducato farnesiano (1537-1649)î in Bulletin dellíIn- stitut Historique Belge de Rome, 63, 1993, pp. 79-113; - Idem ìGli ebrei nel Marchesato di Piancastagnaioî, ATLA, Pitigliano 2002 a); - Idem ìDallíAmiata alla Valle del Fiora: le Comunit‡ ebraiche tra XVI e XVIII secoloî in Tracce, VII, 2002 b), pp. 97-106; Giuseppe CELATA ìLa Contea di Pitigliano nel ë500. Feudatari, borghesi, contadini ed ebrei nella Toscana meridionaleî, ATLA Pitigliano 1982; - Idem ìGli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una Comunit‡ diversaî, Ed. Laurum, Pitigliano 1995; - Michele LUZZATI ìLe famiglie De Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e líemigrazione verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del ë500î in Tracce, IX, 2004, pp. 149-158; - Idem ìPostille sullíemigrazione ebraica dagli Stati Pontifici alla Toscana meridionale nella seconda met‡ del ë500î in Italia Judaica. Atti del VII Convegno Internazionale. Reggio Emilia 1998 (in corso di pubblicazione); Bonafede MANCINI ìBanchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVIII secoloî in Tracce, VII, 200- 2, pp. 127-140; - Idem ìLe Comunit‡ ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio tra XVI e XVII secoloî in Biblioteca e So- ciet‡, 1-2, Viterbo 2003, pp. 4-13; Lucio NICCOLAI ìGli ebrei nella Contea di S.Fioraî in Tracce, I, 1996, pp. 57-62; - Idem, ìAncora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fioraî in Tracce, III, 1998, pp. 203-207; - Idem ìQuando líAmiata ospitava le Comunit‡ ebraiche. Due storie di intolleranzaî in Il piacere di leggere, il piacere di scrivere. Annuario IPC di Santa Fiora 1997-1998, pp. 68-71; - Idem ìEbrei: le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaioî in BSSM, 72-73, 1998, pp. 43-51; - Idem ìNelle terre di rifugio. Sui privilegi accordati agli ebrei di Santa Fioraî in Tracce, VI, 2001, pp. 73-96; - Idem ìLe Comunit‡ dimenticate dellíAmiataî in Tracce, VII, 2002, pp. 107-122; Roberto SALVADORI ì La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secoloî Giuntina, Firenze 1991;
- Idem ìGli ebrei nella Toscana meridionaleî in Tracce, VII, 2002, pp. 91-106; Elena SERVI ìTerra di rifugio, Piccola Gerusalemme. Pitigliano ebraica: comunit‡ in estinzione, comunit‡ che rinasceî in Tracce, VII, 2002, pp. 123-126; Ariel TOAFF ìIl commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine (Pitigliano, Sorano, Monte S. Savi- no, Lippiano) tra ë500 e ë600î in Italia Judaica. Atti del II Convegno Internazionale di Genova 1984, Roma 1986, pp. 99-117.
* Gli ebrei nella Toscana meridionale (Roberto G. Salvatori)
118. Cfr. Attilio MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi 1992, Parte prima, cap. VI. 119. Della Toscana, oggi, fanno parte anche Massa e Carrara che furono sedi, a partire dal XVI sec., di comunit‡ ebraiche. Qui non se ne fa cenno in quanto le loro vicende sono legate alla storia del Principato dei Cybo, di- stinto dal Granducato toscano, governato prima dai Medici e poi dai Lorena. 120. La stampa originaria appartiene alla tipografia Galletti e Cocci di Firenze, e la ristampa alla Casa editrice Olschki, sempre di Firenze. » doveroso ricordare che líopera del Cassuto era stata preceduta da quella, di note- vole valore, dellíavv. Marino Ciardini: I Banchieri Ebrei in Firenze nel secolo XV e il Monte di Piet‡ fondato da Girolamo Savonarola, Borgo S. Lorenzo, Tip. Mazzocchi 1907. 121. A questa letteratura, sulla quale non Ë il caso di soffermarsi ulteriormente, vi sono poche eccezioni, rappre- sentate, per la Toscana (e non soltanto per essa), da studiosi di valore, come Roberto Bachi, Vittorio Colorni, Livio Livi, Ermanno Loevinson, Cecil Roth, Guido Sonnino, che operano, tutti, tra il 1920 e il 1937. Un posto a sÈ occupa il vivace bozzettista Giuseppe Conti, non ebreo, che descrive con efficacia e con simpatia il ghetto di Firenze. Naturalmente non si puÚ dimenticare líimportanza che ha avuto, per líItalia in genere, il periodico ìLa Rassegna Mensile di Israelî, stampato a partire dal 1925. Per la Toscana meridionale meritano di essere citati i saggi di Evandro Baldini sugli ebrei di Pitigliano e, in particolare: Pitigliano nella storia e nellíarte, Grosseto, Coop. Fascista ìLa Maremmaî 1937, che raccoglie articoli stampati nei due anni precedenti, nella rivista ìMaremmaî, e cioË in un periodo non ancora inquinato, ciÚ che aiuta líautore a uníesposizione corretta, almeno dal punto di vista dellíinformazione. 122. Nello PAVONCELLO, Origine e sviluppo della comunit‡ ebraica a Siena, in ìNova Historiaî, Verona, VII (1955), fasc. 5-6, pp. 31-51, uno studio ripreso e ampliato pi ̆ tardi: Notizie storiche sulla comunit‡ ebraica di Siena e la sua Sinagoga, in ìRassegna Mensile di Israelî, XXXVI (1970), ́In memoria di A. Milanoa, 289- 313. 123. In ìStudi sul medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghenî, Roma 1974, pp. 427-473. 124. La casa dellíebreo. Saggi sugli ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa, Nistri- Lischi 1985. 125. In ìEconomia e storiaî, a. XXIV (1977), 4, pp. 425-449. 126. In Studi in memoria di Mario Abate, Universit‡ di Torino, Ist. di storia economica 1986, pp. 271-288. 127. In Manoscritti, frammenti e libri ebraici ñ Atti del VII Congresso internazionale dellíAISG ñ S. Miniato, 7- 8-9 novembre 1988 (a cura di Giuliano Tamani e Vincenzo Vivian), Roma, Carucci Editore 1991, pp. 255-259. 128. Ma Ë da vedere, anche: LíInquisizione e gli ebrei in Italia, Bari, Laterza 1994. 129. Gli ebrei e il prestito ebraico a Siena nel Cinquecento, Milano, A. GiuffrË 1979; La comunit‡ ebraica di Siena intorno allíultimo quarto del ë600. Aspetti demografici e sociali, in ìBullettino senese di storia patriaî, XC (1983), Siena, Accademia Senese degli Intronati 1984, pp. 126-145. 130. Il Comune di Siena e il prestito ebraico nei secoli XIV e XV: fonti e problemi, in Aspetti e problemi della presenza ebraica nellíItalia centro-settentrionale (secoli XIV e XV), a cura di Sofia Boesch Gajano, Roma [Tivoli, Tipografia ́Ripolia] 1983, pp. 175-225. 131. Di Giuseppe Celata sono da ricordare: Propriet‡ ed economia agricola in un feudo toscano del ë500, in ìArchivio storico italianoî, 1976, disp. I-II, pp. 75-117; Gli ebrei in una societ‡ rurale e feudale: Pitigliano nella seconda met‡ del Cinquecento, in ìArchivio storico italianoî, CXXXVIII (1980), n. 504, pp. 197-255 (entrambi confluiti, poi in La Contea di Pitigliano nel ë500, Pitigliano, Atla 1982. Il Celata riprender‡ il tema, ampliandolo, in opere pi ̆ recenti, tra cui: Gli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diversa, [Comune di Pitigliano], Tipolit. ATLA 1995. ñ Di Angelo Biondi: Una comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XLV, n. 11-12 (ott.-dic. 1979), pp. 417-442; La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XLVI (1980), pp. 204-211; Lo stato di Piti- gliano e i Medici da Cosimo I a Ferdinando II, in I Medici e lo Stato senese 1559-1609. Storia e territorio (a cura di Leonardo Rombai), Roma, De Luca 1980, pp. 75-88; Gli Ebrei a Sovana nei secoli XV-XVII, in ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, XXXIII (1982), voll. 43-44, pp. 45-56. 132. in Italia Judaica ñ Atti del II Convegno internazionale, Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato 1986, pp. 99-117. 133. Appunti storici sugli ebrei a Lippiano, in E.M. Artom - L. Caro ñ S.J. Sierra (a cura di), Miscellanea di
Dario Disegni, Torino-Gerusalemme 1969, pp. 255-262; Una supplica degli ebrei di Lippiano alla citt‡ di Pe- rugia, in alla citt‡ di Perugia, in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XXXVI (1970): In memoria di Attilio Mila- no, fasc. 7-9, pp. 441-452; Gli ebrei del Marchesato di Monte S. Maria a Lippiano, in ́Annuario di studi ebrai- cia (1975 e 1976: Raccolta di studi in memoria di Yoseph Colombo), Roma, Poligrafica Sabbadini 1977, pp. 45-71; Gli ebrei romani e il commercio del denaro nellíItalia centrale alla fine del Duecento, in Italia Judaica, Atti del I Convegno Internazionale, Bari 18-22 maggio 1981, Roma, Multigrafica Editrice [Tip. P.U.G.], pp. 183-196. Sempre del Toaff (studioso, in primo luogo, degli ebrei dellíUmbria) Ë da ricordare anche, in questo ambito, un saggio che ha per oggetto Citt‡ di Castello, contigua geograficamente alla Toscana meridionale: Gli ebrei a Citt‡ di Castello dal XIV al XVI secolo, in ìBollettino della Deputazione di Storia Patria dellíUmbriaa, LXXII, fasc. II, Perugia, Arti Grafiche Citt‡ di Castello 1975, pp. 1-105.
134. La comunit‡ di Monte San Savino, in Roberto G. Salvadori ñ Giorgio Sacchetti, Presenze ebraiche nellíare- tino dal XIV al XX secolo, Firenze, Olschki 1990, pp. 77-94; Gli ebrei in Toscana nella passaggio dal Grandu- cato al Regno di Etruria, in La Toscana e la Rivoluzione francese (a cura di Ivan Tognarini), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1994, pp. 475-498; Quattro secoli di storia ebraica a Monte San Savino, in Gli ebrei a Monte San Savino, Comune di Monte San Savino, ìQuaderni Savinesi IIIî, 1994; Famiglie ebraiche di Monte San Savino (1627-1799). Attivit‡ economiche e rapporti sociali, in ìZakhorî, n. II, 1998, pp. 139-154; 1799. Gli ebrei italiani nella bufera antigiacobina, Firenze, Giuntina 1999.
135. La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, Giuntina 1991; Relazioni secentesche sulla contea di Pitigliano, in ìBollettino della Societ‡ storica maremmanaî, fasc. 58-59 (1991), pp. 45-100; Cronaca intima di una comunit‡ ebraica. Pitigliano 1878-1922, in Studi in memoria di Ildebrando Imberciadori (a cura di Danilo Barsanti), Pisa, Edizioni ETS 1996, pp. 377-397; La ìnotte della rivoluzioneî e la ìnotte degli orvietaniî (Gli ebrei di Pitigliano e i moti del ìViva Mariaî: 1799), Comune di Pitigliano, Assessorato alla cul- tura [Firenze, Tipografia Giuntina] 1999, pp. 82.
136. Cfr. líampio e documentato saggio di Ircas Nicola Jacopetti: Ebrei a Massa e Carrara. Banche Commerci Industrie dal XVI al XIX secolo, Firenze, Edifir 1996. 137. Il riferimento Ë, in quellíinterno, al saggio del Luzzati: Banchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro- settentrionale fra tardo Medioevo e inizi dellíet‡ moderna (vol. I, pp. 175-235).
138. La ricerca ha dato finora eccellenti risultati, resi noti via via da Lucio Niccolai che ne Ë stato il principale protagonista. Di lui, al riguardo, sono da citare: Gli ebrei nella contea di Santa Fiora, in ìTracceÖî, 1996; Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, in ìTracceÖî, 1998; Ebrei: le comunit‡ dimentica- te dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaio, in ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 72-73 (1998), pp. 43-51; Quando líAmiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza, in Il piacere di leggereÖ il piacere di scrivere. Cittadini del mondo, Santa Fiora, ìAnnuario IPCT 1997-1998î, pp. 68-83; e, infine, la pi ̆ recente ricapitolazione: Nelle ìterre del rifugioî. Sui ìprivilegiî accordati agli ebrei nella conte- a di Santa Fiora, in ìTracceÖî, 2001, pp. 73-96.
139. In o.c., pp. 106-107.
* DallíAmiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVII secolo (Angelo Biondi)
140. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sulle Comunit‡ ebraiche di questo territorio, in precedenza quasi del tutto ignorate. Vd.: A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc.XV-XVIII), ìRassegna Mensile di Israelî (RMI), 1979, pp. 418-442, La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, ìRMIî,1980, pp 205-211, Gli ebrei a Sovana nei secoli XVI-XVII, ìBollettino della Societ‡ Storica Maremma- naî (BSSM), 43-44,1982, pp.45-65, Ebrei a Castellottieri, ìBSSMî, 49, pp.65-70, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, ìAtti del Convegno di studi ́I Farnese: dalla Tuscia alle Corti díEuropaa, Viterbo 1985, pp.105-120; G.CELATA, Gli ebrei a Pitigliano, ATLA, Pitigliano 1995; L. NICCOLAI, Gli ebrei nella Conte- a di Santa Fiora, ìTracceî, 1, 1996, pp. 57-62, Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceî, 3, 1998, pp. 203-207, Ebrei. Le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata: Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBSSMî, 72-73,1998, pp. 43-51; Nelle terre di rifugio. Sui privilegi accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceî, 6, 2001, pp. 73-96; R.G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; A.TOAFF, Il Commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine tra Cinquecen- to e Seicento, ìItalia Judaicaî, Roma 1986, pp. 99-117.
141. A.TOAFF, Gli ebrei nel Marchesato di Monte S. Maria e Lippiano, ìAnnuario di studi ebraiciî, VIII, 197- 7, pp. 45-71 142. A. BIONDI, Gli ebrei a SovanaÖ, cit., p. 46
143. A. TOAFF, Il commercio del denaro Ö, cit., pp. 99-100 144. D. DE POMIS, ZËmach David, Venezia 1587, c. 5 145. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei Ö, cit., pp. 111-112 146. R.G. SALVADORI, cit., p. 32
147. M. CASSANDRO, Gli ebrei e il prestito ebraico a Siena nel í500, Milano 1979, p. 30 148. A. BIONDI, Una comunit‡ ignorata Ö, cit., pp. 419,433 e R.G. SALVADORI, cit., pp. 32, 36, L. NIC- COLAI, Gli ebrei nella Contea..., cit., p.57 149. Potrebbe trattarsi di Isac da Rieti, che abbandonÚ Pitigliano per le preoccupazioni dovute alla cessione del- la Contea ai Medici, divenuta definitiva nel 1608. A. BIONDI, Per una storia degli ebreiÖ, cit., pp.112-113. Si consideri che Valentano spesso era scelto dai Farnese come loro residenza in alternativa alla citt‡ di Castro. 150. Si consideri che nelle Contee si producevano quantit‡ consistenti di salnitro e, in misura minore, di polvere da sparo, specie a Sorano, a Castro, a Piancastagnaio, mentre dalla miniera di Selvena, nella Contea sforzesca, si ricavava il vetriolo. Vd. A. BIONDI, Il vetriolo di Selvena, ìAmiata storia e territorioî, n. 9, 1990, pp.13-21 151. AA. VV. Il Palazzo dei Marchesi Bourbon del Monte di S. Maria a Piancastagnaio, in AA.VV., I Medici e lo Stato Senese. Storia e territorio, Roma 1980, pp. 183-190 e A. BROGI, Castello e Comune di Piancasta- gnaio. Sei secoli di storia, Abbadia S. Salvatore 1984 152. A. BIONDI, LíAcquedotto Mediceo monumento-simbolo di Pitigliano e la Contea al passaggio nel Gran- ducato, Pitigliano 1998 153. A BIONDI, La Comunit‡ di Sorano Ö, cit., pp. 205-209 154. R.G. SALVADORI, cit., pp. 40, 57 , 119-120 e A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p. 423 155. G. CELATA, cit., pp.116-121 e R.G. SALVADORI, cit., pp.39-42 156. C. BENOCCI, Santa Fiora, Atlante storico delle citt‡ italiane, 7, Bonsignori, Roma 1999. Della Sinagoga di Santa Fiora ci fornisce una descrizione A. BATTISTI, Annali della terra di Santa Fiora, manoscritto sette- centesco ora in Archivio Vescovile di Pitigliano. La descrizione del Battisti Ë ripresa da L. NICCOLAI, Le Co- munit‡ dimenticate dellíAmiata Ö, p. 46 157. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p. 430, R.G. SALVADORI, cit., p. 108 e, per Castro, vd. la Informazione e discorsi dello Stato di Castro di F.GIRALDI, pubblicata in ìDe depraedatione castrensium et suae patriae historiaî di Domenico ANGELI (a cura di G. BAFFIONI-G. MATTIANGELI), Roma 1981, p. 80 158. A. BIONDI, Gli ebrei a Sovana Ö, cit., pp.50-52 159. Sullíargomento vd., tra gli altri, E. STENDARDI, Memorie storiche della distrutta citt‡ di Castro, Grotte di Castro 1957. e R. LUZI, Storia di Castro e della sua distruzione, Grotte di Castro 1987 160. Nella Comunit‡ ebraica di Pitigliano si conservavano due aronoth, che si diceva provenissero líuno da Ca- stro, líaltro da Santa Fiora e si tramandava inoltre per tradizione orale che líargenteria della Sinagoga prove- nisse da Castro. Informazione di Elena Servi, presidente dellíAssocizione pitiglianese ìLa Piccola Gerusalem- meî 161. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorataÖ, cit. p.424 162. A BIONDI, Ebrei a CastellottieriÖ, cit., p. 69 163. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei Ö, cit., pp. 119-120 164. Al Ducato di Castro era unita anche la Contea di Ronciglione, formata anche da Capranica, Caprarola e altri centri, territorialmente staccata dal Ducato, ma strategicamente importante per il dominio della via Cimina. 165. A. TOAFF, cit., p.116. Per il soggiorno a Roma, vd. A. MILANO, Il ghetto di Roma, Roma 1964, pp. 223- 224 e 422-429 166. I. SONNE, Da Paolo IV a Pio V. Cronaca ebraica del secolo XVI, Gerusalemme 1954, pp. 215-220; vd. anche N. PAVONCELLO, Gli ebrei di origine spagnola a Roma, ìStudi Romaniî, 2, 1980, pp. 214-220 167. Líinformazione si deve alla cortesia di Elena Servi. I marrani erano notoriamente gli ebrei spagnoli appa- rentemente convertiti, ma rimasti fedeli allíebraismo 168. L. NICCOLAI, Sui privilegi accordati agli ebrei Ö, cit., pp. 73-96 169. RUFFALDI, La terra di Castel la Zara, Grotte di Castro 2000, pp.75-76, ripreso da L. NICCOLAI, Ancora sulla presenza Ö, cit, p. 206 170. G. SALVADORI, cit., p.67 171. G. CELATA, cit., p. 126 172. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p.426 173. L. ROMBAI, Le Contee granducali di Pitigliano e Sorano intorno al 1780, Firenze 1982, pp. 43, 92-93 174. G. CELATA, cit., p. 125 175. R. G. SALVADORI, La notte della rivoluzione e la notte degli orvietani, Giuntina, Firenze 1999
* Banchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVII secolo (Bonafede Mancini)
176. Líarea geografica della Tuscia ha avuto nel corso della storia ampiezza e denominazioni diverse: Etruria
Meridionale, Tuscia suburbicaria, dopo la riforma dioclezianea, Patrimonium Beatri Petri in Tuscia (con la sua distinzione tra Tuscia romana e Tuscia longobarda) durante il Medioevo. Non manca chi inoltre, assumendo la coordinata spaziale della regione del Lazio, includa nel termine Alto Lazio anche la provincia di Rieti. La pro- vincia di Viterbo fa parte di una pi ̆ ampia area culturale, la Tuscia, regione naturale che per cultura, dialetto, tradizioni storiche e popolari comprende anche il comprensorio orvietano e i monti della Tolfa.
177. Nel commentare la sua Chorographia Tusciae (1536), Gerolamo Bellarmato, annotava le difficolt‡ incon- trate nel percorrere a cavallo le terre di confine di Toscana e Lazio per ìla profondit‡ che ne líandare loro fanno quasi tutti quelli fiumi che si trovano dentro a quella parte che Ë cinta del Fiume de la Paglia, il Fiore, la Marina e il Tevere, li quali oltra líestrema fortezza che causano a quelle terre li quali avvicinano, come a Fiano, Sorano, Pitigliano, Farnese, Castro, Nepi, Civita castellana, porgono ancora per il paese grandissima incomodit‡ di camminoî. La carta di Tuscia del Bellarmato, uno dei pi ̆ eccellenti prodotti cartografici italiani del XVI secolo, fu pubblicata in Roma e dedicata a Valerio Orsini con privilegio di stampa di Paolo III. » stato rilevato che ìForse il Bellarmato comprendeva come parte della sua Toscana anche la Tuscia romana o subur- bicaria, ossia il Patrimonio. Certamente non si rilevano nella carta differenze di caratteri e di esattezza fra la Toscana vera e propria e la Tuscia suburbicariaî. Vd., R. ALMAGI¿, Documenti cartografici dello Stato Pontificio, Citt‡ del Vaticano, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960, p. 10 e 11, inoltre cfr., Tav. XII.
178. Cfr., R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia. Dal Medioevo allíet‡ dei ghetti (a cura di C. Viviani), Annali 11 t.1, Torino, Einaudi, 1996, p. 730-731. 179. Il senatore NiccolÚ Antella, plenipotenziario del granduca Ferdinando I in Pitigliano, comunica al Medici che ìGrandissime sono le usure che fanno questi Ebrei cosÏ nella Contea che in tutte quelle Castella, et luoghi convicini díaltri Signori dove parimente sono comportati [=tollerati] [Ö], et vi una capitulatione fatta al tempo del Conte Alessandro che potessino prestare a quelli dello stato et Contea, a ragione del 18 per 100 líanno che sono pi ̆ di quattrini sei per scudo et a forstieri a ragion di 24, che con mesi rotti et altri vantaggi gli 18 arrivano a 22 et li 24 a 28 per cento et per aggravar maggiormente da certo tempo in qua non volevano prestare in Piti- gliano per fare i poveri huomini a Onano Terra del Duca Sforza, dove i medesimi Ebrei fanno simil banco, et prestano a quelli della Contea a ragione di 24 per cento come forestieriî. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, La Giuntina, 1991, p. 35 e 36, n. 91.
180. R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, cit., p. 729, vd. anche nota 53. La com- plessit‡ della geografia politica e storica delle terre di confine di alto Lazio e bassa Toscana Ë tale che in queste difficolt‡ sono erroneamente inciampati anche recenti e autorevoli studi. Cfr., M. LUZZATI, Banchi e insedia- menti ebraici nellíItalia centro-settentrionale, in: Storia díItaliai. Gli Ebrei in Italia. Dal Medioevo allíeta dei ghetti. cit., p. 200.
181. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985. A. BIONDI, Un antico manoscritto ebraico ritrovato nellíarchivio di Gradoli, ìI Quaderni di Gradoliî, Gradoli, a. 1994, n. 10. 182. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano, cit..
183. N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, AA.VV., Rinascimento nel Lazio, Lunario Romano IX, 1980, Roma, Palombi Editori, pp. 47-77. 184. Cfr., Archivio di Stato di Viterbo, díora in avanti: A.S.Vt., Cartella Pergamene Ebraiche, fasc. 23 (Acquapendente); fasc., 48 e 49 (Bolsena). Per Gradoli vd., A. BIONDI, Un antico manoscritto ebraico ritro- vato nellíarchivio di Gradoli, cit., p. 1-18. Una pergamena in latino, copertina interna del repertorio del notaio aquesiano Orazio Accursini protocolo 3 (1590-1593), contiene una lunga serie di divieti nei confronti degli ebrei.
185. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, 1963, p. 121. Nel 1313, per togliere líassedio dalla pro- pria citt‡ da parte di Orvieto, la comunit‡ di Montefiascone pagÚ uníindennit‡ di quindicimila fiorini. Inoltre N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit., p. 63 186. T. PAPALIA, Gli ebrei e la diffusione del prestito a Orte alla fine del 1200, in: Biblioteca e Societ‡, Viter- bo, a. XII, n. 1-2, giugno 1993, pp. 17-19. Nel Duecento la politica Pontificia cercÚ con ogni mezzo di rendere pi ̆ stretta la dipendenza economica dei comuni dai banchieri e mercatores Romanam Curiam sequentes. In questa congiuntura politico-economica fecero la loro comparsa nei comuni del Patrimonio di San Pietro in Tu- scia le prime compagnie di prestito di ebrei de Urbe, presentandosi come una forza nuova e intraprendente sul mercato finanziario della regione. A. TOAFF, Gli ebrei a Roma, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia, cit. 129. 187. Nel primo decennio del Trecento appare in Viterbo un tale maestro Daniel. Nel 1432 MosË de Urbe, fami- liare di Martino V e proprietario di un importante banco a Viterbo, insieme ad altri cittadini prestava 2000 fio- rini alla Camera Apostolica. A. TOAFF, Gli ebrei a Roma, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia, cit., p. 144. A Tuscania líattivit‡ bancaria era vivace. ìGli ebrei pi ̆ in vista Aleuccio di Matasia e i suoi figli Melle e Ma- nuele. Lo che regolamentava i rapporti tra la loro banca e i cittadini, veniva ogni tanto aggiornato, perchÈ non sempre la povera gente era in grado di pagare gli interessi, per la verit‡ non molto esosi. G. GIONTELLA, Tuscania attraverso i secoli, Grotte di Castro, tip. Ceccarelli, p. 143. La sala di lettura della Biblioteca Comunale di Tuscanaia Ë intitolata a Ytzhak Rabin.
188. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25 Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 25, cc. 20v -24. 189. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, AA. VV., I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, cit., p. 113.
190. ìQuod Iudei faciant unum bravium. Item statuimus, quod Iudei, qui stant in civitate nostra, non obstantibus aliquibus pactis, concessis, et attributis ipsis Iudeis, per consilium generale, et speciale, aut per Priores, vel qua- lemcunque congregationem, et deliberationem teneantur, et debeant pro bravio, quod solitum est currere in fe- sto sancti Savini, omni anno in dicto festo, quindecim diebus precedentibus predicto festo solvere florenos duo- decim pro dicto bravio: et quod Potestas, qui pro tempore fuerit, teneatur vinculo iuramenti cogere eos ad sol- vendumî. Volumen Statutorum in quo continentur Decreta, Leges, Reformationes utriusque status Castri et Roncilionis [Ö], Valentano, per Petrum Matheum Thesorii, 1558, L. I, rub. 33.
191. Per un sintetico ma preciso studio della seconda guerra di Castro, vd., R. LUZI, Líinedito giornale dellías- sedio e demolizione di Castro (1649), in: Barnabiti Studi, Roma, n.2. a. 1985. Líacquisizione di Parma e Pia- cenza (26 agosto 1545) da parte di Pier Luigi Farnese segnÚ la decadenza di Castro che tornava cosÏ a svolgere un ruolo secondario nelle mire e negli interessi dei Farnese. Molti edifici e palazzi progettati da A. Sangallo il Giovane, fra cui lo stesso Palazzo Ducale, non vennero mai completati o iniziati.
192. A. BARAGLIU, Mario Farnese Signore del ducato di Latera e Farnese, ìInformazioniî, Viterbo, a. II n. 9, 1993, p. 87. 193. Cfr,, A. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, AA.VV., I Farnese dalla Tuscia Roma- na alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985, p. 114, n. 40.
194. Nei dialetti della Tuscia, il sostantivo ed aggettivo Gojo, sinonimo di minchione, non buono, non idoneo, Ë esteso oltre alle persone, anche a piante (ortica goja o matta), alla luna (non buona per la semina), uova (non buone per la cova) e a tutto ciÚ che Ë animato (si muove). Appare probabile la sua derivazione dallí ebraico goj, termine col quale sono indicati i cristiani, il popolo pagano. Ad Onano la leggenda che vuole Luca Monalde- schi della Cervara, soggetto ad un attentato da parte di Primo di Meco detto Manoca per le brutalit‡ ed iniquit‡ del Monaldeschi, individua negli ebrei Manoca e in Andrea i cospiratori. Il vero fatto storico, conclusasi nel 1561 con la condanna per eresia luterana del Monaldeschi e col passaggio di Onano dallíantica famiglia di Orvieto a quella degli Sforza di Santa Fiora, nellíimmaginario della popolazione ha assunto contenuti differen- ti. Fino agli anni prebellici del primo conflitto mondiale la rappresentazione della decapitazione di Manoca e di Andrea il macellaretto, veniva realizzata il GiovedÏ Grasso tra líapprovazione della folla (consenso coatto) nella Piazza del Monte sotto líantico palazzo ducale. ìIl popolo era abietto e pauroso/ di Primo o Andrea poco o nulla sanno/ per mantenere un popolo di schiavi/ morte agli Ebrei, ricchi, onesti e savi!î (G. FERRANTINI, Processo a Primo di Meco ìManocaî, versi in ottava rima consegnatimi dal poeta-agricoltore, ultima voce narrante e coscienza della cultura popolare onanese). Vd., anche L. CIMARRA, F. PETROSELLI, Proverbi e detti proverbiali della Tuscia Viterbese, Viterbo, Tip. Quatrini, 2001.
195. Copia Statuti Veteris (1471) Civitatis Montisfalisci quam ego Fabritius Bisentius transcripsi Anno Domini 1715, L. IV, Cap. 51 De modo, et forma vendentium Carnes in Civitate Montiflasconi, f. 268-269, ms. 196. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25, Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 30, c. XXIII.
197. F. M. ANNIBALI, Notizie storiche della casa Farnese, Montefiascone, 1818, Stamperia del Seminario p. 160. 198. A.S.Vt. not. Acq., Giulio Pietro Paolo, prot. 362, c. 268. 199. Gli Statuti della Citt‡ di Corneto MDXLV (a cura di M. RUSPANTINI), Societ‡ Tarquiniese di Arte e Sto- ria, Tarquinia, 1982, p. 276 e 277, L. V., Cap. LXXXXII.
200. Copia Statuti Veteris (1471) Civitatis Montisfalisci quam ego Fabritius Bisentius transcripsi Anno Domini 1715, L. IV, Cap. 41, f. 262. 201. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25, Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 32, c. XXIII.
202. G. RANUCCI, F. RANUCCI, Cultura giuridica e societ‡ civile a Valentano (VT) nel 1500, Castelmadama, tip, M.de Rossi, p. 359. I Bandi Farnesiani, regolavano anche i provvedimenti da applicare ad altri soggetti marginali: vagabondi e zingari. I primi sono definiti coloro che ìotiosamente cercando il vivere il vivere dalle fatiche et sudori díaltri, essendo essi non atti a fatigare e con proprii sudori procurarsi il pane, i secondi ìsono gente che ordinariamente procurano il vivere con fraude et rapir quel díaltriî pertanto veniva loro ordinato di lasciare il ducato e vietato di tornarvi a vivere; era solamente loro consentito il passaggio. Le pene ai contrav- ventori prevedevano tratti di corda ed esposizione alla berlina. Ivi, p. 361, n. 17.
203. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano, cit., p. 59. 204. P. P. BIONDI, Croniche di Acquapendente [Ö], Empoli, La Toscografica, 1984, p. 56. 205. A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo di Giovanni, prot. 601 bis, cc. 5r. 206. N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit. Della lista delle Sinagoghe viterbesi che versavano la quota alla Casa dei Catecumeni facevano parte anche Bagnaia, Nepi e Vitorchiano.
207. F.M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese, cit., p. 160 . La Comunit‡ di Latera, in data 7 giugno 1570, elargÏ 50 scudi e un terreno di 4 staia in contrada Le Piagge per piantarvi una vigna pi ̆ altri donativi, a Jacob ebreo laterese convertitosi al cristianesimo. 208. Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione di tutti li casati della medesima terra, collí- antiquit‡ o modernit‡ loro, (ms. 1589). Líinedito manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale di Acqua- pendente, nella sua copia dattiloscritta, mi Ë stata fornita da Marcello Rossi. Nonostante la presenza di altri ebrei in Acquapendente il Biondi nel manoscritto non fornisce altra informazione circa líantica comunit‡.
209. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 2002, p. 208; 212; 214; 216; 218. 210. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 1988, 238 e seg.
211. Rinaldo Cordovani, Il monastero delle monache Benedettine di San Pietro di Montefiascone, Montefiasco- ne C.I.C., 1994, p. 33. 212. Archivio Parrocchiale di Valentano, Libro della Venerabile Compagnia di San Francesco di Valentano (1755-1779), cc. n. nn.
213. La citazione sui campi díinternamento di Montefiascone, Tuscania e Valentano Ë contenuta in R. DE FE- LICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, p. 372. A Valentano nel novembre 1940 vi erano otto internati (5 donne e 3 uomini), nel 1941 e 1942 erano saliti ad undici e nel 1943 a dodici (7 donne e 5 uomini). Per notizie intorno al campo di Valentano cfr., I. GIANLORENZO, Il campo di concentramento di Valentano, ìViterbo e Provinciaî (settimanale díinformazione de Il Corriere di Viterbo a. I, n. 10, 29 agosto 1998, p. 28 e 29), ìA Valentano erano censiti 15 ebrei, Holfsaner, Nadel, Kerner, Schimdl e un rabbino di no- me Beckerî; inoltre: V. M. CRUCIANI, Campani e cannoni, Ed. Leggio, 1994.
214. G. B. SGUARIO, Viterbo-Auschwitz solo andata. La triste storia di tre ebrei viterbesi, ìBiblioteca & So- ciet‡î, a. XVIII, dic. 1999. ìI tre ebrei viterbesi deportati erano: Anticoli Vittorio Emanuele, di Beniamino e di Porto Stella, nato a Roma nel 1885, residente a Viterbo; Anticoli Letizia di Vittorio Emanuele e di Di Veroli Reale, nata a Viterbo nel 1914, residente a Viterbo; Di Porto Angelo di Simantove, nato a Roma nel 1909, resi- dente a Viterboî.
Negli anni che precedono la guerra, scrivono B. Barbini e A Carosi, la persecuzione antisemita determinÚ nel viterbese situazioni che ìper la loro assurdit‡, potrebbero apparire umoristiche, se non fossero il prologo di una tragedia. Un possidente di Pitigliano, Renato Sadun, si vede di colpo cancellato il suo passato di combat- tente: infatti, pur avendo partecipato come capitano alla guerra 1915-18, viene radiato dallíAssociazione Combattenti, dopo che, nel 1939, gli era stata tolta la tessera del partito. In seguito sfuggÏ alla deportazione perchÈ si nascose nei boschi di sua propriet‡, siti nel territorio di Acquapendente. Ancora pi ̆ singolare il caso di Samuele Spizzichino, nato anchíegli a Pitigliano, ma residente a Latera, dove esercitava líattivit‡ di com- merciante. Nonostante il suo passato di squadrista ed il vanto di aver fatto parte di una delle pi ̆ note squadre díazione delle origini del fascismo, di Firenze, venne destituito dalla carica di commercio, nÈ riuscÏ a trovare aiuto e solidariet‡ presso gli antichi compagni di lotta.î B. BARBINI. A. CAROSI, Viterbo e la Tuscia dallíistituzione della Provincia al decentramento regionale (1927-1970), Viterbo, tip. Agnesotti, 198- 8, p. 122.
Regesto
215. N. PAVONCELLO, Le Comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit., p. 63 216. LUZI, B. MANCINI, Il monastero delle Benedettine di San Pietro in Montefiascone e la sua spezieria: storia e documenti, AA.VV. La spezieria di San Benedetto a Montefiascone (a cura di M.S. SCONCI, R. LU- ZI), Ferrara, Belriguardo, 1994, p. 53 e 54. 217. Bonafede Mancini, Gli Sforza di Santafiora nellíAlto Lazio, in: Tracce. Percorsi storici, culturali e am- bientali per Santafiora, E.C.P., 1998, pp. 65-77. 218. R. G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, cit., 34 e segg. 219. .S.Vt. not. Acq., Rutilio Beccafumi, prot. 124 (1579-1620), cc.89-94v. Gli atti furono rogati in Acquapen- dente nella casa del notaio R. Beccafumi. ìAl nome de Dio ‡ di 5 di luglio 1610 in Fiorenze. Con et sia chel Ecc.mo sig.r Giovanni Antonio Orsini Marchese del Monte San Savino fusse debitore dellíHebrei Banchieri de Pitigliano in tanto che vi si essercitava Banco di presto di piastre quattrocento ottanta come per scritto fatto il primo febbraio 1699 cioË 1599 sotto scritto da esso con suo sigillo da pagarli ‡ me Isaac Rieti da Siena, et un altro scritto de liri centovinti con sotto scrittione medesima da S.E.I questo giorno si Ë venuto ‡ conti et calcal- coli finali con me Isaac detto in nome delli detti banchieri con il detto signore Marchese, il quale havendo hau- to riguardo danni patiti essi hebrei Banchieri, et alli spese fatti si chiama et si constituisce vero et legittimo debitore di essi e per essi al detto Isaac, della somma et quantit‡ de piastre settecento de lire sette líuno, li quali si obliga ‡ me Iasaac detto o, a chi presenter‡ lo presente scritto senza altro mandato in questo modo et forma cioË piastre 150 ‡ 12 Agosto prossimo P. altri 150 alli 12 Feb. sequente, P. 150 alli 12 Agosto 1611, P.
150 ‡ Feb. poi sequente, P. 100 poi a 12 Agosto 1612 per compimento de detti P. 700 de liri 7 líuno, et questi siano per resti et ogni pretentione che essi Hebrei o ogni altro interessato che potesse ciascun de essi pretende- re con S. E. I. et in vert ̆ del presente scritto si annulla ogni scrittura publica et privata polise mandati ‡conti et ogni altra cosa che fra essi fosse seguita fino al presente giorno, si come S.E., come confattori et servitori suoi in pitigliano, Siena, Fiorenze e Pisa et ogni altro loco, et in oltra Io Isaac detto prometto avanti avanti sequi il terzo pagamento far ratificare la presente conventione et contenuto di essa in ogni sua parte per scrit- tura pubblica ‡ tutti et ciaschedíuno deli interessati nel detto negotio de Banco a piacemento del detto signor marchese da Principe et da Cavagliereo osservare li soprapresenti pagamenti per resto de conti (Ö) fine reci- plico fradindi et in fede Io Isacc soptoscritto per commissione et ordine de S.E.I. ho fatto dui due scritti simili, uno per uno, quali saranno sottoscritti da esso et segillati col suo solito sigillo il dÏ et Anno detto, et il medesi- mo giorno se gli sonno restituiti le scritture vecchi.
Io Giovanni Antonio Orsini Marchese contento et obligo quanto di sopra si contiene. Io Isaac Rieti sopto in obligo et affermo quanto di sopra. Io Isaac de Simone Rieti da Siena sopto ho riceuto centocinquanta de lii sette al conto suddetto dallí Ecc.mo signor Marchese sudddetto per le mani del Molto Eccellente Bartolomeo Godi questo di 4 Nov 1610 in Fioren- za et pre fede del vero sottoscrivo detta Riceuta de mia mano propria.î 220. essendo il paese [Onano n.d.A.] lungi 6 miglia dal Toscano confine, vi Ë la dogana di bollettone di 2 clas- se, con guardie di finanza, poichÈ attivo níË il commercio, e per esercitarvi gli ebrei il contrabbandoî. G. MO- RONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, 1860, vol. CI, p. 288. 221. GIRALDI, Copia dellíInformatione et discordi dello stato di Castro. [Ö], in: DOMINICI ANGELI CA- STRENSIS, De depraedatione Castrensium et suae patriae historia, (a cura di G. BAFFIONI, P. MATTIAN- GELI, T. LOTTI), Roma, 1981, p. 80. 222. Ivi, p. 107. Líuso di tempi passati nellí Informatione dello Zucchi lascia spazi di ampia interpretazione in considerazione del fatto che sono gli anni in cui Ë vicina la crisi politica (1641) e la distruzione della citt‡ (1649). 223. Nel lungo capitolato (n. 37 capp.) venivano regolati tra líaltro: la quota di bene entrata (10 fiorini); la du- rata del banco (10 anni, cap. 35); i divieti (impegnare robbe de chiesie: Calice, patene, Croce, paramenti, cap. 23; uscire dalle abitazioni dal GiovedÏ al Sabato Santo) e le agevolazioni (osservanza del Sabato con astensione dal prestito e dalle cause civili, cap. 22; divieto per altri banchieri di prestare ad usura in Castro o suo distretto senza la licenza del detto banco, cap 25; carne sciattata, cap. 32; non pagare gabelle al termine del loro manda- to, cap. 36). Cfr., Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25 Instrumenti e Capitoli (1566- 1578), cc. 20v-24. 224. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano [Ö] , cit., p. 46. Il pregiudizio della stregoneria non era meno intransigente nei confronti delle donne battezzate. Tre valentanesi, Angela Barghina, Gentile di Giovanni e Angela di Bernardino, nel 1633 furono anchíesse inquisite per stregoneria.
225 Nota a :îil Luogo del ricordoî di M. Fineschi. ìPurtroppo il Prof. Luzzati non ha potuto rielaborare ed in- viarci la sua preziosa relazione che, ci ha assicurato, avremo disponibile per líannuario del 2003.î
Bibliografia
FONTI DíARCHIVIO: Archivio di Stato di Viterbo, fondo notarile di Acquapendente, di Montefiascone, di Tuscania. Archivio Storico di Valentano, fondo di Castro. Archivio della Parrocchia di S. Giovanni Ap. Ev. di Valentano TESTI A STAMPA: Roberto Almagi‡, Documenti cartografici dello Stato Pontificio, Citt‡ del Vaticano, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960. AA.VV., Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia. (a cura di C. Viviani), Annali 11, Tomi 1 e 2 Torino, Einaudi, 1996 e 1997. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 1988. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 2002. F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese, Montefiascone, 1818, Stamperia del Seminario Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione di tutti li casati della medesima terra, collíanti- quit‡ o modernit‡ loro, (ms. 1589). Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione della Terra díAcquapendente con la sua anti- quit‡, nobilt‡, governo, usanze et altre cose, Empoli, La Toscografica, 1984. Angelo Biondi, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: AA.VV., I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985.
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* Le persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto
(Luciana Rocchi, Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dellíEt‡ Contemporanea Grosseto) 1. In: Associazione Toscana Volontari della Libert‡, sezione di Grosseto Monumento al fascismo, Grosseto, 1984. La copia originale del diario Ë nellíarchivio privato di Gino Servi, figlio di Azeglio. 2. La storia della famiglia Servi Ë narrata anche da Edda Servi Machlin in: Child of the ghetto, Croton on Hu- dson, GiRo Press, 1995 3. In: La Maremma, 16 ottobre 1938, n.41. Dal censimento risultano residenti in Italia 46.656 ebrei, di cui 3- 7.241 di nazionalit‡ italiana. 4. In: ASCP, 5. Cfr. R.G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, Giuntina, 1991 6. Non sono pochi gli ebrei antifascisti, ma non si puÚ parlare di un ìantifascismo ebraicoî. Su questo tema, cfr. 7. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 689 8. Ibidem 9. Cfr S. DURANTI, Federazioni di provincia: Arezzo, Grosseto, Pisa e Siena, in: E. Collotti Razza e fascismo.
La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943),Roma, Carocci, 1999. Duranti rileva la particolare aggressivit‡ del linguaggio della propaganda razzista nella provincia di Grosseto, a confronto con quello delle altre province toscane, sottolineando ìla fascistizzazione della societ‡ civile, la ricezione del linguaggio fascista e di modelli culturali fortemente irreggimentati laddove la chiusura nel microcosmo mezzadrile non favoriva certamente lo scambio e la formazione di grandi corpi sociali autocoscientiî.
10. In: La Maremma 18 settembre 1938, n. 37 11. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.701 12. Sono le parole conclusive della lettera di Ugo Guido Boscaglia, veterinario di Pitigliano, al Prefetto di Gros- seto, gi‡ citata. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 689 13. Intervista a Cesare Nunes, 3 luglio 1996 14. Cfr. C.S. CAPOGRECO, Per una storia dellíinternamento civile nellíItalia fascista, in: A.L. Carlotti (a cura di) Italia 1939-1945. Storia e memoria, Milano, Vita e pensiero, 1996; Idem Líoblio delle deportazioni fasci- ste: una ìquestione nazionaleî. Dalla memoria di Ferramonti alla riscoperta dellíinternamento civile italiano, in Nord e Sud, novembre-dicembre 1999. Per la Toscana, cfr. V. Galimi Líinternamento in Toscana, in E. Col- lotti Razza e fascismo, cit. 15. Le norme, che istituivano campi di internamento sono emanate nel 1940, nellíimminenza dellíentrata in guerra dellíItalia. Il pi ̆ importante tra questi campi fu quello di Ferramonti di Tarsia (Cosenza). 16. Cfr. M. SARFATTI, Gli ebrei nellíItalia fascista, Torino, Einaudi, 2000. Sarfatti documenta, negli ultimi mesi di governo di Mussolini, ordini e misure nei confronti di ebrei italiani e stranieri, che ne aggraverebbero di molto la condizione in Italia, ma ìLa crisi del 25 luglio 1943 impedÏ al governo fascista di attuare quelleÖ misure e di procedere allíapertura dei campi díinternamento e lavoro obbligatorio per gli ebrei italiani: cosÏ tali decisioni fanno parte solo della biografia di Mussolini e del regime fascista e non anche delle biografie delle vittimeî (pag.207). 17. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 765 18. Cfr. L. PICCIOTTO FARGION, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dallíItalia (1943-45), Milano, Mursia, 1991 19. Questo dato, ormai acquisito dalla storiografia, che si spiega soprattutto con le ragioni delle scelte del gover- no fascista e delle modalit‡ di applicazione delle norme da parte delle gerarchie politiche e militari, trova an- che una conferma in ragioni di ordine pratico. Durante uníintervista, Gino Servi ha dichiarato:î I tedeschi erano impegnati nella lotta contro i partigiani, non contro gli ebrei. I nostri nemici erano i repubblichiniî, anche per- chÈ ñ sostiene Servi ñ era 20. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 765 21. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.764 22. Ibidem 23. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 698, 764, 765 24. In: ACS, Min Int., P.S., Massime, b. 142 25. Alcune notizie sono dovute alla cortesia del signor Toni Magagnino, che mi ha consentito di accedere al suo archivio personale. 26. M. PALLA (a cura di),Toscana occupata. Rapporti delle Milit‰rkommandanturen 1943-1944, Firenze, Ol- schki, 1997 27. In: Archivio ISGREC, f. CPLN, b. 17 28. Cfr. N. CAPITINI MACCABRUNI (a cura di), La Maremma contro il nazifascismo, Grosseto, 1985 29. In: ACS, Min. Int. P.S., Massime, b. 142 30. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.698 31. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.756 32. In: ACS, Min. Int., P.S., Massime, b. 142 33. Ibidem 34. Ibidem 35. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.764 36. Questo tema Ë stato ampiamente affrontato, ma in modo particolare deve essere segnalata líopera recente di Giovanni Miccoli (G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano, Rizzoli, 2000) 37. Si legge in una nota di Monsignor Tadini: ìIl signor Tittman si lamenta fortemente contro questo articolo del Vescovo di Grosseto. Dice che Ë falso perchÈ tace che a Grosseto víË un grande campo díaviazione tedesco e vi sono molti tedeschi. Aggiunge che líarticolo ñ tendenzialmente politico ñ Ë stampato in una pubblicazione o raccolta edita a solo scopo politico [Ö] Rispondo: 1. Che la Santa Sede non sapeva niente; 2. Che neppure ora sappiamo se líarticolo Ë veramente cosÏ;3. Che domanderemo informazioni; 4 Che, se il testo Ë cosÏ, Ë vera- mente infelice ed imprudente; 5. Che la Santa Sede non controlla i vescovi díItalia come non controlla quelli delle altre nazioni; [Ö] La S.C. Concistoriale far‡ un rebuffo al Vescovoî, in Actes et documents du Saint SiË- ge relatifs ‡ la seconde guerre mondiale, 7, Le Saint SiËge et la guerre mondiale novembre 1942-dÈcembre 1943, Citt‡ del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1973 38. In: ACV, fasc. Seminario di Roccatederighi
39. Questa osservazione Ë di Bruna Bocchini Camaiani 40. In: ACV, fasc. Seminario di Roccatederighi 41. Segnaliamo solo un articolo recente di un sacerdote, don Pietro Fanciulli, allíepoca seminarista a Roccate- derighi, che ricorda con commozione sia la sofferenza degli internati, che ìla sincera ammirazione e gratitudi- neî degli ebrei verso il vescovo ( in: Toscana oggi, 4 marzo 2001) 42. Intervista a Cesare Nunes, 3 luglio 1996 43. Queste notizie sono contenute nel diario di Azeglio Servi, in: Associazione Toscana Volontari della Libert‡, sezione di Grosseto Monumento al fascismo, cit. 44. Intervista a Cesare Nunes, cit. 45. A Monticello Amiata, una famiglia di ebrei tedeschi trovÚ un rifugio e protezione, grazie a due abitanti del paese, Giovan Battista Leoni e Liberato Angelini, arrestati in seguito per una delazione, che provocÚ la depor- tazione degli ebrei (in: ASG, f. Regia Prefettura, b 698 ) 46. Intervista a Gino Servi, cit. 47. R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993 48. Il riferimento Ë al lavoro di molti storici, tra cui citiamo solo Enzo Collotti ed il gruppo di giovani ricercato- ri, che si Ë formato intorno a lui, Michele Sarfatti, Liliana Picciotto Fargion, Mauro Raspanti, ed anche al lavo- ro di raccolta di documentazione, realizzato dal CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Milano. Un contributo importante, sia per la ricerca che per la divulgazione, Ë stato offerto dalla mostra itine- rante La menzogna della razza, curata dal Centro Furio Jesi e dallíIstituto regionale Ferruccio Parri di Bologna, nel 1995 49. Il fascismo grossetano, al di l‡ di pochi studi sulle origini e su singoli, specifici aspetti, non Ë stato ancora studiato e compreso nel suo insieme; questo rende difficile anche affrontare questioni, come quella di cui si parla in questa sede. 50. G. DE BENEDETTI, 16 ottobre 1943 Palermo, Sellerio, 1993 51. G. DE LUNA, Fascismo antifascismo. Le idee, le identit‡, Firenze, La Nuova Italia, 1995 52. Intervista a Gino Servi, cit. 53. Queste affermazioni di Davide Bidussa sono del 1994 (D. BIDUSSA, Il mito del bravo italiano, Mila- no,1994, p.15)
Gli ebrei e líAmiata: storia e memoria
Gli Ebrei e líAmiata: storia e memoria
Il 10 febbraio del 2002 la Consultacultura di Santa Fiora ha promosso un impor- tante seminario dedicato a ìGli ebrei e líAmiata: storia e memoriaî che voleva, da una parte, ripercorrere e rendere pi ̆ note le vicende delle comunit‡ ebraiche amiatine, tra il XVI e il XVIII secolo, nel contesto di un ambito territoriale pi ̆ ampio, che abbraccia tutta la valle del Fiora e, dalla Montagna, passando per Pi- tigliano e Sorano, si estende fino alla Tuscia laziale (perchÈ fu questo lo spazio dove le comunit‡ ebraiche trovarono ìrifugioî per diverse vicende e cause stori- che e istituzionali); dallíaltra, in concomitanza con la ìGiornata della memoriaî, riflettere sul significato e la portata, anche nei nostri territori, della strategia del- lo sterminio, paradigma centrale della storia del Novecento, perseguita dal Nazi- smo e che oggi, alla luce della drammatica ripresa delle guerre e dei razzismi che sta contrassegnando questo difficile valico tra la fine del II millennio e líavvio del III, torna di drammatica e preoccupante attualit‡. La Consultacultura per quanto nelle sue possibilit‡, ha in questi anni, soprattutto grazie allíannuario TracceÖ, cercato di ricostruire alcune coordinate della storia della presenza ebraica nel territorio, dando cosÏ, sicuramente, un prezioso contributo a ridisegnare un tas- sello che, evidentemente, risultava mancante nella ricostruzione storico- geografica delle comunit‡ ebraiche nella Toscana meridionale: con questo semi- nario la nostra associazione ha fatto di pi ̆, ponendo, per la prima volta esplicita- mente, il problema della necessit‡ dello studio delle relazioni tra le diverse comu- nit‡, non solo della Toscana meridionale, ma anche dellíalto Lazio, insomma di quella vasta area che tra Cinqueento e Seicento costituiva una vera e propria mi- croregione formata da piccoli stati autonomi (dominati dagli Sforza, dai Bourbon del Monte, dagli Ottieri, dagli Orsini, dai Farnese), dove gli ebrei trovarono ìrifugioî e poterono costruire attivit‡ economiche e conservare la propria cultu- ra e i propri culti. Il seminario Ë stato, come ampiamente testimoniano le relazioni che qui pubblichiamo, un grande successo. Di pi ̆, ci auguriamo, ha segnato un punto di non ritorno nellíambito della ricerca territoriale locale. CiÚ non sarebbe stato possibile se, accanto allíimpegno di Consultacultura, non si fosse incontrata una fattiva e preziosa collaborazione con le comunit‡ ebraiche di Firenze e di Pi- tigliano. Ci preme ringraziare, pertanto, il Dott. Mario Fineschi, della comunit‡ ebraica di Firenze, per líimpegno speso e per la sua attiva partecipazione, e la Sig.ra Elena Servi che rappresenta líultimo legame con la storia delle comunit‡ ebraiche della Toscana meridionale oltre ad essere, nel contempo, líanimatrice prima della rinascita della sinagoga di Pitigliano e dei diversi eventi che, grazie allíAssociazione ìLa Piccola Gerusalemmeî, hanno ricominciato a restituire al territorio il significato pi ̆ pieno di una storia che, altrimenti, sembrava destinata allíoblio. Líiniziativa del seminario, e la pubblicazione degli interventi di quella giornata su TracceÖ 2002, assunta in piena autonomia economica e culturale
dalla nostra associazione, non sarebbe forse stata possibile senza il patrocinio di alcuni enti pubblici che vogliamo pubblicamente ringraziare: líamministrazione comunale di Santa Fiora, líamministrazione provinciale, la Comunit‡ del Monte Amiata, tramite progetto PIA, la Regione Toscana e il Cospe di Firenze. Per quanto riguarda, infine, i materiali che qui vengono presentati occorre fare un paio di precisazioni. La prima che líintervento del prof. Michele Luzzati Ë stato pubblicato su TracceÖ 2004 e il primo di Angelo Biondi che qui compare, Ë stato pubblicato su TracceÖ. 2005, e sono quindi interventi successivi al Convegno, che ne rappresentano uno sviluppo e una integrazione.
L. N.
Presentazione Zeffiro Ciuffoletti
Ordinario di Storia Contemporanea e Storia del Risorgimento dellíUniversit‡ di Firenze
I saggi e i materiali documentari, dalle fonti di archivio alle testimonianze orali, che trovano collocazione nella rivista ìTracce...î (7/2002), rappresentano un im- portante contributo alla storia della presenza ebraica nella Toscana meridionale tra XVI e XIX secolo, nonchÈ alla ulteriore conoscenza del dramma della Shoah con nuove e inedite testimonianze. Conosco quasi tutti gli
studiosi che hanno partecipato al convegno sugli e- brei svoltosi a Santa Fiora. Sono studiosi di valore, animati dalla passione della ricerca locale, ma perfet- tamente consapevoli dellíuso delle fonti e della di- mensione storiografica dei problemi. I loro contributi sono, quindi, preziosi, al fine di ricostruire la presen- za e le vicende delle piccole comunit‡ ebraiche spar- se lungo líincerto confine tra Toscana e Lazio, tra Stato della Chiesa e Granducato Mediceo. Le vicende degli ebrei in Toscana sono state a lungo trascurate, ma negli ultimi anni gli studi e i contributi si sono infittiti, come ricostruisce con grande precisione Ro- berto Salvadori, gi‡ autore di un importante saggio sugli ebrei toscani nella prima met‡ dellí800[1]. Dagli studi di Michele Luzzati e Michele Cassandro sulle comunit‡ ebraiche dal medioe- vo fino al XVII secolo si Ë passati ai contributi sulle piccole comunit‡ della Tosca- na meridionale, Pitigliano, Sorano, Sovana, di Giuseppe Celata e Angelo Biondi. Tutte queste ricerche le ho viste nascere sotto i miei occhi e le ho sempre incorag- giate nella convinzione che una storia della Toscana senza la presenza delle picco- le storie delle comunit‡ ebraiche locali sarebbe rimasta sostanzialmente monca in aspetti non secondari della storia economica, politica e sociale. Ariel Toaff in uno studio pubblicato nel 1986[2] ha dimostrato quali furono le origini di queste piccole comunit‡ ebree ai margini della Toscana meridionale fra il XVI e il XVII secolo. Si tratta di ebrei cacciati in varie fasi dallo Stato Pontificio a partire dal momento della costituzione dei ghetti sul cui significato si Ë soffermata recentemente Ester
Capuzzo, in un contributo assai interessante anche per le tematiche dellíOttocento e del Novecento[3]. Ad ogni ondata di persecuzione e di umiliazioni gli ebrei cer- cavano scampo nei territori di confine verso la Toscana. In realt‡ a partire dal Cin- quecento la linea di confine con lo stato mediceo toscano era costellata di feudi pi ̆ o meno grandi, come quelli degli Orsini o degli Sforza. I signorotti di queste piccole contee o marchesati, spesso scarsamente popolati, vedevano con un certo favore líarrivo di ebrei non solo per ragioni demografiche ma anche perchÈ gli e- brei portavano con sÈ competenze professionali (medici, chirurghi), commerciali e artigianali utilissime per líeconomia e la societ‡ locale. Gli Orsini arrivarono a San Savino, dove regnarono dopo Pitigliano e Sorano, fino al punto di consentire líingresso persino agli ebrei ricercati per ragioni giudiziarie e per debiti. Agli studi finora svolti si uniscono ora gli apporti delle belle relazioni di Lucio Niccolai sulle comunit‡ ebraiche di Santa Fiora e di Piancastagnaio, di Angelo Biondi sulle co- munit‡ della Valle del Fiora, di Bonafede Mancini sullíAlta Tuscia. Si tratta di la- vori che forse rinviano a ulteriori ricerche, ma che intanto ci offrono un quadro pi ̆ ampio della presenza degli ebrei nella Toscana Meridionale. La seconda parte del- le relazioni del convegno di Santa Fiora riguarda, come gi‡ detto, le testimonianze relative alla Shoah e alle leggi fasciste contro gli ebrei. Mi sembra assai toccante la storia raccontata da Elena Servi, della sua infanzia a Pitigliano, dove la comuni- t‡ ebrea, ormai in netto declino, fu colpita a morte dalle leggi razziali. Le memorie di Elena, allora una bambina di meno di dieci anni, ci fanno toccare con mano da un lato la crudelt‡ di quelle leggi e della loro applicazione e dallíaltra líesistenza di forme di solidariet‡ umana che superavano le divisioni religiose e alleviavano le disumane normative previste dalle famigerate leggi razziali del 1938. Dobbiamo, quindi, essere grati agli organizzatori del convegno e alla rivista che ha accolto questi contributi.
Introduzione ai lavori del seminario ìGli ebrei e líAmiata: storia e memoriaî
Elena Servi,
Associazione ìLa piccola Gerusalemmeî di Pitigliano
Un ringraziamento particolare a Consultacultura e a tutti gli organizzatori del seminario per aver voluto che io partecipassi, non solo come presenza, ma an- che come portatrice di esperienze e di fatti che ho vissuto personalmente a Piti- gliano. Mi diceva stamani, scherzando, il professor Biondi: "Come persona in-
formata sui fatti". Di Pitigliano si parla molto in questo periodo e in questi ultimi anni. Voi certa- mente avrete visto le varie trasmissioni televisive, avrete letto i vari articoli sui giornali non solo locali ma anche nazionali come "La Repubblica" o "La Na- zione". Pitigliano direi che Ë rinata, in questi ultimi anni. Io non mi soffermerÚ
e non farÚ un ìexcursusî storico su quello che Ë stata tutta la lunga storia della comunit‡ di Piti- gliano, perchÈ ci sono qui presenti due studiosi e ricercatori che hanno scritto e sanno molto pi ̆ di me, quindi lascio a loro il compito della storia vera e propria. Io mi soffermerÚ soprattutto sulla decadenza della comunit‡ di Pitigliano, inqua- drandola, naturalmente, nel contesto storico, e poi su quella che Ë una certa rinascita della co- munit‡ di Pitigliano, anche se con tutti i limiti
che il diverso contesto storico ed economico ormai comporta. Io non credo che a Pitigliano avremo pi ̆ una comunit‡ ebraica come quella di una volta, ma ab- biamo una vita culturale ebraica che Ë al centro di un grande interesse regiona- le, nazionale e internazionale. Quindi io mi rifaccio un pochino indietro, allíini- zio dellíinsediamento ebraico in Pitigliano e per circa un secolo e mezzo, quan- do la storia ebraica di Pitigliano va in parallelo, Ë simile a quella di altre piccole comunit‡ della zona. PerchÈ non solo Pitigliano: ci furono altri insediamenti nella bassa Maremma e nella zona amiatina, che perÚ finirono prima di Pitiglia- no e con Pitigliano si fusero. Purtroppo queste zone non conservano il patrimo- nio storico e culturale che ha Pitigliano. Ci sono documenti díarchivio ñ e io come ebrea, una degli ultimi tre ebrei rimasti a Pitigliano, ringrazio gli studiosi che riportano alla luce certi documenti ñ ma tutto il patrimonio architettonico di cui Ë ricco Pitigliano, gli altri paesi non lo han-
no pi ̆ o perchÈ non lo hanno mai avuto o per- chÈ Ë andato perso nel tempo. Noi a Pitigliano non abbiamo soltanto una sinagoga e un cimi- tero, ma abbiamo ancora un forno delle azzime che io credo sia l'unico antico in tutta líItalia, abbiamo tutto un quartiere antico scavato nel tufo che grazie al comune di Pitigliano, sta rie- mergendo da quelle che erano le macerie e da quella che era la distruzione. Quindi Pitigliano ha avuto uníimportanza maggiore forse per motivi storici ed economici e mentre le altre piccole comunit‡ si dissolvevano, Pitigliano fioriva. », infatti, tra la seconda met‡ del Settecento e la prima dell'Ottocento che la comunit‡ di Pitigliano cresce numericamente. Leggevo, proprio ieri sera sul libro del prof. Salvadori, di un censimento del 1841 secondo cui la popola-
zione ebraica di Pitigliano raggiungeva i 359 membri su una popolazione com- plessiva di 3125 abitanti. » proprio in quel periodo che la comunit‡ di Pitiglia- no, non solo si accresce numericamente ma, di conseguenza, sviluppa le sue strutture e si organizza; Ë una comunit‡ a cui non manca niente di tutto quello che puÚ servire ad una comunit‡ ebraica: oltre alla sinagoga e al cimitero, c'Ë una scuola elementare e una materna, un forno delle azzime, una biblioteca, u- na macelleria, una cantina e un bagno rituale.
CosÏ si va avanti fino all'Unit‡ d'Italia, dopo cíË un certo regresso e la comunit‡ di Pitigliano perde un centinaio dei suoi membri ñ ed Ë logico, umano e natura- le, perchÈ con l'Unit‡ d'Italia si arriva alla famosa emancipazione, si arriva a riconoscere gli ebrei come cittadini italiani ai quali sono consentiti e dati final- mente tutti i diritti e tutti i doveri che sono anche molto importanti. A Pitiglia- no, con questa raggiunta parit‡, un buon numero di ebrei va verso le citt‡ pi ̆ grandi, in particolare Roma e Firenze. Ed Ë logico, perchÈ finalmente tutti gli ebrei possono accedere a tutte le facolt‡ universitarie e possono esercitare tutte le professioni. Pur diminuendo di numero, perÚ, quella di Pitigliano rimane una comunit‡ viva, attiva e ricca, anche se,
gradatamente, la popolazione ebraica di- minuisce ancora. Ora faccio un salto di varie decine di anni e mi riporto a quella che fu la mia epoca, la nostra epoca ñ ho qui davanti mio cugino, il prof. Servi, il quale ha vissuto come me, un pochino pi ̆ di me in quanto ci sono pochi anni di differenza, la vita comunitaria di Pitiglia- no. Io ricordo solo gli ultimi anni di que- sta vita comunitaria e la ricordo come una comunit‡ molto viva. Prima delle leggi razziali, quindi prima degli anni í38-39, eravamo ancora circa 70 ebrei, non pochi per un paese cosÏ piccolo se conside- riamo che a Siena, oggi mi hanno detto, ce ne sono circa una cinquantina. Noi eravamo circa 50 al centro di Pitigliano e poi una ventina di persone nelle im- mediate vicinanze: avevamo una famiglia ad Acquapendente ñ qui abbiamo l'ultimo rappresentante, il sig. Aldo Paggi -, una famiglia a Latera e non Ë rima- sto pi ̆ nessuno - se non mio figlio che Ë diretto discendente ñ; e avevamo le famiglie di Grosseto che facevano tutte capo a Pitigliano, perchÈ era in quell'e- poca una delle cinque comunit‡ ebraiche rimaste in Toscana insieme a Firenze, Livorno, Pisa e Siena e l'unica della provincia di Grosseto. Quindi tutte le altre della zona, la bassa Maremma e la zona amiatina, non esistevano pi ̆. Ricordo, purtroppo, solo gli ultimi 4-5 anni, perÚ ricordo ancora le celebrazioni religio- se, le feste per le maggiorit‡ religiose, líultima delle quali, proprio nel í38, del prof. Marco Servi. Noi abbiamo, nel forno delle azzime, una bella fotografia d'insieme di tutta la comunit‡ per una maggiorit‡ religiosa celebrata per un ra- gazzo la cui famiglia abitava, ormai, a Gallarate, poi a Milano; ma, avendo le
radici a Pitigliano, erano venuti a celebrarla qui. In quella foto ritroviamo in gruppo quasi tutta la comunit‡. Ricordo anche le recite che facevamo per le va- rie festivit‡, per il famoso carnevale ebraico e cioË per il Purim; ricordo la sina- goga, noi la chiamavamo Tempio o Scola, come diceva mio padre; non usava- mo la parola sinagoga ñ Ë antica e deriva dal greco
ñ che usiamo pi ̆ di recente. Se pur diminuita di nu- mero, dunque, la Comunit‡ Ë ancora viva; finchÈ le leggi razziali imposte dal governo fascista non si ab- battono come un fulmine, nel 1938, su tutti gli ebrei italiani, cambiandone radicalmente líesistenza. Mol- te famiglie che perdono il lavoro nelle strutture pub- bliche, lasciano Pitigliano, ancora per Roma e per Firenze, per cercare l‡ uno sbocco futuro per sÈ e per i propri figli: non torneranno pi ̆. Nel 1943-44, con l'invasione nazista, inizia la caccia allíebreo e le poche famiglie rimaste fino ad allora in Pitigliano si disperdono per le campagne circostanti, in cerca di un rifugio: Ë allora che si dimostra pi ̆ ampia e generosa la solidariet‡ degli a- mici cattolici e perfino di tante persone semplici, che mai prima avevano avuto modo di conoscere e di avvicinare un ebreo. Rischiando la propria vita, aprono le loro case, nascondono, proteggono, aiutano con ogni mezzo, salvano i fug- giaschi disperati. Finito il secondo conflitto mondiale, ben pochi sono ormai gli ebrei a Pitigliano, il Tempio si apre soltanto una volta líanno, nel giorno di Kip- pur, quando si puÚ contare su coloro che tornano da fuori. E agli inizi degli anni í60, anche il Tempio secolare cede: non Ë stato possibile evitarne il crollo par- ziale, malgrado il tentativo fatto per reperire i fondi, attraverso una sottoscrizio- ne aperta sul giornale ìIsraelî. Pochissimi sono i soldi raccolti, del tutto insuffi- cienti per riparare i guasti, prima che accada l'irreparabile. ìLa Piccola Gerusa- lemmeî Ë oramai una Comunit‡ finita. Di fronte alla sinagoga, dov'Ë ora il piaz- zale, c'era una bellissima biblioteca, travolta anchíessa nel crollo. Biondi che l'ha riordinata, lo sa meglio di me: cíerano circa 4000 volumi, c'erano degli in- cunaboli che fortunatamente, in gran parte, furono messi in salvo, cosÏ come furono messi in salvo gli arredi della sinagoga e i sifre'-torah (libri della torah), parte a Roma, parte a Livorno e qualcosa in Israele. A quellíepoca gli ebrei ri- masti a Pitigliano si contavano sulle dita delle due mani: non potemmo far niente. Livorno, purtroppo, era occupata nella sua riorganizzazione, cosÏ come un poí tutte le comunit‡ d'Italia. Quindi noi rimaniamo con un Tempio distrutto che va avanti per oltre ventíanni in quelle condizioni, finchÈ, grazie all'ammini- strazione comunale di Pitigliano e all'interessamento personale del Sindaco di allora e di ora, Augusto Brozzi, interviene un accordo fra il comune di Pitiglia- no e la comunit‡ di Livorno che fa una donazione permanente dellíarea al Co- mune e quest'ultimo ricostruisce la sinagoga, solo la sinagoga, che fra líaltro non era crollata del tutto ñ era crollata tutta la parte in fondo, mentre l'arco, per
chi conosce la nostra sinagoga, si era salvato. Con il restauro della sinagoga si ha finalmente un rinascere della vita ebraica in Pitigliano. Intanto Ë successo che ormai gli ebrei rimasti in Pitigliano si contano sulle dita di una mano: al momento dellíinaugurazione della sinagoga erano sei-sette, negli anni successi- vi siamo rimasti soltanto in quattro. Ed arriviamo al 1996 e qui, scusate l'immo- destia, ma io mi prendo un piccolo merito e lo do a mio figlio: lui Ë l'ultimo na- to a Pitigliano nel 1963, quando la comunit‡ era ormai morta e sepolta. Non Ë osservante ñ anche perchÈ, purtroppo, osservare a Pitigliano Ë una questione molto personale, perchÈ tutto il
resto non esiste pi ̆ ñ si sente ebreo nello spirito e quindi ha sempre detto di dovere, come ultimo ebreo di Pitigliano, fare qualche cosa. Pensava di scrive- re qualche cosa sullíargomento, ma poi gli Ë mancata la voglia o il tempo; ma ha avuto la brillan- te idea di costituire l'Associa- zione che, non a caso, abbiamo chiamato ìLa piccola Gerusa- lemmeî, cosÏ come ai tempi dí- oro veniva chiamata la comunit‡ di Pitigliano. Questa associazione, costituita nellíottobre del í96, ha accolto ed accoglie ancora non solo ebrei, ma anche cat- tolici, molti cattolici; non ho fatto il conto preciso, perchÈ ogni anno si rinnova- no i soci (alcuni purtroppo non ci sono pi ̆) ma forse in maggioranza sono cat- tolici; abbiamo anche tre sacerdoti. Attraverso questa associazione di tipo cultu- rale senza scopo di lucro, noi siamo riusciti a far rivivere a Pitigliano la cultura ebraica, in collaborazione con il Comune, in collaborazione con altre associa- zioni come il Centro culturale di Pitigliano e come líorganizzazione del famoso Petilia-Festival. Noi riusciamo, e qui abbiamo anche molti soci presenti, a svi- luppare una rinascita della cultura ebraica a Pitigliano: io credo di non sbagliare dicendo che, se c'Ë un forte interesse su Pitigliano, che Ë un bel paese ricco di storia, di tradizione e con un panorama stupendo, una buona fetta di turisti che vengono a Pitigliano, vengono anche e forse soprattutto, per visitare il quartiere ebraico. Io mi occupo personalmente della piccola mostra permanente che ab- biamo organizzato, piccola in quanto abbiamo pochissimo spazio e abbiamo bisogno di tanto materiale. Il Comune ci ha promesso una stanza e noi speria- mo di fare un vero e proprio museo. Vengono tante persone da tutte le parti, non solo díItalia, ma díEuropa e del mondo: abbiamo addirittura avuto dei visi- tatori dall'Alaska. CíË un forte interesse ed io ringrazio chi ci ha dato la possibi- lit‡ di sviluppare questa attivit‡ culturale. Noi facciamo convegni, conferenze anche a pi ̆ voci - abbiamo fatto líanno scorso un convegno a tre voci e cioË ebraica, cattolica e musulmana su problemi di bioetica, grazie anche allíorga-
nizzazione del prof. Marco Servi. Volevo concludere dicendo che ringrazio, non solo chi mi d‡ questa possibilit‡ a Pitigliano, ma anche tutti coloro, come il prof. Niccolai, la Consultacultura, come tutti i comuni dell'Amiata o del cir- condario, che sentono il bisogno e il desiderio di far rivivere questa cultura, perchÈ gli ebrei hanno portato qualcosa nei paesi dove sono stati, hanno portato cultura, hanno arricchito líeconomia. Trovo poi un altro motivo importante: credo che con queste rievocazioni e con questa rinascita culturale si renda giu- stizia a coloro che sono stati sterminati. Non ci dimentichiamo la pianificazio- ne, la soluzione finale ideata e programmata dai nazisti, che volevano stermina- re un popolo e in gran parte, purtroppo, ci sono riusciti. Se noi riusciamo a far rivivere qualcosa, anche solo dal lato culturale, io credo che noi rendiamo giu- stizia, dimostriamo di non essere morti: cioË, coloro che ci volevano stermina- re, in definitiva, poi, non ci sono riusciti. Io mi auguro ñ sono gli ultimi anni della mia vita e del mio percorso ñ che qualcuno raccolga líeredit‡. PerchÈ noi abbiamo aperto líassociazione anche ai cattolici? Líabbiamo aperta a tutti colo- ro che avevano líintento, líintenzione di mantenere viva in Pitigliano la cultura ebraica e il patrimonio storico e architettonico della Comunit‡ di Pitigliano. Se il prof. Niccolai, Consultacultura, tutti gli altri studiosi come Biondi, Bonafede Mancini o il Salvadori e chiunque altro se la prenda a cuore, riusciranno a man- tenere vivo questo ricordo e questa tradizione, io credo che veramente sar‡ un rendere giustizia a coloro che non ci sono pi ̆.
Le comunit‡ dimenticate dellíAmiata
Una proposta contestualizzante
Nel 1492 Ferdinando ed Isabella di Spagna scacciaro- no dai loro territori tutti gli ebrei e, nello stesso anno un analogo provvedimento fu adottato dagli Aragone- si di Sicilia. Gli ebrei provenienti dalle isole italiane si riversarono inizialmente nel Regno di Napoli, da dove perÚ furono ugualmente scacciati nella prima met‡ del Cinquecento. Sotto i papi Alessandro VI, Clemente VII dei Medici e Paolo III Farnese gli ebrei trovarono ospitalit‡ nei territori dello Stato della Chiesa. Paolo III (suocero di Bosio II Sforza conte di Santa Fiora) viene addirittura ricordato da fonti ebrai- che come ìil papa alla cui ombra e con il cui consen- so si consolidÚ questa situazione di pieno favore per gli ebreiî. Ben presto perÚ (1555, 1569 e 1593), gli
Lucio Niccolai
Consultacultura
ebrei furono banditi anche dai territori dello Stato della Chiesa mentre gli altri stati italiani (tra cui il Granducato di Toscana sotto Cosimo dei Medici nel 1570 e 1571) si vennero rapidamente omologando alle scelte spagnole e papali in materia,
Fu in questo contesto storico che si vennero a formare delle comunit‡ ebraiche nella Toscana meridionale, per lo pi ̆ raccolte intorno a banchi di prestito, in ìlocalit‡ poste a cavallo del confine orientale della Toscana e Stati della Chiesa dove esercitavano giurisdizione alcuni feudatari cui i Medici avevano concesso margini di autonomia abbastanza ampiî.
Questo seminario di studi pone, per la prima volta in maniera esplicita, la que- stione del significato della presenza di comunit‡ ebraiche, fino ad oggi poco co- nosciute e meno studiate, sul Monte Amiata tra il XVI e il XVIII secolo, acco- gliendo, in qualche modo, una sollecitazione che il grande storico Toaff ebbe modo di fare quasi 20 anni fa:
Sorprende che fino ad oggi non sia stato messo sufficientemente in evidenza dagli sto- rici dellíebraismo italiano il fatto che lungo i confini tosco-pontifici alcune piccole co- munit‡ ́anomalea sopravvissero alle espulsioni o vennero fondate dai profughi di una parte o dellíaltra. A breve distanza dallíArgentario, l‡ dove il Lazio diviene Maremma, nel Ducato di Castro dei Farnese, nella Contea di Santa Fiora degli Sforza, alle pendici dellíAmiata, nella Contea di Pitigliano degli Orsini, e, pi ̆ a settentrione, nellíalta valle del Tevere, gi‡ sotto i contrafforti appenninici, nel marchesato di Monte Santa Maria dei Bourbon, in questo stretto corridoio fatto di feudi semi-indipendenti da papi e gran- duchi, si creano o si riformano tra l fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento dei nuclei ebraici di origine eterogenea. In questi territori lontani da Roma e da Firenze, essi godono dellíinteressata protezione dei feudatari mentre le disposizioni antiebrai- che, che sono applicate con severit‡ nei territori vicini, sono volutamente ignorate. [Ö] Líattrattiva di questi feudi posti ai confini dei territori del papa, era costituita dal loro isolamento geografico e dalla loro relativa, e in certa misura conseguente, autonomia politica. Questa sorta di no manís land finiva con il trasformarsi in luogo di rifugio per i profughi, offrendo loro le condizioni indispensabili alla sopravvivenza, spesso come singoli, talvolta riuniti in nuclei organizzati.
La comunit‡ ebraica di Santa Fiora
Pur dovendo fare i conti con una documentazione frammentaria e con fonti documentarie limitate, gi‡ da qualche anno, utilizzando soprattutto il nostro annua- rio TracceÖ, abbiamo cominciato a riflettere e a pre- sentare alcuni dati relativi a questa presenza.
La prima traccia per la ricerca storica ci viene fornita, oltre che dalla persistenza del toponimo ìGhetto degli ebreiî in Borgo, dagli Annali della Terra di Santa Fio- ra, un manoscritto della seconda met‡ del Settecento redatto dallíagostiniano Paolo Battisti, priore del con-
vento di SantíAgostino, che Ë una sorta di palestra díiniziazione per chiunque affronti la storia locale di Santa Fiora. In realt‡ Battisti non ci dice che poche cose che perÚ sono sufficienti ad attestare una presenza certa di una comunit‡ ebraica tra il XVI e il XVIII secolo:
Quando gli Ebrei fossero introdotti in questa terra non se ne ‡ (ha) alcuna notizia e non trovandosi questi mai nominati in alcun libro comunitativo, nÈ in altri, e gli Ebrei viventi non nÈ ‡nno (hanno) memoria, nÈ tradizione; solo abbiamo trovato che líanno 1714, il 30 Maggio furono gli Ebrei posti nel Ghetto nellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta, stando prima in diverse case in mezzo ai cristiani, e tal risoluzione fu fatta dal Duca Gaetano Sforza, e da Monsignor Fausto Guidotti, Vescovo di citt‡ del- la Pieve, per molte istanze fattegli dal Sig. Arciprete Don Francesco Farsi e dal M.R.P. M.ro Pietro Giannetti agostiniano Vicario del S. Ofizio.
Peraltro, a questa laconica nota, aggiungeva la trascrizione integrale della ìCarta dei privilegiî che Ë stata oggetto di un primo lavoro di comparazione nellíannuario 2001 di TracceÖ e che riproponiamo in appendice. In mancanza di documenti di archivio e di altre fonti certe, utili per la nostra ricerca si sono rivelate tutte le informazioni che si potevano ricavare dai testi che, specialmente negli ultimi decenni,
si sono prodotti di sulla presenza ebraica nella Toscana meridionale, nonchÈ da alcuni libri di storia locale che, in una maniera o in uníaltra, fanno esplicito ri- ferimento agli ebrei di Santa Fiora (e qui possiamo anche apprezzare la significa- tiva contestualizzazione territoriale e i legami che esistevano tra i diversi nuclei presenti un poí in tuta líarea, come pro- prio il seminario di oggi Ë chiamato a documentare ed attestare), nonchÈ in volumi a carattere pi ̆ generale, quali La storia degli ebrei in Italia di Attilio Milano, i due fondamentali volumi degli Annali Einaudi, e tutti i testi di Toaff.
Proprio Toaff cita spesso David De Pomis, un personaggio chiave delle vicende dellíinsediamento ebraico nel territorio della Toscana meridionale, definito da Cecil Roth ́one of the most characteristic iewish figure of the sixteenth cen- turya. Figlio di un banchiere di antica famiglia romana andata in rovina in oc- casione del sacco di Roma del 1527, dopo aver trascorso la giovinezza agiata e condotto gli studi in medicina sotto la guida dello zio Vitale Alatino (medico personale del pontefice Giulio III), ed essersi laureato a Perugia nel 1551, era stato costretto dai provvedimenti antiebraici di Paolo IV (1555), a lasciare la sua condotta di Magliano Sabina e a compiere un doloroso e complesso esodo, di cui egli stesso ci d‡ testimonianza:
Grazie al cielo passai al servizio del conte NiccolÚ Orsini, che mi consentÏ di professa- re líarte medica per cinque anni nelle tre citt‡ rifugio di Pitigliano, Sorano e Sovana. Purtroppo, per il suo clima pessimo, questa Ë una terra che uccide i sui abitanti e qui ho seppellito mia moglie, la compagna della mia giovinezza, la sorella di EliËzer e di I- schak Cohen da Viterbo, medici e rabbini illustri. A Sovana mi sono morti anche due figli maschi e cosÏ sono caduti i sostegni della mia tenda, lasciandomi solo e abbando- nato. Della mia famiglia non rimane oggi che ReuvËn de Pomis, che vive con i figli nelle terre dei signori di Santa Fiora e che ha a Roma un altro figlio, AssaËl, genero del celebre medico ElÏa Corcos. In seguito mi Ë stato richiesto di offrire i miei servigi alla nobile famiglia Sforza, che ha dato alla Chiesa tre cardinali e (nella contea di Santa Fiora) mi sono trattenuto tre anni. Fu allora che ricevetti dal Consiglio del popolo di Chiusi la proposta di servire quel comune come medico condotto. Chiusi Ë sotto il do- minio del granduca di Firenze, ma Ë stato il vescovo della citt‡ con il suo veto ad impe- dire il mio trasferimento col‡.
La permanenza nella contea di Santa Fiora, dove risiedette tra il 1562 e il 1565, sarebbe inoltre esplicitamente ricordata, secondo Toaff, nel Discorso intorno allíhumana miseria e sopra íl modo di fuggirla, un libro che David pubblicÚ a Venezia, dove infine era approdato mettendosi al servizio del doge Alvise Mon- cenigo, nel 1572.
Il medico De Pomis ricordava con sincera compassione un caso particolarmente stra- ziante, di cui era venuto a conoscenza quando era al servizio degli Sforza, conti di Santa Fiora (probabilmente si riferiva a Federico, morto nel 1535, nello stesso anno del figlio Bosio II, capitano al servizio di papa Paolo III e marito di Costanza Farne- se, figlia naturale del pontefice).
́Io ho conosciuto un personaggio, a cui fra spatio díun mese gli perirno quattro fi- gliuoli, ciascun díessi di et‡ virile; uno per tutti e gradi della militia valorosamente ascendendo, riuscÏ Capitan generale in guerra; il secondo era huomo , oltre alla pulita litteratura chíavea, di gran valore e estimatione nelli negocij non meno pubblici che nelli privati; líaltro (per gli suoi meriti) il Massimo Pontefice lo constituÏ al governo di una gran provincia. Gli ne rimase a líafflitto padre sol uno, il quale essendo di cor- po e díanimo sfortunato e stroppio, fu potentissima cagione che il mal contento padre miseramente passasse a miglior vitaa.
A David De Pomis risulta legata la fase pionieristica del primo insediamento santafiorese. Andandosene, infatti, lasciava sullíAmiata il figlio ReuvËn con la famiglia. Nel 1572 un altro ebreo, in grado di dare ìin prestito per prestareî ben 400 scudi ad ebrei di Sovana, Robino di Consolo, risulta ìcontinuo abitatore di
CastellíAzzaraî che allora, come abbiamo detto, faceva parte della contea di Santa Fiora, mentre Abramo di Lazzaro da Viterbo, che esercitava il prestito a Pitigliano era cognato di De Pomis. Verso gli inizi del Seicento sono attivi dei banchi di prestito a Santa Fiora e a Onano (territorio sottoposto alla giurisdizio- ne degli Sforza di Santa Fiora): questíultimo Ë gestito da un altro De Pomis, Ventura che, nel 1608, chiede di poter aprire una filiale a Pitigliano. Tra gli e- brei pi ̆ facoltosi dellíintera comunit‡ ebraica della Toscana meridionale trovia- mo Daniello Arpino che risulta originario di Santa Fiora e che ha varie relazioni con ebrei che vivono nei territori degli Sforza:
Fra tutti i mercanti ebrei della prima met‡ del í600 tre figure spiccano sulle altre: una Ë proprio quella di Daniello Arpino (o Arpini) a Sorano e le altre sono quelle di Jacob Melucci di Pacifico, a CastellíOttieri e di Angelo Spagnoletti, di Crescenzio a Piti- gliano. Piuttosto che di mercanti si tratta di uomini díaffari intraprendenti e attivissi- mi, oltre che molto facoltosi. Vale la pena, perciÚ, soffermarsi un poco su loro e sul ruolo che hanno svolto nel contesto sociale in cui vivevano. Daniello Arpino e suo fratello Samuello provengono da Santa Fiora, dove forse erano titolari di un banco di pegni. Quel che Ë certo, ad ogni modo, Ë che sono in stretto rapporto con banchieri come Ferrante Passigli e con David Borghi (o Davidde del Borgo). Questíultimo, che si qualifica come banchiere di Santa Fiora, si trasferir‡ a Sorano verso il 1664, spo- sando Prudenza, una figlia di Daniello Arpino (probabilmente in seconde nozze per- chÈ a quellíepoca e negli anni precedenti, il suo nome figura accompagnato da quello del figlio Salomone). [...] Daniello Arpino figura con un valsente (oggi diremmo im- ponibile) di 1300 scudi, una somma di cui apprezziamo meglio la rilevanza, se tenia- mo presente che MoisË di Ventura appare al secondo posto con 500 scudi e che líe- breo pi ̆ ricco del ghetto pitiglianese, Angelo di Crescenzio, Ë registrato per 600 scu- di.
Una attenzione particolare merita tra i vari personaggi menzionati da Salvadori il banchiere David Borghi (o Davidde del Borgo), che vantava la protezione de- gli Sforza tanto da richiedere líesonero, anche nei territori di Pitigliano e Sora- no, dallíobbligo di portare il segno distintivo, e che per abbiamo trovato come agente economico dei conti Sforza nei possedimenti di CastellíArquato.
Il quadro generale, per quanto sintetico e incompleto, Ë tale comunque da farci ritenere che anche la comunit‡ ebraica di Santa Fiora seguisse il perecorso che, in questa fase, rappresentava un poí la norma di tutte le comunit‡ che venivano formandosi in territori analoghi.
Le comunit‡ ebraiche, infatti, si aggregavano quasi sempre intorno a figure si- gnificative ed economicamente importanti ñ i banchieri o i medici, soprattutto ñ che potevano instaurare ñ in virt ̆ di particolari interessi e mansioni che poteva- no loro essere attribuite ñ un rapporto privilegiato, con il signore del luogo nel quale la comunit‡ veniva ospitata.
Questi personaggi emergenti o significativi, peraltro, potevano essere trattati dal signore ìcome minori affiliati alla sua corte, come degli addetti a mansioni modeste, ma essenziali di questa; i loro rapporti con il signore sono pi ̆ stretti e
diretti di quelli di qualsiasi altro ceto della cittadinanza di media o bassa estra- zione. Il signore ñ e non il comune ñ Ë il loro vero capo, colui che li manovra a distan- zaî.
Come si capisce, da qui potevano nascere, come spessissimo nacquero ñ non sappiamo a Santa Fiora, ma sicuramente a Piancastagnaio ñ contrapposizioni tra ebrei e signore, considerato loro protettore, da una parte, e comunit‡ e popo- lo dallíaltra. Anzi: il motivo religioso e líodio per il diverso potevano semplice- mente essere una manifestazione deviata delle tensioni contro il signore e vice- versa.
Líarciprete Capocci, del resto, parlando della presenza ebraica a Santa Fiora e dei Privilegi che godevano, nota acutamente:
Pare che gli ebrei non fossero equiparati in tutto agli altri sudditi cristiani, ma dai Conti venissero loro accordati certi diritti e privilegi e fatte alcune restrizioni per mezzo di una Capitolazione temporanea da servir loro di norma e di remora nelle re- lazioni di convivenza sia verso i sudditi cristiani che verso líautorit‡.
La comunit‡ ebraica di Piancastagnaio
Gi‡ qualche anno prima dellíarrivo di De Pomis, un al- tro ebreo viene segnalato a Piancastagnaio: si tratta di Angelo Caifas che nel 1514 gestiva nel paese amiatino un banco di prestito. Ma la sua Ë ancora una presenza isolata e probabilmente non continuativa.
Alcune notizie utili sulla presenza ebraica a Piancasta- ganio furono riportate, circa un secolo fa, da Giacomo Barzellotti:
In Piancastagnaio, di dove non so dire quando siano scomparsi, non Ë rimasto del lo- ro lungo soggiorno qua se non il nome di bagno degli ebrei, dato dal popolo a una bella fontana di acqua purissima, che si allarga in una vasca naturale tutta ombre e muschio presso il paese. Che nel 1672 in Piano ve ne fossero molti, lo dice il fatto che anche qui avevano il ghetto e la sinagoga e commerciavano largamente in roba e in danaro, come apparisce da alcune deliberazioni prese dal Comune e riferite dal Bellomini.
La presenza di un nucleo ebraico in questo paese deve, probabilmente, essere messa in relazione con la creazione, da parte dei Medici, di un marchesato affi- dato ai Bourbon Del Monte (1601) che, gi‡ in precedenza, nei loro territori are- tini, avevano accolto degli ebrei:
Nel marzo del 1569 Citt‡ di Castello, feudo pontificio dei Vitelli, deve espellere i suoi banchieri, ma lo fa con particolari cautele e garanzie, contrattando il loro trasfe-
rimento nella contigua accomandita toscana dei Bourbon, a Monte Santa Maria e a Lippiano, ove gi‡ da cinque anni hanno una condotta.
Altre notizie ci vengono riferite da alcuni studiosi locali, e in particolare si tro- vano nel testo di Brogi Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio. Sap- piamo cosÏ che, ad esempio, intorno al 165-
0, Elia Passigli, banchiere, ritenuto dai pia- nesi un protetto dal marchese Gio. Batta II Bourbon del Monte, fu costretto, con líaltro ebreo Zaccheria Montebarrocci, a cedere grano ai ìmagazzini dellíAbbondanziaî; successivamente lo stesso Consiglio, mentre non esitava a richiedere un prestito di 44 scudi a Juda Passigli, domandava al mar- chese che ìgli Ebrei di Piano nel termine di un mese devino dar fuora tutti i crediti, che hanno contro i Pianesi, con dichiaratione che quelli ebrei, che den-
tro a detto tempo non líhaveranno dati, síintendino decaduti da ogni loro actio- ne e ragione, e non li possino pi ̆ addi- mandare, e ciÚ per evitare tutte le frau- diî.
A Piancastagnaio il ghetto era posto in borgo: líedificio della Sinagoga conser- va ancora questo nome ed Ë caratteriz- zato da una bella architettura in peperi- no del portale.
Pi ̆ in basso, appena fuori dalla porta díest, era ubicata la fonte denominata del Borgo o fonte del canale, conosciuta anche con líepiteto di ìBagno degli ebreiî.
Sinagoga e ghetto
Anche a Santa Fiora il ghetto era colloca- to nella parte meridionale del Borgo, pro- prio in un area dove avrebbe poi trovato spazio la struttura del convento delle Cla- risse, che sembra quasi essere posto a do- minio e controllo. La presenza in via Lunga di grossolane mensole esterne in peperino, adatte a sorreggere canne e per- tiche, e la vicinanza del corso del fiume con le sue numerose gore che alimentava- no mulini e altri impianti preindustraili
(ferriera e gualchiera), puÚ forse essere messo in relazione con le attivit‡ artigianali e commerciali, quali, ad esempio, la lavorazione della pannina che anche, e forse principalmente gli ebrei ñ come sembra di capire dalla ìCarta dei Privilegiî ñ svolgevano.
Ma líobbligo della chiusura degli ebrei santafiore- si nel ghetto deve aver conosciuto fasi alterne. I ìPrivilegiî del 1708, infatti, dichiarano aboliti il ghetto e líobbligo di portare il segno di riconosci- mento: ma, solo 6 anni dopo, il ghetto sarebbe stato ripristinato.
La Sinagoga, che Ë stato possibile ubicare grazie
alla testimonianza del manoscritto dellíarciprete Capocci (fine XIX secolo), viene cosÏ descritta dallíannalista Battisti
Questa Ë ripartita in due stanze, una di sopra, e líaltra di sotto. Quella di sopra, che propriamente chiamasi la Sinagoga; cioË luogo dove vanno ad uffiziare; Ë fatta a vol- te con quattro finestre, due verso mezzogiorno e due verso ponente. » larga braccia sette, e undici lunga. In una muraglia della medesima a man sinistra quando si entra vi Ë un Armadio, in cui vi tengono dodici Bibbie sacre scritte in ebraico in cartapeco- ra. Poco discosto dal medesimo vi Ë un Lume, che continuamente sta acceso, e vi sono anche cinque lampadari di ottone, ciascun dei quali sostiene 28 lampadini di vetro, che si accendono tutti nelle loro feste. Sopra il credenzone dove stanno le Bib- bie vi sono due occhi con sue vetrate, che servono per dare maggior lume. Vi Ë anche un Pulpito dove vanno a leggere la Bibbia. Nella muraglia a man dritta vi sono poste due cassette, che servono per porvi le limosine, per gli Ebrei poveri di Terra Santa, e líaltra le limosione per i bisogni della Sinagoga, e del Ghetto. Intorno a detta stanza vi ‡nno le banche per sedere quando uffiziano. Vi Ë una divisione, che fa una piccola stanzetta, con una gelosia di legno, dove stanno le donne in tempo di ufficiatura. La seconda abitazione Ë divisa in tre piccole stanze, una di queste serve per fare gli azzi- mi essendovi anche il Forno per cuocerli. Nella seconda vi Ë una Tavola con diversi Libri, dei quali si servono i ragazzi quando vanno a Scuola. La terza Ë scoperta ad uso di Loggia, che vi fanno la Capanna nella Festa dei
Tabernacoli, o sia Le Capannelle, che la celebrano a tanti di Settembre.
Proprio da qui sarebbe pervenuto alla Sinagoga di Pi- tigliano, nel XVII secolo, uno dei due aronÚth che voi si trovavano.
La carta dei ìPrivilegi degli Ebreiî santafioresi
Il documento pi ̆ importante che, ad oggi, conosciamo sulla comunit‡ ebraica di Santa Fiora Ë la carta dei ìPrivilegi degli Ebreiî concessa dal duca Federico Ce-
sarini Sforza nel 1708. Si tratta, perÚ, di un documento tardo, stilato quando probabilmente la comunit‡ ebraica era ormai gi‡ numericamente ridotta, come dimostra, tra líaltro, il trasporto dellí aronÚth a Pitigliano nella met‡ del XVII secolo. Inoltre, confrontando questo documento con altre testimonianze, come ad esempio quella del Battisti, non si possono non notare alcune contraddizioni evidenti, come ad esempio quella relativa al
Ghetto, tanto che ci possiamo chiedere, senza poter dare risposta, se i ìPrivilegiî siano un rico- noscimento tardivo di diritti e ìprivilegiî effetti- vamente goduti o se si tratti di un atto formale del signore teso a recuperare un rapporto con u- na comunit‡ ebraica ormai in dissoluzione, fina- lizzati, caso mai, a favorire il ritorno in loco e il ripopolamento della comunit‡ stessa ñ la contea sforzesca, non sappiamo per quale motivo, e no- nostante rimanesse pi ̆ a lungo di Pitigliano uno stato autonomo e poi un feudo, aveva perso la propria forza di attrazione nei confronti degli ebrei a favore di Pitigliano dove, di fatto si sarebbero concentrati a partire dal XVII secolo. In questo senso líar- ticolo IV, che sancisce il diritto e la possibilit‡ per gli ebrei di ìdare e pigliare denari a censoî, potrebbe essere rivelatore delle reali mire degli Sforza che, forse, oberati dai debiti e da problemi finanziari, potevano avere tutto líinteres- se alla presenza di un banco nel proprio territorio.
Da questo insieme di situazioni, forse, la grande magnanimit‡ delle concessio- ni, che peraltro ñ ad esempio relativamente al ghetto ñ vennero ben presto con- traddette dalle decisioni del Vescovo di Citt‡ della Pieve e dalla stessa cupidi- gia e arroganza dei conti.
Gli articoli dei ìPrivilegiî santafioresi possono essere accorpati per materie. Gli articoli del primo gruppo (art. I, II, X, XIII, XV, XVI, XVII, XVIII e XIX) han- no un carattere civile e definiscono i diritti degli ebrei che, di fatto, vengono equiparati nella condizione di sudditi sia dal punto di vista giurisdizionale e le- gale, con gli altri di fede cristiana. Tra questi articoli alcuni sembrano conces- sioni rilevanti come la licenza díarmi (art. XVI), e la possibilit‡ di ospitare altri ebrei (art. XVII). Líarticolo XIX, inoltre, garantisce che ìgli ebrei siano sicuri per cause civili nelle loro scuoleî, che sembra cioË riconoscere un diritto di asi- lo e impunit‡ nellíambito della sinagoga. Un altro gruppo di articoli ha invece il carattere di prescrizione religiosa e riguarda i vincoli e gli obblighi degli e- brei nei confronti delle forme di culto dominanti (sono gli articoli gi‡ citati IX e XII). In particolare, líart. XII stabilisce che nel periodo della settimana pasqua- le gli ebrei non possano circolare liberamente. Questo divieto ha origini molto antiche e si ritrova in tutte le realt‡ italiane dove erano presenti comunit‡ o in- sediamenti ebraici. Gli ebrei, infatti, venivano considerati dai cristiani corre- sponsabili della morte di Cristo e si riteneva che solo la loro vista, nel periodo
pasquale, potesse risultare offensiva per i cristiani. Per questo un decreto del Concilio Lateranense imponese che gli ebrei non dovessero comparire ́in pub- blico nei giorni della lamentazione e della Domenica della Passione, perchÈ al- cuni di essi non si peritano di andarsene in giro in tali giorni vestiti a festa e non temono di deridere i cristiani, che esibiscono la memoria della sacra pas- sione ed espongono i segni della lamentazionea.
Sembra anche che in epoca medievale, durante la settimana di Pasqua i cristiani avessero líabitudine di praticare sassaiole contro le abitazioni degli ebrei. Ma pi ̆ in generale, i rapporti in materia religiosa tra le due comunit‡ cercano di definire delle forme di rispetto reciproco, come si legge negli articoli VIII e IX:
VIII. Che nelli giorni delle Feste degli Ebrei non siano costretti gli Ebrei dalli Cristiani a far nessuna sorte di faccende, e non possino essere convenuti in giudi- zio, ne fuori per cause civili, e facendosi alcun atto contro di loro, si intenda nul- lo o di niun valore.
IX. Che nei giorni della Festa dei Cristiani, non debbano ne possino detti Ebrei aprire le Botteghe sino che non siano celebrate tutte le Messe, ma gli sia perÚ lecito di lavo- rare in segreto dentro le lor case.
Gli ebrei erano peraltro costretti ad assistere ad una predica annuale sommini- strata da preti cattolici, anche se si specifica che gli ebrei non possano ìessere astretti a andare a sentire la Predicaî pi ̆ di ìuna volta all'anno come Ë stato co-
stume fino oraî. Altri articoli (gli articoli III, relativo alla Sinagoga e alla scuola, VIII, relativo al diritto di rispettare le feste ebraiche, e VI relativo alla carne casher), di contro, stabiliscono alcuni diritti essenziali degli ebrei in materia di pratiche religiose, li- bert‡ di culto e tradizioni alimentari, senza i quali sarebbe stato per loro im- possibile vivere in un luogo e aggregare una comunit‡. Líarticolo VI dei ìPrivilegiî, in particolare, regola il diritto degli ebrei alla car- ne casher e gli obblighi dei macel- lai santafioresi in materia: ìChe li Macellari siano obligati a farli carne buona, sciettarla, e ricer- carla dassi Loro com'Ë costume de- gli Ebrei, e non essendo buona, e secondo il lor costume, siano tenuti dd.ti Macellari a fargliene tanta fin-
chÈ ne venga buona, ed in tempo di salar carne sia lecito agl'Ebrei farla da loro, com'Ë Vaccine, bufale, e quella non sar‡ buona secondo il loro costume possi- no venderla alla Porta con farla porre daglíuomini della Comunit‡ senza altra licenzaî.
Un altro gruppo di articoli (IV, VII, XIV e XX) ri- guardano le attivit‡ produttive e i rapporti economici allíinterno della comunit‡. Le attivit‡ caratteristiche degli ebrei si riducevano, normalmente, a quelle che erano loro consentite, quali: il prestito; la professione medica; la tessitura o la tintura di stoffe e lane; la confezione e il riatta- mento degli abiti; il commercio, specialmente con localit‡ lontane e sparse nel- la campagna che implicavano lunghi viaggi.
Líarticolo VII Ë espressamente dedicato alle forme dellíallevamento che, quin- di, dovevano rivestire una particolare importanza tra le attivit‡ esercitate dagli ebrei:
Che possino ritenere qualsivoglia sorte di Bestiame, e darlo a Soccio e ad affitto o in altro modo come saranno d'accordo con li contadini e gli sia lecito anche dar Bovi a callaja conforme concede il pascolo di Siena, ed Ë costume in S. Fiora.
Tra le altre attivit‡ gestite dagli ebrei, troviamo, a CastellíAzzara, lo spaccio del sale, che il conte Giuseppe affidÚ nel 1746 a Giacobbe Orvieto che, a sua volta, lo subaffittÚ a Giuseppe Sorani (gi‡ titolare del Banco di prestito). Un articolo dei ìPrivilegiî prevede esplicitamente che gli ebrei non possano essere costretti, se non dietro pagamento, a ìportar lettereî.
» una precisazione interessante, perchÈ ci informa Salvadori che, per lo meno nel corso del Seicento, era invalsa a Pitigliano líabitudine di ìobbligare gli e- brei a recapitar lettere, per conto dei cristiani, senza compensoî. Gli ebrei santafioresi, infine, potevano far lavorare alle proprie dipendenze dei cristiani, la possibilit‡ di costruire e possedere case, di allevare bestie vaccine e bufaline (queste, tra líaltro allevate, come Ë noto, per necessit‡ alimentari spe- cifiche), di fare soccide, di prestare denaro ("dare e pigliare denari a censo"), di tenere e negoziare qualsiasi sorta di mercanzia e grascia (grano, farina, lana), "purchÈ non sia in pregiudizio dei nostri Proventi, e di quelli della Comunit‡ de' Cristiani".
Di contro dovevano assicurare servizi di ìMaterazzari e Sartiî per la casa Sfor- za e pagare uno Scudo per ìfocoî oltre a rispettare altre norme relative al terri- torio e agli usi locali.
Il rapido declino della comunit‡ santafiorese
Non sappiamo fino a quando gli ebrei abbiano abitato in Santa Fiora. Le notizie fornite dal Battisti e confermate dalle visite pastorali fanno pensare che la loro presenza nel Settecento si sia progressivamente rarefatta, seppure Ë ancora atte- stata come dimostra, ad esempio il fatto che due ebrei di Pitigliano, Angelo e Abramo Levi, risultino originari (siamo agli inizi del secolo) di Santa Fiora. Díaltra parte, ormai, líatteggiamento del duca Sforza era divenuto odioso e o- stile nei confronti degli ebrei, come testimoniano esazioni immotivate, forzose obbligazioni di prestito e forniture di panni e altri materiali senza corresponsio- ne, come attesta il Regolamento proposto da Armaleoni:
ìRegolamento per la Contea di Santa Fioraî
ì [Ö] n. 18. Nellíavere detto Duca permesso da molti anni in qua, che sia tenuto in S. Fiora da uníEbreo un Banco, che presta sopra i pegni collíusura di scudi diciotto per cento líanno a quelli della Contea: E di scudi 24 ai forestieri, perchÈ detto Ebreo per tale permissione li pagava scudi 20 líanno.
n. 19. Consiste nellíaver voluto il medesimo Duca Sforza Giuseppe circa undici anni fa dallíUniversale degli Ebrei di S. Fiora scudi trecento senza alcun titolo, quali Ebrei per tale causa senza precedente intimazione da un tal Bocci di quel luogo allora Vice Conte, che adesso Ë morto, furono fatti gravare in tanti argenti, anelli ed altre robbe, che gli furono fatte vendere a bando con loro gravissimo pregiudizio, essendo stati venduti glíArgenti per ventotto Crazie líoncia a peso di stadera, e per uno scudo líuno glíanelli senza pesargli. [Ö]
Oltre a questi aggravi, che riguardano líuniversale, si Ë provato ancora, che il medesimo Duca ultimamente defunto ne ha fatti altri a pi ̆ particolari di detta Contea; e sono Il primo. Che alcuni anni fa Esso Duca si fece dare dallíEbreo Giuseppe Sorani mercante in S. Fiora quattro pezze di panno per fare Livree, nÈ mai gliele pagÚ, e líobbligÚ inoltre, anco col farlo carcerare per due mesi a provvederle altre cento venti canne del medesimo panno, che per farlo fare apposta convenne a detto E- breo mandare a Roma suo fratello, quale vi stiede due mesi, e benchÈ questo panno provvistole costasse a detto ebreo diciotto paoli la canna, detto Duca non volle pagarglielo pi ̆ di quindici paoli la canna, nÈ lo fece scarcerare finchÈ ebbe tutto detto panno.î
Proposte di Armaleoni, poi accolte dagli Uffici Granducali:
ì7°. Ordinerei che fosse levato il Banco, che presta ad usura, e dichiarerei glíE- redi del Feudatario obbligati alla restituzione del percetto dallíEbreo per tal con- to, tanto dal Duca Sforza Giuseppe, che dal Duca Gaetano suo padre alla ragione di scudi 20 líanno, quali somme dichiarerei devolute al Fisco di V.A.R., e riser- verei le ragioni ‡ chi ha impegnato finíora in detto banco per la repetizione di tutto ciÚ, che hanno pagato di usura, da sperimentarsi contro chÈ di Ragioneî.
Nella seconda met‡ del secolo, pur risultando ancora presente un banco di pre- stito, non erano rimasti che sei ìfochiî ebrei. In una visita pastorale di questo periodo troviamo scritto: ìVi Ë ancora un meschino Ghetto degli Ebrei consi- stente in sei o sette famiglie in numero circa una ventina in tutti poveri e mise-
rabili senza traffico e mercatura, ma vivono solo di qualche industria, e ajuto degli altri.î Anche padre Battisti conferma il declino della presenza ebraica: ìIn questo ghetto una volta vi erano degli Ebrei ricchi e benestanti, ma ora sono miserabi- lissimi, e poveri di numeroî. Ciononostante, agli inizi dellíOttocento cíera an- cora una modesta presenza ebraica, come attesta il registro riservato ai ìMorti di culto non cristianoî proveniente da Santa Fiora e conservato nellíArchivio vescovile di Pitigliano, dove Ë annotata la morte, avvenuta il 25 marzo 1818, di Giuseppe Colombo, un ebreo di anni 63, maritato con Stella Levi che svolgeva líattivit‡ di ìpovero trafficanteî, informandoci che la comunicazione del deces- so era stata fatta dal figlio Samuel Colombo.
Ma la presenza ebraica nellíarea amiatina continua, seppure in altre forme. Sa- ranno proprio due imprenditori ebrei di Pitigliano, Salomone Servi e il genero Samuel di Abramo, ad affittare i territori della contea sforzesca, e successiva- mente, ma siamo ormai nellíOttocento, proprio a nomi ebrei Ë legata la fase pionieristica dello sfruttamento industriale delle miniere di cinabro (a titolo di puro interesse, si ricorda come gi‡ la ricerca e líestrazione del mercurio fosse stata tentata da un ebreo a Sorano nel XVII secolo).
Pregiudizi e intolleranza
Líatto pi ̆ grave di intolleranza religiosa e razziale che si sia verificato nellíarea amiatina, e di cui si abbia notizia, Ë quello della piccola Sara, che riportiamo integralmente in appendice, che interessÚ la comunit‡ di Piancastagnaio nel 16- 73.
Qualche anno prima un fatto analogo, sempre nella Diocesi di Sovana, si era verificato a Sorano, dove tre bambini erano stati affidati, dal bisnonno paterno, Salamone Tedesco, a dei parenti:
Qui il 13 giugno 1639, mentre camminavano per via, accompagnati da uno di questi congiunti soranesi, furono fermati da alcuni uomini armati, fra i quali il luogotenente della fortezza di Sorano, e prelevati (líaccompagnatore abbozzÚ una resistenza, ma, minacciato dagli sgherri, mentre i fanciulli
piangevano impauriti, dovette desistere). Isac, MoisË ed Abramo furono condotti a Piancastagnaio, in una delle residenze del Vescovo di Sovana, cui spettava líiniziati- va dellíaccaduto, per esservi battezzati.
Díaltra parte bisogna ricordare che proprio in quel periodo non mancavano, nella let- teratura e nellíimmaginario religioso lega- to ad un certo fanatismo, episodi attestanti líuccisione di bambini ebrei da parte dei
loro genitori per impedirne la conversione. Toaff ricorda, ad esempio, la tradu- zione, la stampa e la diffusione di un libello del gesuita tedesco Elber operata da un convertito livornese, il predicatore Paolo Sebastia- no Medici, ìdove si narrava, con abbondanza di partico-
lari truci e sanguinolenti il patetico martirio di un bambi- no ebreo, torturato e massacrato dal padre, perchÈ voleva convertirsi alla fede cattolica.î A distanza di molti anni, in un clima che poi diventer‡ líhumus adatto per líapplicazione delle leggi razziali, an- tichi pregiudizi sembrano tornare a galla come attesta la novella del Piatto delle streghe (cfr. appendice) che ri- propone tutto il repertorio classico di una certa aneddoti- ca di origine controriformistica e dove non mancano il rito sabbatico delle streghe, il rapimento di un bambino e il suo trasferimento nel ghetto per il classico sacrificio rituale. Tramandata da Maddalena Fatini, insegnante elementare di Piancasta- gnaio nel 1922, non se ne conosce líorigine e pi ̆ che un racconto tradizionale, di cui peraltro non si ha notizia, sembra piuttosto una scrittura originale.
Scambi culturali e contaminazioni?
Nellíambito del nostro studio e della nostra ricerca sulla storia locale, ci siamo trovati anche a domandarci se alcune tradizioni santafioresi potessero essere il frutto di una contaminazione dovuta alla presenza, per quasi due secoli, della comunit‡ ebraica. Non sappiamo dare una risposta certa, ma ci sembra interes-
sante porre líinterrogativo, semplicemente a livello di ipotesi (che puÚ, naturalmente, essere smentita). Un primo elemento di riflessione Ë quello relativo al- líuso simbolico dei cedri.
Vuole la tradizione santafiorese che, nellíambito della festivit‡ del tre maggio (Festa della S, Croce e proces- sione dei Tronchi), avvenga uno scambio di doni tra innamorati. Se Ë facile immaginare il valore simbolico che i doni (il biscotto e il cedro) possono avere (nella sistematica mitico-fiabesca il frutto carnoso, non solo ricorda il peccato originale, ma anche rappresenta un simbolo di fecondit‡), non Ë dato sapere líorigine del- líuso di un frutto cosÏ ìesoticoî e poco comune nelle economie locali, tanto che questo rito non ha riscontro, per quanto se ne sappia, in nessuna altra zona della Ma-
remma, dellíAmiata e dellíAlta Tuscia. Proviamo, allora, ad azzardare uníipotesi, e cioË che líuso del cedro sia stato assunto, per imitazione, da un rito che la comunit‡ locale puÚ aver osservato
nelle festivit‡ ebraiche. Il cedro, infatti, fa parte del rituale della ìfesta delle ca- panneî che Ë descritta da padre Agostino Battisti nel suo manoscritto (XVIII secolo) e che regolarmente celebrata nella sinagoga santafiorese. Il cedro, per gli ebrei, Ë il frutto che simboleggia la saggezza. Da questo punto di vista, anche la simbologia dei doni scambiati tra gli innamorati, acquistereb- be un preciso significato: il pegno amoroso rivolto dal ragazzo alla ragazza, in quanto simbolo di saggezza, vuol testimoniare líavvenuta maturit‡, la seriet‡ della proposta e dellíimpegno, la garanzia verso una prospettiva matrimoniale. Da parte sua la donna risponde con un dolce con gli anici (i semi inseriti nel dolce sono uníaltra allusione alla fertilit‡) testimoniando, nel contempo, la pro- pria crescita e attitudine alla faccende domestiche, e quindi la disponibilit‡ al matrimonio.
Anche della tradizione del ìvolo della capraî, che si praticava nella festivit‡ di san Nicola da Tolentino, il 10 settembre, non si conoscono le origini. Proviamo, allora a proporre una possi- bile chiave di lettura che, di nuovo, potrebbe richiamare elementi di cultura ebraica. Infatti ìlíanno [ebraico] comincia in settembre o in ottobre con la festa di capodanno, che rappre- senta il primo dei dieci giorni di penitenza, de- dicati alla meditazione sulla responsabilit‡ del- líuomo di fronte a Dio. Líultimo dei dieci giorni Ë celebrato come giorno della conciliazione con digiuni e lunghe visite alla sinagoga. Anticamente, secondo il Levitico 16, il giorno prima si portava dal deserto un ìcapro espiatorioî su cui si pensava di riversare le colpe del popolo. Oggi il capro Ë stato sostituito dal gallo kappara (espiazione) che alcuni (ma il rito Ë condannato come supersti- zioso) fanno roteare tre volte intorno al capo e che infine viene uccisoî.
Nel Levitico 16 il Signore parla a MosË imponendo un rituale espiatorio, da svolgersi il decimo giorno del settimo mese, e consistente nellíinvio di una ca- pra, inviata con un uomo nel deserto, per essere sacrificata ad Azazel (la forza demoniaca): ìil capro prender‡ su di sÈ tutte le loro iniquit‡ [dei figli díIsraele] portandole verso la regione aridaÖî.
Rileggendo il rito del ìvolo della capraî alla luce del Levitico potremmo dare una spiegazione ad alcuni elementi che compongono il rito. Il ìvoloî potrebbe rappresentare, simbolicamente, il viaggio nel deserto; il pupazzo di paglia, che veniva posto sopra la capra, potrebbe essere una raffigurazione allegorica del- líuomo che avrebbe dovuta condurla nel deserto. Inoltre, nel calendario cristia- no la data del decimo giorno del settimo mese (che in et‡ medievale si scriveva 7embre) andrebbe proprio a coincidere con la festivit‡ di san Nicola da Tolenti- no.
Sicuramente sono solo coincidenze, ma certamente meritevoli per lo meno di una riflessione.
Conclusioni
Ci sembra, e questo seminario lo dimostra, che esistano i presupposti per af- frontare un serio studio sulla presenza delle due comunit‡ ebraiche amiatine, nel contesto della presenza ebraica nei territori di confine, generosamente defi- niti da De Pomis luoghi di ìrifugioî. Non possiamo che augurarci che, con la collaborazione delle istituzioni culturali ebraiche presenti in Italia, a partire da- gli archivi esistenti, si possa intraprendere una ricerca pi ̆ approfondita e docu- mentata che faccia piena luce sugli avvenimenti e sulle dinamiche delle varie comunit‡ locali, anche in relazione ai rapporti intessuti tra imprenditori e ban- chieri ebrei e i signori locali: non cíË dubbio che questo potrebbe rappresentare un interessante contributo alla geografica politico istituzionale di uníampia e particolare porzione della Toscana meridionale e dellíalto Lazio.
Appendice
Una storia di intolleranza: Sara líebrea
Tramandata da una cronaca manoscritta di circa 40 pagine del Bellomini di Piancastagnaio (XVII secolo) e resa pubblica da Barzellotti in Monte Amiata e il suo Profeta, Ë líatto pi ̆ grave di intolleranza religiosa e razziale di cui si ab- bia testimonianza nei confronti delle comunit‡ ebraiche presenti sullíAmiata tra il XVI e il XVIII secolo e puÚ, per questo, essere assunto ad episodio para- digmatico.
Il dÏ 20 di maggio del 1673, mentre nella pieve di Piancasta- gnaio si celebravano le funzioni del sabato della Pentecoste, entrÚ in chiesa, accompagnata da molte fanciulle, un bambina ebrea di circa sei anni. Il pievano Don Virgilio Forti, che allo- ra benediceva il fonte battesimale, la chiamÚ e le domandÚ ìcosa volesseî. Rispose volersi far cristiana. Lo stesso ripetÈ, terminate le funzioni, in presenza del Commissario del Mar- chese, che era stato chiamato dal Pievano. Allora il Commis- sario, presala per la mano, la condusse con sÈ ìalla residenzaî, e poi la conse- gnÚ al Dottore Don Pietro Pieri, uno dei primi del paese, perchÈ la tenesse nella sua casa, ove fu condotta e scortata da una massa di popolo accorsa. Sara ñ cosÏ si chiamava la bambina ñ era figlia di Efraim Pasigli e di Rosa Spagnola abi- tanti in Piano.
Díora in poi il piccolo paese, pieno in un attimo della grande notizia, non vivr‡ per quasi un mese che della vita intensa della passione religiosa, fanatica, de- stata in ognuno, senza distinzione díet‡, di sesso, di ceto, di condizione, dal de- siderio e dallíaspettativa inquieta di veder battezzata ìlíebreinaî. Intorno a lei inconscia, guardata gelosamente dai Pieri come una preda, e reclamata dai suoi,
cominciano subito ad agitarsi, fra il tumultuare continuo del popolo, sentimenti, interessi opposti, pretese di autorit‡ e di privati in vivo contrasto tra loro per contendersela. Dalle due parti, dagli Ebrei e dai Cristiani, subito si ricorre al Marchese con lettere spedite alla stessa ora a Firenze per persone di fiducia. In- tanto nellíattesa di una risposta il popolo prega in tutte le chiese, e va mormo- rando del Commissario, perchÈ si sospetta che sia díaccordo cogli ebrei, i quali dicono ñ cosÏ, pare, hanno anche scritto a Firenze ñ che la bambina Ë stata ruba- ta e domandano che sia restituita. Ed Ë in questo senso favorevole a loro la ri- sposta, che viene tre giorni dopo da Firenze per il loro spedito. La risposta dice: la bambina ìassolutamente doversi rendere per essere successo in Fiorenza non molti anni avanti un altro caso simile, cioË di una Hebrea rubata, et toccÚ a re- stituirlaî. Il Commissario, ìallegroî, partecipa subito líintenzione ìdei Sig.ri Padroniî alla famiglia Pieri con minaccia di una multa di diecimila scudi se ri- fiutavano. I Pieri rifiutarono. Come dovessero agire nellíanimo della bambina lo dice la risposta, data da lei a chi la sera stessa del sabato le portava la cena mandatale dai genitori: ìdoppo haver inteso esserli mandata dallíHebrei, negÚ di esser Hebrea, et che lei non intendeva mangiar carne in giorno di sabbato, et non haver nÈ padre nÈ madre Hebrea, ma sÏ bene il Sig. Dottor Silvestro Pieri et la Sig.ra Orsola sua consorteî.
Da questo momento, intorno alla famiglia depositaria di Sara si accende per lei una lunga lotta giornaliera, senza tregua di tutte le autorit‡ ecclesiastiche, con- cordi nel non volerne la restituzione, contro líautorit‡ laica; e per di pi ̆ la lotta delle autorit‡ ecclesiastiche fra loro, della romana del santíUffizio, che aveva un rappresentante in paese, con il vescovile, col vicario capitolare di Sovana accorso subito. Líuna e líaltra, forti dei propri diritti, vogliono ciascuna avocare a sÈ la causa di Sara. [...]
La causa di Sara, che ad ogni costo dovr‡ essere battezzata, Ë la causa di tutti. CiÚ che desta maggior interesse in questo piccolo dramma pianese, che nellía- gitarsi delle tonache, dei ferraioli e delle zimarre dei personaggi, dirÚ cosÏ, uffi- ciali non manca di una nota comica, Ë lo sfondo della scena, líambiente popola- re. Quei gravi personaggi autorevoli hanno, chi pi ̆ chi meno, un poí líaria di recitare una parte. Il popolo, il protagonista vero del dramma, Ë profondamente sincero nel suo zelo fanatico per la salute dellíanima di Sara e nel suo odio con- tro gli Ebrei, potenti in paese; odio lungamente represso e che ora scoppiava da ogni parte. Era, per le vie di Piano e fuori, una caccia allíebreo, fatta a colpi di sassi dai ragazzi, fra le grida e gli eccitamenti furiosi delle donne, che sempre nelle agitazioni sociali imitano, esagerando, perchÈ pi ̆ deboli, le passioni e le violenze degli uomini. Appena si seppe che da Firenze erano venute lettere per la restituzione della bambina, i pianesi ñ dice la cronaca ñ ìa popolo concorsero a casa Pieriî. Il Commissario, che ne usciva, tra un mormorio minaccioso, si sentÏ dire: che se aveva avuto danari dagli Ebrei, li poteva restituire ìma che di restituire la fanciulla non si pensassiî. Due giorni dopo, spartasi a un tratto la voce che gli Ebrei tentavano di portar via Sara, al grido di una donna insorse
tutto il paese, ìet in un istante si radunarono li ragazzi con sassi et pugnali, le donne con sassi, bastoni, scimitarre, accette et spade, et fra líaltri Francesca detta la Pattona et filia di Baldassarre, con una spada in mano et li pendoni al collo come li soldatiî. A ogni viso nuovo che si fosse veduto in paese, si grida- va allíebreo. In piazza i ragazzi quel giorno presero a sassate un povero mer- ciaio credendolo ebreo, ìet esso subbito, incominciando a farsi il segno della S. Croce, diceva esser battezzato da cristianoî. Arrivarono quel giorno stesso a ca- vallo da Acquapendente per via delle Vigne, ñ dalla quale a chi sale nelle gior- nate serene si apre uníocchiata sempre pi ̆ larga fino al Cimino ceruleo e al Gran Sasso díItalia, ñ tre ecclesiastici, che agli abiti non vennero subito ricono- sciuti per tali, ìet furono veduti di brutta cera, come líHebreiî. I ragazzi li pre- sero a sassate. Cíera pericolo che accadesse anche di peggio, verso sera, al ri- torno degli uomini dai lavori delle vigne, ìparte riscaldati dalla collera del suc- cesso da essi saputo, parte dal viaggio et molto di pi ̆ dal vinoî. Avevano sapu- to che un ebreo, sospetto di aver tentato di rubare Sara, era stato da alcuni pae- sani, per sottrarlo allíira dei ragazzi e delle donne, condotto con gran fatica nel palazzo del Marchese e l‡ rinchiuso in una camera. E perchÈ credevano che quelli che líavevano guardato volessero farlo uscire di notte, molti giovani ìsi erano posti a tutte le cantonate di fuori la Porticciola, et per tutti líaltri posti, chi con archibusi et chi con moschetti et miccio acceso, a tal che pareva che doves- se porsi a sacco et fuoco ogni cosaî.
Ma i tumulti e alle offese minacciate contro le persone e le case deglíIsraeliti, in quello e nei giorni successivi, si opposero molti dei pi ̆ autorevoli e stimati del paese, ñ traí quali anche alcuni preti ñ cercando in ogni modo di quietare il popolo e di proteggere i perseguitati. Un povero bambino ebreo, rincorso a sas- sate da una turba di monelli fu da alcuni paesani riportato a casa dai suoi. Il Vi- cario ìcon altri fra preti, frati et secolari, al numero di trenta persone in circaî, liberÚ il prigioniero dal palazzo del Marchese, e lo condusse ìtremante se ben senza offesaî alla porta della Sinagoga. Vi si erano rifugiati, come in un luogo díasilo, quella notte dopo il tumulto, molti ebrei ed ebree. E il Bellomini rac- conta, non senza una certa compiacenza, di avervi egli insieme con altri accom- pagnate quella notte le donne e le bambine di un certo Isacco, affidate loro dal padre, a cui mentre dormiva era stata fracassata la porta di casa ìcon puntate di moschetto, sassi et colpi díaccettaî. Traversando il paese, incontravano qua e l‡ armati in attitudine di sospetto minaccioso, ñ alcuni erano ubriachi, ñ che con molta fatica riuscirono a persuadere di tornarsene a casa. Arrivati allo sbocco di piazza, per quelle vie strette, dove scendeva appena ogni tanto un breve raggio di luna, síintesero dire a voce bassa nellíombra: ìSiete pi ̆ eretici e turchi degli ebreiî.
Il popolo giudicava cosÏ, nel suo ingenuo fanatismo, la loro opera di pacificato- ri e di salvatori; suggerita, del resto, oltre che dalla piet‡, probabilmente dalle relazioni personali, che alcuni tra i primi e tra i pi ̆ facoltosi del paese doveva- no avere cogli Ebrei, e dallíessere il Marchese - come si poteva supporre e poi
apparve chiaramente ñ risoluto di non tollerare in alcun modo che fossero offe- si. Il giorno dopo il tumulto, durante la celebrazione della messa, Monsignor Vicario in persona ammonÏ dallíaltare il popolo ìdi non dare fastidio agli E- breiî. ñ ìE questoî dice la cronaca, ìcausÚ nei Cristiani qualche terroreî. ñ Se- guitavano intanto a venire lettere e spediti dai marchesi Giovan Battista e Ora- zio, che ingiungevano di rendere la bambina ai suoi. Ma per quanto grande pe- sasse su tutti líautorit‡ dei ìsignori padroniî, non vi fu, non vi poteva essere un solo, un unico pianese, a cui non apparisse assurdo, ìimpossibileî in fatto e in diritto ciÚ che scriveva il marchese Giovan Battista: ìnon potersi Sara battezza- re fino allíet‡ di abbi dodici, et con il consenso del padre o della madre o di al- tro hebreo suo parenteî. - Impossibile! esclamavano tutti; - ìperchÈ, ritornata la fanciulla in mano delli Hebrei, non sarebbe forse pervenuta allíet‡ di anni dieci, se il Sig.re Iddio non faceva speciale miracoloî.
E tutto il paese pregava per lei. Andavano scalzi, uomini, donne, bambini al luogo vecchio; ñ cosÏ si chiamava e si chiama ancora, quello, in cui secoli pri- ma era stata dipinta, non si sa da chi sul vivo masso sotto i castagni fra i dirupi orridi, altissimi, la bella immagine della Madonna, che guarda il figlio Ges ̆ con occhi cosÏ soavi. ñ Líimmagine stava gi‡, a quel tempo, nella chiesa vicina detta di San Pietro; - ove, secondo la leggenda, era miracolosamente venuta da sÈ; ñ nella piccola chiesa solitaria, tutta bianca fra i castagni, che spira a vederla un senso arcano di pace devota. E anche l‡ andava allora ogni giorno la folla a pregare, a cantare il Rosario. La Madonna fu scoperta tre volte. La terza volta, il primo di giugno, vi fu condotta la bambina accompagnata da molte donne, e assistÈ al Rosario dietro le grate di un coretto, chíË sopra líaltare ìtrattenendovisi fino alla fine con qualche devotioneî. Salivano le litanie fra le spire odorate degli incensi da centinaia di anime; e centinaia díocchi cercavano in alto fra le grate del coretto quelli di Sara, poi si volgevano a pregare intenti la bella Madonna perchÈ la salvasse, perchÈ ìla facesse arrivare al santo battesi- moî.
DurÚ tutto cosÏ per pi ̆ di una decina di giorni [... poi ] venne finalmente risolu- ta la partenza di Sara.
Sara, con un viaggio avventuroso, venne poi trasferita alla corte dei Medici a Firenze: a questo punto il manoscritto del Bellomini, dice Barzellotti, si inter- rompe e non sappiamo cosa sia successo e quale fine abbia fatto la povera pic- cola Sara.
Il piatto delle streghe
Con questa ìnovellaî, tramandata da Maddalena Fatini, insegnante elementa- re di Piancastagnaio nel 1922, antichi pregiudizi sembrano tornare a galla. Non se ne conosce líorigine e pi ̆ che un racconto tradizionale, di cui peraltro non si ha notizia, ma di cui ricalca lo stile e la tipologia, sembra piuttosto una
scrittura originale. Non sappiamo quanti ebrei fossero presenti (o se fossero presenti) a Piancastagnaio agli inizi del Novecento. Certo la ìnovellaî rivela e anticipa in maniera inquietante quellíintolleranza che caratterizzer‡ i regimi totalitari contro i diversi, e gli ebrei in particolare, portando al tragico epilogo della Shoah.
Il Piatto delle streghe ripropone tutto il repertorio classico dei pregiudizi e di una certa aneddotica di origine controriformistica: ritroviamo i topos del rito sabbatico delle streghe, il rapimento di un bambino (cattolico), il suo trasferi- mento nel ghetto per il sacrificio rituale.
La storia Ë ambientata in Piancastagnaio e si svolge tra il giardino dei marche- si Bourbon del Monte dove emerge tra i ruderi una vasca in peperino, nota ap- punto, con il nome di il piatto delle streghe, e fonte del Borgo o del Canale, no- ta comunemente con líepiteto di Bagno degli ebrei (forse, non a caso, vi tro- neggia uníicona mariana). Nella sua struttura ripropone motivi e temi abba- stanza diffusi: vi si potrebbe, anzi, cogliere, un riferimento ai racconti sedimen- tati nellíimmaginario collettivo: ad esempio, nella vicina Pitigliano, nel 1648, due donne furono accusate di stregoneria e condotte davanti al Tribunale del- líInquisizione di Siena per aver ìguastato creatureî; pochi anni pi ̆ tardi, nel 1674, le cronache narrano di una donna ebrea, ritenuta colpevole di ìhaver con fatture, e malie ucciso un bambino [...] in concetto di strega, e per questa causa altre volte [Ö] processata dal S. Ofizioî.
Ginzburg nota come líassimilazione ebrei-streghe non rappresenti altro che líe- voluzione di una concezione che vede nei gruppi di ìdiversiî un pericolo per la societ‡ dato.ìI gruppi emarginati ñ osserva Di Nola - sono considerati porta- tori di patrimoni, di riti-credenze che si contrappongono eversivamente ai mo- delli religiosi-culturali della maggioranzaî: per questo essi vennero considera- ti responsabili della distruzione dei raccolti, del diffondersi di epidemie, dei cattivi andamenti climatici e stagionali, ecc.
In questo senso il Piatto delle streghe Ë un interessante testimonianza di conti- nuit‡ e documentazione che ripropone, in termini letterari, e forse con motiva- zioni affatto diverse (la ricerca di un tema popolare e leggendario adatto alla costruzione di una leggenda da manuale) i temi di fondo di quellíintolleranza che aveva originato líepisodio della ìpiccola Saraî, assumendo un interessan- te significato simbolico.
Il piatto delle streghe
A pochi passi da Piano, uscendo dalla porta di Voltaia, si entra, dopo aver fatto un breve tratto di strada un poí ripida e sassosa, in un bel bosco di castagni ... Lo sguardo Ë colpito da una cosa curiosa: un pilastro massiccio tiene sollevato da terra un ampio piatto di peperino fatto a forma bislunga che noi chiamiamo ìPiatto delle stregheî. [...]
Nei tempi passati, quando i nostri nonni e bisnonni credevano che per la cam-
pagna, per i boschi e per i luoghi solitari vivessero, indisturbati, i maghi, i mo- stri e le fate, anche qui si credeva che abitassero le streghe, cosÏ, a due passi dal paese. Vicino alla pianetta che Ë occupata dal ìPiatto delle stregheî, dove il ter- reno comincia a salire, erano stati scavati dei piccoli corridoi sotterranei, tutti in comunicazione tra loro e ciascuno col
paese e coi dintorni. Qui le streghe erano solite passare la giornata a lavorare o a dormire e, tutte preoccupate di non esse- re vedute, vi stavano rintanate e silen- ziose durante il giorno, finchÈ il sole non era tramontato. Nessuno perciÚ aveva mai potuto vederle, tanto Ë vero che tutti credevano che questi scavi nel terreno, dove nessuno aveva mai osato accostarsi, fossero condotti díacqua che faceva- no capo sotto al Piatto, dal quale poi, per un foro che si vede tuttora nel mezzo, usciva un forte zampillo che raffrescava e inumidiva tutto il suolo vicino. [...] Dunque, come ho detto, le streghe se ne stavano rintanate tutto il giorno e la notte uscivano a gozzovigliare fino allíalba. Tutte le notti, fino alle due, intorno al ìPiattoî, canti, suoni, balli; altro che berlingaccio! Alle due poi si ponevano a sedere intorno, perchÈ il ìPiattoî era pieno di maccheroni, di polli arrosto e, al tempo della castagnatura, non mancavano i marroni, perchÈ anche a loro pare piacessero molto le ìmonneî, i ìsuggioliî e le ìarrostiteî o ìcastrateî, come si dice. Quando uscivano dal bagno era gi‡ líora di ritornare nei loro nascondigli per non essere sorprese fuori dai primi albori della luce mattutina. CosÏ faceva- no tutte le notti conducendo una vita strana e misteriosa. Ma una volta accadde una cosa assai strana. Eravamo presso a poco di questi tempi; si coglievano le castagne. Vicino al ìPiatto delle stregheî cíera e cíË ancora un podere dove abi-
tava da qualche tempo una famiglia di contadini, cioË il capoccia, soprannominato per la sua ro- bustezza Ferro, con la moglie ed un bambino di un anno appena. Una notte, verso le tre, il capoc- cia fu svegliato di soprassalto da un cicalio che veniva di fuori. Credendo di sognare, si pose in ascolto alcuni minuti; ma non si era ingannato: ́Che diavolo succede a questíora cosÏ tarda!?... In questo luogo cosÏ nascosto!? Sar‡ gente che mi ruba le castagne! Ecco perchÈ sono tre o quattro mattine che non mi riesce díempire il pa- niere! Ora capisco! Voglio alzarmi, voglio vede- re!a
Si alzÚ piano piano dal letto, accese la candela, scese in cucina, si mise ad a- scoltare un istante, poi aprÏ la finestra. Figurarsi la sua meraviglia quando vide dalla parte del ìPiatto delle stregheî un bagliore che accecava! Ma come un ba-
leno quella luce disparve e fra il buio della notte vide fuggire díintorno al ìPiattoî una confusione di corpi neri senza udire nÈ una voce, nÈ un minimo rumore. ́Che scena Ë questa? - si disse impaurito fra sÈ.- Non mi era mai capi- tato un fatto similea. Spense la candela e facendosi coraggio, perchÈ ormai un poí di paura líaveva, stette ancora alla finestra. Eccoti il solito bagliore e il soli- to chiacchiericcio, accende la candela e vede ripetersi la strana scena di prima. Aveva sentito parlare pi ̆ volte delle streghe, ma da uomo saggio non aveva mai voluto crederci. Quella sera perÚ, non sapendo in che modo spiegare la stranez- za di quel fatto, incominciÚ a dubitare. ́Queste non sono persone! Sono spiriti, sono proprio le streghe! E che fanno? Brutte ladre! Ora capisco, il lume della candela vi fa paura! Siete proprio voi che mi fate sparire le castagne!a E cosÏ dicendo spense uníaltra volta la candela e stette ad osservare. Ma questa volta non si fecero vedere e allora Ferro chiuse la finestra e ritornÚ in camera tran- quillo. Immaginatevi la scena dolorosa che avvenne quando questo povero uo- mo, avvicinandosi alla culla accomodata con cura presso il suo letto, non trovÚ pi ̆ la sua creaturina che pochi minuti avanti dormiva pacificamente! Fu per gettare un grido di disperazione, ma lo trattenne il pensiero di quello che sareb- be capitato alla moglie, se si fosse svegliata, e quasi fuori di sÈ si mise a cercare affannosamente qua e l‡ per la camera, quando gli balenÚ in mente un discorso che aveva sentito ripetere pi ̆ volte dai paesani, cioË che le streghe rapivano con abilit‡ straordinaria i bambini per poi straziarli nel modo pi ̆ crudele. Atter- rito dal dubbio che il suo figlioletto fosse in mano alle streghe, d‡ una rapida occhiata a tutte le stanze ed esce. Líamore per il suo caro angioletto Ë ben pi ̆ forte della paura che pocíanzi líaveva invaso e perciÚ, pieno di coraggio, corre al ìPiatto delle stregheî, guarda da per tutto, si avvicina allíapertura di quegli scavi che ho detto, ma non ode nessuna voce: da tutte le parti Ë buio pesto e profondo silenzio. Il pensiero della moglie aumenta la sua disperazione, egli non sa cosa fare, nÈ da quale parte volgersi, quando si ricorda che quegli scavi sotterranei vanno a finire al ìBagno degli Ebreiî. Dunque Ferro, il contadino, non perde tempo e corre alla volta di quella localit‡. Vi dirÚ intanto che le stre- ghe avevano rapito, non si sa con quale astuzia, il bambino, e poi erano fuggite al ìBagno degli Ebreiî, ove altre sorelle avevano gi‡ preparato una caldaia di olio bollente per immergervi líangioletto. Nessuno perÚ aveva il coraggio di tuffare nella caldaia il piccino, perchÈ ognuna di esse protestava di essergli pi ̆ o meno lontana parente. E cosÏ se lo passavano da una allíaltra quando giunse Ferro. Egli vede il suo bambino in pericolo; quasi ispirato da forza divina si trattiene ad ascoltare quello che le streghe dicevano. CapÏta la causa della loro agitazione, si precipita in mezzo ad esse e pronunciando ad alta voce queste pa- role che confusero in certo qual modo le streghe: ́A me, a me! Ce lo butterÚ io che non mi Ë niente!a strappÚ dalle loro mani il bambino e scappÚ via.
Le streghe riavutesi da quellíimprovviso stupore, gridando, lo rincorsero. Ma egli ebbe la forza di tirar fuori un Crocifisso che teneva al collo e le streghe díincanto sparirono. Dove e come non si sa.
Le famiglie de Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e l'emigrazione ebrai- ca verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento
Michele Luzzati
Universit‡ di Pisa
» noto che nella seconda met‡ del sesto decennio del Cinquecento, sotto il go- verno di NiccolÚ IV Orsini, si stabilÏ a Pitiglia- no il medico David di Isacco de Pomis da Spo- leto.
Nelle terre del feudo orsiniano David de Pomis avrebbe esercitato per cinque anni (dal 1556 al 1560 o dal 1557 al 1561), e non solo a Pitiglia- no e a Sorano (il secondo maggior centro della contea), ma anche nella vicina Sovana, che, per breve tempo, fra il 1555 e il 1560, fece parte del feudo degli Orsini.
» proprio del de Pomis la definizione di "citt‡ rifugio" attribuita ai centri che lo ospitarono dopo l'uscita dagli Stati della Chiesa e, per estensione, si Ë parlato di "citt‡ rifugio" o di "terre del rifugio" per tutta una serie di localit‡ poste al con- fine orientale della Toscana che ospitarono ebrei che desideravano sfuggire al regime dei ghetti .
Per quanto riguarda la Toscana meridionale, le ricerche condotte sulle vicende del "popolamento" (o del "ripopolamento") ebraico della zona hanno pi ̆ volte adombrato l'ipotesi che la chiamata del de Pomis a Pitigliano abbia avuto un effetto trainante (1).
Le vicende delle due famiglie pi ̆ strettamente legate al de Pomis ñ che verran- no qui sommariamente ricostruite ñ consentono di confermare questa ipotesi, pur lasciando impregiudicata la questione di precedenti insediamenti ebraici che avrebbero a loro volta indotto l'immigrazione del medico David e dei suoi parenti de Pomis e da Viterbo.
I Cohen da Viterbo
1. Dagli Stati della Chiesa a Sovana.
David de Pomis giunse nella contea di Pitigliano in compagnia di una moglie (presto venuta a morte) che era sorella di Laudadio, maestro Isacco e maestro Lazzaro (questi due ultimi anch'essi medici) di Abramo Cohen (vel Sacerdote o Sacerdoti) da Viterbo.
Proprio a Sovana, ritornata sotto lo Stato di Siena (ormai comunque assorbito dal Ducato mediceo), vennero condotti come banchieri nel 1565 due dei cogna- ti del de Pomis: Laudadio e maestro Isacco di Abramo.
Non si puÚ escludere che fin dagli anni della presenza del de Pomis a Sovana ñ e quindi in un momento in cui Sovana faceva ancora parte della contea degli Orsini ñ i cognati (o almeno uno dei cognati, Laudadio) vi si fossero installati e che la condotta del 1565 non rappresentasse altro che una regolarizzazione di precedenti attivit‡ feneratizie.
I titolari del banco di Sovana appartenevano ad una famiglia di cohanim (donde anche il cognome Sacerdote o Sacerdoti) di origine aschenazita, che contava fra i suoi membri medici e rabbini, nonchÈ banchieri attivi, oltre che a Viterbo, almeno anche a Soriano nel Cimino, Rieti, Narni, Amelia, Montottone ñ nelle Marche ñ e perfino, in Toscana, a Monte San Savino.
Il 26 luglio 1532 i fratelli Abramo, MosÈ e Jacob di Lazzaro Sacerdoti da Viter-
bo ottennero di poter prestare per cinque anni a Viterbo e a Soriano nel Cimino (2).
Dal 1541 Abramo di Lazzaro, era stato co-titolare del banco di Rieti (3). Una condotta a Narni fu confermata agli eredi di Lazzaro seniore il 31 gennaio 1545 (4). Il 30 aprile 1549 Jacob di Lazzaro ottenne di prestare per cinque anni a Soriano nel Cimino, insieme con un "Amedeus Abraham de Thophia" (5). Il 23 dicembre 1551 Jacob, insieme con un socio, aveva banco a Montottone, non lungi da Fermo (6), e il primo marzo 1552 si vedeva confermare la condotta per Soriano nel Cimino insieme con Amadio di Abramo da Toffia (7). Nella primavera dello stesso anno Jacob avrebbe acquistato dagli ebrei senesi della famiglia da Rieti il banco di Monte San Savino, allargando cosÏ le sue at- tivit‡ a quella Toscana, ove gi‡ aveva soggiornato suo fratello Isacco, laureatosi in medicina a Siena nel 1543 (8). A partire dal 1549 e fino al 1556 maestro Lazzaro, personaggio di spicco dell'e- braismo romano, fu uno dei titolari del banco di Amelia (9). Laudadio, se l'identificazione Ë corretta, risiedeva a Viterbo nel 1549 (10). Varie testimonianze "laziali" abbiamo poi sui due fratelli medici Isacco e Laz- zaro e su un Asher, figlio di Jacob di Lazzaro (11).
2. A Pitigliano.
Da Sovana i fratelli da Viterbo, tutti e tre insieme (almeno quanto a titolarit‡ del banco), spostarono le loro attivit‡ feneratizie a Pitigliano nel 1571. Dati i tempi tecnici concessi per l'appli- cazione del bando granducale del 19 di-
cembre 1571, che vietava il prestito e- braico e obbligava alla residenza nei ghetti di Firenze o Siena, Ë da supporre che, sia pure per un circoscritto numero di mesi, i da Viterbo abbiano tenuto aper- ti contemporaneamente sia il banco di
Sovana che quello di Pitigliano. Per la medesima ragione non stupisce che ancora il 4 febbraio 1572 Laudadio da Viterbo, insieme con un Emanuele di MosÈ, "ebreo continuo abitatore di Sovana", ma che sappiamo originario anche lui da Viterbo (se era figlio di Mo- sÈ di Lazzaro da Viterbo, era anche primo cugino di Laudadio), abbia ottenuto 400 scudi "in prestito per prestare" da "Robino" di Consolo (che era, come ve- dremo, un de Pomis vel da Spoleto), "ebreo continuo abitatore di Castellazza- ra". Il trasferimento di Laudadio a Pitigliano risulta poi gi‡ avvenuto il 26 novem- bre 1572 (12). Sebbene avessero acquisito il diritto di risiedere a Pitigliano, non Ë certo che tutti i tre fratelli realmente vi abitassero con continuit‡: maestro Isacco, ad e- sempio, nel 1581 viveva nel ghetto di Roma, e a Roma agiva nel 1583 un ni- pote di Laudadio, in contatti finanziari con quest'ultimo, sempre attivo come banchiere (ma non necessariamente residente in modo stabile) a Pitigliano nel- lo stesso anno e ricordato anche per il 1577-1580 e il 1589-1591. Nel 1591 a Laudadio da Viterbo si erano sostituiti, nella gestione del banco di prestito ebraico di Pitigliano, Deifebo di Simone di Laudadio da Rieti e Jacob di Buonaiuto, o Bonagiunta, da Modena entrambi di origine e, probabilmente, residenza senese. Ad essi sarebbero succeduti, nel 1604, Isac da Rieti e Salvatore di Samuele Sa- cerdote, gi‡ "banchero in Sorano". Il Sacerdote, visto il nome (italianizzazione di Cohen), potrebbe esser stato un membro della famiglia da Viterbo che aveva retto il banco di Pitigliano fino al 1591. E ciÚ tanto pi ̆ che, insieme con il fra- tello Aronne, Salvatore aveva retto alla fine del Cinquecento il banco di Sora- no, centro compreso nella contea di Santa Fiora (13).
3. A Castellottieri
Nel 1572 Castellottieri (feudo indipendente degli Ottieri) Ë indicato come una delle possibili residenze del medico Laudadio di MosÈ da Viterbo, che risulte- rebbe infatti condotto nel Ducato di Castro o a Castellottieri nel 1572. Si trattava forse, come nel caso dell'Emanuele di MosÈ abitante a Sovana nel 1572, di un figlio del MosÈ di Lazzaro Cohen da
Viterbo i cui primi cugini, figli di Abramo di Laz- zaro da Viterbo, erano in quegli anni titolari del banco di Pitigliano. Il collegamento fra i da Viterbo e l'insediamento ebraico a Castellottieri sembra confermato dalla circostanza che all'inizio degli anni '70 del '500, provenendo dal Ducato farnesiano di Castro, giun- se nel feudo di Castellottieri l'ebreo Amadio di A- bramo, originario da Toffia nella Sabina, che, af-
fiancato dal figlio Crescenzio, aprÏ un banco di prestito. Come infatti si Ë visto pi ̆ sopra, nel 1549 e nel 1552 Amadio era stato socio di Jacob di Lazzaro da Viterbo nel banco di Soriano nel Cimino, di cui in prece- denza era stato partecipe anche il fratello, MosÈ di Lazzaro (14).
I de Pomis da Spoleto
Se Ë arduo stabilire quanti membri della famiglia Cohen da Viterbo si siano sta- biliti nella Toscana meridionale nel corso della seconda met‡ del Cinquecento, non vi Ë dubbio che i de Pomis vi siano stati assai pi ̆ rappresentati. Originario da Roma, questo gruppo familiare abbandonÚ la citt‡ negli ultimi decenni del XIII secolo e si trasferÏ a Spoleto.
Nella seconda met‡ del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento risultano atti- vi come banchieri a Spoleto (e anche a Sangemini) i tre fratelli Buonaiuto, Raf- faele e Ventura di Isacco, che non sembrano mai denominati "de Pomis", ma esclusivamente "da Spoleto" (15).
1. I figli di Isacco.
Il 27 aprile 1472 Raffaele di Isacco residente a Spoleto subiva una condanna pecuniaria (16). Lo stesso Raffaele rappresentava gli ebrei di Spoleto in una di- sputa per il cimitero ebraico il 9 novembre 1479 e il successivo 3 dicembre era collettore della vigesima (17). Agendo anche a nome di suo fratello, Buonaiuto, il 20 dicembre 1482 Raffaele acquistava terra nei dintorni di Spoleto (18).
Ventura di Isacco Ë citato come banchiere a Spoleto il 25 novembre 1483 (19).
Buonaiuto di Isacco era coinvolto in una lite con un altro ebreo di Spoleto il 15
luglio 1484 (20).
Il 21 febbraio 1486 i fratelli Raffaele e Buonaiuto figli di Isacco da Spoleto era-
no agli arresti a Perugia per irregolarit‡ compiute nel loro banco di Sangemini (21).
Il 28 giugno 1488 Raffaele di Isacco era fra gli ebrei incaricati di esigere la vi- gesima imposta agli ebrei (22). Il 18 settembre 1488 risulta che Ventura di Isacco era agente del banco di Spo- leto di cui era titolare Angelo di Musetto da Camerino, residente a Foligno (23). Sempre a Spoleto Ë attestato Raffaele, impegnato in attivit‡ mercantili, il 5 otto- bre 1491 (24).
Raffaele e Buonaiuto sono fra i rappresentanti degli ebrei di Spoleto il 23 gen- naio e il 26 febbraio 1493 (25). Da un documento del 12 maggio 1493 risulta che Raffaele e Buonaiuto si av- viano a dividere i beni dell'eredit‡ del loro padre Isacco (26). I due erano insieme titolari di un banco a Spoleto il 15 febbraio 1496, e il 18 settembre dello stesso anni il comune di Spoleto prendeva a prestito 6 fiorini dai banchieri Raffaele, Buonaiuto e Ventura di Isacco (27).
Tutti e tre sono di nuovo citati il 15 maggio 1497 (28), mentre il 25 settembre dello stesso anno sono ricordati i fratelli Buonaiuto e Ventura (29). Il 14 novem- bre 1498 i tre fratelli, sempre in Spoleto, effettuano un pagamento per cure me- diche che avevano ricevuto (30).
Il 21 luglio 1500 Raffaele viene incaricato della tutela delle figlie di un ebreo spoletino (31). Da un testamento steso a Perugia il 10 marzo 1501 apprendiamo che Ventura aveva sposato una Rosata di Vitale di Jacob da Perugia (32).
L'attivit‡ di banchiere di Buonaiuto Ë ricordata il 26 aprile 1501 tramite un atto rogato a Spello (33); erano sempre a Spoleto, il 26 settembre 1502, i fratelli Raf- faele e Buonaiuto (34) e il 1° marzo 1504 vi incontriamo il solo Raffaele (35). Buonaiuto viene poi ricordato in un atto rogato a Foligno il 15 aprile 1504 (36). Ventura, banchiere, era a Spoleto nel febbraio e nel dicembre del 1506 (37). Il 15 giugno 1507 i tre fratelli, Raffaele, Buonaiuto e Ventura "de Spoleto" erano in- caricati di raccogliere una tassa dagli ebrei del ducato spoletino (38). Buonaiuto subÏ un furto nel suo banco spoletino agli inizi del 1508 (39).
Da un atto del 14 ottobre 1508 apprendiamo che Raffaele aveva tre figli, uno dei quali, Servadio, uccise la moglie Eva, sia pure preterintenzionalmente (40). Il 27 febbraio del 1510 Servadio stringer‡ nuovo matrimonio con Fiorentina di Sabato di Beniamino da Recanati (41).
Sempre come banchiere di Spoleto Buonaiuto Ë ricordato in un atto rogato a Trevi il 13 giugno 1509 (42). Il fratello Raffaele, anche lui banchiere, lo affianca- va a Spoleto l'11 ottobre dello stesso anno (43). Alla data dell'11-12 aprile 1510 doveva esser gi‡ morto Ventura, perchÈ accanto ai due fratelli Raffaele e Buonaiuto (quest'ultimo rappresentato dal figlio Isac- co) compare ora suo figlio Consolo (44).
Da un atto dell'8 maggio 1510 apprendiamo che Raffaele convinse a ritornare a casa del marito sua figlia Ricca, sposata a maestro Abramo di MosÈ da Monte- olmo (45). Ancora Raffaele Ë ricordato a Spoleto il 10 luglio 1511 nell'atto di vendere taffeta (46).
Entro il 24 agosto 1514 Raffaele probabilmente morÏ, perchÈ a quella data com- pare, accanto a Buonaiuto e a Consolo di Ventura, suo figlio Servadio (47). Il 25 luglio 1515 anche Buonaiuto, comunque forse ancora in vita, risulta scomparso dalla scena perchÈ agisce per lui il figlio Abramo in occasione del ritorno sotto la patria potest‡ di Pazienza, figlia di Servadio di Raffaele e della sua prima moglie Eva (48). Buonaiuto era certamente morto alla data del 21 otto- bre 1516, quando un documento ci rivela anche che Pazienza aveva pi ̆ di 17 anni e meno di 25 (49).
Tutti i tre fratelli ebbero discendenza maschile: da Raffaele conosciamo Serva- dio, da Buonaiuto un Israel, un Abramo e un Isacco (quest'ultimo padre di Da- vid de Pomis) e da Ventura (oltre ad una figlia di nome Chiarastella) Consolo e un altro figlio di cui non Ë noto il nome.
2. I figli di Buonaiuto di Isacco.
Israel figlio di Buonaiuto, attivo come mercante, e documentato fino al 1529, venne designato con il cognome "Bonaiuti" o "de Bonaiutis", pur mantenendo anche l'indicazione "da Spoleto" (50). Il cognome "de Pomis" non compare mai negli atti relativi a Israel e agli altri membri di questo ramo della famiglia che verremo via via citando. Analogamente ad Israel, suo fratello Abramo era definito "de Bonaiuto de Spo- leto" fin da quando era ancora in vita suo padre, morto nel 1516 (51).
Abramo risiedeva sempre a Spoleto nel luglio del 1520, il 3 aprile 1522, l'1 feb- braio 1523 e il 7-14 dicembre 1525 (52). Ci Ë stato conservato il suo testamento, redatto a Spoleto l'1 dicembre 1524. Es- so ci consente di sapere che sua moglie ñ gli aveva portato una dote di 200 fio- rini ñ si chiamava Stella, che aveva una figlia, Tullia, cui assegnava una dote di 250 ducati e che suo erede doveva essere l'unico figlio maschio, Prospero (53).
Il terzo figlio di Buonaiuto di Isacco, probabilmente primogenito, dato che si chiamava Isacco, ci Ë documentato fin dall'11-12 aprile 1510 (54). Da un atto del 22 marzo 1518 sappiamo che la sinagoga di Spoleto si trovava in casa sua (55).
Isacco Ë poi ricordato, insieme con i cugini Servadio di Raffaele di Isacco e Consolo di Ventura di Isacco, nell'aprile del 1519, nel luglio del 1520, il 6 feb- braio 1521, il 3 aprile 1522, l'1 febbraio 1523, il 7-14 dicembre 1525, il 4 no- vembre 1526 e il 16 maggio 1527 (56).
A Spoleto egli Ë ricordato anche il 7 giugno 1521 e il 24 novembre 1523 (57). Da un documento del 21 febbraio 1529 si evince una sua interessenza nel banco di Bevagna (centro assai prossimo a Spoleto), tanto che Isacco richiese in ter- mini ufficiali la condotta feneratizia per quella localit‡ il 14 novembre 1530 (58). Anche se ancora il 5 gennaio 1535 sembra che la residenza di Isacco fosse sem- pre, o di nuovo, a Spoleto (59), la gestione di un banco a Bevagna vale a com- provare quanto asserito da suo figlio, il medico David de Pomis, nato a Spoleto nel 1525, sul trasferimento (1532) di suo padre a Bevagna, ove avrebbe eredita- to i beni di un fratello, quasi certamente Abramo, il cui unico figlio ed erede, Prospero, doveva esser morto prematuramente. In seguito Isacco (dal quale non Ë nota altra discendenza maschile oltre a quella di David) avrebbe preso residenza a Todi, citt‡ che suo figlio lasciÚ nel 1545 per frequentare l'Universit‡ di Perugia, ove si laureÚ nel 1551. Dopo la laurea David fu titolare della condotta medica di Magliano Sabina che dovette lasciare nel 1555 a seguito dei noti provvedimenti anti-ebraici di papa Paolo IV (60).
3. I figli di Raffaele di Isacco.
Neppure nei documenti finora noti relativi alla discendenza di Raffaele di Isac- co da Spoleto compare mai l'indicazione cognominale "de Pomis". Il figlio di Raffaele, Servadio, ai cui matrimoni gi‡ si Ë accennato, Ë attestato a partire dal 1508 (quando era in vita un suo fratello del quale non si hanno in se- guito pi ̆ tracce), e quindi gi‡ fin da prima della morte del padre (1514) (61).
In seguito Ë ricordato, fino al 1527, in atti gi‡ pi ̆ sopra segnalati e in documen- ti del dicembre 1517 e del 4 novembre 1525 (62). Non si hanno ulteriori notizie su Servadio, forse morto senza lasciare discen- denza.
Una sua sorella, Ricca, era andata sposa ad Abramo di MosÈ da Monteolmo (63). 4. I figli di Ventura di Isacco.
Nel penultimo decennio del Cinquecento il medico David de Pomis ebbe a scri- vere che della sua famiglia non sopravviveva che un "ReuvËn" (Rubino) "de Pomis" (64), che va identificato, come meglio vedremo, con Rubino di Consolo di Ventura.
Dato che il nonno di Rubino, Ventura, era fratello di Buonaiuto, nonno di Da- vid, appare chiaro, da un lato che per il de Pomis i figli di due cugini primi si riconoscevano come membri di una stessa famiglia, dall'altro che, a parte lo stesso David, non sussisteva discendenza maschile nÈ da Buonaiuto, nÈ da Raf- faele di Isacco da Spoleto.
Diverso fu il caso per Ventura di Isacco da Spoleto, morto, come abbiamo visto, prima del 1510. Conosciamo il nome di una sua figlia, Ricca, e sappiamo che oltre a Consolo, sul quale subito ci soffermeremo, aveva un altro figlio maschio, delle cui vicen- de nulla sappiamo, salvo che fu legato al banchiere Angelo di Musetto da Foli- gno (65).
Consolo di Ventura Ë attestato come banchiere nella sua citt‡ dal 1510 al 1527, come risulta da molti dei documenti pi ̆ sopra segnalati e da quattro altri atti del 24 agosto 1512, del 12 gennaio 1513, del 28 gennaio 1521 e del 9 agosto 1525 (66), nonchË da un atto del 9 dicembre 1517 (67).
Nulla sappiamo in seguito di Consolo, salvo che risiedeva probabilmente anco- ra a Spoleto il 4 novembre 1533, quando Ë ricordata una sua figlia di nome Chiarastella (68). Consolo non dovette aver molta fortuna negli affari, visto che i suoi tre figli, Rubino, Simone e Buonaventura, rifiutarono, prima del 1545, l'eredit‡ paterna (69). La famiglia, rappresentata da Buonaventura, fu co-titolare, a partire dal 15- 39, e, probabilmente, almeno fino al 1553, del banco di Terni, localit‡ dalla quale trasse anche una denominazione cognominale alternativa a quella "da Spoleto" (70).
Nel 1551 e nel 1553 Buonaventura fu uno dei cinque collettori della vigesima degli ebrei umbri (71). Ma, in contemporanea con Terni, Ventura, insieme con il fratello Simone, era banchiere a Chiavano, in quel di Cascia, sempre in Umbria, nel 1544 (72). Simone e Rubino di Consolo da Spoleto erano ancora prestatori a Chiavano nel 1554, anche se, espulsi da tutto il territorio di Cascia, dovettero sospendere le loro attivit‡ nel 1555 (73).
Erano ormai attivi, a questo punto, i provvedimenti antiebraici di Paolo IV e i da Spoleto si trovarono a dover scegliere, come gli altri ebrei degli Stati della Chiesa, fra il ghetto e l'emigrazione. Fu probabilmente anche l'esperienza del loro parente medico David de Pomis, passato da Pitigliano a Santa Fiora nel primo lustro degli anni sessanta, a indi- rizzarli verso i feudi di confine ove ben presto li ritroveremo.
5. I de Pomis nella Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento.
Forse non molto prima del 1566 Simone di Consolo da Spoleto fu banchiere a Proceno (terra laziale, ma compresa nella contea sforzesca di Santa Fiora e in diocesi di Sovana), insieme con Crescenzio "Melucci", figlio di un Meluccio di MosÈ da Pitigliano che aveva avuto la condotta per
Proceno nel 1534 e nel 1539 (90) e si era poi trasferito a San Casciano dei Bagni, nello Stato senese e di lÏ a Castro intorno al 1562. Il 22 gennaio 1566 il figlio di Meluccio, Crescenzio, si accordava per l'apertura di un banco di prestito a Castro (ducato dei Farnese) insieme con i da Spoleto, e precisamente i fratelli Simone e Rubino di Consolo e i figli del gi‡ defunto terzo fratello, Buonaventura, "Meneseo" (Menachem?, Menasce?) e Flaminio.
Il 4 febbraio 1572, come gi‡ abbiamo visto, Ë ricordato un "Robino" di Consolo "ebreo continuo abitatore di Castellazzara" (appartenente alla contea di Santa Fiora): si trattava certamente del nostro Rubino di Consolo di Ventura di Isacco dei de Pomis da Spoleto.
Il 14 dicembre 1573 ritroviamo i due fratelli Simone e Rubino da Spoleto a Santa Fiora, insieme con una nipote, Giulia, figlia del terzo fratello, Buonaven- tura, sposata con Crescenzio di Mele (o Meluccio) di MosÈ da Pitigliano, abi- tante nello stesso centro (74).
Ad Onano (dal 1561 compreso nella contea sforzesca di Santa Fiora e in dioce- si di Sovana, anche se in terra laziale) Crescenzio svolse l'attivit‡ di banchiere fra 1580 e il 1597 circa, affiancato dal cognato Flaminio di Buonaventura di Consolo da Spoleto, che fece testamento proprio ad Onano il 25 agosto 1587 e chiese di essere sepolto a Castellazzara.
Flaminio lasciÚ eredi le sorelle Sulpizia, Allegrezza, Clemenza e Giulia. Que-
st'ultima prima di Crescenzio di Meluccio di MosÈ, che era gi‡ suo marito nel 1573, aveva sposato un Buonaventura di Leone (75). Se i figli di Buonaventura di Consolo da Spoleto si stabilirono a Onano, suo fratello Rubino e gli eredi dell'altro fratello Simone scelsero di trasferirsi a Scansano, anch'esso appartenente alla contea di Santa Fiora (76).
In questo centro troviamo infatti insediata, a partire dal 1576, una famiglia composta dai fratelli Alessandro, Consolo e Ventura, figli del fu Simone di Consolo da Spoleto. Con loro vivevano la madre Speranza, il fratello del padre, Rubino, e un Gaudio di Mele da Nepi. I tre giovani possedevano una casa nel paese e si occupavano di commercio di bestiame (77).
Forse proprio da Scansano Rubino esperÏ un nuovo tentativo di rientrare negli Stati della Chiesa, e precisamente a Perugia, dove il 3 marzo del 1587 venne autorizzato l'ingresso di "Rubino di Consolo da Spoleto con il figlio Patrizio". Un altro figlio di Rubino, AssaÈl, viveva in quegli
anni a Roma. Il 19 marzo del 1588 si incontra a Scansano (ma vi operava forse dagli inizi del decennio) il fenerator Meluccio di MosÈ, ebreo detto "de Proce- no"(probabile cugino del Crescenzio di Meluccio di Mele che aveva sposato Giulia di Buonaventura di Consolo de Pomis), cui sarebbero succeduti pri- ma Consolo (1596) e poi Ventura, entrambi figli di Simone de Pomis (78). Ventura de Pomis sarebbe passato a gestire il banco di Onano nel 1604 e nel 1- 608 si sarebbe candidato, senza successo, a gestire il banco di Pitigliano, ai cui titolari gi‡ aveva prestato assistenza nel 1604 (79). Nel 1610 Ventura veniva definito "hebreus de Scansano", ma "incola" di Ona- no, ove si era trasferito intorno alla fine del secolo XVI o agli inizi del XVII. Egli abitava sempre ad Onano nel 1611, quando risultava socio di Isacco di Si- mone da Rieti (gi‡ coinvolto nel banco di Pitigliano aperto nel 1604), e vi fu attivo fin dopo il 1612. Ancora nel 1619 Ventura vendeva una propriet‡ immo- biliare posta in Onano (80). Quanto agli altri membri della famiglia soggiornÚ per un anno a Sovana, nel 1604, un Elia di Consolo, probabilmente figlio del Consolo di Simone di Con- solo stabilitosi a Scansano; e nel 1606 approdÚ a Sovana un Alessandro con il quale non Ë forse azzardato identificare l'omonimo fratello di Consolo e Ventu- ra di Simone de Pomis (81). I de Pomis/da Spoleto probabilmente non continuarono dunque a risiedere a Scansano, perpetuando cosÏ una modalit‡ di "itineranza" che ha reso problema- tica l'identificazione dei diversi membri della famiglia, e ciÚ a partire dall'equi- voca espressione del medico David de Pomis, nel suo Zemach David , secondo il quale "della mia famiglia non rimane oggi [1587 circa] che ReuvËn de Pomis, che vive con i figli nelle terre dei signori di Santa Fiora". Per il Celata, e poi per
il Niccolai, "ReuvËn de Pomis" era addirittura figlio di David. Angelo Biondi ha invece ritenuto che Rubino, che sappiamo figlio di Consolo di Ventura di I- sacco de Pomis, fosse fratello del medico David di Isacco di Buonaiuto di Isac- co de Pomis, e che suoi figli fossero Consolo e Ventura de Pomis, gli unici, a quanto finora risulti, a tornare ad usare il cognome de Pomis. In realt‡, da un lato Rubino era figlio di un Consolo, come Ë chiaro anche dai documenti citati dal Biondi, e Consolo e Ventura (oltre ad Alessandro) erano figli, come si Ë vi- sto, non di Rubino, ma di suo fratello Simone. CiÚ nonostante sembra chiaro che, al di l‡ dell'ipotesi che David de Pomis avesse lasciato in Toscana o un fi- glio o un fratello e dei nipoti, il Biondi, il Celata e il Niccolai hanno intuito, senza perÚ trarne tutte le conseguenze, che "de Pomis" e "da Spoleto" sono in- dicazioni cognominali diverse utilizzate da una medesima famiglia (82).
Conclusioni
» certo prematuro trarre conclusioni dai profili, tracciati in questa sede, di due sole famiglie. Essi consentono tuttavia di formulare ipotesi che possono essere di una qualche utilit‡ per approfondire le ricerche sulla presenza ebraica nell'a- rea della Toscana meridionale. Sia nel caso dei Cohen da Viterbo che in quello dei de Pomis da Spoleto Ë emerso che le due famiglie, l'una umbra e l'altra la- ziale, avevano relazioni con le terre delle attuali provincie di Siena e di Grosse- to fin da prima dei provvedimenti anti-ebraici di papa Paolo IV del 1555 e delle conseguenti migrazioni dagli Stati della Chiesa. CiÚ suggerisce di proseguire, specie attraverso gli archivi senesi, quell'indagine sulla presenza ebraica della zona nella prima met‡ del Cinquecento a suo tempo correttamente impostata, ma non sufficientemente approfondita, da Michele Cassandro (82).
La storia delle due famiglie, qui sopra rapidamente percorsa, rivela poi una in- discutibile continuit‡ di comportamenti (insistenza sul prestito feneratizio, mo- bilit‡, itineranza, presenza contemporanea in pi ̆ luoghi di membri dello stesso nucleo famigliare) fra il periodo precedente e il periodo posteriore ai provvedi- menti anti-ebraici del 1555. Tale similitudine di comportamenti induce a ritene- re che nella seconda met‡ del Cinquecento (altro sar‡ forse il discorso per il Seicento) non fosse ancora maturata presso gli ebrei delle terre di confine fra Toscana da un lato e Lazio ed Umbria dall'altro la piena consapevolezza di es- sere ormai entrati in una fase di irrimediabili difficolt‡ e limitazioni. Infine, se ancora fino all'inizio del Seicento le famiglie ebraiche continuarono ad operare secondo le modalit‡ cui si erano assuefatte nei due o tre secoli precedenti, po- trebbe essere opportuno affiancare alle storie degli insediamenti ebraici condot- te localit‡ per localit‡, ricostruzioni delle singole vicende familiari in grado di abbracciare aree di maggiore ampiezza.
DE POMIS Davide di Isacco: Spoleto 1525, Bevagna 152..-153.., Todi 1532-155.., Magliano Sabina 154...-1555, Pitigliano e Sovana1556-1560; Santa Fiora 1561-1563, Venezia DA PERUGIA (?) vel DA ACQUAPENDENTE (?) vel DA CASTRO (?) Cherubino di Jacob: Acquapendente 1541; Pitigliano 155...-1562
Maraviglia di Cherubino: Pitigliano 1561-1562
Vritia di Cherubino: Pitigliano 1561-1562 Jacob di Cherubino di Jacob (sposato a Fiammetta): Pitigliano 1561-1576
Cinzia di Jacob: Pitigliano 1561-1593 Leonida di Jacob (sposata a Roberto di Gioacchino da Camerino): Pitigliano 1566-
1576
[Vitale di Cherubino di Jacob] Cherubino di Vitale di Cherubino di Jacob: Tarquinia 1587 Josef di Cherubino di Vitale di Cherubino di Jacob, da Castro: Santa Fiora 1636
DA VITERBO vel SACERDOTE vel COHEN Lazzaro Abramo di Lazzaro: Rieti, 1541-1542; Narni, 1545 Lazzaro di Abramo di Lazzaro: Amelia, 1549-1556; Pitigliano 1571- 15... Isacco di Abramo di Lazzaro: Siena 1543; Sovana 1565-1571; Pitigliano 1571-15...; Roma 1581-1591
Laudadio di Abramo di Lazzaro: Viterbo 1549; Sovana 1565-1571; Pitigliano 1571-1591 Ventura Consolo di Ventura: Spoleto, 1510-1527 Ventura di Consolo di Ventura: Terni, 1539-1553
Rubino di Consolo di Ventura: Chiavano, 1554-1555; Castro 1566; Castell'Azzara 1572; Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Simone di Consolo di Ventura (sposa Speranza): Chiavano, 1554-1555; Proceno, 156..; Castro 1566; Santa Fiora 1573;
Giulia di Ventura di Consolo di Ventura (sposa Buonaventura di Leone e poi Crescenzio di Meluccio di MosÈ da Pitigliano) Menasce di Ventura di Consolo di Ventura: Castro 1566 Flaminio di Ventura di Consolo di Ventura: Castro 1566; Onano 1580-1587
Consolo di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Alessandro di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Ventura di Simone di Consolo: Santa Fiora 1573; Scansano 1580-1581 Non sembra possibile che Abramo di Buonaiuto coincida con l'"Habraam Bonaiuti" che, con famiglia e soci, ottenne di poter aprire banco a Esanatoglia, piccolo centro delle Marche presso Matelica, il 7 luglio 1543 [SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2266, pp. 2356-2357].
Il banchiere Consolo di Ventura, di antica famiglia ebraica spoletina, attestato come banchie- re nella sua citt‡ dal 1510 al 1527 [TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., nn. 2221-2222, pp. 1147-1148; n. 2239, p. 1156; n. 2252, p. 1163; n. 2258, p. 1165; n. 2279, p. 1173; n. 2302, p. 1184; n. 2321, pp. 1191-1193; n. 2329, p. 1196; nn. 2334 e 2335, p. 1197; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2357, pp. 1208-1209; n. 2361, p. 1210; n. 2365, p. 1211; n. 2368, p. 1212].
Gli ebrei a Santa Fiora e un notevole caso di conversione
di Angelo Biondi
» ormai ben noto che i piccoli feudi indipendenti, posti sul confine meridionale della Toscana a contatto con lo Stato Pontificio e con altri feudi allíinterno di questíultimo come il Ducato di Castro e la Signoria di Latera e Farnese, furono abitati da ebrei ed anzi diven-
nero per loro luoghi di rifugio dopo le Bolle di restrizio- ne del 1555 e soprattutto del 1569, a cui seguirono simili provvedimenti di Cosimo dei Medici in Toscana nel 15- 70 per lo Stato Fiorentino e nel 1571 per lo Stato Sene- se.
La Contea di Santa Fiora, dominio degli Sforza, com- prendente Santa Fiora, Castellazzara e Scansano, a cui si erano aggiunti Proceno ed Onano concessi in feudo dal Papa, fu tra questi staterelli di confine, che ospitarono ebrei.
Sugli ebrei di Santa Fiora ha scritto Lucio Niccolai sin dal primo numero di Tracce, ritornando poi pi ̆ volte sullíargomento; qualche altra notizia Ë stata fornita da Roberto Salvadori nel suo libro sugli ebrei di Piti- gliano. Scrive opportunamente Niccolai:
Pur dovendo fare i conti con una documentazione frammentaria e con fonti limitate, gi‡ da qualche anno, utilizzando soprattutto il nostro An- nuario ìTracceî abbiamo cominciato a riflettere e a presentare alcuni dati relativi alla presenza ebraica a Santa Fiora. La prima traccia per la ricerca storica viene fornita, oltre che dalla persistenza del toponimo ìGhetto de- gli ebreiî in Borgo, dagli ìAnnali della Terra di Santa Fioraî, un mano- scritto della seconda met‡ del ë700 redatto dallíagostiniano Paolo Battisti Ö che Ë una sorta di palestra di iniziazione per chiunque affronti la storia locale di Santa Fiora. In realt‡ Battisti ci dice poche cose, che perÚ sono sufficienti ad attestare la presenza certa di una comunit‡ ebraica tra XVI e XVIII secolo Ö
Da ciÚ si capisce bene che la storia degli ebrei di Santa Fiora Ë ben lungi dallí- essere stata scritta; anche questo mio lavoro, che aggiunge numerose notizie inedite e chiarimenti a quanto gi‡ noto e tratta anche un interessante episodio di conversione, si puÚ considerare un ulteriore passo di avvicinamento alla cono- scenza della presenza ebraica a Santa Fiora, ma serviranno ancora altre e proba- bilmente lunghe ricerche, che ci auguriamo possano essere compiute in futuro.
Notizie sugli ebrei a Santa Fiora nel ë400 e nel ë500
La presenza ebraica a Santa Fiora, come nella Contea di Pitigliano, Ë molto pi ̆ antica di quanto non si era finora supposto e ci rimanda indietro nel tempo al- meno al Quattrocento. Infatti la prima notizia, finora ignorata, di ebrei a Santa Fiora risale al 1465.
In tale anno líebreo Ventura di maestro Abramo, residente nel feudo di Santa Fiora, sposÚ Belladonna, figlia di Dattilo di Aleuccio, allora in Foligno, rice- vendo per dote la somma di 80 fiorini in moneta papale. La notizia Ë di notevole interesse, perchÈ riporta indietro nel tempo, di circa un secolo, líattestazione di una presenza ebraica a Santa Fiora; finora infatti si era creduto che il primo ebreo residente a Santa Fiora fosse stato il famoso medico David de Pomis, venuto nella Contea di Pitigliano al servizio del Conte NiccolÚ IV Orsini nel 1556, in conseguenza della Bolla restrittiva del 1555, e poi emi- grato a Santa Fiora nel 1562, a seguito della rivolta popolare che cacciÚ Nicco- lÚ IV da Pitigliano, ed ivi rimasto per tre anni al servizio del Conte Mario Sfor- za.
Il documento del 1465 avvalora anche líaffermazione di un ebreo santafiorese, che intorno alla met‡ del ë500 ricordava che ìsuo nonno gli aveva riferito che nella zona degli orti, nella parte bassa del paese (di Santa Fiora), erano seppel- liti gli ebrei, nel cimitero ìvecchioî, risalente quindi almeno al secolo prece- dente Öî.
CiÚ dimostrerebbe che gli ebrei sono stati presenti a Santa Fiora fin dal XV se- colo con continuit‡ e in numero sufficiente da avere un cimitero e probabilmen- te il loro luogo di culto. Si puÚ ritenere che il gruppo ebraico si sia rafforzato a seguito della concessio- ne di importanti privilegi da parte di papa Paolo III (1534-1549), noto per la sua protezione degli ebrei e suocero di Federico Sforza Conte di Santa Fiora, che aveva sposato Costanza Farnese.
CiÚ risulta da un monitorio di inibizione dellíAuditore di Camera del 1609 nei confronti del Vescovo di Citt‡ della Pieve, a cui era sottoposta Santa Fiora, per líosservanza di tali privilegi, poi confermati successivamente fino alla met‡ del ë700, la cui versione Ë quella della conferma del 1708, tramandataci anche dal Battisti e ampiamente analizzata da Niccolai.
Si puÚ ritenere dunque che i Privilegi concessi da Paolo III siano stati gli stessi confermati nel 1708, riguardanti la sostanziale parificazione degli ebrei agli altri abitanti cristiani di Santa Fiora, che potevano godere le stesse franchigie, compresa líassistenza medica, la possibilit‡ di abitare nella Contea liberamente e senza dover porta- re il segno, tenere la loro sinagoga e scuola, fare carne casher e celebrare le proprie feste religiose, la possibili- t‡ di commerciare qualunque genere di mercanzia, far
incetta di grano, farina e lana, fare soccide e tenere bestiame, possedere case e addirittura avere licenza di portar armi. Tali Privilegi, confermati nel tempo dai Conti Sforza, garantirono la Comunit‡ ebraica, la sua sopravvivenza e il suo benessere per circa due secoli,
impedirono per tutto il ë600 che in Santa Fiora fosse istituito un ghetto fino al 1714 e favorirono le attivit‡ economiche, specie le ìtradizionali occupazioni di me- dico, commerciante, banchiereî.
In proposito non Ë ben chiaro se fosse un ebreo il ceru- sico Tarquinio Sperandio da Todi, nominato medico della Comunit‡ di Santa Fiora nel 1574 e a cui fu rin- novata la condotta nel 1577.
Tenendo poi conto che la Contea di Santa Fiora insie- me agli altri feudi vicini non fu investita dai provvedi- menti antiebraici del 1555 e 1569 nello Stato Pontifi- cio e del 1570 e 1571 in Toscana, anzi divenne anchíessa un luogo di rifugio, si deve concludere che anche qui, come a Pitigliano e a Sorano, il nucleo ebraico gi‡ esistente si rafforzÚ con líarrivo di altri israeliti, costretti ad emigrare dagli Stati vicini, come accadde per il medico David de Pomis.
La presenza di questo medico nei feudi di confine servÏ anche ad indirizzare i suoi parenti ñ gli unici a lui rimasti, come afferma lo stesso David de Pomis ñ verso questa zona: cosÏ troviamo Simone di Consolo da Spoleto (de Pomis) a Proceno intorno al 1566; il fratello Rubino di Consolo a Castellazzara nel 1572 e poi ambedue a Santa Fiora nel 1573 con la nipote Giulia, figlia del terzo fra- tello Bonaventura di Consolo e sposata a Crescenzio di Mele da Pitigliano, an- chíesso residente a Santa Fiora; Rubino, insieme ai nipoti Alessandro, Consolo e Ventura, figli di Simone nel frattempo deceduto, e insieme alla loro madre Speranza, passarono nel 1576 a Scansano, anchíesso parte della Contea di San- ta Fiora.
Altri ebrei risultano residente a Santa Fiora in quegli anni, come Pompeo di Bonaiuto, che nel 1581 si dichiarÚ debitore di 43 scudi díoro nei confronti di tal Pellegrino Pacini, e Febo di Salomone da Castro, che nel 1582 sposÚ in secon- de nozze la vedova Perna di Giacobbe, cognata di Sabato díAngelo residente a Castellottieri.
Uno spaccato di vita ebraica negli anni 1584-1590
La possibilit‡ di consultare alcuni documenti, finora inaccessibili, ha reso pos- sibile ricostruire alcuni aspetti di vita ebraica a Santa Fiora, che per quanto in- completi e limitati agli anni 1584-1590, presentano tuttavia notevoli motivi di interesse. In quegli anni si trovano citate a Santa Fiora almeno una quindicina di famiglie di ebrei, ma probabilmente ce níerano altre, tenendo conto delle mobilit‡ degli ebrei.
La popolazione ebraica di Santa Fiora della seconda met‡ del ë500 era dunque almeno equivalente a quella esistente a Pitigliano e a Sorano ai primi del ë600 e non lontana da quella della citt‡ di Castro per lo stesso periodo, quando per questi centri abbiamo notizie demografiche certe.
Innanzi tutto a Santa Fiora si trova la famiglia di Patrizio di Rubino, che esercitava il banco in societ‡ con il padre Rubino e con la fami- glia dello zio Simone di Consolo da Spoleto (de Pomis); vi erano poi al- tre famiglie legate al banco di presti- to, come quelle dellíagente Angelo da Cori, di Abramo figlio di Samue- le (detto Sciamuello) e del nipote Samuele di Benedetto, imparentati con il banchiere Simone di Consolo, che aveva sposato Speranza figlia di Scia- muello, anchíesso con i figli abitante a Santa Fiora; si aggiungevano inoltre quelle di Salomone díAbramo, di Daniele di Samuele díArpino, di David di Daniele Levi, di Sabato di Jacob e del fratello Giuseppe di Jacob, tutti commer- cianti, quelle di Pompeo di Bonaiuto e di Febo di Salomone da Castro, gi‡ cita- ti, e ancora quelle di Prospero e del figlio MosË, di Raffaele, di Salomone ba- staio e di Daniele anchíesso bastaio.
Questi ultimi, come fabbricante di basti, si inserivano nella numerosa e varia schiera di artigiani allora presenti a Santa Fiora, specie nel quartiere di Monte- catino; nei documenti di quegli anni infatti compaiono pignattai, barlettai, car- rai, falegnami, muratori, cappellai, spadai, fabbri, chiodaroli, collegati allíatti- vit‡ della ferriera di propriet‡ del Conte e situata appunto nel quartiere di Mon- tecatino.
Gli ebrei di Santa Fiora, oltre al banco di prestito, tenevano prevalentemente botteghe soprattutto di panni e stoffe, ma la loro attivit‡ commerciale si esten- deva ai pi ̆ vari rami ed articoli che consentissero un guadagno, senza partico- lari limitazioni. Negli atti civili del Podest‡ di quegli anni si incontrano spesso istanze di ebrei per il recupero di piccole somme nei confronti di abitanti di Santa Fiora e di forestieri per forniture di stoffe, panni, grano, metalli, attrezzi e talvolta generi particolari, come nel caso di donna Virgi-
nia Camilli, debitrice di un carlino nei confronti di donna Lavinia moglie di ìSciamuelloî ebreo per ìtot pulveris sibi data ad faciendum unguentumî (per tanta polvere a lei data per fare un unguento); a volte si trattava di ricavi per noleggio di animali, come Ë dimostrato da MosË di Prospero che nel 1586 ebbe 5 carlini per aver messo a disposizione dellíebreo Salomone un asinello per un suo viaggio a Siena.
Molto attivo era anche il commercio della lana, di cui gli ebrei facevano incetta anche nelle zone vicine, come nel caso di David Levi, che nel 1590 doveva riti- rare 250 libbre di lana dagli eredi di Sandro di Jacopo a S.Martino e altre 200 libbre da Jacobo di Jacobo a Catabbio.
Interessante risulta anche líepisodio relativo al bresciano Battista chiodarolo, che lavorava al distendino del Conte Sforza, fatto carcerare dallíebreo David Levi per sospetto di fuga a causa di un debito di 121 scudi concessi in prestito dall'ebreo. Subito si presentÚ al Podest‡ il Fattore del Conte, che si oppose alla carcerazione del chiodarolo, protestando per i danni presenti e futuri che poteva subire il distendino.. Gli ebrei di Santa Fiora erano gi‡ organizzati in Comunit‡ (o Congregazione), come risulta da uníistanza dellíebreo Salomone presentata al Podest‡ nel marzo 1584.
Salomone voleva costringere líebreo Daniel díArpino, che era al tempo ìCamerlengo della Congregazione dellíhebreiî santafioresi, a dichiarare sotto giuramento ìmore hebreorumî quali denari della Congregazione avesse speso per fare gli azzimi in occasione della Pasqua ebraica (Pesach), per líelemosina al predicatore e per il bando da mandare, secondo il solito, nella Settimana San- ta a favore degli ebrei. Daniel affermÚ di aver chiesto una stanza per fare gli az- zimi a Francesco Ferrazzolo e di aver fatto due mangani, mentre riguardo allíe- lemosina del predicatore e al bando per la Settimana Santa ìla Congregazione buttÚ 16 iuli per detta causa et inanto che ci avanzasse qualche cosa si mette in comune nella cassetta o altrove dove pi ̆ piace alla Congregazione, et a Salo- mone sopraddetto, spartendosi questa cosa per soldi e lira, li spartitori li han- no messo 3 giuliî.
Si ha dunque conferma indiretta che erano gi‡ operanti i Privilegi per gli ebrei di Santa Fiora, concessi da papa Paolo III; infatti la Comunit‡ ebraica ñ detta da David Congregazione ñ faceva spese per il predicatore (per líobbligo previsto dai Privilegi una sola volta líanno) e per inviare un bando a salvaguardia degli ebrei per la Settimana Santa; tali spese venivano divise tra i membri della Co- munit‡ da ìspartitoriî.
Inoltre mentre doveva essere da tempo in funzione la Sinagoga, la Comunit‡ non disponeva di un locale per fare gli azzimi per la Pasqua ebraica e si provve- deva ad affittarlo da cristiani. Gli ebrei abitavano liberamente in Santa Fiora, mescolati con i cristiani, ma sembra che varie famiglie israelite, se non la maggioranza, abitavano nel quar- tiere di Montecatino, quello posto pi ̆ in basso, nato vicino alle copiose sorgenti díacqua per ospitare le maestranze addette agli opifici, che si avvalevano della forza idraulica, e dove di solito andavano ad abitare i forestieri, anche grazie alle facilitazioni previste dagli Statuti.
Troviamo nei documenti alcuni esempi di famiglie ebree che avevano casa in Montecatino, come quelle di Daniel díArpino e di Salomone, le cui mogli e fi- glie furono tra le persone accusate nel novembre 1584 di buttare immondizie in localit‡ Caupona, posta nelle vicinanze del Convento di S.Agostino.
Nella vita quotidiana potevano accadere talvolta piccoli inconvenienti e incom- prensioni, come nel caso di Daniel, accusato nellíagosto 1584 da donna Olim- pia di averle misurato in modo fraudolento quattro braccia di stoffa, o di Salomone di
Abramo, molestato nel 1588 per aver preso in affitto un locale ad uso di bottega, a cui aspirava un santafiorese. Non manca una interessante controversia nel 1589 tra il suddetto Salomone e il gene- ro Sabato o Sabatuccio di Jacob, che voleva ripudiare la moglie Dolce, figlia di Salomo- ne, perchÈ aveva manifestato líintenzione di battezzarsi e farsi cristiana, chiedendo la restituzione della dote di 150 scudi. LíAuditore si trovÚ in difficolt‡ a decidere líinsolito caso ed assegnÚ 10 giorni di tempo perchÈ Sabato provasse che non era tenuto a tenere con se la moglie, che aveva ripudiato ìsecundum legem he- breorumî, o viceversa perchÈ il padre Salomone a sua volta potesse provare che Sabato la doveva comunque tenere, comíegli sosteneva.
In quegli anni il banco di prestito era gestito principalmente da Patrizio di Ru- bino del Pomis, come ìpriore ed agenteî, coadiuvato dallíagente Angelo da Co- ri; Ë Patrizio infatti a presentare istanza al Podest‡ nel 1584 per líemissione del bando di riscossione o rinnovo dei pegni esistenti nel banco di prestito:
Pro Patritio et sociis banchieris hebreis Sancte Flore ad quorum instantia quis p. b. set bandisse per loca solita et consueta dicte Terre de Sancta Flora, sono tube premisso, alta et voce intellegibili prout ipsam: che tutte persone della Terra di Santa Fiora et habitanti in essa et suoi borghi et an- co i forestieri habitanti in altri luoghi et qualunque altra persona che in qualsivoglia modo havesse o tenesse pegni, di qualunque sorte si siano, impegnati nel banco di detti Banchieri debbino nel termine prefisso nelli Capitoli di detto Banco confirmati et aprovati da S.Ecc. Ill.ma haverli ri- scossi o rinovati, secondo si contiene in detti Capitoli, altrimenti passato detto tempo e non li riscotendo o rinnovando come di sopra detti pegni, si intenderanno persi o ricaduti afatto al detto Banco et si proceder‡ come in essi Capitoli si contiene senza remissione alcuna.
Il bando veniva emesso ogni tre mesi (alla met‡ di gennaio, aprile, luglio, otto- bre), a quanto pare secondo le disposizioni contenute nei Capitoli del banco di prestito stipulati con il Conte di Santa Fiora. Patrizio insieme al padre Rubino il 3 marzo 1587 ottenne líautorizzazione di ingresso a Perugia a seguito delle disposizioni di papa Sisto V, che líanno prima aveva permesso il rientro degli ebrei nelle citt‡ e terre grosse dello Stato della Chiesa.
Ma poco dopo Patrizio morÏ (risulta gi‡ deceduto nel 1588) e Rubino, che gi‡ in precedenza si era dovuto occupare dei nipoti figli del fratello Simone dece- duto intorno al 1576, dovette occuparsi della nipote Vrizia, figlia di Patrizio, essendosi la madre risposata, e della situazione patrimoniale relativa al banco di prestito di Santa Fiora.
Questo banco fu dapprima amministrato fino oltre il 1590 da Speranza, vedova di Simone de Pomis, quale tutrice dei figli, e poi da Consolo de Pomis, almeno oltre il 1601. Nel 1606 Ë documentato perÚ ìAbramo banchiereî, da identificarsi con Abra- mo di Daniele díArpino. Non sappiamo se agisse come socio di Consolo de Po- mis o ne avesse rilevato il banco di prestito.
Turbolenze e delitti tra gli ebrei ai primi del ë600
Líattivit‡ feneratizia ebraica dunque continuÚ a Santa Fiora, dove venivano ad impegnare ed a fare acquisti anche uomini di altri centri dellíAmiata, di cui si trova qualche esempio, come nel caso di Betto Sisti di Piancastagnaio, per il quale nel 1584 líebreo Daniel chiese che venisse carcerato per sospetto di fuga in quanto debitore di 12 giuli per certi panni presi nella bottega dellíebreo san- tafiorese.
Il nuovo Marchese di Piancastagnaio Giovan Battista I Bourbon del Monte, che aveva appena ottenuto nel 1601 il feudo dal Granduca di Toscana, con un ban- do del dicembre 1603 vietÚ ai pianesi di andare ad impegnare presso i banchieri ebrei di Santa Fiora, Castellottieri ed Onano ìin grave danno di essi per líin- gorda usura che detti ebrei tirano Öî.
Il Marchese Giovan Battista I perÚ aveva permesso fin dalla fine del 1601 allíe- breo Samuele di Benedetto di venire ad abitare a Piancastagnaio, esercitando ìlíarte del sartoî, con il divieto perÚ di prestare in alcun modo. Si tratta certamente di quel Samuele di Benedetto, che gi‡ nel 1584 risulta risie- dere a Santa Fiora, legato al banco di prestito della fami-
glia De Pomis. In seguito il divieto iniziale di prestare su pegno venne a decadere con i successori del Marchese Giovan Battista I e gi‡ intorno al 1620 ìlíebreo Samuelloî esercitava ormai pubblicamente la sua attivit‡ di banchiere. Non sappiamo se nella decisione dellíebreo Samuel di Be- nedetto di trasferirsi a Piancastagnaio, oltre a voler coglie- re líopportunit‡ dalla costituzione di un nuovo feudo rela- tivamente autonomo, ebbero un peso anche i guai con la giustizia di suo padre Benedetto e dei suoi familiari. Infatti alla fine di febbraio 1600 líAuditore della Contea di Santa Fiora Ambro- gio Lauro aveva condannato i fratelli Benedetto e David chiamato ìDavittoneî e il loro padre Sciamuello ad una forte multa per pugni, sassate e parole ingiu-
riose nei confronti di un certo Jacobo detto Janaco, e la multa pi ̆ alta di 87 de- nari era toccata proprio a Benedetto, mentre Davittone era stato multato per 55 lire e il padre Sciamuello di 50 lire per provocazione e incitamento dei figli alla rissa.
Le multe provocarono da parte del Bargello il sequestro di beni della famiglia: 3 some di grano, 97 libbre di rame ed altri pezzi di rame, 3 materassi, 4 paia di lenzuoli e altri utensili; i beni sequestrati furono lasciati in casa di Sciamuello, ma in consegna al banchiere Consolo de Po- mis, che offrÏ la garanzia.
Per evitare il danno conseguente al sequestro, si presentÚ allíAuditore donna Lavinia, moglie di Sciamuello, di- chiarando che sui beni sequestrati era assicurata la sua dote.
LíAuditore allora svolse con testimoni un interessante accertamento, da cui sca- turÏ che Lavinia era una delle tra figlie dellíebreo Leone, diversi anni prima proprietario di ìuna bottega grossa di merci, panni, lana, farine ed altre coseî ad Arcidosso ìe ci faceva molto beneî, perchÈ in quel paese non cíerano altri commercianti ebrei, ma ìnon ci habitava altri che luiî. CapitÚ ad Arcidosso ìnellíanno del í70 incircaî líebreo Sciamuello, ìche era allora giovanotto e sposÚ Laviniaî, una delle figlie di Leone.
Il suocero gli dette una dote di circa 200 scudi e gli consegnÚ la bottega con tutte le merci, anche perchÈ líebreo Leone, dopo 5 o 6 anni di permanenza ad Arcidosso, dovette sloggiare da lÏ ìper non so che grattacapiî, andandosene a Cetona. Sciamuello rimase ancora alcuni anni ad Arcidosso, per spostarsi poi con la famiglia a Santa Fiora probabilmente intorno al 1580 (nel 1584 Ë docu- mentato gi‡ a Santa Fiora). Compiuti gli accertamenti, che risultarono positivi, líAuditore il 23 maggio
1600 decise di restituire i beni sequestrati perchÈ garanti della dote di Lavinia. Ma se in questo caso Sciamuello e i figli riuscirono a cavarsela, ben pi ̆ gravi condanne subirono qualche tempo dopo: il 31 luglio 1602 Benedetto e il fratel- lo Alessandro furono colpiti da un precetto di espulsione dalla Contea di Santa Fiora, con divieto di tornare sotto pena di condanna ìalle triremiî. Probabil- mente i due ebrei erano considerati complici del loro fratello Abramo, condan- nato a morte e alla confisca dei beni due giorni dopo per aver ucciso a pugnala- te Febo di Salomone da Castro nella piazza del Borgo di Santa Fiora; Abramo fu condannato in contumacia insieme allíaltro fratello Davittone, che gli aveva prestato aiuto, ed i due, definiti nei documenti come ìebrei da Arcidossoî, era- no prontamente scappati dalla Contea. Non si conosce il motivo dellíomicidio, ma in precedenza era incappato nei rigori della giustizia anche Febo, condanna- to nel settembre 1600 ad una multa di 50 scudi díoro e tre tratti di corda in pub- blico per aver aggredito violentemente di notte líebrea Cremosina, moglie di Daniele díArpino, insieme a Ventura, Sabatuccio e allo stesso Abramo.
Anche questi ultimi furono condannati, ma ad una pena dimezzata rispetto a Febo, che risultÚ essere stato il capo della biasimevole impresa. Gli anni iniziali del Seicento furono dunque caratterizzati da eventi turbolenti e delittuosi in seno alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora, che portarono allíallon- tanamento dalla Contea di tutti i figli di Sciamuello e delle loro famiglie e che possiamo considerare conclusi nel 1604, quando Sciamuello presentÚ una sup- plica, corredata da un rescritto di pace e concordia con i familiari di Febo, a fa- vore del figlio Abramo ancora carcerato, la cui condanna fu commutata in esilio perpetuo da tutto lo Stato di Santa Fiora.
Il processo per Giulia ebrea che si vuole battezzare
Abbiamo visto che a Santa Fiora ai primi del ë600 ave- va un ruolo nel banco di prestito Abramo di Daniele dí- Arpino, detto Abramuccio, poi deceduto nel 1614-1615. La sua famiglia era composta dalla moglie Vrizia, a quanto pare proveniente da Siena, e dai figli Daniele, Samuele e Giulia.
Proprio questíultima fu la protagonista di un notevole caso di conversione al cristianesimo, che provocÚ un processo, affidato al confinante Vescovo di Sovana su delega del Vescovo di Citt‡ della Pieve, da cui dipendeva Santa Fiora. Non sappiamo se nella decisione del Vescovo pievese di delegare quello di So- vana, oltre alla specifica richiesta dei familiare della fanciulla ebrea, alla distan- za e ai momentanei impedimenti, ebbe qualche peso un certo ritegno per i pri- vilegi di cui godevano gli ebrei di Santa Fiora, che proprio pochi anni prima a- vevano provocato il monitorio dellíAuditore di Camera pontificio nellíottobre 1609.
Il giorno di S. Croce, 3 maggio 1625, la fanciulla ebrea Giulia del fu Abramo Arpino (o díArpino), allora undicenne, trovandosi sola nella sua casa in Santa Fiora, mentre i fratelli erano alla ìscolaî ebraica (sinagoga), decise di uscire, si portÚ alla casa di Santi di Lorenzo e della moglie Domenica cristiani e trovatala chiusa, si fece aprire da una vicina ed entrÚ dentro.
Ma sulla vicenda sentiamo la testimonianza dello stesso Santi di Lorenzo, resa al Vescovo di Sovana il 20-6-1625:
In casa mia si trova sotto la mia cura una fanciulla hebrea chiamata Giu- lia, figlia gi‡ díAbramuccio hebreo di Santa Fiora, la quale venne in ca- sa mia il giorno di Santa Croce delli tre di maggio prossimo passato et fino al presente anche vi si trova Ö e la causa et occasione per la quale venne in casa mia Ë questa et spontaneamente e senza esser chiamata da nissuno il detto giorno di Santa Croce, per quanto ella mi referÏ, si partÏ da casa sua e da fratelli e se ne venne a casa mia, dove trovÚ serrata la
porta, perchÈ mia moglie et io eravamo venuti alla messa qui a S.Agostino et essendo tornati a casa trovammo questa fanciulla sola sola in casa, e gli domandammo che cosa faceva e lei disse che era venuta in casa mia perchÈ si voleva far christiana, dove, come ho detto, sempre Ë stata e stava in sua libert‡ di tornarsene a casa sua se havesse voluto, per- chÈ nessuno mai líha impedita, et in casa ha sempre atteso a viver chri- stianamente et imparare li precetti christiani et dimostra un grande zelo dellíhonor di Dio e di farsi christianaî.
La madre ed i fratelli di Giulia, di fronte a tale situazione, si rivolsero personal- mente al Vescovo di Citt‡ della Pieve, Mons. Celsi, dichiarando di ritenere ìsospettissime le persone e il loco (di Santa Fiora)î e chiedendo che provve- desse ìconforme i Sacri Canoni e dottrina di Theologi, a dare un Prelato pi ̆ vicino a Santa Fiora, il quale veda e termini secondo jure detta causa, che cosÏ si eviter‡ ogni materia di scandaloî.
Mons. Celsi scrisse da Roma il 1° giugno 1625 a Mons. Scipione Tancredi Ve- scovo di Sovana (1624-1636), pregandolo di occuparsi della questione e dele- gandogli ogni autorit‡ in proposito. Il 5 giugno 1625 si presentÚ al Vescovo di Sovana líebreo Simone Narni, pro- babilmente il rabbino di Santa Fiora, che gli consegnÚ la lettera del Vescovo di Citt‡ della Pieve e un libello da inserire agli atti del processo, ritenendo che Mons. Tancredi avrebbe accettato líincarico.
Il libello, diretto al vescovo di Sovana da Vrizia e dal fi- glio Samuele Arpino, dopo aver esposto che era stato tol- ta loro Giulia, rispettivamente figlia e sorella, ìdíalcune donnicciole e preti in Santa Fiora Ö e quella tenuta rin- chiusa in casa Santi di Lorenzo di detto logho sotto pre- testo di farla battezzareî, dichiarava che Giulia in et‡ di dieci anni era minorenne, come appariva da deposizione di cinque testimoni e da una certa memoria in un libro della Bibia a stampa in ebraico volgarizzata da persona peritaî, e perciÚ era sottoposta allíautorit‡ dei suoi pa- renti, che chiedevano che fosse loro restituita senza im- pedimento e che la fanciulla venisse esaminata solo dopo la restituzione alla famiglia ìconforme Tomasso e altri Theologiî, perchÈ era stata rinchiusa per quaranta giorni in casa di cristiani ed era stata ìammaestrata ed imboccata a loro modoî; chiedevano inoltre che il processo non si facesse in Santa Fiora nÈ che la fanciulla vi rimanesse fino al termine della causa.
Mons. Scipione Tancredi accettÚ líincarico del Vescovo di Citt‡ della Pieve e dispose che la fanciulla ebrea fosse portata a Sovana dal pievano di Santa Fio- ra, don Angelo Blanis. Egli si presentÚ a Sovana con Giulia di Abramo il 15 giugno 1625, dopo aver ottenuto il consenso del Duca Sforza, espresso in una lettera spedita da Roma
al suo Visconte di Santa Fiora lí11-6-1625, ìessendo la causa meramente con- fessionaleî, e ponendo la sola condizione che nessuno dei parenti di Giulia po- tesse parlarle e accompagnarla. Il Vescovo di Sovana, giunta la fanciulla ebrea nella citt‡, líaffidÚ allíAlfiere Tommaso Mazzoleni e alla moglie, assegnÚ allíebreo Samuele, fratello di Giu- lia, tre giorni per produrre qualunque cosa ritenesse utile per la causa, poi con- vocÚ la fanciulla stessa per esplorarne la volont‡ se volesse pervenire spontane- amente alla fede cristiana o avesse subÏto costrizioni.
Giulia, interrogata, affermÚ di aver compiuto undici anni in dodici (era nata nel maggio 1614), di essere nata a Siena e poi portata in fasce a Santa Fiora, dove fu allevata nella casa dei fratelli dopo la morte del padre; aggiunse di essere ri- masta sola in casa propria il giorno di Santa Croce, perchÈ i fratelli erano andati alla Sinagoga, di aver chiamato donna Laudomia cristiana, che prestava piccoli servizi in casa sua, la quale ìaccatizzÚ un poco il fuoco, vi messe il pignatto e si partÏî, di essere allora uscita e andata a casa di Domenica e di Santi; ora abi- tava nella casa della ìziaî Domenica, anzi dichiarÚ di aver preso Santi, il pa- drone di casa, come padre e la moglie Domenica come madre, essendo cristiani e non ebrei.
Infatti disse di voler farsi cristiana e, di fronte allíammonimento del Vescovo di dire la verit‡, dichiarÚ di non essere stata allettata nÈ costretta da alcuno, ma di aver avuto una ispirazione divina e di essersi accostata alla fede cristiana per salvare la propria anima.
Richiesta dal Vescovo se volesse tornare con sua madre e i suoi fratelli, Giulia rispose di non volere tornare con loro in nessun modo, salvo che non si facesse- ro anchíessi cristiani, di volersi battezzare e di aver imparato il Pater Noster, líAve Maria, il Credo, la Salve Regina e i dieci comandamenti, che recitÚ al ve- scovo, facendosi anche il segno della croce.
Mons. Tancredi constatÚ cosÏ la buona inclinazione della fanciulla verso il cri- stianesimo, ma ciÚ non era sufficiente e bisognava procedere con altre riprove. Il 17 giugno 1625 líebreo Daniele Arpino presentÚ altre quattro scritture relati- ve a casi simili di fanciulli ebrei, le quali vennero allegate agli atti del processo. Lo stesso giorno il Vescovo convocÚ Giulia, interrogandola se persistesse nel voler pervenire al cristianesimo e la ammonÏ che riflettesse bene per non avere dubbi o se volesse invece essere restituita alla sua famiglia.
La fanciulla confermÚ risolutamente il suo proposito; allora Mons. Tancredi, per meglio conoscere la volont‡ reale di Giulia, convocÚ al colloquio la madre Vrizia e il fratello Samuele, i quali provarono a convincerla con le blandizie, dicendole di averle trovato marito e offrendole dei gioielli, cercando di com- muoverla con pianti e lamenti e passando poi alle minacce e alle imprecazioni, ma senza riuscire a smuovere la fanciulla, che rispondeva sempre di voler farsi cristiana e continuÚ ad opporre un rifiuto, anche quando il Vescovo le domandÚ di nuovo, in presenza dei suoi congiunti, se voleva tornare con la madre ed i fratelli. Conclusa questa prova, il Vescovo nominÚ un gruppo di ìgravi e probi
uominiî di Sovana, laici ed ecclesiastici, quali testimoni nellíesame della quali- t‡ e della volont‡ della fanciulla ebrea: don Savino Bolsi, Abate di S. Benedetto di Monte Calvello, don Alessio Alessi Rettore della chiesa di S. Maria, il cano- nico don Benedetto Bruni, don Bernardino Cheli Proposto della Cattedrale, Tommaso Mazzoleni Alfiere della milizia di Sovana e Antonio Borghi Speda- liere. Il 18 giugno 1625 Mons. Tancredi, informato che a Giulia durante la notte era venuta una febbriciattola e considerando il rischio della malaria per líaria pestilenziale di Sovana, decise di trasferirsi con la sua corte a Santa Fiora, an- che per poter meglio indagare e conoscere la verit‡ sulla vicenda affidata al suo giudizio. CosÏ il giorno dopo 19 giugno in serata giunse a Santa Fiora, sceglien- do il convento di S. Agostino come luogo adatto per svolgere il processo. La piccola ebrea Giulia fu di nuovo affidata a Santi di Lorenzo e alla moglie Do- menica.
Il 2 giugno cominciÚ líesame di numerosi testimoni: alcune donne cristiane che avevano allattato la piccola Giulia, perchÈ la madre non aveva latte, e precisamente Battista di Dionisio, Preziosa di Mario, Salvatrice di
NiccolÚ, e poi Santi di Lorenzo, che ospitava Giulia, Prudenza di Pietro, che spesso andava in casa degli Arpino ìper comprare qualcosa come si suol fareî e altri per conto di Vrizia e dei figli, come Ruffino Tancredi, Antonio di Scipione, Emilio di Cristoforo, Francesco di Tarquinio.
Tutti i testimoni risultano vicini di casa della famiglia del banchiere, a dimostrazione che a Santa Fiora gli ebrei vivevano liberamente in mezzo ai cristiani, tenevano balie cristiane e le loro case erano frequentate senza difficolt‡ dai cristiani, che svol- gevano per loro piccoli lavoretti o venivano a comprare mercanzie, secondo i privilegi di cui da tempo godevano. Tutti i testimoni concordarono nel definire Giulia ìmolto accorta, sagace e capace dellíuso di ragione e sta molto bene in cervello et saputaî, nonostante appaia di piccola statura, ma díaltra parte anche i genitori e fratelli erano piccoli, e che era stata in casa di Santi e di Domenica senza essere impedita ad uscirne, se avesse voluto, tanto che spesso era lei a ve- nire ad aprire la porta di casa. Alcuni dei testimoni affermarono che aveva gi‡ dato segni di ìvoler essere cristianaî, addirittura cercando di imitare i cristiani, facendo il digiuno volontariamente il sabato e le quattro tempora e inchinandosi quando passava davanti alla chiesa. Anche i testimoni presentati dalla madre Vrizia e dai figli non presentarono dichiarazioni differenti, anzi Francesco di Tarquinio affermÚ persino che, quando Giulia veniva allattata, ìi fratelli con- tendevano insieme che nessuno la voleva, neancho la madre, et cosÏ litigando insieme per questa causa furno da mio padre accordatiî, rendendo cosÏ pi ̆ chiara líaffermazione generica gi‡ espressa da Emilio di Cristoforo che la fan-
ciulla ìin casa era straziataî. Durante líescussione dei testimoni comparve da- vanti al Vescovo in S. Agostino Daniele di Abramo, davanti al quale fu convo- cata la sorella Giulia. La fanciulla fu interro- gata dal Vescovo se volesse ritornare con lui,
che líavrebbe accolta molto volentieri e uma- namente e in tal caso sarebbe stata restituita subito alla sua famiglia, se avesse voluto. Ma la fanciulla continuÚ a ripetere di voler essere cristiana. Allora Daniele si rivolse a lei con le parole: ìCara Giulia, sorella mia, che in que- sto mondo non ho altri che te, bene mio, tor- na dal tuo fratello che ti saran fatte carezze et anderai a star con tua madre a Siena, vieni bene mio Öî, ma rispondendo la sorella: ìIo voglio esser cristiana, io voglio esser cristiana, Dio mi aiutaî, il fratello continuÚ: ìSorella mia, che cosa ti Ë stato fatto, perchÈ non mi guarda- teî e Giulia rispose: ìPi ̆ presto guarderÚ la Croce, a me non Ë stato detto niente da nessuno, voglio essere cristiana, da voi non ci verrÚ se non quando sarete cristianoî. E cosÏ continuÚ di fronte ad ogni richiesta e promessa del fra- tello fino alla conclusione del colloquio. Daniele díAbramo, visto inutile ogni tentativo di convincere la sorella, presentÚ la Bibbia in caratteri ebraici dove era stato annotato il tempo nel quale era nata Giulia, richiamÚ tutti gli atti pre- sentati al processo e le deposizioni dei testimoni e, anche a nome del fratello Samuele e della madre Vrizia, dichiarÚ che la sorella doveva essere restituita alla sua famiglia, perchÈ incapace di ragione e perchÈ era stata adescata con lu- singhe da alcune persone e convinta ad aderire alla fede cristiana non di sua vo- lont‡; chiese inoltre che venisse tolta dalla casa di Santi e di Domenica, persone sospettissime, e portata in luogo sicuro e non sospetto o trasferita a Siena pres- so la madre oppure restituita a lui. Il 22 giugno il Vescovo convocÚ ancora la fanciulla, che chiese subito di essere battezzata e confermÚ ancora una volta di voler essere cristiana, presentando istanza per ricevere il battesimo e per avere la sua parte dellíeredit‡ paterna. A questo punto, lo stesso giorno Mons. Scipio- ne Tancredi, considerati tutti gli elementi emersi nel processo, emise la senten- za alla presenza di due testimoni: don Alessio Alessi di Sovana e il Rev. don Calanio Boldrini di Pienza. La sentenza definitiva, dopo aver ripercorso tutte le tappe del processo, considerate le istanze, le bolle pontificie e gli altri atti pre- sentati dai familiari, le testimonianze, le deposizioni anche sullíet‡ di Giulia, i colloqui con la fanciulla ebrea, le ammonizioni e le sollecitazioni nei suoi con- fronti da parte dei familiari, prende in considerazione la determinazione di Giu- lia di voler pervenire al cristianesimo, il suo grado di istruzione nella fede cat- tolica, verificato dal Vescovo, la sua ottima capacit‡ di discernimento e dellíuso della ragione, che ìin bono superat etatemî (in positivo supera líet‡) e perciÚ, respinte le petizioni e le eccezioni presentate dalla madre e dai fratelli, dichiara Giulia idonea a prendere il battesimo e ad essere ricevuta nella fede cristiana.
Nel contempo vengono obbligati i fratelli a versare a Giulia la parte a lei spet- tante dellíeredit‡ paterna nonchÈ ad assegnarle la dote secondo líuso del luogo e la qualit‡ delle persone, in relazione allíarbitrato di probiviri, dandone man- dato esecutivo nei confronti di Daniele e Salomone Arpino. La sentenza, inviata a Santa Fiora, fu aperta, letta e pubblicata da Giacomo Riccardi pubblico notaio santafiorese, alla presenza dellíAuditore e del Commissario di Contea, dei Prio- ri della Comunit‡, del Pievano e di don Lorenzo Bonizi agostiniano il 29 giu- gno 1625. Il Vescovo Tancredi ebbe cosÏ la sua prima esperienza con la presen- za ebraica piuttosto diffusa anche nella sua Diocesi di Sovana, di cui si dovette occupare proprio alla fine di quellíanno 1625, emanando uníapposita Disposi- zione.
I documenti presentati dagli ebrei nel processo
Di notevole interesse appare la documentazione presentata dai fratelli Daniele e Samuele Arpino nel processo relativo alla loro sorella Giulia e raggruppata sot- to líindicazione ìAtti riguardanti la quiete dellíebreiî. Si tratta dei seguenti documenti:
1) Trascrizione del 1616, ad uso degli ebrei dello Stato di Venezia, della Costi- tuzione di papa Martino V riguardo agli ebrei del febbraio 1429, sopra la quale Ë scritto ìBreve di Papa Martino che non si possino levar li figlioli picolini agli hebreiî
2) Decreto e sentenza del cardinal Francesco Sfondrati del 1547 riguardo ad un caso di restituzione di bambini ebrei, scritto ìpro Ventura Teutonico et eique uxore hebreisî (per Ventura Tedeschi e sua moglie ebrei) 3) îDiscursus (de) pueritateî al cardinal Varallo riguardo alla conversione di bambini ebrei, senza data, ma successivo al 1551
4) Esame della dottrina della Chiesa riguardo alla conversione di bambini ebrei, senza data, ma successivo al 1586 5) Informazione con deposizione del 1595 sul caso di un bambino ebreo battez- zato a Lanciano
Il documento 1) Ë una copia autentica del 1620 della trascrizione notarile fatta a Roma nel 1616 di un compendio del 1609 per gli ebrei della Repubblica di Ve- nezia riguardo alla Costituzione di papa Martino V del 1429. Questo ben noto documento pontificio era senzíaltro basilare per gli ebrei, per- chÈ conteneva una serie di disposizioni a loro favore, come il divieto di recare loro offesa nelle persone e nei beni, líinibizione ai predicatori di eccitare il po- polo contro di loro, la possibilit‡ per gli ebrei di vendere e comprare onesta- mente, di tenere sinagoghe, scuole e cimiteri propri e cosÏ via, compreso il di- vieto di battezzare fanciulli al di sotto di 12 anni senza il consenso dei genitori: ìnullum iudeorum filium, qui annum etatis duodecim non peregerit vel doli aut descretionis capax non fuerit, sine expresso parentum vel alterius eorum con- sensu et voluntate baptizare posse vel debereî (che non si possa o debba battez-
zare alcun figlio di giudei che non avr‡ raggiunto 12 anni di et‡ o sar‡ stato ca- pace di accortezza o di discernimento, senza espresso consenso dei genitori o di uno di loro). I documenti 3) e 4) esaminano la dottrina della Chiesa riguardo al battesimo di bambini ebrei. Il documento 3) parte dal quesito se si possa battezzare il nipote di un certo MosË, ebreo fatto cristiano, con lui dimorante, ma con la contrariet‡ del padre e della madre. Si risponde che i figli piccoli degli ebrei non si devo- no battezzare senza il consenso dei genitori, secondo la linea tracciata da S. Tommaso díAquino e da quasi tutti i teologi e canonisti che lo hanno seguito e che ormai Ë opinione comune nella Chiesa. CiÚ Ë corroborato dalla Costituzio- ne di papa Martino V del 1429 e confermata dal successore papa Eugenio IV, a cui si aggiungono le Costituzioni del pontefice Paolo III del 1539 e quella di Giulio III del 1551, precisando anche che si parla di figli e non di nipoti e il consenso va dato dai genitori o dalla madre, se Ë morto il padre, e non dal non- no.
Il documento 2) Ë una sentenza del cardinal Sfondrati, che riguardÚ la restitu- zione di due fanciulli ebrei Angelo e Samuele al nonno Vitale díIsac loro tutore, con líobbligo di versare una cauzione di 200 scudi díoro alla Camera Apostoli- ca, a garanzia che non si allontanassero da Roma e fosse possibile cosÏ verifica- re pi ̆ tardi se in loro persistesse la volont‡ di diventare cristiani.
Il documento 4) ripete i contenuti del 3), aggiungendo il Privilegio di papa Si- sto V del 1586 e il chiarimento che i fanciulli ebrei, qualora i genitori siano contrari al battesimo, devono essere restituiti alla famiglia fino al compimento dei 12 anni e poi potranno decidere autonomamente. In proposito si cita la sen- tenza del cardinal Sfondrati del 1547, relativa al documento 2).
Il documento 5) risalente al 1595 riveste notevole interesse, perchÈ si tratta del- la ricostruzione di fatti accaduti cinquantíanni prima (dunque intorno al 1545) a Lanciano; ne aveva fatto richiesta líebreo Clemente Pugliese, benchÈ fosse pas- sato tanto tempo, ìperchÈ importa per ogni altra legittima causaî. Infatti vari testimoni intorno a 70 anni díet‡ dichiararono che circa mezzo secolo prima in Lanciano era stato battezzato il piccolo Angelo ebreo, di 7 o 8 anni, figlio del banchiere Gabriele e della moglie Donna; ma per ordine papale e del Vescovo di Capua, nonostante líopposizione della Comunit‡ lancianese e delle autorit‡ cittadine, fu restituito alla famiglia fino al compimento dei 12 anni, quando An- gelo, persistendo nella sua volont‡, si fece cristiano e divenne frate di S. Fran- cesco e valido predicatore fino alla morte avvenuta poco tempo prima. Ovviamente la ricostruzione dei fatti sollecitata dallíebreo Clemente Pugliese non interessava certo per la conversione quanto per líavvenuta restituzione alla famiglia, voluta dalle autorit‡ ecclesiastiche, e perciÚ il documento poteva co- stituire per gli ebrei un importante precedente in cause simili. La presentazione di questi documenti da parte di Daniele e Samuele Arpino nel processo riguar- dante la sorella dimostra la capacit‡ di interscambio e di reciproco aiuto, anche giuridico, tra le Comunit‡ e i gruppi ebraici, per fronteggiare problemi piuttosto
diffusi, come quello dei battesimi talora forzati. Lo dimostrano anche le nume- rose repliche risultanti dal documento 1): la basilare Costituzione di papa Mar- tino V, scritta in compendio per gli ebrei della Repubblica di Venezia nel 1609, trascritta ancora a Roma nel 1616, replicata di nuovo nel 1625 e inviata in co- pia a Daniele Arpino per il processo della sorella Giulia. Tuttavia la documenta- zione presentata dai fratelli Arpino non servÏ a determinare una sentenza favo- revole: il Vescovo di Sovana, evidentemente colpito dalla grande determinazio- ne della ragazza ebrea di farsi cristiana, pur considerando che non aveva ancora compiuto i 12 anni previsti, avendo superato da poco gli 11 anni díet‡, applicÚ líalternativa relativa alla sicura capacit‡ di intendere e di volere, da tutti i testi- moni riconosciuta a Giulia e verificata dal Presule stesso. Per il resto il proces- so organizzato da Mons. Tancredi appare condotto correttamente, avendo inter- rogato pi ̆ volte la ragazza e, almeno inizialmente, fuori del contesto di Santa Fiora, avendole offerto la possibilit‡ di ripensamento e di pronta restituzione alla famiglia e avendola sottoposta per due volte al confronto con la madre e con i fratelli. La forte volont‡ espressa continuamente e senza tentennamenti da Giulia di abbracciare il cristianesimo fu evidentemente decisiva per la sentenza a lei favorevole. La documentazione presentata dai fratelli Arpino mostra anche che la posizione comunemente accettata allíinterno della Chiesa era quella di non battezzare bambini ebrei al di sotto dei 12 anni díet‡ e anzi di restituirli ai genitori e che a tale linea si attenevano pi ̆ facilmente i membri dellíalto clero. Anche per questo gli ebrei avevano necessit‡ di far circolare i documenti che potevano essere a loro favorevoli, di fronte ai rischi di abusi e costrizioni che si verificarono specialmente nel corso del Seicento. Tracce degli ebrei a Santa Fiora nel ë600 fino allíistituzione del Ghetto(1714). » noto che successivamen- te i fratelli Daniele e Samuele Arpino emigrarono prima del 1638 a Sorano, do- ve aprirono una bottega di varie mercanzie, comprando anche lana allíingrosso. Daniele Arpino risulta ancora abitante di Santa Fiora nel 1630, alla morte in Sorano del suocero Benedetto díAngelo. Anche Simone Narni si era gi‡ sposta- to da Santa Fiora a Castro nel 1629 e poi a Sorano, dove si trova nel 1635 ad esercitare la sua funzione di rabbino. A Santa Fiora nel frattempo gestiva un banco di prestito David Borghi, che a sua volta si spostÚ a Sorano intorno al 16- 60, sposando Prudenza, figlia di Daniele Arpino. Egli richiese anche a Sorano líesonero del segno, che gi‡ gli era stato concesso a Santa Fiora, dove godeva la protezione del Granduca di Toscana e del Conte Sforza, di cui forse era stato agente per Castellarquato. Risulta interessante questa emigrazione di ebrei ìeminentiî e facoltosi da Santa Fiora a Sorano nel secondo quarto del ë600; non si puÚ escludere che preoccupazioni e paure siano state indotte dalla cessione nel 1633 della Contea di Santa Fiora dagli Sforza al Granduca di Toscana, che perÚ la reinfeudÚ agli stessi Conti, senza conseguenze per gli assetti esistenti nÈ per gli ebrei. Tuttavia Sorano appare in questo periodo particolarmente appeti- bile anche per altri ebrei, come il mercante romano Giuseppe Natronai, che ne- gli stessi anni venne a impiantarvi una bottega. I fratelli Arpino risultano in
quegli anni in rapporto con il banchiere ebreo di Piancastagnaio Ferrante Passi- gli, le cui relazioni aiutarono ad inserire líattivit‡ degli ebrei della zona, in par- ticolare di Santa Fiora, Pitigliano, Sorano e Castellottieri in un pi ̆ vasto circui- to commerciale regionale e interregionale. Anche nel 1650 risulta che líebreo santafiorese Giuseppe di Michele manteneva rapporti commerciali con i Passi- gli e con il loro agente Salomone Fossombroni. In questo periodo si hanno noti- zie sporadiche e indirette di altri ebrei emigrati da o verso Santa Fiora: intorno al 1632 Amodio díIsach da Santa Fiora si spostÚ a Sovana, allettato dalle ecce- zionali provvidenze per il ripopolamento della citt‡; nel 1636 invece Giuseppe di Cherubino era venuto da Castro ad abitare nel capoluogo della Contea sfor- zesca; nel 1649 si ha notizia che un ebreo santafiorese non meglio identificato era trattenuto in carcere a Pitigliano, dopo essere stato messo al bando a Santa Fiora per omicidio. La distruzione nel 1649 della citt‡ di Castro, capoluogo del ducato farnesiano, disperse gli ebrei castrensi, i quali in parte si rifugiarono a Pitigliano, che da allora ne divenne líerede morale, tanto che qui fu portato lía- ronoth e líargenteria della Sinagoga castrense. Anche a Santa Fiora giunse, for- se in modo mediato, qualche ebreo da Castro, come Alessandro di Zaccaria con la sua famiglia, che tenne bottega aperta fino alla sua morte nel 1677; allora la moglie Gentile con i due piccoli figli: Leone di 4 anni e Sabato di 18 mesi si trasferirono nel ghetto di Pitigliano, dove Gentile aveva una casa. Dallíinven- tario dei suoi beni risulta che Alessandro di Zaccaria commerciava, incettando notevoli quantit‡ di lana e quantit‡ pi ̆ ridotte di grano e farina di castagne ed aveva crediti con uomini di Abbadia S. Salvatore, Rocchette di Fazio e Vallero- na. Agli inizi del ë700 emigrarono a Pitigliano altri ebrei santafioresi, come An- gelo e il figlio Abramo Levi, che gi‡ nel 1698 avevano ottenuto líesenzione dal segno per poter commerciare negli Stati di Firenze e di Siena. Nel 1708 furono confermati i Privilegi degli ebrei dal Duca Federico Sforza-Cesarini. Questa conferma, che Ë quella che ci Ë pervenuta, forse si rese necessaria per i contrasti con il Vescovo di Citt‡ della Pieve, il quale riteneva ormai che tali Privilegi non si potessero pi ̆ mantenere. Infine il successore Duca Gaetano Sforza-Cesarini, di fronte alle insistenze dellíautorit‡ ecclesiastica, si decise ad una concessione e nel maggio 1714 istituÏ a Santa Fiora il ghetto per gli ebrei. Il ghetto fu realiz- zato ìnellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta Ö e tale risoluzione fu fatta dal Duca Gaetano Sforza e da Monsignor Fausto Guidotti, Vescovo di Citt‡ della Pieve, per molte istanze fattegli dal sig. arciprete don Francesco Farsi e dal M.R.P. m.ro Pietro Giannotti agostiniano Vicario del S.Offizio".
Il ghetto degli ebrei santafioresi Ë stato identificato in Borgo, nel caseggiato po- sto tra líattuale via Lunga e la campagna, dove probabilmente gi‡ viveva la maggioranza delle famiglie israelite di Santa Fiora e dove si trovava la Sinago- ga, di cui rimane una descrizione settecentesca del Battisti: una grande stanza a volte con quattro finestre, con líaronoth contenente dodici Bibbie in pergame- na scritte in ebraico, la vicina lampada a luce perenne (ner tamÏd), il pulpito (tev‡), panche per sedere intorno, cinque lampadari di ottone che pendevano
dal soffitto e un piccolo matroneo, diviso da ìuna gelo- sia di legnoî; in una parete erano due cassette per le elemosine, líuna per gli ebrei poveri della Terrasanta, líaltra per i bisogni della Sinagoga e della Comunit‡. Sotto la Sinagoga cíera uníaltra stanza, divisa in tre parti: una per fare gli azzimi con il forno, líaltra usata come scuola per i ragazzi ebrei, la terza, ìscoperta ad uso di loggia Ö vi fanno la Capanna nella Festa dei tabernacoli ossia le Capannelle (Sukkoth)î.
Una donazione non rispettata
Una donazione fatta alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora dallíebreo Giacobbe di MosË Pelagrilli (o Palagrilli), per volont‡ testamentaria, provocÚ una serie di conseguenze nel piccolo mondo ebraico santafiorese. Nel suo ultimo testamen- to del 4 settembre 1718 Giacobbe, dopo aver lasciato ìiure legatiî (per diritto di legato) 5 soldi ciascuno al Vescovo di Citt‡ della Pieve e al Duca Sforza, do- nÚ ìalla Scuola dellíebrei di Santa Fiora una corona díargento con due pomi díargento e lampada pure díargento acciÚ servino in tutte le fontioni solite da farsi in detta Scuola, con che non si possino vendere nÈ impegnare per qualun- que bisogno o occorrenza di detta Scuola Öî e volle inoltre che tali oggetti fos- sero tenuti in custodia, dopo le funzioni nella Sinagoga, da Abramo Passigli e da Speranza sua moglie. Giacobbe poi lasciÚ usufruttuaria sua moglie Allegrez- za, finchË mantenesse lo stato di vedovanza e dispose una serie di altri lasciti: al nipote MosË di Abramo di Pitigliano 100 scudi ìin bestiame o in altri effet- tiî; a Tala figlia di Angelo Solitario 50 scudi per quando si sarebbe maritata; a Gentile di Giuseppe Sorano una vaccina soda; a Samuel Levi 5 vaccine sode; a Samuel Cetona 30 libbre di lana; al fratello Israel Pelagrilli 25 scudi senza po- ter pretendere altro dellíeredit‡. In tutti gli altri suoi beni mobili e stabili, ragio- ni e pertinenze, sia in Santa Fiora che in ogni altro luogo, istituÏ suo erede uni- versale il nipote Samuele, figlio del fu Alessandro Palombo e di Stella, figlia di Giacobbe. CostituÏ anche come tutori di Samuele, allora di 14 anni, il fratello Israel Pelagrilli e Samuel Cetona finchÈ il nipote non raggiungesse i 25 anni, e stabilÏ pure che non si potesse ìlevare detta tuteriaî da alcuna persona nÈ per alcun fatto che potesse accadere, con divieto di alienare alcuna cosa della sua eredit‡, specie la somma di 600 scudi, ìdenari che esistono appresso Abram Leviî. Nel caso poi che si togliessero dal Levi (gestiva forse ancora un banco di prestito a Santa Fiora?), i 600 scudi dovevano essere messi nuovamente a frutto e ciÚ valeva anche per ogni altra ìrobba dellíeredit‡î. I tutori, per cominciare líamministrazione dei beni lasciati da Giacobbe, dovevano fornire ìidonea si- curt‡ di ben amministrareî e potevano avere per loro compenso i frutti dellí- amministrazione dellíeredit‡, detratto il vitto e quanto necessario allíerede.
Se il nipote Samuele fosse morto dopo 25 anni senza testamento, líeredit‡ do-
veva andare ai parenti pi ̆ prossimi; se fosse venuto a mancare prima dei 25 an- ni, la met‡ dellíeredit‡ doveva andare a MosË di Abramo, con líobbligo di la- sciarla in Santa Fiora, líaltra met‡ doveva andare alla ìScuola degli ebrei di Santa Fioraî, eccetto 30 scudi lasciati a Israel Pelagrilli. Il testamento fu redat- to nella casa di Giacobbe, ìposta nel ghetto in luogo notoî, alla presenza di sei testimoni, tutti cristiani. Al testamento del 4 settembre 1718, due giorni dopo, Giacobbe aggiunse un codicillo, con cui escludeva Israel Pelagrilli dall'ammini- strazione della sua eredit‡. Ma le disposizioni del testatore non furono rispetta- te, anche per il verificarsi di alcune circostanze imprevedibili, che ne modifica- rono il quadro di riferimento.
Una ìinformazione di ciÚ che seguÏ dopoî, allegata al testamento, ci fa cono- scere gli avvenimenti successivi. Poco dopo il decesso di Giacobbe, venne a morte anche Abramo Passigli e sua moglie Speranza a sua volta si fece cristiana. Venuti cosÏ a mancare i due depo- sitari, gli argenti donati alla Sinagoga, con decreto del Visconte Carlo Maggio- lini, ìfurono dati in deposito a Israel Pelagrilli con la sicurt‡ di sua moglieî, nonostante líopposizione della Comunit‡ ebraica santafiorese, perchÈ non ve- niva considerata idonea la moglie di Israel, ìessendo forestiera e senza alcun affetto in Santa Fioraî. Anche il resto dellíeredit‡, nonostante le disposizioni di Giacobbe, venne in mano ad Israel e al nipote MosË di Abramo, che si distinse- ro per la cattiva amministrazione, impegnando gli argenti della sinagoga, dila- pidando una parte dei 600 scudi e portando il resto insieme ai residui beni dellí- eredit‡ a Castel del Piano, dove si trasferÏ Israel Pelagrilli, nonostante il divieto testamentario di far uscire i beni dellíeredit‡ dalla Contea di Santa Fiora.
Tutto ciÚ accadde senza che líerede legittimo Samuel di Alessandro Palombo, che abitava con lo zio Israel, mai presentasse alcun reclamo ìsÏ per esser me- lenso e anche forse speranzato di una figlia piccola di detto Pelagrilli, oltre il viver comune col medesimo e sua moglieî. Reclamarono perÚ gli Uomini dei Pupilli, cui spettava per dovere díufficio di vigilare sulla corretta amministra- zione dei beni dei minori. Essendo poi deceduto il giovane erede Samuel di A- lessandro, reclamarono anche gli ebrei santafioresi e la loro Comunit‡, a cui doveva andare la met‡ dellíeredit‡ di Giacobbe ìper il comune interesse Ö a causa che dilapidandosi detta eredit‡, cresceranno sopra di loro i dazi e si ren- deranno totalmente inabili a poterli sopportareî.
Ma ormai era troppo tardi, e se líaffermazione degli ebrei di Santa Fiora puÚ sembrare esagerata, non si puÚ escludere che si intravedessero gi‡ per la Comu- nit‡ ebraica i primi segni della crisi successiva, il cui primo segnale fu forse líi- stituzione del ghetto, e che probabilmente una corretta amministrazione dellíe- redit‡ di Giacobbe a loro favore avrebbe potuto contribuire a frenare.
La documentazione relativa allíeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli offre interessanti spunti per alcune osservazioni: - il deposito di 600 scudi presso líebreo Abramo Levi fa ritenere che costui an- cora nel 1718 esercitasse il prestito, non sappiamo se ufficialmente o meno. Se
cosÏ fosse, Ë probabile che líattivit‡ di prestito non fosse mai cessata a Santa Fiora, anche allíombra dei soliti Privilegi degli ebrei; in tal caso ci troveremmo di fronte al banco ebraico pi ̆ longevo della Toscana, anche oltre quello di Pian- castagnaio, chiuso negli anni 1710-1715, tenendo conto che i banchi di prestito avevano quasi tutti cessato la loro attivit‡ a seguito della proibizione contenuta nella Bolla di papa Innocenzo XI del 1682 e solo pochissimi erano sopravvissu- ti per qualche anno, come quello di Monte S. Savino, chiuso nel 1699.
- Lo spostamento dellíebreo Israel Pelagrilli da Santa Fiora a Casteldelpiano, forse anche per togliersi dalla situazione creatasi con i suoi correligionari per la cattiva amministrazione dellíeredit‡ del fratello Giacobbe, offre un esempio di presenza ebraica, da ritenere sporadica e limitata nel tempo, in altri centri dellí- Amiata, come abbiamo gi‡ visto per Arcidosso nella seconda met‡ del ë500 con líebreo Leone, seguito da Sciamuello e poi da MosË di Manuel, emigrato a Piancastagnaio e qui fatto cristiano nel 1606. » evidente che il centro di irradia- mento era di solito Santa Fiora, da cui qualche ebreo si spostava nei centri vici- ni, allentatasi la cogenza delle disposizioni di Cosimo I dei Medici del 1570 e 1571; anche Samuel di Benedetto, il primo ebreo che nel 1601 tornÚ a Pianca- stagnaio con líistituzione del Marchesato, venne da Santa Fiora, come ora si Ë potuto accertare.
- La conversione al cristianesimo dellíebrea Speranza, appena rimasta vedova di Abramo Passigli, Ë il terzo caso, che troviamo a Santa Fiora, di donne ebree che vogliono farsi cristiane, dopo Dolce di Salomone nel 1589 e la giovinetta Giulia Arpino nel 1625. Sembra quasi che il vivere degli ebrei santafioresi libe- ramente mescolati con i cristiani favorisse le conversioni, specie tra le donne ebree.
Nella vertenza riguardante líeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli Ë significativa líaf- fermazione degli ebrei che la moglie di Israel Pelagrilli non era da reputarsi i- donea a fornire garanzie, ìessendo forestiera e senza alcun affetto in Santa Fio- raî. CiÚ dimostra che ai primi del ë700 gli ebrei di santa Fiora, presenti in loco da circa due secoli e mezzo, avevano ormai un forte radicamento alla piccola patria locale, fatto di relazioni, di parentele, di affetti, e percepito chiaramente da loro stessi, come indica anche la clausola inserita da Giacobbe nel suo testa- mento che la sua eredit‡ non si poteva ìlevare dalla Contea di Santa Fioraî.
La decadenza della Comunit‡ ebraica fino allíestinzione
La tarda istituzione del ghetto nel 1714 costituÏ un primo colpo, forse pi ̆ mora- le che materiale, alla Comunit‡ ebraica di Santa Fiora, che forse percepÏ i primi segnali di difficolt‡, vivendo negativamente anche la dispersione dellíeredit‡ di Giacobbe Pelagrilli, che impedÏ líattuazione del lascito istituito con il testamen- to del 1718. Certamente líistituzione del ghetto venne per la prima volta a limi- tare e a modificare i Privilegi degli ebrei, da tempo punto di riferimento e sal- vaguardia della Comunit‡, in particolare riguardo al capitolo V, che prevedeva
che gli ebrei potessero abitare liberamente in santa Fiora ìsenza che siano mai costretti a far Ghettoî. Comunque vi erano ancora ebrei dediti al traffico, come Flaminio da Santa Fiora, che troviamo nel 1724-1725 a Gradoli in attivit‡ con altri ebrei di Pitigliano e del Monte S. Maria. Forse ad aumentare le difficolt‡ contribuirono gli effetti dellíassenteismo dei feudatari e della loro consolidata abitudine, di concedere in affitto tutti i beni della Contea, dietro corresponsione di un prezzo sicuro e predeterminato, un sistema ormai diffuso tra la nobilt‡ dellíepoca, che permetteva di non occuparsi della faticosa gestione dei beni e di vivere lontano, in citt‡, affidando a qualche funzionario e per la sua parte allí- Affittuario il governo e la gestione del feudo. CosÏ erano possibili malversazio- ni e disordini di vario genere, a cui si aggiunsero gli abusi del Duca Giuseppe, sempre a caccia di nuove entrate, come dimostrÚ líinchiesta svolta nel 1744 dal Capitano di Giustizia di Siena Lodovico Armaleoni, appositamente incaricato dal Granduca di Toscana. Gli abusi riguardarono anche la Comunit‡ ebraica, costretta dal Duca intorno al 1733 ad una ingiustificata esazione di 300 scudi, per la quale gli ebrei santafioresi ìfurno fatti gravare in tanti argenti, anelli e altre robbe, che gli furono fatte vendere a bando con loro gravissimo pregiudi- zio, essendo stati venduti gli argenti per 28 crazie líoncia a peso di stadera e per uno scudo líuno gli anelli senza pesargliî.
Inoltre il Duca Giuseppe alcuni anni prima dellíinchiesta, aveva obbligato il mercante ebreo Giuseppe Sorano, facendolo mettere anche in carcere, a fornitu- re gratuite o sottocosto per le livree dei servitori, ed aveva continuato a percepi- re 20 scudi líanno dal banchiere ebreo, gi‡ autorizzato dal padre Duca Gaetano Sforza-Cesarini ad esercitare il prestito al tasso del 18% líanno per gli abitanti della Contea e a quello del 24% líanno per i forestieri; tale autorizzazione perÚ era considerata abusiva, anche alla luce del divieto contenuto nella Bolla ponti- ficia del 1682. Riguardo al banco ebraico, líArmaleoni, pur dichiarando che ìquestíusura non si puÚ permettere nÈ Ë lecito al feudatario esigere la tassa da chi tiene tal bancoî riconosceva pure che ìpar necessario per questi poveri sudditi che vi sia col‡ chi presti sopra i pegniî.
La decisione finale del 1747 obbligÚ a ìlevarsi il banco che presta ad usura e restituirsi allíebreo quanto ne avevan percetto i due ultimi Duchi alla ragione di 20 scudi líanno, riservando a chi avesse impegnato per la repetizione delle usure le ragioni da sperimentarsi contro chi di giustizia Öî.
Non Ë improbabile perÚ che il Duca Gaetano non avesse fatto altro che autoriz- zare un ebreo (Abramo Levi?) ad esercitare il banco, in continuit‡ con quanto ormai da secoli si praticava a Santa Fiora, il cui banco di prestito sarebbe dura- to fino agli anni 1746-1747, qualificandosi cosÏ come il pi ̆ longevo tra quelli conosciuti della Toscana e dellíItalia centrale. Lo stesso Duca Giuseppe confer- mÚ lí11 maggio 1744 i tradizionali Privilegi degli ebrei di Santa Fiora, nono- stante i dissapori con il Vescovo di Citt‡ della Pieve.
Un documento, privo di data ma allegato alle copie dei Privilegi del 1708 e alla conferma del 1744, contiene ìvari capi di lite mossa dal Vescovo della Pieve
con il Conte di Santa Fiora circa gli ebrei del suo Stato e altroî. Non Ë chiaro se possa riferirsi ai primi del ë700 o alla conferma del 1744, tenendo anche conto del riferimento che vi si trova al banco ebraico (quello autorizzato dal Duca Gaetano?). Tale documento co-
munque Ë illuminante circa i contrasti tra líautorit‡ feudale e quella ecclesiastica riguardo alla situazione esistente a Santa Fiora. Esso Ë redatto in lingua latina con precisi riferimenti giuridici su ciascuna controver- sia aperta, a firma dellíavvocato Francesco Paolucci e rafforzato dallíautorit‡ del cardinal Mellino per conto del Vescovo pievese, e riguarda non solo gli ebrei, ma anche altre questioni come líalienazione di beni ecclesiastici e la proibizione di fare il mercato di domenica. Riguardo agli ebrei si insiste sul fatto che nessun laico puÚ concedere nel suo Stato la facolt‡ di esercitare attivit‡ feneratizia, che non si poteva permettere agli ebrei il libero commercio di carne ìsciattataî tra i cristiani (come era permesso dal capitolo VI dei Privilegi), che era necessario che gli ebrei portassero il segno perchÈ la Terra di Santa Fiora era frequentata da donne forestiere, a cui gli ebrei potevano facilmente presentarsi ìsub velo christianorumî (sotto apparenza di cristiani). La conferma dei Privilegi nel 174- 4, pur importante, non sembra perÚ pi ̆ sufficiente a garantire la Comunit‡ e- braica santafiorese, che appare in una delicata fase di stagnazione, se non di re- gresso, messa in difficolt‡ anche dagli atteggiamenti contradditori dei feudatari, che da una parte continuavano a mantenere gli antichi Privilegi, dallíaltra li li- mitavano, cedendo a spinte diverse con líistituzione del ghetto nel 1714, e sot- toponendo gli ebrei ad abusi per la necessit‡ di denaro dovuta al loro indebita- mento. La conferma del 1744 riporta alla fine la fede di David di Angelo Sora- no, il quale ìtacto calamo more hebreorumî giurÚ di riconoscere come autenti- ca la propria sottoscrizione, li approvÚ e promise di adempierli. Non Ë specifi- cato a quale titolo David Sorano sottoscrisse i capitoli nÈ se lo fece a nome de- gli altri ebrei. Forse la Comunit‡ ebraica di Santa Fiora non era pi ̆ in grado di esprimere cariche proprie e gli ebrei erano occasionalmente ed indirettamente rappresentati da uno un poí pi ̆ eminente fra loro? Sembra proprio che i fratelli David e Giuseppe Sorano (o Sorani) fossero in quegli anni gli ebrei pi ̆ rappre- sentativi tra quelli santafioresi, anche per capacit‡ e relazioni economiche. Giu- seppe Sorano nel 1728 gi‡ godeva importanti esenzioni (di non portare il segno, di abitare fuori del ghetto, di portare armi non proibite ecc.) ed aveva nominato Abramo di Angelo Levi, ormai residente a Pitigliano, per godere gli stessi dirit- ti, secondo il Decreto granducale del 1723, che consentiva líestensione di privi- legi ad un compagno e alla sua famiglia. Non a caso ambedue i fratelli Sorano furono coinvolti nel grosso affare dellíaffitto della Contea di Santa Fiora, che eccezionalmente fu affidato ad imprenditori ebrei. Infatti il 12 aprile 1742 líe- breo Salomone Servi di Pitigliano ottenne líaffitto della Contea dal Duca Giu- seppe Sforza-Cesarini per tre anni, al prezzo di 2400 scudi allíanno; successi-
vamente intorno al 1744 il Servi subaffittÚ la Contea a David Sorano per 2600 scudi. Certamente líaffitto ad ebrei costituisce un fatto piuttosto eccezionale, tanto che il Servi usÚ la cautela di farsi rappresentare da un cristiano: Ludovico Petri, che firmÚ il contratto di affitto in Roma; in seguito Salomone Servi riuscÏ ad ottenere anche líaffitto novennale della Contea della Triana dai Signori Pic- colomini nel 1749. Nelle clausole del contratto di affitto della Contea di Santa Fiora compare il seguente capitolo:
ìChe tanto líEbrei che presentemente abitano in Contea quanto altri forestieri che potessero sopravvenire o venissero a prendere casa nella medesima, siano tenuti e obbligati Ö a pagare a detto Affittuario tutti li dazi e pesi, alli quali so- no stati e sono presentemente sottoposti tutti glíaltri e nel modo e forma che sono stati pagati allíantecessori di S. Eccellenzaî.
Tra le entrate della Contea di Santa Fiora infatti figuravano 10 scudi per la tassa per fuoco dellíUniversit‡ degli ebrei, altri 20 scudi per dazio del grano e 24 scudi per il banco dei pegni. Evidentemente negli anni intorno al 1742-1744, oltre alla conferma dellíesisten-
za del banco di prestito, vi erano ancora a Santa Fiora dieci famiglie di ebrei, considerato che essi pagavano uno scudo per fuoco allíanno, come previsto nel capi- tolo II dei loro Privilegi. Líaffitto del Servi aprÏ la stra- da ad un altro grosso imprenditore ebreo di Siena: Gia- cobbe di Salomone Orvieto, che ottenne a sua volta il 26 marzo 1746 líaffitto per nove anni, al solito prezzo di 2400 scudi allíanno, della Contea di Santa Fiora da donna Maria Giustiniani, rimasta vedova del Conte Giuseppe Sforza Cesarini, deceduto il 14-8-1744. Giacobbe Orvieto subentrÚ a Francesco Canale, che aveva preso líaffitto il 26 marzo 1745, ma poi non ave- va rinnovato la fideiussione di garanzia. Nel 1746 Giacobbe subaffittÚ a Giu- seppe Sorano lo spaccio del sale per Castellazzara, mentre nel febbraio 1748, in conseguenza della sentenza di condanna degli Sforza del 23 febbraio 1747 a seguito dellíinchiesta Armaleoni, fu intimato allíAffittuario di non pagare pi ̆ le rate di canone agli eredi del defunto Giuseppe Sforza, ma di versarle al Camer- lengo della Comunit‡, finchË la stessa Comunit‡ e i creditori non fossero soddi- sfatti. Non sembra che líaffitto ad ebrei migliorasse lo stato dei loro correligio- nari di Santa Fiora, eccetto le opportunit‡ offerte ai fratelli Sorano, anche per- chÈ gli Affittuari israeliti vennero accusati di notevoli abusi, malversazioni e danni nella loro gestione, tanto che un tal Andrea Vanni il 26 agosto 1752 pre- sentÚ al Conte Sforza un ìMetodo per espellere pi ̆ sollecitamente gli Ebrei Af- fittuari di Santa Fioraî. Tra le altre cose si segnalava ìlíesterminio di tante vi- gne, del Giardino, della Peschiera, della Ferriera Ö con esser di pi ̆ stati ta- gliati, sino con lo sbarbico delle radici, tanti alberi di pere e di frutti singolariî nonchÈ di avere fortemente danneggiato e ridotto in porcile i Palazzi di Selvena
e della Sforzesca. Nella prima met‡ del í700 il gruppo ebraico di Santa Fiora, come gli altri della zona, intensificÚ i rapporti con la Comunit‡ di Pitigliano, che si stava ormai affermando come la pi ̆ forte, avvian- dosi a raggiungere alla met‡ del secolo le 200 unit‡. Pro-
babilmente il gruppo ebraico di Santa Fiora venne in parte alimentato dalla stessa Comunit‡ di Pitigliano in un rap- porto di emigrazione-immigrazione attraverso lo sposta- mento e la circolazione di famiglie israelitiche nei centri delle vicine Contee. Non Ë improbabile che gli stessi Da- vid e Giuseppe Sorano, il cui cognome Ë spia della loro provenienza, fossero giunti a Santa Fiora passando per Pitigliano; altri ebrei pitiglianesi intrattenevano rapporti con quelli di Santa Fiora, come Abramo della Pergola, che alla sua morte nel 1745 risultava debitore di 5 scudi alla ìscolaî santafiorese. Qualche decennio dopo, negli anni 1770-1880, gli ebrei santafioresi risultano ridotti a sei famiglie per circa 20 persone a fronte di una popolazione di 262 famiglie Santa Fiora, ormai in miseria, vivendo ì di poca industria, di piccoli affitti e di bestiameî, come afferma una visita pastorale del 1777. Essi non erano pi ̆ in grado di mantenere un rabbino, cosÏ nelle loro feste nella Sinagoga, dove si conservava- no ancora sei bibbie scritte in ebraico, chiamavano ìun sottorabino Ö da Piti- gliano, lo mandavano a prendere e li pagavano il viaggio e líincomodoî. Sono i sintomi della fine ed Ë dunque credibile che non molti anni dopo la Comunit‡ di Santa Fiora sia giunta allíestinzione e il suo aronoth sia stato portato, come oltre un secolo prima quello di Castro, a Pitigliano, rimasta ormai líunica Co- munit‡ ebraica della zona dei feudi ed erede di tutte le altre. Non Ë ben chiaro se la residenza a Santa Fiora, ancora ai primi dellí800, della famiglia dellíebreo Giuseppe Colombo ìpovero trafficanteî, morto nel 1818, costituisca líultimo residuo della gi‡ florida Comunit‡ ebraica santafiorese o se rientri ormai nel fenomeno di disseminazione nei centri vicini di ebrei pitiglianesi, che continua- vano a mantenere perÚ stretti legami spirituali e religiosi con la Contea di Piti- gliano e la sua Sinagoga.
Elenco di ebrei che hanno abitato in Santa Fiora
N.B.: Gli anni riportati, anche come date estreme, sono quelli reperiti nei docu- menti, perciÚ non Ë escluso che i singoli ebrei abbiano vissuto a Santa Fiora anche prima o dopo, nÈ che nellíintervallo di anni qui indicato possano aver trascorso qualche periodo altrove, considerata la loro facile mobilit‡. Si avverte anche che sono espressamente indicati pochi casi dubbi, per i quali la documentazione non da certezza
1465 - Ventura di Abramo; moglie Belladonna di Dattilo di Foligno 1562-1564 - David di Isacco de Pomis medico, proveniente da Pitigliano
1573- (morto intorno al 1576) - Simone di Consolo de Pomis da Spoleto, banchie- re proveniente da Proceno, con la moglie Speranza di Sciamuello e i figli Alessan- dro (il maggiore, nato circa nel 1575), Consolo e Ventura, poi emigrati a Scansano nel 1576
1573-1576 - Rubino di Consolo de Pomis, fratello di Simone, proveniente da Ca- stellazzara, poi emigrato a Scansano con la cognata e i nipoti nel 1576 fino al 1580 1573 - Crescenzio di Mele da Pitigliano, moglie Giulia di Bonaventura de Pomis 1581- Pompeo di Bonaiuto
1582 - (morto líanno 1600) - Febo di Salomone da Castro; moglie Perna di Gia- cobbe 1584- (morto ante 1588) - Patrizio di Rubino de Pomis, agente responsabile del banco di Santa Fiora; moglie Giammilla di Salomone Ason di Matelica con la fi- glia Vrizia
1584-1589 - Salomone díAbramo, mercante con bottega; figlia Dolce, che sposa Sabatuccio di Jacob 1584-1600 - Daniele di Samuele díArpino, commerciante con bottega, Camerlen- go della Comunit‡ nel 1584; moglie Cremosina
1584-1590 - David di Daniele Levi, commerciante con bottega 1584 - Salomone bastaio 1584 - Prospero 1584-1604 - Samuele di Benedetto detto Sciamuello, commerciante, proveniente da Arcidosso; moglie Lavinia di Leone con i figli Benedetto, Davittone, Alessan- dro, Abramo, Speranza, moglie del banchiere Simone de Pomis
1584-1602 - Alessandro di Sciamuello, esiliato dalla Contea nel 1602 1584- 1602 - Davittone di Sciamuello, condannato in contumacia perchÈ fuggito da Santa Fiora nel 1602 1584-1604 - Abramo di Sciamuello, condannato per omicidio e carcerato fino al 1604, quando la pena fu commutata allíesilio perpetuo; moglie Fiordispina di Leo- ne 1584-1602 - Benedetto di Sciamuello, esiliato dalla Contea nel 1602, moglie Cri- stina, figlio Samuele 1584- 1601 - Samuele di Benedetto, emigrato a Piancastagnaio alla fine del 1601 1586- 1601 - Consolo di Simone de Pomis, banchiere 1586 - MosË di Prospero 1586 - Daniele bastaio 1588-1600 - Sabato di Jacob detto Sabatuccio; moglie Dolce di Salomone, da lui ripudiata per voler diventare cristiana 1588 - Giuseppe di Jacob, fratello di Sabatuccio ante 1589-1590 - Angelo di Samuele da Cori, agente del banco di Simone de Po- mis 1589 - Raffaele 1600 - Ventura (di Simone de Pomis?) ante 1606 - (morto nel 1614-1615) - Abramo di Daniele díArpino, detto Abramuccio; moglie Vrizia di Siena con i figli Daniele, Samuele e Giulia, fatta cristiana nel 1625
ante1625-ante 1638 - Daniele di Abramo Arpino, facoltoso commerciante, emi- grato a Sorano prima del 1638; sposÚ la figlia di Benedetto díAngelo di Sorano; figlia Prudenza ante 1625 - ante 1638 - Samuele di Abramo Arpino, facoltoso commercante, emi- grato a Sorano prima del 1638; sposÚ in tale anno una figlia del fratello Daniele
1625 - Simone Narni, rabbino, spostatosi a Castro intorno al 1629 e poi a Sorano prima del 1635 post 1626 - ante 1664 - David Borghi banchiere, spostatosi a Sorano intorno al 1664, dove sposa in seconde nozze Prudenza, figlia di Daniele Arpino; figlio Salo- mone delle prime nozze
ante 1632 - Amodio díIsach, emigrato a Sovana nel 1632 1636 - Giuseppe di Cherubino, proveniente da Castro 1650 - Giuseppe di Michele, in affari con i banchieri Passigli di Piancastagnaio post 1649 - (morto nel 1678) - Alessandro da Castro; moglie Gentile e figli Leone (nato nel 1674) e Sabato (nato nel 1676), emigrati tutti a Pitigliano dopo la morte del padre 1698 - (morto prima del 1728) - Angelo Levi, emigrato a Pitigliano insieme al fi- glio Abramo dopo il 1718 1698-1718 - Abramo di Angelo Levi, banchiere (?), emigrato insieme al padre do- po il 1718 a Pitigliano, dove abitava ancora nel 1728 ante 1718 - Giacobbe di MosË Pelagrilli, morto nel 1718, moglie Allegrezza, figlia Stella ante 1718 - Israel di MosË Pelagrilli, con moglie forestiera e almeno una figlia, trasferitosi a Casteldelpiano poco dopo il 1718 ante 1718 - Abramo Passigli, morto nel 1718-1719; moglie Speranza, fattasi cri- stiana dopo la morte del marito 1718 - Samuele Levi 1718 - Samuele Cetona ante 1718 - Alessandro Palombo, morto prima del 1718; moglie Stella di Giacob- be Pelagrilli con figlio Samuele. Non Ë certa la residenza a Santa Fiora 1718 -Angelo Solitario; figlia Tala. Non Ë certa la residenza a Santa Fiora 1718 -1750 - Giuseppe di Angelo Sorano (o Sorani), commerciante, figlia Gentile. 1724 - Flaminio 1744-1750 - David di Angelo Sorano (o Sorani) ante 1818 - Giuseppe Colombo, morto nel 1818; moglie Stella Levi con figlio Sa- muel
Gli ebrei nella Toscana meridionale
Roberto G. Salvadori
A partire dal XVI secolo ñ e cioË dallíinizio dellíet‡ dei ghetti o, come la chia- mava il Milano, líet‡ dellíoppressione ñ la condizione delle singole comunit‡ ebraiche in Italia si fa sempre pi ̆ differenziata, tanto dal punto di vista giuridi- co che da quello sociale (poichÈ situazione di diritto e situazione di fatto si inte- grano a vicenda). Il fattore determinante di queste distinzioni, talvolta profon- de, Ë la frammentazione della penisola in una molteplicit‡ di Stati, i cui gover- ni, posti dinanzi al problema del comportamento da tenere nei confronti della minoranza ebraica presente nel loro territorio, adottano provvedimenti diversi. Anche quando, tra la seconda met‡ del XVI secolo e la prima met‡ del XVII, il principio di recludere gli ebrei in quartieri a loro appositamente destinati viene adottato quasi dovunque e sembrerebbe, quindi, costituire un criterio unificato- re, le norme che regolano i vari ghetti sono tra loro diverse e diverse sono le in- terpretazioni che il governo ne d‡. Ossia, gi‡ diverse in sÈ, si diversificano ulte- riormente attraverso il tempo. Spesso esse sono líespressione del volere del Principe o del Pontefice, delle variabili finalit‡ politiche che si propone e, tal- volta, del suo arbitrio o del suo capriccio. Naturalmente, anche a proposito di questo fenomeno cíË da tener conto del fatto che il passato grava sul presente. Nemmeno il periodo precedente ñ quello della istituzione e della attivit‡ dei banchi di pegno -, tra XIV e XVI secolo, ha conosciuto uníomogeneit‡ della condizione ebraica in Italia. Per pi ̆ motivi, se non ogni banco, ogni gruppo di ebrei impegnati nel commercio del denaro ha avuto una sua propria configura- zione, dipendente da condizionamenti sia esterni che interni. Sarebbe sufficien- te a testimoniarlo líafflusso verso il nord di prestatori romani e la quasi contem- poranea discesa verso il sud di prestatori provenienti dalla Germania, dovuti, líuno e líaltra, a motivazioni tra loro diverse che generano, sÏ, intrecci, ma an- che rivalit‡. Non solo. PuÚ accadere che anche nellíinterno di uno stesso Stato le varie comunit‡ ebraiche che ne sono ospiti ricevano un trattamento differen- ziato. » questo il caso della Toscana. Se prendiamo in esame le cinque keilloth principali che vi sono presenti, nella seconda met‡ del XVII secolo e fino ad oggi note ñ Livorno (che fa tuttíuno con Pisa), Firenze, Siena, Pitigliano, Mon- te San Savino ñ il fenomeno balza agli occhi con assoluta evidenza. Livorno fa testo a sÈ. Dalla data della sua nascita (1593) la comunit‡ ebraica, a maggioran- za sefardita, gode di privilegi che non trovano riscontro non solo in Toscana, ma in tutta Italia . » vero: non si tratta di diritti nÈ, tanto meno, di uguaglianza con gli altri sudditi del Granducato di Toscana. La condizione giuridica degli ebrei livornesi rimane squilibrata e, per alcuni versi, inaccettabile, almeno in rapporto al nostro modo di sentire. Ad esempio, sono esclusi dallíaccesso allíu- niversit‡ di Pisa, con alcune eccezioni che riguardano la medicina, e non hanno accesso alle cariche pubbliche. I matrimoni misti sono proibiti. Il culto che essi
professano Ë tollerato ed Ë sottoposto ad alcune limitazioni (soprattutto nel pe- riodo dellíInquisizione). Ma per altro verso gli ebrei sono fortemente tutelati. La libert‡ di commercio, entro i limiti delle leggi vigenti, Ë garantita e anzi
favorita. Gli ebrei godono del diritto di propriet‡ di beni immobili. A Livorno vi Ë un quartiere in cui essi si concen- trano pi ̆ che altrove, ma non vi Ë un ghetto. Non cíË ombra del segno a cui sono obbligati i correligionari che vi- vono nelle altre localit‡. Ecc. Le altre comunit‡ ebraiche toscane guardano a Livorno come a uníoasi, oltre che di benessere, di sicurezza sociale, di rispetto, di dignit‡. La ìLivorninaî ñ ossia le disposizioni o ìlettere patentiî emanate dal Granduca Ferdinando I, appunto nel 1593 ñ viene vista come un modello insuperabile per regolare i rapporti tra mondo ebraico e mondo cristiano e ad essa fanno costante riferimento le peti- zioni, volte a chiedere líannullamento o líattenuazione di provvedimenti op- pressivi e talvolta odiosi, avanzate dagli altri ebrei toscani. Allíaltro estremo,
rispetto a Livorno, stanno gli ebrei dei ghetti di Firen- ze e di Siena, dove líoppressione si dispiega in modo pieno e continuato e, tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII, con Cosimo III, si muta in una vera e propria vessazione. Una vita squallida in un ambiente squallido. Un lungo, oscuro e tormentoso cammino che va dalla istituzione del ghetto (1570) allíavvento sul trono granducale della casa di Lorena (1738). Dif- ficile (e anche poco significativo) stabilire delle com- parazioni tra Firenze e Siena, ma probabilmente la condizione peggiore toccava agli ebrei fiorentini, a causa della maggiore vicinanza con il centro del pote-
re, un potere ostile e incombente. In uníaltra posizione ancora sono le comunit‡ periferiche, talvolta piccole, co- me quelle di Pitigliano e Sorano (anche se la prima Ë destinata a una crescita notevole che si verificher‡ soprattutto nella prima met‡ del XIX secolo), talvol- ta addirittura minuscole, come quelle di Monte San Savino, di Lippiano e Gioiello (poco pi ̆ di cento persone nel primo caso, meno di cento nel secon- do). Tuttavia queste limitate dimensioni, con il concorso di una collocazione geografica marginale e con la protezione di cui godono dei poteri locali, procu- rano loro dei vantaggi non trascurabili. Líautorit‡ centrale le dimentica, o, al- meno, non le raggiunge con la stessa prontezza e con la stessa efficacia che ri- scontriamo a Firenze e a Siena. Le regole della chiusura del ghetto non sono cosÏ severe come altrove (per quel che riguarda Monte San Savino Ë dubbio che
un ghetto vi sia stato: gli ebrei vivono in uníunica strada in cui le loro case si alternano con quelle dei cristiani e in cui si affaccia anche un monastero femminile). » consentito svolgere attivit‡ commerciali e artigiane: si tratta di poca cosa,
certo, (merciai ambulanti, calzolai, sarti, ecc.) ma in paesi contadini, afflitti da una povert‡ secolare, tale da porre chi le esercita in una condizione, comparativa- mente, superiore alla media. Gli ebrei di Pitigliano, poi, come quelli livornesi, godono del diritto di pro- priet‡ immobiliare. Poco o nulla siamo in grado di di- re intorno alla comunit‡ che si sarebbe tentato di far nascere, alla fine del XVII secolo, a Piombino, sul modello della ìLivorninaî, per opera del signore di quella localit‡. Assai pi ̆ tardi ñ nella prima met‡ del XIX sec. ñ si costituiscono le due piccole comunit‡ di Portoferraio e di Arezzo (questíultima Ë nientíaltro che líeffetto del dissolvimento delle comunit‡ di Monte San Savino e di Lippiano-Gioiello, avvenuto alla fine del secolo prece- dente), ma anchíesse restano poco significative. Le vicende degli ebrei in To- scana (e in Italia) sono state molto a lungo ignorate o conosciute in termini molto approssimativi e spesso inesatti. Con poche eccezioni, delle quali diremo subito, gli studi pi ̆ validi appartengono tutti alla seconda met‡ del XX secolo. I motivi della trascuratezza precedente sono da ricondurre al fatto che tutto líin-
teresse era assorbito, tanto da parte ebraica che da parte non ebraica, dalle questioni religiose non da quelle storiche. Per gli ebrei ciÚ che contava veramente era la Tor‡h e il suo inse- gnamento perenne e, in certo modo, senza tempo, e per i non ebrei il popolo deicida me- ritava attenzione soltanto come minoranza da condurre, talvolta con la persuasione e talvolta con la forza, alla verit‡ del cristianesimo. Non vi Ë dubbio che gli eventi della seconda guerra mondiale abbiano convinto tutti quanti dellí- opportunit‡ di ricostruire meglio il cammino che aveva condotto a una conclusione cosÏ tra-
gica come quella della shoah. In poco tempo gli studiosi di entrambe le parti ñ in molti casi in modo complementare ñ hanno tessuto una fitta rete di narrazioni che copre gli aspetti essenziali della vita degli ebrei della diaspora, dovunque. Sono nati centri di documentazione, si sono investigati archivi o fondi di archi- vio prima lasciati nellíoblio, se ne sono costituiti di nuovi, sono sorte bibliote- che specializzate, si sono approntati strumenti di ricerca, bibliografie, enciclo- pedie, repertoriÖ Si Ë fatto un lavoro gigantesco che ha colmato gravi lacune che datavano da secoli. Ovvia la preminenza degli interessi per gli accadimenti pi ̆ vicini a noi nel tempo ñ le indagini su Auschwitz dominano il campo - ma
ci si Ë resi conto che per capire Auschwitz (o, per meglio dire, per avvicinarsi maggiormente alla sua incomprensibilit‡) occorreva sondare il passato, anche quello pi ̆ remoto. Per quel che riguarda la Toscana Ë necessario ricordare, pri- ma di tutto, un saggio che serve da modello o, ad ogni modo, da riferimento per la gran parte di quelli che lo seguono nel tempo: Gli Ebrei a Firenze nellíet‡ del Rinascimento, di Umberto Cassuto, pubblicato per la prima volta nel 1918 e poi ristampato, non a caso dopo il conflitto mondiale nel 1965, quando ormai gli interessi per la storia ebraica si sono ridestati. Una documentazione archivi- stica affrontata con rigore critico e una narrazione serrata e organica mettevano in luce, per la prima volta, il significato della presenza ebraica in Firenze e pi ̆ in generale in Toscana, non pi ̆ limitatamente alle pur importanti questioni eco- nomiche, ma anche nella sua dimensione culturale e sociale. Gli avidi e sordidi usurai dipinti dalla letteratura corrente rivelavano il loro volto di uomini che si occupavano di affari, sÏ, ma che sapevano unirvi líamore per la letteratura, per le tradizioni religiose, per la filosofia. Segue un lungo intervallo di tempo che coincide, grosso modo, con il fascismo e che, dal punto di vista storiografico, potrebbe definirsi di assenza, di silenzio, anche se, dal punto di vista propagan- distico, soprattutto a partire dalle leggi razziali del 1938, Ë stato occupato da una squallida letteratura di invettive e di calunnie che hanno come loro riferi- mento, da un lato (e pressochÈ obbligatoriamente) i
Protocolli dei Savi di Sion, pubblicati in Italia nel 192- 1, e, dallíaltro, il mensile ìLa Difesa della Razzaî, di- retto da Telesio Interlandi, volti entrambi a dare degli ebrei e dellíebraismo uníimmagine quanto pi ̆ falsa e distorta fosse possibile. Nemmeno negli anni che se- guono immediatamente la seconda guerra mondiale si nota un interesse per la storia ebraica, locale o regio- nale. Si possono citare le poche pagine dedicate da Nello Pavoncello alla comunit‡ di Siena, e poco pi ̆. Poi líattenzione si desta, quasi improvvisamente, in- torno al 1975.
Da allora in poi gli studi sullíargomento si succedono gli uni agli altri, si intrec- ciano fra loro con una serie di rinvii che finiscono con il comporre una rete molto fitta alla quale ben poco sfugge di una realt‡ fino ad allora ignorata, rive- landone líimportanza in sÈ e nei suoi rapporti con líambiente circostante.
Nel 1974 si ha líavvio delle pubblicazioni di Michele Luzzati con un saggio ñ
Per la storia degli ebrei italiani nel Rinascimento. Matrimoni e apostasia di Clemenza di Vitale da Pisa - che, fin dagli esordi, delinea con chiarezza líambi- to degli interessi prevalenti del suo autore, sia nel tempo ñ il Medioevo e il Ri- nascimento ñ sia nello spazio: la storia degli ebrei in Toscana in generale e nel- líarea pisana, livornese e lucchese in particolare.
Da allora in poi uníattivit‡ di ricerca molto intensa porter‡ il Luzzati a costitui- re il principale riferimento per gli studiosi della storia dellíebraismo toscano,
soprattutto per quel che riguarda líorganizzazione e il significato dei banchi di prestito, in ogni loro dimensione, economica, sociale, culturale. Dieci anni dopo (per líesattezza, nel 1985) i saggi che via via erano apparsi in questo intervallo, saranno raccolti, in gran parte e con pi ̆ di una novit‡, in un volume díinsieme che rappresenta una tappa importante in un cammino che tut- tíoggi prosegue.
Nel 1977, Michele Cassandro fornisce agli studiosi un utile strumento di ricer- ca con il saggio Per la storia delle comunit‡ ebraiche in Toscana nei secoli XVI e XVII, una rassegna bibliografica ragionata che raccoglie quanto di rilevante era uscito sullíargomento fino a quella data.
Una decina díanni dopo, lo stesso Cassandro amplier‡ e aggiorner‡ questo suo primo lavoro con il saggio Sulla storia economica degli ebrei in Italia nei seco- li XV-XVII. Pi ̆ tardi (1991) ñ e sempre con líintento di provvedere di utili sus- sidi coloro che si occupano dellíargomento ñ il Luzzati scriver‡ Su alcuni a- spetti della documentazione sugli ebrei negli archivi toscani.
Nel giro di pochi anni gli studi sugli ebrei toscani si moltiplicano. Prosegue líintensa attivit‡ di ricerca del Luzzati, sempre con preferenza per Livorno, Pisa e Lucca. Inizia líinteresse per la Toscana meridionale (coincidente, allíincirca, con le attuali province di Siena, Arezzo e Grosseto).
Degli ebrei senesi si occupano, soprattutto, il Cassandro e Sofia Boesch Gaja- no. Il Cassandro dapprima indaga sul Cinquecento e poi estende la sua attenzio- ne al Seicento. La Boesch Gajano esamina il periodo del Basso Medioevo. Ancor prima Giuseppe Celata e Angelo Biondi cominciano a gettar luce sugli ebrei di Pitigliano, Sorano e Sovana, proseguendo e approfondendo gli studi, gi‡ citati, di Evandro Baldini.
Nel 1987 appare Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ́di confi- nea (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano), di Ariel Toaff. Si tratta di poche pagine che rappresentano, perÚ, lo sfocio e il compendio di ricerche i cui primi frutti erano apparsi una ventina díanni prima.
Il Toaff mostra come e perchÈ sono nate, ai margini della Toscana, queste pic- cole comunit‡, tra il XVI e il XVII secolo. Il fenomeno, certo, non era ignoto, ma ora emergono con chiarezza le cause che lo determinano: si tratta, quasi esclusivamente, di ebrei cacciati, a pi ̆ riprese, dallo Stato Pontificio e che trovano rifugio in territori di confine con lo Stato pi ̆ vicino, e cioË con la Toscana.
Questi ìluoghi díasiloî (concepiti, verosimilmente, come provvisori, in attesa di un rientro nelle localit‡ díorigine in periodi meno tempestosi che, perÚ, non verranno) sono resi possibili dallíaccoglienza che riservano agli ebrei i feudi di cui Ë ancora composto il Granducato e che, senza avere alcuna autonomia poli- tica, ne hanno perÚ una amministrativa.
I signori di queste ìconteeî e ìmarchesatiî vedono con un certo favore questi insediamenti come fattore di incremento demografico e come mezzo per pro- muovere attivit‡ economiche, commerciali e artigiane, svolte tipicamente dagli
ebrei. Gli Orsini ñ signori di Monte San Savino, dopo esserlo stati di Pitigliano e Sorano ñ arrivano fino a consentire líingresso nel loro feudo agli ebrei ricercati dalla giustizia per debiti, purchÈ non contratti con sud- diti del marchesato. Sulla scia dellíinterpretazione del Toaff si pongono i miei lavori, che ne confermano la piena validit‡, dapprima rivolti a Monte San Savino e, subito dopo, a Pitigliano.
Naturalmente (e fortunatamente) la ricognizione delle vicende ebraiche in Toscana non si arresta qui. Baste- rebbe, per dimostrarlo, ricordare la scoperta, resa nota pochi anni fa, delle comunit‡ di Massa e Carrara, fino ad allora trascurate per non dire del tutto dimenticate.
E, per quanto riguarda la Toscana meridionale, tralasciando il resto, Ë doveroso citare il saggio che dedica allíargomento, in un ambito pi ̆ vasto, Michele Luz- zati, nellíimportante raccolta di saggi, pubblicata da Einaudi, tra il 1996 e il 19- 97, negli ìAnnali 11î della Storia díItalia.
A queste ulteriori indagini e a queste acquisizioni si aggiungono, ora, per meri- to di studiosi locali attenti e sagaci quelle che riguardano le comunit‡ di Santa Fiora e di Piancastagnaio e, in genere, le presenze ebraiche nella zona del Mon- te Amiata.
Allo stato attuale delle ricerche líentit‡ di questi insediamenti ñ che avvengono tra il XVI e il XVII secolo ñ Ë di difficile valutazione, ma, anche se modesta, Ë certamente significativa e non trascurabile. Lo provano il fatto, documentato, che in ciascuno dei due paesi ora ricordati esisteva una sinagoga (anche se líubicazione di questi edifici Ë ricostruita in via ipotetica) e le abbondanti testimonianze archivistiche raccolte.
In questo modo si estende (e, probabilmente, si completa, almeno nelle sue li- nee essenziali) il panorama delle nostre conoscenze sugli ebrei che prendono residenza nelle localit‡ di confine del Granducato di Toscana, per effetto della loro espulsione, decretata pi ̆ volte, dallo Stato della Chiesa. Particolarmente importanti, in questo senso, i bandi del 25 febbraio15-
69 (bolla di Pio V, Hebraeorum gens sola quondam a Deo delecta, che decreta la cacciata di tutti gli ebrei, ad eccezione di quelli abitanti a Roma e Ancona) e quello del 25 febbraio 1593 (bolla di Clemente VIII, Caeca et obdurata) che riprende e conferma questa di- sposizione. In entrambi i casi vi fu un afflusso, certa- mente notevole anche se non quantificabile, verso i feudi, relativamente indipendenti ai confini fra la To- scana e i possessi pontifici.
Tra questi il ducato di Castro (Farnese), le contee di Pitigliano e Sorano (Orsini), di Santa Fiora (Sforza), di
CastellíOttieri e S. Giovanni (Ottieri) e, pi ̆ tradi, del marchesato di Monte San Savino (dove, nel 1608, si trasferiscono gli Orsini che sono stati costretti ad ab- bandonare Pitigliano). La scelta Ë, in certo modo, obbligata. Nel 1569, infatti, Cosimo I, per ottenere il favore del Pontefice e ricevere da lui líambito titolo di Granduca, si mostra altrettanto intransigente nei confronti de- gli ebrei, mutando in proposito radicalmente la sua politica precedente, e vieta líaccesso nei suoi domini diretti degli ebrei espulsi dal Papa.
I profughi non hanno altra risorsa che cercare scampo in quei domini feudali i quali conservano ancora una relativa indipendenza tanto dal Granducato di To- scana che dallo Stato della Chiesa. Tra questi la contea di Santa Fiora. Líabile politica perseguita dai Medici, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, li condurr‡ a entrare in possesso pieno di molti di questi territori, al te- nue prezzo della concessione di una certa autonomia amministrativa; Pitigliano e Sorano vengono unite al Granducato nel 1608, CastellíOttieri e San Giovanni nel 1616, Santa Fiora nel 1633, Monte San Savino nel 1644, ma a quel punto le presenze ebraiche sono un dato acquisito destinato a durare, pi ̆ o meno a lun- go, nel tempo.
Le comunit‡ ebraiche sorte, cosÏ, in queste localit‡ verranno a fine, in vario modo, nel corso del XVIII secolo (quelle di Sorano, CastellíOttieri, Santa Fiora e Piancastagnaio si dissolveranno e quasi svaniranno nel nulla; quella di Monte San Savino conoscer‡, nel 1799, in piena vandea anti-rivoluzionaria e anti- ebraica, il dramma di uníirreversibile espulsione).
Unica eccezione, Pitigliano che continuer‡ a vivere fin quasi ai nostri giorni e, anzi, verso la met‡ dellíOttocento raggiunger‡ le sue massime dimensioni. Se dispieghiamo dinanzi ai nostri occhi una carta geografica della Toscana della prima met‡ del Seicento la vediamo, dunque, disseminata di presenze ebraiche. Piccole comunit‡, piccoli nuclei, talvolta addirittura singole famiglie o singoli individui, ma quasi non cíË luogo in cui non le incontriamo.
Si ripete quello che era avvenuto nel periodo del commercio del denaro tra il XIV e il XV secolo, quando líintera Toscana era stata coperta da una rete di banchi di prestito, ma in una forma sostanzialmente diversa. Ci sono, sÏ, banchieri ebrei in molti di questi paesi e prestatori di denaro ebrei quasi dovunque, ma ñ come ha notato acutamente Ariel Toaff - anche se costo- ro occupano, solitamente, una posizione di relativo maggior prestigio nellíinter- no delle rispettive comunit‡ ebraiche di appartenenza, svolgono ormai, in real- t‡, una funzione del tutto marginale in un contesto sociale, caratterizzato dalla povert‡ ñ per non dire dalla miseria ñ dei borghi rurali di cui sono ospiti.
Ne Ë una testimonianza quello che avviene a Monte San Savino, dove il locale banco di pegno ebraico, sopravvive fino al 1699 (ed Ë líultimo a estinguersi in Toscana e forse in Italia), ma in modo stentato e privo di qualsiasi risonanza e- conomica effettiva.
» ovvio che fra tutti questi ebrei in esilio vi siano tratti in comune, si sviluppino rapporti sociali, abbiano luogo transazioni commerciali, si creino relazioni di
parentela, e via dicendo. Gli ebrei dellíepoca ñ o almeno buona parte di essi: i pi ̆ intraprendenti ñ hanno una mobilit‡ molto maggiore di quello che general- mente viene loro attribuita. I loro traffici, le loro modeste attivit‡ artigiane, una compravendita di tessuti che, nella migliore delle ipotesi, va poco al di l‡ della merceria, il piccolo nego- zio di cianfrusaglie, non hanno ñ certamente ñuna funzione primaria nellíeco- nomia dellíepoca (che, nelle zone sulle quali ci andiamo soffermando, Ë uníe- conomia essenzialmente agricola, pressochÈ di pura e difficile sussistenza), ma ñ oltre a rappresentare una fonte di vita per chi li esercita ñ costituiscono anche un tratto differenziatore rispetto al ceto contadino, da un lato, e a quello dei no- bili e dei notabili, dallíaltro, che nel loro insieme compongono la maggioranza della societ‡, in quellíepoca e in quei territori.
Pur senza volerlo gli ebrei vengono a collocarsi in una condizione di ceto me- dio e la miserrima popolazione contadina dei paesi li giudica ricchi, anche quando non lo sono affatto, non fossíaltro perchÈ non conoscono la dura vita dei campi.
Se al pregiudizio sociale si aggiunge il pregiudizio religioso, si capisce perchÈ fra le due parti, quella ebraica e quella cristiana, continua a esservi una separa- zione e una contrapposizione di fatto che si traduce, poi, in concreto, nella ghettizzazione o nellíobbligo di portare il segno.
Occorre, perÚ, non insistere troppo sullíomogeneit‡ delle comunit‡ ebraiche di confine. Vi sono anche delle differenze non lievi. Una di esse, sulla quale ho insistito in altra sede, Ë quella che vede gli ebrei pitiglianesi titolari di un diritto di proprie- t‡ di immobili (case e terreni) che agli ebrei savinesi Ë negato.
Líorigine di questo privilegio ñ che avvicina Pitigliano a Livorno - riesce oscu- ra, oltre che inaccettabile agli stessi amministratori dellíepoca della contea e tuttavia ogni tentativo di sradicarlo fallisce. Forse una parte almeno della spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che i nuclei di ebrei dispersi nei dintorni, a cominciare da quelli di Santa Fiora godo- no, come ha mostrato il Niccolai, dello stesso diritto.
E con esso anche di quello di poter stipulare contratti di soccida. Questa condizione, del tutto anomala rispetto a quello che avviene a Firenze, Siena e Monte San Savino, Ë di grande importanza per due aspetti: perchÈ d‡ conto della maggiore vitalit‡ della comunit‡ pitiglianese rispetto a quella savi- nese e perchÈ consente un contatto continuo con la popolazione locale renden- dolo anzi indispensabile e facendo sÏ che ebrei e cristiani comincino, finalmen- te, a conoscersi. Nemmeno questo, Ë vero, serve per abbattere gli steccati che sono stati eretti per tenere a distanza gli ebrei e per togliere loro la fantasiosa e temibile imputa- zione di deicidio, ma almeno tiene aperto uno spiraglio nella giusta direzione.
DallíAmiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVII secolo
Angelo Biondi
Recenti studi hanno potuto chiarire che i provvedimenti di restrizione nei con- fronti degli ebrei emanati nello Stato Pontificio nel 1555 e pi ̆ ancora nel 1569, seguiti da quelli di Cosimo dei Medici del 1570 e 1571 in Toscana, provocaro- no una emigrazione di ebrei anche nei piccoli feudi semi-indipendenti, posti al confine tra la Toscana e lo Stato della Chiesa.
Questi staterelli erano la Contea di Pitigliano degli Orsini, che comprendeva Pitigliano, Sorano e Montevitozzo, quella di Castellottieri degli Ottieri, compo- sta da Castellottieri, S. Giovanni e Montorio, e quella di Santa Fiora degli Sfor- za, che dominava su S. Fiora, Castellazzara, Scansano, con líaggiunta di Proce- no e Onano, infeudati loro dal Papa, oltre al pi ̆ consistente Ducato di Castro dei Farnese, il cui ramo minore deteneva la signoria delle terre di Latera e Far- nese.
Si deve considerare poi la Contea del Monte S. Maria dei Bourbon del Monte, posta nella Val Tiberina e di cui facevano parte anche Lippiano e Gioiello; in essa trovarono rifugio gli ebrei di Citt‡ di Castello, dando vita alla Comunit‡ ebraica di Lippiano.
Líautonomia politica di questi feudi consentÏ ai loro Signori di ignorare le di- sposizioni antiebraiche, applicate invece nei territori confinanti dello Stato Pon- tificio e poi del Granducato di Toscana. In alcune delle suddette terre feudali cíerano gi‡ ebrei, come a Castro, a Piti- gliano, a Sorano e probabilmente a Santa Fiora, oltre che nella vicina citt‡ di Sovana, in cui la presenza ebraica Ë attestata almeno dalla fine del Quattrocen- to.
Inoltre a Sovana, ridotta in disastrose condizioni durante la guerra di Siena (1552-1559), nellíambito dei provvedimenti di Cosimo I Medici per risollevar- la aprirono un banco di prestito nel 1565 Laudadio e Isac díAbramo Coen da Viterbo, imparentati con il famoso medico David de Pomis.
Costui, dopo i provvedimenti restrittivi del 1555, era stato a sua volta accolto nei suoi domini dal conte NiccolÚ IV Orsini e aveva prestato servizio a Pitiglia- no, Sovana e Sorano fino al 1561, per passare poi per altri tre anni alle dipen- denze degli Sforza nella Contea di Santa Fiora.
David de Pomis per primo aveva chiamato queste terre ìcitt‡-rifugioî, un ter- mine che si riveler‡ quanto mai appropriato anche per i secoli successivi.
1. Il periodo dei banchieri
» sfuggito finora a chi si Ë occupato delle Comunit‡ israelitiche delle terre feu- dali che líepicentro principale di disseminazione ebraica ñ almeno per le Conte- e sul confine meridionale della Toscana ñ fu principalmente la citt‡ di Castro,
capitale del contiguo omonimo Ducato dei Farnese, costituito nel 1537 da papa Paolo III con i domini aviti per il figlio Pierluigi. La protezione accordata dai Farnese ñ e dal- lo stesso Paolo III ñ agli ebrei portÚ subito
allíapertura di un banco di prestito a Castro nello stesso anno 1537 da parte dellíebreo Sabadullo di Giuseppe da Ancona, con il fa- vore del Duca Pierluigi.
I consistenti lavori di trasformazione urbani- stica ed edilizia, voluti dal Duca nella sua nuova capitale e affidati ad Antonio da San- gallo il Giovane, attivarono nel decennio successivo notevoli flussi di denaro e, unita- mente alle vantaggiosissime condizioni accordate a Sabadullo, favorirono líim- migrazione a Castro di ebrei da vari centri vicini e lontani sia del Lazio che del- la Toscana.
Intorno al 1550 Ë documentata la presenza di ebrei in altre terre dei Farnese, co- me Latera e Valentano, dove fu aperto un banco di prestito da Salomone díIsac Spagnoletto. Mentre non sembra che ebbero conseguenze a Castro i provvedimenti pontifici del 1555, notevole allarme produsse invece la Bolla di Pio V del 1569.
Infatti numerosi ebrei se ne andarono dalla citt‡ e si spostarono nei vicini state- relli autonomi, rafforzando i gruppi ebraici gi‡ esistenti o creando le condizioni per nuovi insediamenti con líapertura di banchi di prestito. CosÏ Amadio di Abramo da Toffia, insieme a Guglielmo di Gabriel da Sovana, aprÏ un banco a Castellottieri, Meluccio di MosË con il figlio Crescenzio tornÚ a Proceno, da cui era venuto a Castro, Simone di Consolo da Spoleto e il fratel- lo Rubino andarono anchíessi ad esercitare il prestito nella Contea sforzesca, rispettivamente a Scansano e a Castellazzara, da cui poco dopo Rubino si spo- stÚ, riunendosi al fratello a Scansano.
In seguito ai provvedimenti di Cosimo dei Medici di concentrazione degli ebrei dei suoi Stati a Firenze e a Siena, Laudadio e Isac díAbramo nel 1571 spostaro- no proprio a Pitigliano il banco, che esercitavano nella vicina citt‡ di Sovana. In tal modo tutti questi luoghi di confine divennero ìcitt‡-rifugioî per gli ebrei, secondo la felice definizione, gi‡ citata, del medico David deí Pomis.
Intorno al 1580 Crescenzio di Meluccio da Proceno aveva esteso la sua attivit‡ di prestatore nella vicina terra di Onano e forse fu lui che tentÚ senza fortuna di aprire un banco anche a Gradoli nel 1589 e a Valentano nel 1594. Anche i nipoti del medico David deí Pomis esercitarono il prestito su pegno nella zona: Consolo deí Pomis era nel 1596 a Scansano, Ventura deí Pomis aprÏ un banco ad Onano, dimostrando notevole intraprendenza in varie attivit‡; allíi- nizio del í600 risulta cointeressato anche al banco di prestito di Pitigliano di I- sac da Rieti, banchiere senese.
Questíultimo a sua volta era subentrato intorno al 1604 ai banchieri Deifebo di Simone, imparentato con i da Rieti, e Giacobbe di Bonaiuto da Modena, che avevano ottenuto la condotta pitiglianese nel 1591. Particolarmente significativa appare la presenza a Pitigliano di un banchiere della famiglia da Rieti, che fino al 1571 avevano esercitato un notevole control- lo sullíattivit‡ bancaria nellíarea senese, anche attraverso rapporti di parentela con vari prestatori.
Altri banchi di prestito ebraici nei feudi di confine sono attestati alla fine del í500 a Sorano con i fratelli Salvatore e Aron Sacerdoti, e a Santa Fiora con A- bramo Arpino. Inoltre a Castro, dopo la smobilitazione seguita alla Bolla pontificia del 1569, poco dopo fu riaperto un banco nel 1577 da Rafael di Salomone Spagnoletti, che vi si trasferÏ da Valentano.
La Comunit‡ valentanese cercÚ di far riaprire sia nel 1590 che nel 1592 un ban- co di prestito, a seguito delle disposizioni di papa Sisto V del 1586, che permise il rientro degli ebrei nello Stato Pontificio fino alla definitiva cacciata del 1593. Comunque pi ̆ tardi, a dimostrazione che i provvedimenti del 1593 non ebbero ancora una volta molto effetto nel Ducato di Castro, fu concessa una nuova condotta di banco a Valentano allíebreo Isac .
A Farnese poi fu aperto un banco di prestito nel dicembre 1600 da Pacifico di Meluccio insieme al figlio Prospero da Castellottieri. Dunque líesistenza tra la bassa Toscana e líalto Lazio di vari staterelli autono- mi, tra loro confinanti, rese disponibili per gli ebrei espulsi o concentrati nelle sole citt‡ di Roma e di Ancona nello Stato della Chiesa, di Firenze e di Siena nel Granducato di Toscana, oltre una decina di terre vicine tra loro, dove poter vivere senza restrizioni e in condizioni generalmente molto pi ̆ favorevoli.
CosÏ Pitigliano e Sorano nella Contea ursinea, Castellottieri in quella ottiera, Santa Fiora e Scansano con Proceno e Onano nella contea sforzesca, la citt‡ di Castro e Valentano nel ducato farnesiano, con Latera e Farnese in Signoria del ramo cadetto, diventarono, grazie ai banchieri ebrei, un vero e proprio ìcircuito del prestitoî, in cui era possibile e molto praticata líintercambiabilit‡ da un luo- go ad un altro.
Díaltra parte il ruolo del banchiere ebreo era essenziale per il prestito in am- bienti rurali, dove annate di cattivo raccolto potevano portare alla rovina nume- rose famiglie. » ben noto che i banchieri ebrei, nello stipulare i capitoli per le condotte di ban- co con Signorie e Comunit‡, oltre a quelle per líattivit‡ bancaria e commercia- le, inserivano anche clausole atte a salvaguardare líesercizio delle pratiche reli- giose (avere una Sinagoga, un cimitero, carne casher ecc.), che comprendevano líimportante libert‡ dallíobbligo di portare il segno distintivo.
I gruppi ebraici, che si formarono nelle terre feudali, si consolidarono attorno ai banchieri, ma dove pi ̆ numerosa fu la presenza di ebrei, cominciarono a diffe- renziarsi anche le attivit‡ economiche nei settori del commercio e dellíartigia-
nato (conciatori, sarti, calzolai, fabbricanti di basti ecc.). In questa zona dei feu- di gli ebrei ottennero e poi mantennero nel tempo alcune condizioni particolar- mente privilegiate, dalla seconda met‡ del í500 generalmente non pi ̆ consenti- te in altre parti, come la libert‡, almeno parziale, dal pagamento di tasse e ga- belle, il godimento di parte o di tutti i privilegi della popolazione locale, la pos- sibilit‡ di prestare su grano, orzo, farina di castagne, vino, quella di fare soccide di bestiame o mezzerie per la sementa con cristiani e soprattutto la possibilit‡ eccezionale di possedere beni stabili. Oltre a ciÚ, potevano vivere liberamente nei centri abitati, senza restrizioni e senza essere separati dal resto della popola- zione cristiana. Queste condizioni eccezionali permisero agli ebrei, partendo dal prestito su pegno, di estendere líattivit‡ commerciale ed imprenditoriale a quasi tutte le forme possibili dellíattivit‡ economica delle zone tipicamente ru- rali in cui si trovavano ad operare. Il commercio ebraico infatti, da quello tradi- zionale delle pannine, si allargÚ anche alla lana, alle pelli e al cuoio, ai metalli usati e lavorati, al legname, alle spezie e a generi particolari, come la carta da scrivere, le carte da gioco ed anche il salnitro e il vetriolo, senza disdegnare quanto poteva capitare dal contrabbando, abbastanza attivo nella zona di confi- ne tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, sebbene questo fenomeno sia stato ancora poco indagato e documentato.
2. Il consolidamento delle Comunit‡ ebraiche nei feudi di confine
Ai primi del Seicento, in un periodo di crisi dovuto a carestie, si ebbero alcune importanti novit‡ nellíassetto politico e istituzionale del territorio di confine della Toscana meridionale. Nel 1601 un nuovo feudo si aggiungeva sullíAmiata a quelli gi‡ esistenti: Piancastagnaio, che veniva eretto in Marchesato e conces- so al nobile Giovan Battista Bourbon del Monte. Subito a Piancastagnaio si in- stallarono ebrei, aggiungendosi cosÏ agli altri gruppi e Comunit‡ vicine.
Nel 1604 gli Orsini, oberati di debiti, cedettero la loro Contea di Pitigliano ai Medici, in cambio del Marchesato di Monte San Savino. Il passaggio fu perfe- zionato nel 1608 con líinvestitura imperiale, cosÏ i Granduchi di Toscana rag- giunsero finalmente líobiettivo, tenacemente perseguito per quasi cinquantían- ni, di disattivare ed assorbire lo staterello di Pitigliano, piccolo ma pericoloso per la sua rilevanza strategica e militare, potendo con le sue Fortezze costituire una grave minaccia o viceversa consolidare il confine meridionale del Grandu- cato. Poco dopo i Medici riuscirono ad acquistare anche Scansano dagli Sforza nel 1615 e Castellottieri con S. Giovanni dagli Ottieri nel 1616. Queste ultime acquisizioni furono aggregate alla Contea di Pitigliano, che rimase autonoma dal resto del Granducato e retta con ordinamenti propri, sicchÈ si creÚ quel par- ticolare organismo amministrativo che prese il nome di ìContea di Pitigliano e annessiî. Anche la Contea di Santa Fiora nel 1633 fu ceduta ai Medici dai conti Sforza, anchíessi indebitati, che perÚ la ricevettero di nuovo in feudo dal Gran- duca, cosÏ la Contea santafiorese rimase a se stante, anche se ormai legata defi-
nitivamente al Granducato di Toscana. Queste importanti modifiche politiche ed istituzionali ebbero notevoli conseguenze per gli ebrei delle localit‡ entrate a far parte dello Stato toscano. Innanzi tutto líavvento dei Medici, visto con preoccupazione, provocÚ líemi- grazione dei banchieri ebrei da Pitigliano, Sorano, Castellottieri e Scansano. Infatti il nuovo regime allíinizio non fu tenero con gli ebrei, che abitavano nei feudi appena acquistati.
Nel 1612 il Granduca Ferdinando I obbligÚ gli ebrei pitiglianesi e soranesi a sborsare 4000 scudi fiorenti- ni, pena lo sfratto dai suoi Stati, per finanziare la co- struzione di una pubblica Fonte e un Acquedotto a Pi- tigliano.
Infine, di fronte allíevidente anomalia di ebrei che vi- vevano liberamente nella Contea a differenza di quelli del Granducato, furono istituiti i Ghetti: a Sorano nel 1619, a Pitigliano nel 1622.
CiÚ non accadde a Scansano e a Castellottieri, proba- bilmente per lo scarso numero di israeliti, che erano rimasti in quelle terre. A Sorano perÚ la formazione del Ghetto avvenne in modo particolare, effettuando la permuta delle case tra gli ebrei e i cristiani del quartiere dove fu istituito il quartiere chiuso. In tal modo gli ebrei rimasero proprietari delle case e riuscirono anche a conservare la propriet‡ di piccoli appezzamenti di terreno.
Simili favorevoli circostanze, nonostante le restrizioni, insieme ad una certa di- namicit‡ commerciale, mantennero gli ebrei soranesi nei primi decenni del ë600 in condizioni complessivamente migliori rispetto ai loro confratelli di Pitiglia- no, costretti nel quartiere chiuso e abbastanza livellati in basso per líemigrazio- ne del banchiere e il salasso economico imposto dal Granduca.
Si spiega probabilmente cosÏ líimmigrazione a Sorano di ebrei facoltosi come i fratelli Daniel e Samuel Arpino e poi David Borghi, tutti venuti da Santa Fiora, e il mercante romano Giuseppe Na- tronai, a cui fu concesso di aprire bot-
tega e tenere casa fuori del Ghetto. Díaltra parte líamministrazione gran- ducale, dopo le prime durezze, ren- dendosi conto del notevole ruolo commerciale, che poteva essere svol- to dagli ebrei della Contea tra lo Stato Pontificio e il porto di Livorno, aveva mitigato di molto i propri atteggia- menti.
CosÏ, non potendo modificare le norme che riguardavano gli ebrei di tutto il
Granducato, agÏ attraverso la concessione di privilegi personali, che in definiti- va interessÚ pressochÈ tutti gli israeliti abitanti nella Contea, a cominciare dallí- esonero dal segno. In tal modo le condizioni di vita per gli ebrei tornarono rapidamente ad essere senzíaltro pi ̆ favorevoli che in altri luoghi, determinando il consolidamento della loro presenza.
Si hanno infatti testimonianze tra la fine del í500 e gli inizi del í600 dellíesi- stenza di Sinagoghe in vari centri della zona feudale, dove ormai si erano for- mate Comunit‡ o almeno gruppi significativi di ebrei: a Pitigliano, dove nel 15- 98 fu eretto il ìtempioî, a Sorano, a Castellottieri, a Scansano, a Piancasta- gnaio, a Proceno.
Le notizie riguardo a questi luoghi provengono in ge- nere dai verbali delle visite vescovili, perchÈ, almeno nella Diocesi di Sovana, a cui appartenevano, il Vesco- vo durante la visita pastorale delle parrocchie era soli- to visitare anche la Sinagoga, controllando come veni- vano tenuti i libri sacri e la Bibbia.
Inoltre Sinagoghe, insieme a cimiteri per gli ebrei, so- no documentate fin dal ë500 anche per Castro, Latera e Santa Fiora. Banchi ebraici rimasero a Castro, benchË la citt‡ fosse molto decaduta, a Onano, a Santa Fiora, e, come abbiamo visto, un banco di prestito fu aperto a Farnese alla fine dellíanno 1600 da Pacifico di Meluccio e dal figlio Prospero, che ripresero ad esercitare il prestito anche a Castellottieri. Inoltre un banco sorse pure a Piancastagnaio, alcuni anni dopo la morte nel 16- 14 del primo Marchese Giovan Battista Bourbon del Monte, che aveva accolto gli ebrei, ma aveva loro assolutamente proibito il prestito ad usura.
Per i primi del Seicento possediamo sicure notizie, che permettono di valutare la consistenza demografica degli ebrei in alcuni centri della zona. Nel 1608 a Pitigliano abitavano 58 ebrei divisi in 15 famiglie, a Sorano 61 isra- eliti anchíessi in 15 famiglie; a Castro nel 1600 cíerano 67 ebrei e a Scansano dopo il 1616 sopravvivevano solo 3 famiglie, probabilmente poco pi ̆ di una decina di persone.
Non si hanno dati precisi in questo periodo per Castellottieri, dove comunque il nucleo ebraico pare ormai ridotto, su Santa Fiora, su Piancastagnaio allora in formazione, su Latera, Proceno, Onano e Farnese. In queste ultime due localit‡ comunque tutto ruotava ñ a quanto pare ñ intorno alla famiglia del banchiere. Si deve notare dunque che ai primi del Seicento le Comunit‡ ebraiche di Piti- gliano e Sorano erano cresciute e si equivalevano, e il loro numero era quasi uguale a quello della Comunit‡ di Castro, di cui Ë evidente la diminuzione, con- nessa alla decadenza della citt‡ dopo la morte del potente cardinale Alessandro Farnese avvenuta nel 1589.
Tuttavia Ë ragionevole ipotizzare che agli inizi del XVII secolo gli ebrei, pre-
senti in dodici terre della zona feudale presa in esame, raggiungessero il nume- ro di 400-500 persone in tutto, di cui circa la met‡ abitanti nei centri di Castro, Pitigliano, Sorano e Santa Fiora. Un caso a parte Ë quello di Sovana, dove gli ebrei erano stati presenti fin dal Quattrocento fino agli ordini di Cosimo I del 1571.
Gli ebrei tornarono di nuovo ai primi del í600 grazie ai provvedimenti emanati dal governo granducale nel 1588-89 per risollevare le sorti della citt‡ di Sova- na, in grave stato di desolazione e di abbandono per la malaria. Con i successivi provvedimenti del 1612 vennero concessi numerosi privilegi, tra cui líassegnazione di case e terreni a chi venisse ad abitare a Sovana, senza distinzione alcuna.
Si verificÚ allora un singolare fenomeno, per cui anche gli ebrei ebbero parte nel tentativo di ripopolamento di Sovana, pur essendo la citt‡ compresa nel ter- ritorio granducale dellíex Stato Senese e per di pi ̆ sede di Capitanato di Giusti- zia.
Ne sono riprova le garanzie offerte da Aronne di Bonaiuto, ebreo con notevoli interessi a Castellottieri, per favorire líimmigrazione di famiglie israelite a So- vana e la concessione nel 1616, da parte del Granduca, di un importante privile- gio di esenzione dal segno per tutti gli ebrei che venissero a Sovana ad esercita- re il commercio, líartigianato, líagricoltura, con la sola proibizione di abitare sotto lo stesso tetto dei cristiani.
Nel 1615 a Sovana abitavano gi‡ sei o sette famiglie di ebrei, con botteghe a- perte nella citt‡. Ma il tentativo di ripopolare Sovana anche con ebrei non durÚ a lungo e si scontrÚ
con le difficili condizioni ambientali: una decina díanni dopo, a causa della malaria, della cattiva amministrazione locale e de- gli atteggiamenti eccessivamente protezio- nistici dellíArte della Lana di Siena, nella citt‡ maremmana, dove ìsi trovavano sette o otto fondachi Ö di presente non ve ne sono nessunoî. Tuttavia la concessione di case e terre continuÚ a richiamare nella de- relitta citt‡ qualche famiglia israelita. Per- ciÚ a Sovana durÚ per quasi tutto il secolo il fenomeno di immigrazione- emigrazione di ebrei, provenienti da luoghi vicini come Sorano, Castellottieri, Onano, Proceno, Santa Fiora o da pi ̆ lontano, come Roma, Siena, Borgo San Sepolcro, lo Stato di Urbino, senza perÚ che si formasse in citt‡ un nucleo e- braico in modo stabile.
Intorno al 1636 risulta presente a Piancastagnaio il banchiere Ferrante Passigli, che nel 1626 aveva ottenuto dagli Orsini la condotta di banco di Monte San Sa- vino. Egli, collegandosi commercialmente con altri ebrei di Pitigliano, Sorano e
Castellottieri contribuÏ ad inserire la zona in un pi ̆ vasto circuito commerciale regionale e interregionale. Díaltra parte il nucleo ebraico di Piancastagnaio, che non andÚ mai oltre una cinquantina di individui, si collegÚ strettamente al banco di prestito fino alla sua estinzione.
Pochi anni dopo si registra una certa tendenza ad una polarizzazione degli ebrei della zona verso Pitigliano: nel 1644 la popolazione israelita pitiglianese ñ fra cui si cominciano a trovare individui immigrati da Scansano, Sorano, Castellot- tieri, Proceno ñ cominciÚ ad avvicinarsi al centinaio di persone, superando cosÏ nettamente quella di Sorano, in diminuzione a causa delle difficolt‡ economi- che del paese.
Questo fenomeno si accentuÚ con la distruzione della citt‡ di Castro avvenuta nel 1649; varie famiglie di ebrei provenienti dalla citt‡ distrutta si sparsero nei luoghi feudali della zo- na vicina.
A Pitigliano líimmigrazione castrense non superÚ le 6-7 famiglie perchÈ, nonostante le numerose richie- ste, fu difficile trovare posto nei Ghetti della Contea. Molto importante fu perÚ il trasferimento a Pitiglia- no dellíaronoth di Castro e probabilmente dellíar- genteria della sua Sinagoga.
CiÚ rese Pitigliano come una sorta di erede morale della dispersa Comunit‡ ebraica castrense e ne raf- forzÚ perciÚ notevolmente il ruolo nella zona. Díaltra parte, distrutta Castro, Pitigliano rimaneva nel territorio feudale il centro pi ̆ popoloso, in cre- scita demografica ed economica, sede di magistrature come capoluogo delle Contee medicee, e si avviava di lÏ a poco a raccogliere anche líeredit‡ di Sova- na con il trasferimento di fatto del Vescovo diocesano.
Ne abbiamo una riprova nella vertenza che si sviluppÚ nel 1678 tra gli ebrei della Comunit‡ di Sorano e quella di Pitigliano, ormai non pi ̆ numericamente alla pari. Ma i balzelli e le contribuzioni venivano ancora ripartiti in parti uguali tra le due Comunit‡ ebraiche e gli israeliti soranesi dovevano cosÏ pagare individual- mente di pi ̆ di quelli di Pitigliano, pur essendo diventati ormai pi ̆ poveri. PerciÚ richiesero che la ripartizione venisse fatta ìa testaî e, dopo una accesa controversia, il Granduca dette loro ragione.
Díaltra parte gli ebrei di Sorano erano scesi ad un numero inferiore alla cin- quantina, mentre quelli di Pitigliano avevano superato il centinaio, usufruendo in parte anche dellíestinzione del nucleo ebraico di Castellottieri e dellíesaurirsi del flusso di ebrei verso Sovana.
Il rafforzamento della Comunit‡ di Pitigliano, attraverso al circolazione e lo spostamento tra i luoghi feudali di famiglie israelitiche, a sua volta tenne in vita
pi ̆ a lungo i gruppi ebraici di Scansano e di Sorano, dove andarono ad abitare alcune famiglie di ebrei pitiglianesi, e in parte alimentÚ anche la Comunit‡ e- braica di Santa Fiora. » senzíaltro interessante soffermarsi sulla provenienza, diretta e indiretta, delle famiglie ebraiche che si insediarono nelle terre feudali dalla seconda met‡ del Cinquecento alla fine del Seicento.
In molti casi, come Ë piuttosto usuale per gli israeliti, la provenienza Ë docu- mentata dal luogo di residenza precedente, che poi si trasforma in vero e pro- prio cognome. Innanzi tutto si deve considerare che la fondazione del Ducato di Castro nel 15- 37 portÚ nella citt‡ divenutane la capitale un numero consistente di ebrei prove- nienti dallo Stato Pontificio e dalla bassa Toscana; si ha notizia di famiglie e- bree provenienti da Roma, Montefiascone, Viterbo, Tivoli, Formello, Nerola, Toffia, Ancona, Tolentino, Spoleto, Trevi, e inoltre da Sarteano, S. Casciano dei Bagni, Pitigliano, Sovana.
Abbiamo visto che da Castro, a seguito dei provvedimenti restrittivi del 1569, varie famiglie emigrarono nei vicini feudi, come Amadio di Abramo da Toffia a Castellottieri, i fratelli Simone e Rubino di Consolo da Spoleto rispettivamente a Scansano e a Castellazzara.
Si deve aggiungere il cognome Capranica, che indica una provenienza dalla lo- calit‡ di tal nome, che a quel tempo faceva parte dei domini dei Farnese nellíal- tro feudo di Ronciglione. » evidente che le vicende delle Comunit‡ ebraiche delle terre di confine, legate in buona parte alle espulsioni della seconda met‡ del Cinquecento, favorirono il prevalere di famiglie ebree provenienti dallo Stato Pontificio e in misura mino- re dalla Toscana, come i Da Rieti a Pitigliano, i Borghi a Santa Fiora e a Sora- no, i Passigli a Piancastagnaio.
Anche successivamente la provenienza dallo Stato Pontificio, con una accen- tuazione dal territorio delle Marche, Ë attestata da cognomi romani come La- gnetti a Sovana, Pavoncello e Spizzichino a Pitigliano, dove si rinvengono co- gnomi di ascendenza marchigiana come Pergola, Pesaro, Montefiore, Urbino, Camerino, e inoltre i Montebarroccia a Piancastagnaio e poi a Sovana e a Piti- gliano
Osserva giustamente Ariel Toaff che ìÖquasi tutti giungono in queste comuni- t‡ con un processo ìdi ritornoî, cioË passando prima per i ghetti di Firenze, di Siena e soprattutto di Romaî e inoltre che ìnon va sottovalutata in queste co- munit‡ Ö la presenza di una forte componente di origine sefardita, quivi giunta in seguito allíespulsione dal Regno di Napoli del 1541î. CosÏ i Ceprano, i Na- tronai e i Sadun a Sorano, i (da) Arpino a Santa Fiora e poi a Sorano, i Capua a Pitigliano, gli Spagnoletto a Valentano, Castro e poi a Pitigliano, erano ìtutti profughi dal Regno di Napoli, che si erano trattenuti per qualche tempo a Ro- ma, iscrivendosi alla Scola catalana e aragoneseî.
Anche i Passigli, venuti a Piancastagnaio da Monte S.Savino e prima ancora da
Firenze, erano una famiglia giunta dalla Spagna e rifugiatasi nel Regno di Na- poli dopo la cacciata dalla penisola iberica. In proposito le tracce di ebrei di ascendenza spagnola nei feudi di confine sono piuttosto scarse: oltre alla presenza della famiglia Spagnoletto si puÚ aggiunge- re quella piuttosto tarda, di Daniello díAbramo Suarez a Sovana nel 1667. Tuttavia Ë interessante la ininterrotta tradizione orale della Comunit‡ di Piti- gliano, che designava il proprio forno delle azzime, particolarissimo ambiente ricavato in grotta nel Ghetto, come ìforno dei marraniî.
Si deve inoltre ricordare che dopo la distruzione di Castro del 1649, si trovano varie famiglie designate come Da Castro a Pitigliano, Sorano, Sovana, Santa Fiora e nello stesso periodo si formano cognomi di famiglie ebraiche da alcuni dei luoghi di confine, come Scansano e Sorano (poi alla toscana divenuti Scan- sani e Sorani, come díaltra parte era accaduto per Spagnoletto/Spagnoletti, Spoleto/Spoleti, dal Borgo/Borghi ecc.).
3. Líestinzione degli insediamenti ebraici e la concentrazione a Pitigliano
Agli inizi del Settecento si verificÚ la tarda istituzione del Ghetto a Santa Fiora; il conte Gaetano Sforza nel 1714 lo istituÏ ñ o piuttosto lo ripristinÚ ñ su pres- sioni ecclesiastiche, costringendovi gli ebrei ìnellíultima strada di Borgo detta Valle Piatta, stando prima (essi) in diverse case in mezzo ai cristiani Öî, no- nostante che il suo predecessore, il Duca Federico Sforza, appena pochi anni prima nel 1708 avesse confermato agli ebrei santafioresi gli importanti privile- gi, di cui da tempo godevano.
Díaltra parte Gaetano Sforza, nel tentativo di trarre i maggiore profitto possibi- le dal suo feudo, consentÏ la riapertura di un banco ebraico a Santa Fiora, pur- chÈ gli venissero pagati 20 scudi allíanno. Tale banco di prestito ebbe vita ecce- zionalmente fino quasi alla met‡ del Settecento, quando da tempo questo gene- re di attivit‡ era dappertutto estinta.
Anche il banco di prestito di Piancastagnaio era stato chiuso agli inizi del seco- lo e il gruppo ebraico pianese si era avviato cosÏ allíestinzione. Intanto la Co- munit‡ ebraica di Pitigliano continuÚ a rafforzarsi, non solo con líimmigrazione da localit‡ vicine, ma attraendo ebrei anche da Siena e Firenze e da varie zone dello Stato Pontificio, coma Roma, Senigallia, Urbino ecc., specialmente nel periodo compreso tra il 1735 e il 1750.
Al suo interno la Comunit‡ pitiglianese si era ormai notevolmente differenziata anche economicamente: cíerano famiglie ricche, che esprimevano i Massari e quindi il governo della Comunit‡, e famiglie povere, che perÚ non accettavano pi ̆ una ripartizione dei contributi comunitativi per semplice divisione.
Infatti nel 1746 i pi ̆ poveri presentarono una istanza per una ripartizione delle contribuzioni proporzionale ai beni di ciascuno. LíAuditore della Contea accol- se in parte la richiesta, stabilendo che per un terzo si continuasse a ripartire ìa testaî le gravezze ordinarie, mentre líimposizione per quelle straordinarie si do-
veva fare in proporzione agli averi. Il problema venne poi di nuovo risollevato nel 1781, quando gli ebrei pi ̆ poveri chiesero che le tasse venissero ripartite per censo. Díaltra parte gi‡ nel 1734 gli ebrei di Sorano erano riusciti ad ottenere lo sgra- vio di 12 su 36 scudi della tassa sui birri, che ancora veniva pagata a met‡ con i correligionari di Pitigliano.
La Comunit‡ ebraica di Sorano aveva cominciato ad avvertire la crisi che la porter‡ allíestinzione; le famiglie israelite soranesi intorno al 1730 erano scese a dodici ìe sempre qualcuna ne sfratta da quel luogo, mentre nessuna di loro ha traffico in quel paeseî.
Particolarmente intraprendente risulta in questo periodo líebreo pitiglianese Salomone Servi, titolare di numerose iniziative economiche, anche con líimpie- go di rilevanti capitali, come líaffitto della Contea di Santa Fiora. Le profonde riforme intraprese in Toscana dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena offriro- no anche agli ebrei pitiglianesi altre interessanti opportunit‡.
Alcuni di loro infatti poterono partecipare ai benefici derivanti dalla grandiosa smobilitazione fondiaria del Demanio granducale nelle Contee, che portÚ allía- lienazione di circa 11000 ettari di terreno, insieme ad edifici ed opifici, per la formazione della piccola propriet‡ privata.
CosÏ i fratelli Abramo e Rafael di Salomone Servi comprarono una tenuta, un podere e due mulini da grano, mentre Angelo Servi e Giuseppe Sadun acquista- rono un frantoio a Pitigliano e un mulino e un frantoio a Sorano. Con le riforme comunitative del 1783-1785 gli ebrei si videro concedere pure la possibilit‡ di essere eletti consiglieri comunali. Di conseguenza alla fine del ë700 si ebbero i primi rappresentanti ebrei nel Consiglio comunale di Pitigliano e in quello di Sorano, sebbene in questíultimo si trattasse di ebrei pitiglianesi possessori di terre nel vicino Comune di Sorano.
In tal modo, mentre i gruppi ebraici di Scansano e di Piancastagnaio si erano estinti nella prima met‡ del í700 e le Comunit‡ ebraiche di Sorano e di Santa Fiora cessarono la loro esistenza nella seconda met‡ del secolo, la Comunit‡ di Pitigliano, dapprima oscillante tra i 150 e i 200 individui, superÚ le 200 unit‡ prima della fine del secolo, per avviarsi, ormai da sola, verso il suo periodo di massima prosperit‡. Intanto nel 1778 la Comunit‡ ebraica di Pitigliano si era meglio organizzata con un apposito Regolamento, approvato dallíUffico del Commissario di Grosseto.
E proprio alla fine del ë700 accadeva il fatto che doveva cementare definitiva- mente un rapporto del tutto eccezionale di convivenza tra ebrei e cristiani a Pi- tigliano. Líepisodio Ë ormai noto: nel 1799, nellíambito della reazione sanfedi- sta allíoccupazione francese, un gruppo di dragoni giunti a Pitigliano da Orvie- to, cominciarono a taglieggiare gli ebrei, a offendere il loro luogo di culto e a commettere varie violenze e soprusi. Ma incontrarono líinaspettata reazione della popolazione cristiana, che si sollevÚ in armi in difesa degli ebrei, ucciden- do alcuni dragoni e cacciando gli altri.
Líepisodio di Pitigliano si differenziÚ del tutto da quanto accadde in altre parti della Toscana, dove gli ebrei subirono gravi violenze come a Siena o Comunit‡ intere vennero cancellate come a Monte San Savino. Díaltra parte quanto accadde nel 1799 a Pitigliano si poneva al culmine non so- lo del periodo immediatamente precedente, in cui con le riforme lorenesi si era avviato un netto processo di maggiore integrazione degli ebrei allíambiente lo- cale, ma di un pi ̆ lungo periodo che, pur attraverso luci ed ombre, aveva visto nel territorio feudale líinstaurarsi sia di rapporti economici, sia di relazione e talora di familiarit‡ tra ebrei e cristiani, in ciÚ favoriti dallíeccezionalit‡ delle condizioni di vita permesse agli ebrei nella zona, da un atteggiamento in genere non ostile sia delle autorit‡ civili che del clero, dal comportamento equilibrato di alcuni Vescovi di Sovana.
Pitigliano, divenuto erede delle Comunit‡ ebraiche di tutta la zona, riceveva in eredit‡ anche tutto questo e líepisodio del 1799 determinÚ la svolta definitiva verso una convivenza pacifica, che, partendo dai tempi delle ìcitt‡-rifugioî del í500, andÚ a costituire sostanzialmente la sua caratteristica peculiare.
Nel corso dellíOttocento e poi nel Novecento Pitigliano, che aveva assorbito le Comunit‡ ebraiche del territorio, divenne a sua volta centro di disseminazione di ebrei nel territorio. Per ragioni commerciali ebrei pitiglianesi tornarono ad abitare luoghi prossimi della Maremma toscana, come Scansano, Manciano, Montemerano, Sorano e Grosseto, e luoghi vicini dellíalto Lazio, come Acquapendente, Grotte di Ca- stro, Gradoli e Latera.
Ma in nessuno di questi luoghi si formÚ una Comunit‡ autonoma, nemmeno dove gli ebrei furono abbastanza numerosi come a Manciano, perchÈ tutti rima- sero legati spiritualmente alla Comunit‡ di Pitigliano, alla cui Sinagoga torna- vano abbastanza regolarmente per le feste pi ̆ importanti dellíanno ebraico. Díaltra parte nel corso dellíOttocento la Comunit‡ ebraica pitiglianese visse il suo periodo pi ̆ fulgido, superando il numero di 400 ebrei con una percentuale altissima ñ 12-13% ñ rispetto al resto della popolazione della cittadina, con no- tevoli istituzioni locali come il Pio Istituto Consiglio .
La Comunit‡ ebraica di Pitigliano espresse personaggi di rilievo non solo in campo locale, come Cesare Sadun, a cui si deve la riscoperta e la valorizzazio- ne delle miniere di mercurio dellíAmiata, o come líing. Temistocle Sadun, che nel 1898 portÚ la luce elettrica a Pitigliano e Sorano, ma anche in campo na- zionale, come i rabbini Flaminio e Ferruccio Servi e Dante Lattes, cosÏ da giu- stificare líappellativo di ìpiccola Gerusalemmeî meritato da Pitigliano.
Pitigliano ebraica
ìTerra di rifugioî, ìPiccola Gerusalemmeî. Comunit‡ di estinzione, comunit‡ che rinasce.
Elena Servi
CosÏ si potrebbe sintetizzare, molto rapidamente, la storia della Comunit‡ e- braica di Pitigliano; ma questa Comunit‡ vive e scrive la sua storia per oltre quattro secoli, in un alternarsi di vicende e di eventi ora positivi e lieti, ora ne- gativi e drammatici ora insperatamente propizi: Ë doveroso, quindi scriverne in modo esauriente.
Davide di Pomis, ebreo di Spoleto (citt‡ allíepoca facen- te parte dello Stato Pontificio) che giunse qui nel 1556 come medico personale del Conte NiccolÚ IV Orsini, de- nominÚ Pitigliano ìterra di rifugioî. Egli fu il primo e- breo la cui presenza nel paese Ë storicamente provata dai documenti díarchivio dellíepoca.
Fu al servizio del Conte di Pitigliano fino al 1562 e da lui ottenne un appezzamento di terreno nel quale seppellire la moglie, morta durante la sua permanenza nel paese. Da quella prima tomba ebbe origine il Cimitero ebraico di Pitigliano, ormai ultrasecolare, ma ancora curato ed attivo.
Altri ebrei si aggiunsero al medico in quegli anni ed altri ne vennero dopo di lui. Dagli Orsini ebbero privilegi che, al tempo, non era facile ottenere in altri luoghi e agli Orsini e alla popolazione gli ebrei dettero ciÚ di cui avevano biso- gno: un banco di prestito su pegno; esperti artigiani, piccoli commercianti che mancavano ad uníeconomia essenzialmente rurale e certo non agiata comíera, in quegli anni, líeconomia di Pitigliano.
Líinsediamento ebraico, dunque, si era ormai formato e il numero dei suoi membri si era cosÏ accresciuto, tanto che nel 1598 un tessitore ñ Jeud‡ ben Shabbatai ñ fece edificare una Sinagoga pi ̆ grande, come quella attuale, sul piccolo oratorio nel quale i primi ebrei giunti a Pitigliano si erano fino a quel momento riuniti per la preghiera e per lo studio.
Quando, allíinizio del secolo successivo, la Contea di Pitigliano passÚ dagli Or- sini ai Medici ñ signori di Firenze che ambivano estendere il loro dominio su tutto il territorio toscano ñ le cose cambiarono per gli ebrei di Pitigliano e, pur- troppo, non cambiarono in meglio: furono costretti a vivere in un ghetto (come del resto, gli ebrei di altre citt‡); a portare un segno che li distinguesse dal resto della popolazione; a pagare tasse e tributi urgenti.
E il rapporto con la popolazione? Non buono, soprattutto inizialmente, con al- cuni membri della borghesia locale; migliore con i pi ̆ semplici ed umili. Fu con i granduchi di Toscana della famiglia dei Lorena ñ principi illuminati e
liberali ñ che nel secolo XVIII e nella prima met‡ del XIX, la situazione degli ebrei di Pitigliano cambiÚ radicalmente: abolito in pratica il ghetto, riconosciuti di fatto agli ebrei i diritti fondamentali, la Comunit‡ ñ nel frattempo molto au- mentata di numero, fino a raggiungere e forse a superare i trecento membri ñ vive la sua epoca di massimo sviluppo e di organizzazione completa.
CíË tutto quanto puÚ servire ad una Comunit‡ ebrai- ca: oltre alla Sinagoga (restaurata ed arricchita di dorature e di stucchi) e al cimitero, suggestivo e molto ben curato, funzionano una scuola elementare ed una materna; una jeshiv‡, una biblioteca ricchis- sima, un forno per la preparazione e la cottura del pane azzimo; un bagno rituale, un locale per la ma- cellazione Kasher, oltre ad alcune istituzioni di mu- tuo soccorso.
Non si puÚ non ricordare che a Pitigliano nacque, e trascorse gli anni dellíinfanzia e della prima adole- scenza, uno dei pi ̆ insigni studiosi dellíebraismo italiano: Dante Lattes ed altri figli di Pitigliano: MoisË Sorani, Flaminio Servi, Samuele Colombo, furono guide e insegnanti nelle principali Comunit‡ e nei collegi rabbinici italiani. Na- sce cosÏ, per Pitigliano, líappellativo ìLa piccola Gerusalemmeî. Nel luglio del 1799, alcuni facinorosi provenienti dalla vicina Orvieto entraro- no minacciosi nel ghetto, sottoposero gli ebrei a soprusi inauditi, insultarono il Rabbino e profanarono la Sinagoga, sordi anche alle proteste di qualche rappre- sentante del clero locale. Gli agricoltori che tornavano dal lavoro nei campi insorsero allora in difesa de- gli ebrei e sopraffecero gli Orvietani prepotenti e arroganti. Fu da quel giorno che i rapporti fra le due anime di Pitigliano ñ la cattolica e líebraica ñ divennero difinitivamente aperti, amichevoli, in molti casi stretti ed affettuosi, nel pieno rispetto reciproco della fede di ciascuno. La presenza ebraica, del resto, giova allíintero paese, economicamente, social- mente, culturalmente e di questo i cattolici diventano consapevoli. LíItalia, intanto, va cambiando fino a raggiungere la quasi completa unit‡ terri- toriale e politica. Nel 1861 viene proclamato il Regno díItalia sotto la casa Savoia e gli ebrei fi- nalmente, dopo secoli di discriminazioni e di sofferenze, ottengono líugua- glianza di diritti e di doveri, al pari di tutti i cittadini italiani. Inizia da quel momento, perÚ, la parabola discendente della Comunit‡ di Piti- gliano: molti dei suoi figli decidono di andare verso le citt‡ pi ̆ grandi ñ in par- ticolare Roma e Firenze ñ ora che tutte le facolt‡ universitarie si aprono anche agli ebrei, ora che Ë possibile svolgere ogni attivit‡ professionale. Ma i figli lontani non dimenticano quella che fu ìterra di rifugioî per i loro an- tenati: tornano a pregare nel piccolo Tempio per festivit‡ pi ̆ solenni; scelgono, molti di loro, il suggestivo Cimitero per il riposo eterno.
Se pure diminuita di numero, la Comunit‡ Ë ancora viva, finchÈ le leggi razziali imposte dal governo fascista non si abbattono come un fulmine, nel 1938, su tutti gli ebrei italiani, cambiandone radicalmente líesistenza. Molte famiglie che perdono il lavoro nelle strutture pubbliche, lasciano Pitiglia- no, ancora per Roma e per Firenze, per cercare l‡ uno sbocco futuro per sÈ e per i propri figli: non torneranno pi ̆.
Nel 1943-44, con líinvasione nazista, inizia la caccia allíebreo e le poche fami- glie rimaste fino ad allora in Pitigliano si disperdono per le campagne circo- stanti, in cerca di un rifugio: Ë allora che si dimostra pi ̆ ampia e generosa la solidariet‡ degli amici cattolici e perfino di tante persone semplici, che mai pri- ma avevano avuto modo di conoscere e di avvicinare un ebreo.
Rischiando la propria vita, aprono le loro case, nascondono, proteggono, aiuta- no con ogni mezzo, salvano i fuggiaschi disperati. Finito il secondo conflitto mondiale, ben pochi sono ormai gli ebrei a Pitiglia- no; il Tempio si apre soltanto una volta líanno, nel giorno di Kippur, quando si puÚ contare su coloro che tornano da fuori.
E agli inizi degli anni í60, anche il Tempio secolare cede: non Ë stato possibile evitarne il crollo parziale, malgrado il tentativo fatto per reperire i fondi, attra- verso una sottoscrizione aperta sul giornale ìIsraelî. Pochissimi sono i soldi raccolti, del tutto insufficienti per riparare i guasti, pri- ma che accada líirreparabile. ìLa piccola Gerusalemmeî Ë ormai una Comunit‡ finita.
Passano cosÏ molti anni: triste veder la rovina di quello che fu il quartiere ebrai- co, un tempo pulsante di vita operosa e di fervore religioso. Ma Pitigliano rimpiange la sua Comunit‡ ebraica, soffre per quello squarcio a- pertosi nel suo panorama stupendo, ora che Sinagoga, biblioteca, scuola, forno delle azzime non sono che ruderi spettrali.
Nel frattempo, perÚ, la Cantina Cooperativa inizia la produzione del vino Ka- sher, sotto la sorveglianza del Rabbino capo di Livorno: sar‡ di buon auspicio per mia futura rinascita della vita ebraica in Piti- gliano? Sembra proprio di si: negli anni í80 líam-
ministrazione comunale, con a capo il sindaco Au- gusto Brozzi, si fa promotrice della ricostruzione della Sinagoga. Non sono pochi i problemi, gli ostacoli, anche bu- rocratici, da superare; ma finalmente il 23 marzo 1995 la Sinagoga di Pitigliano, completamente re- staurata secondo líantico aspetto, spalanca le sue porte a tanti ebrei e a tanti cattolici convenuti insie- me per celebrare líevento che ha quasi del miraco- loso, e i canti antichi e le antiche preghiere della ìPiccola Gerusalemmeî tornano ad echeggiare al suo interno, fra la commozione generale.
Da quel giorno, molta strada si Ë percorsa e molta ci si Ë impegnati a percorrere ancora: uníassociazione (ìLa piccola Gerusalemmeî non a caso) voluta e costituita dagli ultimi ebrei rimasti in Pitigliano, ed aperta anche ai non ebrei, ha allestito una mostra permanente di cul- tura ebraica nei locali del matroneo adiacente alla Sina- goga e svolge uníintensa attivit‡ per conservare il patri- monio storico culturale dellíantica Comunit‡ di Pitiglia- no e per diffondere la conoscenza della cultura ebraica in generale.
La nostra, la Sinagoga, il Cimitero nuovamente restaura- to, sono meta di numerosissimi visitatori provenienti da ogni parte díItalia, dellíEuropa e del resto del mondo. Uníimponente opera Ë in atto da parte del Comune di Pitigliano, della Provincia di Grosseto, della Co- munit‡ Montana ìColline del Fioraî e con il contributo della Regione Toscana, per riportare alla luce tutti i locali sottostanti la Sinagoga, in gran parte scavati nel tufo, che costituivano il ghetto antico; la macelleria e la cantina, il forno, il primo oratorio, i resti del bagno rituale, i pozziÖ Un patrimonio storico unico in tutta la nostra provincia e, forse, in tutto il terri- torio nazionale. Líantico oratorio accoglier‡ la mostra gi‡ esistente, per diventa- re un vero e proprio museo ebraico, per arricchire il quale confidiamo nelle do-
nazioni di correligionari generosi e, so- prattutto, nella restituzione, almeno in parte, degli oggetti sacri trasferiti dalla nostra Sinagoga a Roma, a Livorno ed anche in Israele, al momento del crollo. Uníaltra stanza sar‡ adibita a sala per conferenze, congressi, concerti Ö. Anche nel forno, forse, si torner‡ a preparare e a cuocere il pane azzimo. Nella Sinagoga ricostruita, intanto cinque coppie negli
ultimi due anni hanno celebrato il loro matrimonio (quattro provenivano da I- sraele): hanno scelto Pitigliano senza avere con esso nessun legame precedente, ma attratti dalla sua storia e dalla sua bellezza particolare. Diverse famiglie di ebrei non italiane ad eccezione di una hanno acquistato qui la loro seconda casa; un comitato per Pitigliano ebraica Ë stato costituito negli Stati Uniti, su iniziativa e a cura della signora Judith Roumani di Potomac: si prevede che un folto gruppo di Americani si incontreranno qui per celebrare i ìsedariviî del prossimo Pesach. Altre iniziative importanti sono in programma. Si puÚ ben dire, dunque: ìPitigliano, una Comunit‡ ebraica che rinasce!î
Banchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVII secolo
Bonafede Mancini
LíAlta Tuscia, líarea geografica pi ̆ a nord della provincia di Viterbo compren- dente i centri al confine con la Toscana (propaggini del Monte Amiata) ed Um- bria, líintero apparato dei Monti Volsini a sud, il Mar Tirreno fino al Fiora ad occidente e il Paglia ad est, intorno alla met‡ del XVI secolo, amministrativa- mente e politicamente appariva un territorio meno accentrato rispetto a quello del secolo successivo. Come quello della Toscana Meridionale, costituito dalla contee di Pitigliano (compredente: Sorano e Montevitozzo), di Santa Fiora (CastellíAzzara, Scansano), di CastellíOttieri (San Giovanni e Montorio) e dal- la Repubblica di Siena, cosÏ il territorio dellíAlta Tuscia viterbese, nella sua frammentazione politica di staterelli allíinterno dello Stato Pontificio, include- va il Ducato di Castro (Arlena di Castro, Bisenzio, Canino, Capodimonte, Cel- lere, Gradoli, Grotte di Castro, Ischia di Castro, Marta, Montalto di Castro, Mu- signano, Pianiano, Piansano, Tessennano, Valentano, le due isole della Bisenti- na e della Martana), i feudi appartenenti alla famiglia dei Monaldeschi della Cervara (Onano ñ fino al 1561 ñ, Torre Alfina, Trevinano), dei Farnese dellíe- ponimo ramo di Farnese e Latera, degli Sforza di Santa Fiora (Proceno e Ona- no), le citt‡ di Montefiascone e Acquapendente. Questi due centri, grazie alla via Francigena (SS. Cassia), fin dal XIV secolo avevano avviato una vivace serie scambi commerciali con Roma a sud, e con Siena e Firenze a nord. Vere enclavi giurisdizionali di diocesi allíinterno dello Stato della Chiesa erano Pro- ceno e Onano i cui castelli, fin dalla fondazione del vescovato facevano parte della diocesi di Sovana e solo dopo il 1785, con la permuta di Capalbio e Man- ciano, hanno cominciato a far parte di quella di Acquapendente.
La conclusione della guerra di Siena (1552-1559) a favore di Cosimo I Medici e le successive annessioni delle terre di frontiera della Toscana meridionale al Granducato cosÏ come líaccentramento politico voluto nel 1592 da Clemente VIII (bolla del Buon Governo) allíinterno dello Stato Pontificio, ridussero solo in modo parziale le antiche autonomie di cui godevano questi staterelli di confi- ne. Del resto anche le particolari condizioni morfologiche del territorio, diffici- le da controllare per la presenza di folte macchie, forre, corsi díacqua, agevola- vano i contatti e gli scambi di persone e merci spesso ai margini della legalit‡ e del potere centrale. CiÚ rende comprensibili i motivi per i quali, nonostante la bolla Hebraeorum gens (26 febbraio 1569) di Pio V (1566-1572) che disponeva líespulsione degli ebrei dallo Stato Pontificio o la concentrazione nei due soli ghetti di Roma ed Ancona e quella successiva Caeca et obdurata hebraorum perfidia (25 febbraio 1593) di Clemente VIII (1592-1605), i provvedimenti pa- pali non ebbero che applicazione parziale nei centri di confine dellíAlta Tuscia in considerazione anche del fatto che il pontefice, pochi mesi dopo (2 luglio 15- 93), riconosciuti i vantaggi che i mercanti ebrei recavano allíeconomia dello
Stato, cercÚ presumibilmente di limitarne líesodo. Lo stesso dicasi per i centri toscani di confine cosÏ, benchÈ inizialmente Cosi- mo I non applicasse le norme antiebraiche di Paolo IV nel suo Stato, col bando del 1567 (7 maggio) che imponeva il segno di riconoscimento agli ebrei, il Me- dici si allineava alla curia Romana tanto che nel 1569 (27 agosto) da Pio V gli venne conferito il titolo di granduca di Toscana. Brusco irrigidimento che in quegli stessi giorni terminÚ con la chiusura del confine toscano ai profughi pontifici per il fatto che ìS.E. ha tanti ebrei nelli Stati suoi, che non ne vuol pi ̆, volendo riempire le Maremme de cristiani e non díebreiî. Líingresso nel Gran- ducato fu vietato a quegli ebrei che ìvivono díopere manuali di lana, di scarpe, et simili exercitiiî con la sola eccezione per gli ebrei levantini. Giova ricordare che solo nel 1608, con la cessione di Giovanni Antonio Orsini a Ferdinando I, la contea di Pitigliano iniziÚ a far parte del Granducato di Toscana. Tra le intransigenti azioni antiebraiche di Pio V e Clemente VIII si inserisce il pontificato di Sisto V (1585-1590). Con il breve Chri- stiana pietas (22 ottobre 1586), il pontefice autorizza- va gli ebrei ad insediarsi in tutti i luoghi murati dello Stato Pontificio ìcitt‡, castelli grosse e terre [Ö] ec- cettuate le ville e borghiî, senza obbligo di portare il segno in viaggio, con la facolt‡ di esercitarvi la medi- cina, di impiegare manodopera cristiana, di svolgere ogni tipo di commercio, compreso quello dei grani e dei generi alimentari essenziali. Da questi privilegi inerivano la riattivazione di comunit‡, sinagoghe e cimiteri; il tasso di prestito, col motu proprio del 158- 9 (4 gennaio), fu fissato al 18 per cento. Líintensa opera di riforma attuata da Sisto V conteneva anche una riorganizzazione finanziaria che introduceva una tassa di ingresso e di residenza nello Stato Pontificio per ogni ebreo maschio dai 15 ai 60 anni (rispettivamente di 20 giuli e 12 annui). Uníimposta di bene entrata era gi‡ prevista nel 1566 (22 gennaio) a Castro per il cui ingresso Cre- scenzio di Meluccio, unitamente ai suoi soci di banco (Simone, Rubino, Mene- seo e Flaminio) pagarono 10 fiorini. Come lascito testamentario appare anche una quota che gli ebrei residenti nelle diocesi di Sovana, Castro e Orvieto dove- vano versare al vescovo al momento della loro morte (quota gi‡ regolata nei primi decenni del XVI secolo): in genere 10 soldi per ogni canonica porzione. La maggiore o minore mobilit‡ di banchieri e mercanti ebrei nei centri di confi- ne dellíalto Lazio e bassa Toscana, come indicato, era condizionata dalla politi- ca voluta dalle autorit‡ centrali e periferiche di questi due stati. Mobilitazione coatta che poteva tuttavia risultare anche economicamente vantaggiosa per il fatto che i banchieri ebrei espulsi, recandosi da uno Stato allíaltro, potevano ap- plicare ai prestiti interessi maggiorati anche del 6% (da18 al 24) ai clienti dive- nuti ora forestieri, e praticare una sorta di prestito circolare da un stato allíaltro. La conferma di questi privilegi ed autonomie nelle terre di confine ci viene dal-
la testimonianza di David de Pomis il medico ebreo spoletino che, dopo essere stato costretto dai provvedimenti di Paolo IV a lasciare la condotta di Magliano Sabina, prestÚ servizio prima presso i conti Orsini di Pitigliano e poi presso gli Sforza di Santa Fiora (1562-1565 ca.). Precisava il de Pomis nel 1587 come tra il confine pontificio e quello toscano esistesse un certo numero di ́citt‡ rifu- gioa per gli ebrei: delle accomandigie ossia feudi papali e imperiali, che una serie di privilegi e convenzioni svincolavano dallíuno o dallíaltro stato. Il me- dico, salutava Sisto V, dedicando al pontefice del dialogo il suo Zemah David. Dittionario novo ebraico, dato alle stampe a Venezia con i tipi di Giovanni de Gara.
In questo contesto storico pi ̆ generale vanno ad inserirsi le piccole comunit‡ o gruppi di ebrei, banchieri e mer- canti, che hanno operato nelle citt‡ rifugio dello Stato Pontifi-
cio tra la met‡ del XVI secolo e i primi due decenni di quello successivo. Se si escludono gli studi iniziati da A. Biondi per alcuni centri del Ducato di Ca- stro (Valentano, Gradoli) e La- tera e le poche notizie contenute in R. G. Salvadori, non esistono per líAlta Tuscia viterbese ri- cerche sistematiche che permettano di comprendere nella sua complessit‡ il fe- nomeno oggetto di questo mio intervento. Utili notizie sono contenute anche in N. Pavoncello ma lo studioso limita perlopi ̆ la sua indagine alle comunit‡ e- braiche laziali fino agli anni che precedono il bando di Pio V. LíArchivio di Sta- to di Viterbo conserva, al contrario una ricca, quantit‡ di documenti che neces- sitano di una pi ̆ ampia e ordinata analisi per far emergere nella sua completez- za un aspetto non marginale della storia sociale della Tuscia. Alle fonti cartacee si aggiungono poi quelle in pergamena provenienti dagli archivi notarili di So- riano al Cimino, Bagnaia, Capranica, Vetralla, Orte e dei centri che in questa sede interessano maggiormente: Acquapendente e Bolsena. Si tratta di perga- mene ebraiche del XV secolo che i notai viterbesi, soprattutto del XVI secolo, hanno riutilizzate come copertine per i loro repertori e alle quali si aggiunge quella recuperata da A. Biondi a Gradoli e gi‡ oggetto di studio di N. Pavoncel- lo.
Le informazioni che ho acquisite dai rogiti notarili viterbesi non sono dunque che una prima esplorazione parziale e cronologicamente limitata (dalla prima met‡ del XV secolo ai primi decenni del XVII) della presenza ebraica nel terri- torio dellíAlta Tuscia viterbese. I dati raccolti, sebbene incompleti, sono co- munque sufficienti a delineare nelle sue linee essenziali la ricca quanto ignora- ta storia degli ebrei di Tuscia.
Tralascio per il XIV secolo la presenza di banchi di prestito a Montefiascone e a Orte in quanto ho dati troppo isolati cronologicamente o fuori contesto geo- grafico díindagine. Le citt‡ di Montefiascone e Acquapendente, come quella di Tuscania, gi‡ nella prima met‡ del XV secolo costituivano per líAlta Tuscia, i due principali nuclei di riferimento per le comunit‡ di mercanti e banchieri e- brei provenienti da Roma e Viterbo. Attivit‡ queste che vi continuarono per i successivi due secoli estendendosi, a partire maggiormente dalla met‡ del XVI secolo, anche ai vicini centri di Onano, Proceno, Bolsena, Latera, e a quelli del ducato di Castro. In tutti i casi si tratta di ondate di trasferimento di piccoli gruppi famigliari la cui mobilit‡ era regolata dalle autorit‡ pontificie ma anche dagli stessi ebrei per evitare margini troppo ristretti di profitti e le paure che po- tevano provocare, tra gli abitanti dei piccoli centri, le massicce presenze di giu- dei il cui flusso non era pi ̆ ora esclusivamente da sud a nord. Alcune famiglie di Castro risultano infatti provenire da Tolentino, Spoleto, San Casciano Bagni, Sarteano. In un capitolato del 1566 tra la Comunit‡ di Castro e una societ‡ di banchieri ebrei veniva regolato: ìChe nesciun altro hebreo sia lecito ne possi sopto qual si voglia quesito colore prestare ad usura ne exercitio de usura fare in la detta Citta o suo distretto senza licentia delli detti banchieri Ú sui agenti in scriptis sopto pena ‡ chi conta fara de scudi sesanta de oro per ciasche pe- gno apricarsi la quarta parte alla Camera Ducale et la quarta parte alla Ma- gnifica Comunita et la quarta parte alli detti banchieri et il restante al signor podest‡î.
Da primi due decenni del XVII secolo assistiamo perÚ ad un ridursi progressivo dellíattivit‡ creditizia per continuare invece quella mercantile (1613, Canino), (1664-1688, Montefiascone): per la citt‡ falisca Ë probabile che si trattasse pi ̆ propriamente di ambulanti. Nonostante i divieti di Clemente VIII ricordiamo che, nel corso del primo decennio del 1600, fu deliberato di aprire banchi di prestito a Farnese e a Latera. Da una relazione di F. Giraldi del 1600, sappiamo che a Castro vi abitavano 67 ebrei, una percentuale di non poco conto in consi- derazione del fatto che la popolazione della citt‡, capitale del ducato, compresi gli ebrei era di 900 anime. Ad Onano nel 1611 risulta abitare il banchiere Ventu- ra di Simone Pomis mentre nel 1612 la Comunit‡ di Valentano inviava una sup- plica affinchÈ Odoardo Farnese rilasciasse
la patente ad Isac ebreo come Ë stato in passato, tanto pi ̆ che questi doveva ri- scuotere ìbuone somme di grano e denari dalla maggior parte degli uomini della terra, che non potrebbero soddisfarlo, es- sendo danneggiato dalla tempesta.î
In generale líattivit‡ di prestito dei ban- chieri ebrei nei centri minori dellíAlta Tu- scia viterbese risulta concentrata tra la se- conda met‡ XVI del secolo e i primi due
decenni di quello successivo. Anche líerezione di Acquapendente a sede vesco- vile (1650) appena dopo la distruzione di Castro, forse per líosservanza e un pi ̆ rigido e coerente controllo da parte dei presuli nella nuova diocesi come an- che líapertura di un banco di Pegni gi‡ alla fine del XVI
secolo, hanno fortemente ridotto gli spazi di azione ai creditori e mercanti ebrei. Giudizio differente sembra estendersi a Castro in quanto la iniziale e febbrile co- struzione della citt‡Ö ideale (1537) aveva spontanea- mente richiamato nella capitale del ducato una consi- stente quantit‡ di uomini e capitali (gi‡ nel 1537 risulta in Castro Sabaullo di Giuseppe da Ancona) ma succes- sivamente, con líassegnazione di Paolo III al figlio Pier Luigi Farnese del ducato di Parma e Piacenza (1545) e poi con la morte del card. Alessandro Farnese (1589), nipote del pontefice, la citt‡ andÚ incontro ad un co- stante declino fino alla sua totale distruzione (1649) da parte del conte Vidman e voluta da Innocenzo X per i debiti che i Farnese avevano contratti con la Ca- mera Apostolica. Gi‡ nel 1558 i giudei che abitavano la citt‡, in occasione della solennit‡ del santo patrono (san Savino), dovevano versare ogni anno dodici fiorini al Podest‡ per il palio. Nei decenni del declino, per ordine dei Bandi Ge- nerali (1 aprile 1613), il duca Ranuccio Farnese, aveva obbligato tutti gli ebrei del Ducato ad abitare nella capitale la cui economia ed aria non apparivano ora propriamente fiorenti e sane. A seguito poi della distruzione di Castro (1649) gli ebrei che abitavano la citt‡ trovarono sistemazione nei vicini centri del Granducato.
Nonostante la bolla di Clemente VIII, banchi di prestito allíinizio del 1600 era- no attivi anche a Latera e Farnese ma i due centri, appartenenti fino al 1658 ai signori Farnese del ramo eponimo, non facevano parte del ducato castrense. La Comunit‡ di Farnese, a partire dal 1 dicembre del 1600, stipulÚ con Pacifico di Meluccio e suo figlio Prospero, un contratto della durata di 5 anni ìper eserci- tare un banco di prestanza ad interessi sopra pegni [Ö] a ragione del 12% al- líannoî. La Comunit‡ concesse loro: di abitare nella terra di Farnese o nella citt‡ unitamente alle famiglie e garzoni; di vivervi secondo i loro costumi; di essere esentati dallíobbligo di portare il segno di riconoscimento; di fabbricarvi un proprio cimitero; di riconoscere loro gli stessi trattamenti riservati agli altri vassalli dello stato.
Líattivit‡ economica dominante tra gli ebrei dellíAlta Tuscia Ë quella tradizio- nale del prestito di denaro, qualificato nei rogiti maggiormente col termine di fenerator (il cui significato include una valutazione morale spegiativa), e del commercio di derrate alimentari: le due attivit‡ risultano talvolta accomunate (1554, Acquapendente: vino bianco e rosso; 1570; Marta: grano; 1594 Onano: grano; 1613; Canino: vino ed olio), cosÏ come anche quella di banchiere e me- dico (1449-1463 Orte, maestro Manuele). Medici ebrei hanno svolto il loro e-
sercizio in Acquapendente (1529, Amadio Benevento), Corneto (1545), Castro (1564, Gabriel), Latera (1574, maestro Gabriello), nel 1572 Laudadio di MosË, phisico di Viterbo, prendeva domicilio in uno dei centri del Ducato di Castro o a CastellíOttieri. Da Viterbo proveniva anche Eliezher Cohen, talmudista e me- dico personale (1470) di Giulio II. A queste attivit‡ vanno aggiunte quelle al- trettanto tradizionali della vendita di panni (Acquapendente, 1509 Joseph he- breo sutor) e di mercanzie ad uso di spezieria (Gradoli, 1585; Montefiascone, 1664-1688 Salomone di David AyÚ). Attivit‡ tutte che portavano i banchieri e i mercanti ebrei a tenere stretti contatti con i Signori delle singole comunit‡ e che originavano un positivo incontro di reciproci vantaggi tra le popolazioni delle piccole comunit‡, dove era assente ogni forma istituzionale di prestito di dena- ro, e i gruppi sociali ebrei che hanno lasciato tracce di questa loro permanenza in alcune usanze culinarie e leggende della Tuscia.
In questo non sempre facile confrontoÖ esegetico Ë leggibile anche il verbale díinquisizione redatto in Acquapendente dal notaio Pietro Paolo di Giovanni (luglio 1467) contro Persius, Moysis e Allentius ebrei e mosso da Berardino di Simone, dellíOrdine dei Minori del convento di Santa Maria, intorno alla rap- presentazione fatta nella piazza della Chiesa di Santa Maria e raffigurante il sa- crificio di Isacco. Anche lo Statuto di Montefiascone del 1471, rispettoso dei rituali alimentari degli ebrei residenti nella citt‡, al cap. 51, regolava che i ma- cellai falisci erano tenuti a fare carne sciattata, ma consentiva loro anche di poterla vendere agli altri cittadini ad un prezzo minore di quello fissato per i Giudei: ìÖItem dicimus quod dicti Macellarii teneantur facere Carnes hebreis cum hac conditione quod si residuum aliquod remaneret de bestiis scattabis per hebreos quod volentes vendere dictas carnes palam dicere et assignare debeant carnes illas fore sciattatas, et volentibus emere de ipsis carnibus vendere li- bram duobus denariis minus, et minori pretio quod Iudei venditum fuit et si se- cus facerent incurrant in poenam dicti Macellari vel aliquis ipsorum XX [viginti] soldorum paparinorum [Ö]. Il rispetto alimentare rituale Ë contenuto anche nel capitolato che gli Ufficiali di Castro regolarono nel 1566 con alcuni banchieri. ìItem che il Macellaro della
nostra Citt‡ sia obligato fare della Carne ‡ modo de essi [ban]chieri una volta la septimana almeno et quella venderla se- cundo [lacuna] vende per li bandi della Terra, et li sia lecito pigliarne con il pa- gamento quanto li parera per loro usoî. Alla tolleranza appare ispirato anche il capitolato del 1600 (1 dicembre) tra la Comunit‡ di Farnese e Pacifico di Meluc- cio e suo figlio Prospero ai quali la Co- munit‡ concedeva loro oltre che abitare nella terra o al Borgo di Farnese, unita-
mente alle mogli ed ai figli, anche la possibilit‡ di fabbricarvi un proprio cimitero e con gli stessi trat- tamenti riservati agli altri vassalli dello Stato di Mario Farnese. Cimiteri ebrei risultano a Castro e a Latera.
Nella capitale del ducato, nel 1584 gli ebrei otten- nero la concessione di una grotta per uso di sepol- tura posta fuori Porta Castello, sopra la strada di Palombara. Per il prezzo di dieci scudi, il successi- vo anno (4 novembre 1585), Raphael Spagnoletti, maestro Consiglio di maestro Salomone e Prospero di Leone, a nome della loro Comunit‡ o Sinagoga, acquistarono da Giulio Claverini quattro grotte in un sol corpo nello stesso luogo di quella del 1584, ad ampliamento dei luoghi di sepoltura.
A Latera, secondo quanto riferisce líAnnibali, Sabato di Nepi, ebreo del ghetto, acquistÚ una grotta in contrada Valle (localit‡ posta a poca distanza fuori dellí- abitato), per sepoltura della sua famiglia e della sua Nazione. Il fatto che per sua volont‡ testamentaria (1587) Flaminio Bonaventura di Spo- leto, banchiere in Onano unitamente al cognato Crescenzio Meluccio, dispones- se di essere sepolto in CastellíAzzara, fa supporre che in Onano non vi fosse un sepolcreto o che il testatore era legato al vicino centro della Toscana da forti vincoli. In Acquapendente la comunit‡ ebraica aveva un proprio cimitero sicu- ramente gi‡ dal XV secolo. Salamon di Raffaele, ebreo díAcquapendente, per sua volont‡ testamentaria (1520) aveva disposto che ìcorpus suum sepelliri in sepoltura hebreorum more et stelo hebraicoî.
Gli statuti delle Comunit‡ ci consegnano anche le intolleranze e le iniquit‡ cui erano soggetti gli ebrei nella Tuscia. CosÏ ordinava il cap. 92 dello Statuto della citt‡ di Corneto (Tarquinia) del 1545: ìStatuimus, imitantes sacros canones, quod omnes haebrei cuiuscumque sexus, et aetatis decem annorum, debeant portare signum in vestibus eorum de panno rubeo, palam, et non occulte, itaquod palam videatur, ad poenam unius ducati auri, sine aliqua diminutione pro qualibet vice, exceptis illis qui haberent e- xemptione vel privilegium ‡ communitate. Statuentes insuper quod dicti haebrei non possint exire de domibus eorum, incipiendo ad hora tertiarum die iovis, et toto die veneris sancti, usque ad sonum campanae magnae communis sabbati sancti, exceptis medicis in casu necessitatis, qui possint exire, et ire per Corne- tum, cum licentia tamen Magnificorum Dominorum priorumî.
Lesivo della dignit‡ della persona il cap. 41 (Quod Iudei non vadant die Veneris Sancti per Civitatem quoquomodo) dello Statuto di Montefiascone del 1471: ìItem statuimus, et ordinamus quod nullus Iudeus seu Iudea debeat ire, vel va- dat per Civitate Montisflasconis in die Veneris Sancti ad poenam centum soldo- rum paparinorum, et de hoc quilibet possit eum accusare et eius accusae stetur,
et credatur cum uno teste bonae fame, et habeat tertiam partem poenae et cuili- bet liceat eum impune verberare sine ferro, et sanguinis effusione, et hoc ban- niatur in die Iovis Sancti ad hoc ut non imputetur ignorantiaî. Il divieto di uscire dalle proprie abitazioni dal mercoledÏ a tutto il sabato della Settimana Santa Ë leggibile anche nei Bandi Generali del ducato di Castro e Ronciglione (1613) dove si ordinava che gli ebrei dovevano rimanere: rinchiusi nelle loro case nÈ in quel tempo comparir tra i Cristiani.
Il divieto Ë completato per la citt‡ di Castro da altre fonti. ìItem che la Magnifi- ca Comunita debbia il giorno del MercordÏ santo far fare proibitione per bandi che alcuna persona non molesti hebrei ne lor case Ú bene, sopto pena de uno scudo per ciaschuno et ciasche volta, purche detti hebrei stiano reserrati nelli lor case et quelle che contrafaranno oltra la pena pagano il danno che ‡ essi hebrei li pervenisse.î
Nei Bandi vi appare anche líobbligo di portare il segno di riconoscimento in modo ben visibile affinchÈ siano distinti dai cristiani. Gli ebrei autorizzati a risiedervi recavano un ìsegno rosso, secondo il solito, nel cappello o altrove in maniera paleseî e qualora detto segno lo ìhaveranno, ma lo terranno col ferraiolo o altrimenti coperto [Ö] non saranno scusatiî, avrebbero pagato 25 scudi e inoltre condannati a tre tratti di corda: líobbligo veniva meno solo in caso di viaggio.
Questíultima agevolazione rispondeva ad una esigenza pratica nei confronti de- gli ebrei la cui mobilit‡ li sottoponeva alla pi ̆ facile individuazione e minaccia di briganti che nei mercanti e banchieri ebrei vedevano borseggi ed estorsioni di pi ̆ consistente profitto e di pi ̆ miti pene in caso di fermo.
Nel 1657 (24 maggio) Samuello Arpino, il pi ̆ facoltoso ebreo di Sorano, unita- mente ad un contadino che lo accompagnava, venne assalito da una banda di uomini armati e sequestrato in una boscaglia presso Onano.
Per il di lui rilascio le autorit‡ sospettavano che il fratello Daniello avesse pa- gato un riscatto. Líobbligo di recare il segno di riconoscimento era in uso anche in Acquapen- dente.
Nelle sue Croniche del 1588 il notaio aquesiano Pietro Paolo Biondi scriveva: ìHabitandoci líhebrei, la Communit‡ li faceva portare un segno, acciÚ fosseno conosciuti dai christiani. Et in molte altre cose si lege la grande authorit‡ che havevaî. Dai primi decenni del XV e fino alla bolla di Pio V molti ebrei aque- siani risultano abitare perlopi ̆ nel quartiere di Santa Maria (1450, Salamon A- bac; 1520, Salamon di Raffaele; 1554, Isaac Vitali e Salamon di Abramo) vale a dire lungo líintero percorso urbano della via Francigena o strada romana (Via Cassia, attuali Via Cesare Battisti e Via Roma): líasse viario e commerciale pi ̆ importante della citt‡.
Ghetti erano stati istituiti a Castro, a Valentano (in contrada La Ripa nel vicolo di Via Manin) e a Latera. Nella capitale del ducato risulta eretta anche la Sina- goga mentre a Viterbo, fino al 1569, se ne contavano due, una in contrada San
Biagio, líaltra in Valle Piatta prospiciente e allíinterno di Porta Faul e, rispetto alla prima, di pi ̆ recente fondazione. Ad Acquapendente, se interpretati corret- tamente il titolo di maestro riferito a Persio (Persius Magister filiorum Salamonis hebrei) e quello di hebre-
os de bibia per lo stesso Persius, MoisË e Allenzio gi‡ nel 1467 vi sarebbe stata una Sinagoga. Per il successivo secolo Ë certa invece la sua esistenza come per quella di Montefiascone, Orvieto e Orte poi- chÈ le due Sinagoghe pagarvano la quota annua di 10- 12 scudi alla Casa dei Catecumeni di Roma.
In merito alla conversione di ebrei alla fede cristiana al caso di Latera (1570) si aggiunge quello di Acquapen- dente (1570) e di Marta (1569). Per la prima citt‡, la notizia ci Ë nota da Pietro Paolo Biondi, il notaio nel redigere nel 1589 le Croniche relative alla descrizione delle casate in Acquapendente, annotava: ìMastro Angelo Famoso. QuestíË dí- hebreo fatto cristiano líanno 1570 con tre figli e poi poco doppo si battezzorno la moglie et la matre con molta gratitudine della Comunit‡, che li vestÏ tutti di bianco, e li fece molti doni, oltre alli doni, che hebbero dal popolo. Ma il primo che si batezzasse era nato in Acquapendenteî, per il centro lacuale dai Verbali Consiliari del 1569 (dal 25 agosto al 16 ottobre).
Nella seduta del 25 agosto dagli Ufficiali della Comunit‡ venne approvata, per 28 voti favorevoli e due contrari, la proposta avanzata da una famiglia ebrea di Marta ìcioË il padre, la madre e cinque figlioli et quella per volunta de Dio se vogli fare Cristiana si piace alle spettabilita vostre de voler proporre che la Comunit‡ li agiuti in tutte le cose che saran de bisogno[Ö].î
Nelle successive sedute (25 settembre) dal pievano di Marta venne avanzata la richiesta che detti ebrei non potevano essere battezzati se prima non fossero stati catechizzati. La domanda del sacerdote fu accolta dal Consiglio che volle comunque che fossero abbreviati i tempi per la catechizzazione alla dottrina cristiana. Nel verbale del 2 ottobre si riferisce che la Comunit‡ ordinava le cappe e berrette per i battezandi e ancora deliberare, a conversione avvenuta (16 ottobre), che: ìse hanno da pagare la manifatura delle pannj dellj hebrej fattj cristianj et ancora se hanno da pagare le scarpe dellj dectj et si ha da pa- gare il tamburino et lo Sindico non ha modo de posserlj pagareî. Dagli stessi Verbali Consiliari conosciamo che gi‡ nel 1561 vi era stata nel centro una pre- cedente conversione.
Anche a Montefiascone, negli anni in cui Salomone di David AyÚ forniva medi- camenti alla spezieria del Monastero delle Benedettine, assistiamo alla conver- sione di una ebrea (1611-1678) ad opera del card. Zacchia, vescovo di Monte- fiascone, divenuta poi monaca benedettina col nome di Maria Felice Zacchia. Dal verbale delle Uscite della Confraternita di San Francesco di Valentano sia- mo informati che la pia societ‡ devozionale nel 1755 (22 ottobre) versÚ 5
baiocchi ad un ebreo fatto cristiano, cosÏ come anche due altri baiocchi nel 17- 57 (20 novembre) e 1758 (19 aprile) per identico motivo: in questíultimo caso si trattava di uníebrea venuta alla S. Fede. Il riscontro effettuato nel Libro dei Battesimi della parrocchia di quegli anni non mi ha perÚ confermato quanto verbalizzato dal camerlengo della confraternita.
A partire dal secondo decennio del XVII secolo, líattivit‡ creditizia di banchi ebrei nellíAlta Tuscia venne meno. Numericamente ridotta a pochi nuclei famigliari anche la presenza di commer- cianti o artigiani su tutto il territorio fino a tutto il Novecento: fino agli anni prebellici del secondo conflitto mondiale la comunit‡ ebraica contava nel viter- bese 61 membri, quasi tutti commercianti.
Le leggi razziali del 1938 e le successive deportazioni del dicembre 1943 han- no consentito alle genti di Tuscia di offrire riparo a molti ebrei, mettendo in pe- ricolo oltre alla propria vita anche quella delle proprie famiglie. Renato Sadun (Acquapendente) potÈ nascondersi tra i boschi di Torre Alfina e Castel Viscardo mentre la famiglia Servi (Pitigliano) trovÚ rifugio presso Mezzano (Valentano), localit‡ ove in una grotta (detta del Seccante) ripararono in modo temporaneo ad alterno numerose altre famiglie di profughi ebrei.
Permanenza resa sicura dal consenso del proprietario del fondo (Brazz‡), del fattore (Sonno) e da altri giusti contadini che sebbene a conoscenza del fatto lo protessero col silenzio. Tra il settembre 1940 ed estate 1943 piccole comunit‡ (10 unit‡ ca.) di ebrei stranieri coniugati con ariani furono internate nei centri viterbesi di Montefia- scone, Tuscania (internati provenienti da Salerno, famiglia Adler), San Lorenzo Nuovo (internati provenienti da Positano, i coniugi Wolff) e Valentano (perlopi ̆ ebrei, cecoslovacchi, francesi ed inviati poi al campo di Ferramonti Tarsia).
Nel febbraio 1944 gli ebrei detenuti nel carcere viterbese di Santa Maria in Gradi a disposizione delle autorit‡ tedesche erano ventisei. Tragiche, poichÈ vittime della shoah, le vicende della famiglia di Vittorio Ema- nuele Anticoli che, iniziate nel carcere di Viterbo (dicembre 1943) e continuate nel campo di Fossoli, si conclusero ad Auschwtiz e Mauthausen tra il maggio 1944 e quello successivo del 1945. Il drammatico viaggio della morte dei tre ebrei viterbesi Ë stato ricostruito da G. B. Sguario.
Nel suo intervento lo studioso ha evidenziato come anche in quegli eventi tragi- ci la ragione di semplici cittadini viterbesi seppe per alcuni elevarsi a legge uni- versale ma, per altri, mostruosamente inabissarsi nel sonno pi ̆ profondo.
Regesto
Acquapendente
1434 (20 dicembre) Sabatus Daptoli, ebreo di Roma ma abitante in Acquapendente, costituÏ una societ‡ bastarorum con maestro Paolo di Nanni. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot.
390, c. 18v.]
1450 (7 dicembre) Salamon Habac, ebreo di Viterbo ma abitante in Acquapendente, agÏ in nome e per conto di maestro Angelo Daptoli, ebreo abitante in castro Clanceano, per confu- tazione di quietanza a Paolo Francesco de Senis Daptoli di Siena. Líatto fu rogato in strada pubblica, davanti líabitazione di Salamon posta nel quartiere di Santa Maria. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot. 392, c. 29v.]
1455 (16 febbraio) Consilius e Salamon, figli di Abac di Consilio, ebrei di Viterbo ma abi- tanti in Acquapendente, fecero confutazione di quietanza a Cristoforo e Francesco Catalucci, Martino e Pietro di Perugia. [A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo Lelluzzi prot. 391, c. 237.]
1467 (2 luglio) Verbale díinquisizione del notaio Pietro Paolo di Giovanni contro Persius, Moysis e Allentius dopo che i tre, habitatores terre Aquependentis ed hebreos de bibia, ven- nero ad un litigio esegetico con Berardino di Simone, frate dellíOrdine dei Minori, intorno alla rappresentazione del sacrificio di Habraam ed avvenuta in Acquapendente nella Piazza antistante la chiesa di Santa Maria della Scala il precedente sabato 27 giugno.
Nel verbale, redatto iuxta ostium fratrum dicte Ecclesie e alla presenza di maestro Francesco di Enrico, dellíOrdine dei Minori ed inquisitorem heretice pravitate, si leggono la deposi- zione del teste, frate Berardino di Simone, e dei testimoni: Antonio di Giovanni, Sebastiano di Antonio, Nicola di Angelo Pietro Piccioli, Giacomo di Marco. Tutti i testimoni, dopo aver esposto líantefatto (le prove della rappresentazione di Abramo che sacrifica Isacco), confer- marono, pi ̆ o meno con identiche parole, quanto dichiarato dal religioso:
veniens dictus Persius ad multa verba cum ipso frate Berardino, inter alia asserebat quod Saria mortua fuit per dolore filii. Et dictus frater Berardinus negabat predicta, dicendo non esse veritatem et quod hoc non reperiebatur in bibia. Et tunc dictus Persius insistendo asse- rens quod reperiebatur in bibia ipsorum hebreorum, dicens quod bibia ipsorum erat, sed bibia Cristianorum erat falsificata et quod fuerat falsificata per discipulos Cristiî.
I figli di Salamon ebreo indicati nel verbale e dei quali risulta maestro Persio, presumibil- mente sono da identificarsi con i figli di Salamon Habac o Abaac con diversa grafia. [A.S.Vt.
not. Acq., Pietro Paolo di Giovanni, prot. 601 bis, cc. 5-6 recto e verso. Per la trascrizione parziale del verbale (a cura di Fabiano T. Fagliari Zeni Buchicchi) cfr., Q. Galli, Valore religioso e Culturale della Sacra rappre- sentazione nellíarea nord-orientale del Lago di Bolsena, in Bollettino di Studi e Ricerche, Bolsena, a. VI, 1991, p. 91 e 92.]
1509 (29 settembre) Concordia tra Gentile Monaldeschi della Cervara, Signore di Onano, e Josef hebreo, sarto, dopo che il Monaldeschi aveva acquistato dallíartigiano una veste di vel- luto negro ad uso di donne broccata díoro e uníaltra di seta alessandrina. Arbitri della con- cordia: Giovanni Silvestro Zambi, Astolfo Necci, Bernardino di Mario di Ancona, tutti suto- res. [A.S.Vt. not. Acq., Bartolomeo Morelli prot. 458, c. 79.]
1520 (11 settembre) Testamento di Salamon di Raffaele, hebreo díAcquapendente. Per sua volont‡ il testatore disponeva: che il suo corpo fosse tumulato in sepoltura hebreo-
rum more et stelo hebraico; di lasciare al vescovo di Orvieto (diocesi di appartenenza di Ac- quapendente) 10 soldi per ciascuna sua canonica porzione.
Erede universale Ë nominato il figlio Lazzaro (nato dal primo matrimonio con donna Pru- denzia), mentre a Flosgentile, nata dal suo secondo matrimonio con Perna di Helia Drodari da Nola, lasciava 200 ducati. Una veste del valore di 10 ducati pi ̆ altri 50 sono lasciati alla di lui sorella Gentile.
Curatori e tutori dei beni della moglie Perna furono nominati: maestro Amedeo Bonaventura di Castro, Bonaventura Sabatelli di Viterbo, Lazzaro di Volterra, Heliseo Angelo di Orvieto, Isac e Raffael di Giacomo di Montalcino. Tra i beni elencati alcuni sono riservati a Jacobo, hebreo di Orvieto (un ducato) e a Salamon Leoni di Sorano. Il testamento, che annullava un precedente atto del 1513, fu espresso con giuramento secondo i modi e le consuetudini delle leggi ebraiche.
Líatto fu rogato nellíabitazione del testatore posta nel quartiere di Santa Maria, lungo la stra- da Romana (via Cassia). [A.S.Vt. not. Acq., Giulio Pietro Paolo prot. 362, c. 268.] 1529 (29 gennaio) Acquisto casa. Líesimio artium medecine, doct. Magistro Amadio Benevento, hebreo fisico acquistÚ da Le- onardo Lotti una casa posta nel quartiere di San Lorenzo, per il prezzo di 25 fiorini. [A.S.Vt. not. Acq., Sforza Maidalchini prot. 434, c. 139.]
1553 (5 settembre) Prestito di denaro Habramo di Jacobo Caynano, hebreo fenerator in Acquapendente, prestÚ a Sante di Andrea di Pontremoli, tessitore, scudi 5 a giulii 10 per scudo ad usura e interesse secondo la forma dei capitoli del banco.
Il precedente giorno il banchiere aveva ricevuto 6 scudi da Fiano di Sebastiano.
Nel dicembre (11), Girolamo Battista Archilei, dichiara di aver ricevuto un prestito di 10
scudi dallo stesso Habramo a nome di Salamon di Samuele di Torano. [A.S.Vt. not. Acq., Ludo-
vico Morelli sr. prot. 484, cc. 49v e 50v; 87. La forma latinizzata Caynano Ë quella di Cohen e dalla citt‡ di Viterbo proveniva anche Eliezher Cohen, il medico di Giulio II.]
1553 (27 dicembre) Pagamento Maestro Laudadeos di MoysË, hebreo de Viterbio, nominÚ quale suo procuratore e agente in Acquapendente Josef di Salamon che ricevette da Angelo di Cristoforo di Melchiorre 21 giu- li per una certa quantit‡ di stagno vendutagli in occasione e causa havendi et recipiendi ali- quos vasos seu vascellos figolorum. Di un certo interesse appare il fatto che i banchieri ebrei abbiano tenuto contatti con i maestri figuli aquesiani (G. Archilei, Fiano di Sebastiano) in considerazione del fatto che questa era una delle principali attivit‡ economiche della citt‡. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot.
484, c. 100v. Vd. inoltre Le ceramiche Medievali e Rinascimentali di Acquapendente (a cura di R. Chiovelli), Atti del I Con- vegno di studi (20 magggio 1995), 1997, Acquapendente.]
1554 (10 aprile e 30 agosto) Prestito denaro Tale Abramo di Jasaac Caynano di Acquapendente, mutuante per Salamon di Samuel, he- breo fenerator in Montefiascone, fece un prestito (10 aprile) a Mariotto di Ludovico. Líoperazione creditizia tra i due banchieri venne ripetuta pochi mesi dopo (30 agosto) a fa- vore di Domenico Allegretto e Battista Nelli di Latera (30 agosto 1554). [A.S.Vt. not. Acq., Lu- dovico Morelli sr. prot. 484, c.130; 174v; 209v.]
1554 (4 ottobre) Prestito denaro Salamon di Abramo, alias Paragrille, ebreo di Castro ma abitante in Acquapendente, insie- me alla moglie Dulcetta di Jasahac, presero un mutuo da Salamon di Samuele, hebreo fene- rator in Montefiascone. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c.204.]
1554 (5 novembre) Pagamento Joseph di Salamon hebreo, bastarius, di Acquapendente pagÚ 50 scudi a Jasaac Vitalis di Siena ma abitante in Acquapendente nel quartiere di Santa Maria unitamente alla moglie Diana di Consilio. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c. 209.]
1554 (6 novembre) Acquisto vino. Abramo di Jacobo Caynani e MoysË di Benigno da Torano, banchieri in Acquapendente, u- nitamente a Salamon di Samuele, ebreo fenerator in Montefiascone, acquistarono da Corne- lio Ser Sforza di Acquapendente 53 salme di vino puro, met‡ bianco e met‡ nero, ad bocca- lia 50 per ciascuna salma alla misura di Acquapendente. Alcune settimane dopo il solo MoysË di Benigno riacquistÚ dallo stesso venditore altre 30 some di vino. Dai rogiti successivi si evince che Abramo Coynani risulta essere sposato ad Allegretta Davit, avere una sorella germana, Camilla, ed un cognato di nome Laudadei e che MoysË di Benigno di Torano Ë suo affine. A seguito dei debiti contratti tutti i suoi beni vennero confiscati dalla Camera Apostolica ed egli stesso posto in carcere (11 novembre 1554). Suo procuratore in Roma fu eletto Davit MoysË, fratello consubrino di Allegretta. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli sr. prot. 484, c. 210, 217 e 243.]
1590 (13 aprile) Acquisto grano. Francesco Alemanni, gonfaloniere, Augnone Augnoni e Cristoforo Minelli, priori della Co- munit‡ di Acquapendente, in nome e per conto della stessa acquistarono in CastellíOttieri 44 moggi di grano alla misura senese per il prezzo di 72 paoli per il sostegno dei poveri della citt‡. Il negoziato avvenne per tramite di Pier Francesco Pesi di Borgo San Sepolcro, Auditore ge- nerale dello Stato degli Sforza, il quale in sua assenza fece agire Crescenzio Melucci, hebreo banchiere in Onano. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 352, c. 47v e 48.] Della comunit‡ ebrai- ca aquesiana facevano parte anche R. Josef, autore di una poesia liturgica, scritta per il di- giuno di espiazione, e ShelomÚ di Refael, proprietario del Manoscritto 54 della Biblioteca Angelica di Roma. Una delle pergamene ebraiche conservate a Viterbo proviene dalla coper- tina del repertorio del notaio Vincenzo Neri, prot. 503 (1543-1588). Il folio, in scrittura ita- liana del XV secolo, contiene brani del formulario di rito tedesco. Il testo Ë vocalizzato.
Bolsena
Da Bolsena provengono due pergamene del XV secolo riutilizzate come copertina di reper- torio da due notai
La prima (fasc. 48) faceva parte del repertorio (prot. 48) di Domenico Laurenti (1486) ed Ë costituita di 2 foli con scrittura tedesca facenti parte di un unico originario. Ogni folio ha 4 facciate di 16 righe ognuna. Nei foli si leggono brani frammentari del formulario liturgico del rito di Roma: preghiera del VenerdÏ sera, ufficiatura mattutina e serale del Sabato. La seconda pergamena (fasc. 49) fa- ceva da copertina al repertorio di Claudio Salvatori (prot. 174) e presenta scrittura italiana. Il folio, a quattro facciate, contiene Samuele. Il testo Ë vocalizzato ed Ë disposto in due co- lonne per facciata. In alto e in basso, con scrittura pi ̆ minuta, sono riportate le concordanze di Ben Asher e di Ben Naftali. Lo scriba ha rispettato la masora lasciando spazi vuoti tra i
versetti. [A.S.Vt., cartella pergamene ebraiche, fasc. 48 e 49. Per la descrizione delle pergamene mi sono avvalso della schede elaborate dagli archivisti.]
Montefiascone
Líattivit‡ creditizia di banchieri ebrei romani era iniziata a Montefiascone gi‡ nel 1312 quan- do si dichiararono disponibili a rilasciare un mutuo di 15.000 fiorini a favore del Comune a condizione perÚ che fossero riconosciuti loro e ai loro eredi il diritto di cittadinanza e quello di legale appartenenza alle locali corporazioni ed arti. La compagnia ebraica trasferitasi da Roma a Montefiascone risultava composta da: MosË, Emanuele e Beniamino di Donato, A- bramo, Alleuccio e Diodato di MosË, Elia di Manuele, Salomone e Musetto di Leo, Salomo- ne di Elia.
Lo Statuto della citt‡ del 1471 conferma che la comunit‡ falisca accolse il privilegio. Fino al 1569 esisteva nella citt‡ una Sinagoga, che pagava dapprima 10, poi 12 scudi alla Casa dei Catecumeni di Roma. Intorno alla prima met‡ del XVI secolo la presenza di banchieri e mer- canti ebrei in Montefiascone sembra essere stata agevolata dal card. Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, vescovo della citt‡ dal 1535 al 1548. Salamon di Samuele dal 1542 fino alla met‡ del decennio successivo appare come il banchiere pi ̆ influente della citt‡. Nei rogiti notarili Ë inizialmente indicato come proveniente da Torano, centro dal quale proveniva an- che MoysË di Benigno (cfr. Acquapendente) ma in quelli del 1553-55 il fenerator Ë pi ̆ sem- plicemente qualificato come abitante di Montefiascone. Nellíagosto del 1545 (11 e 16) risul- ta aver concesso dei mutui a diversi privati (Bellisario di Castro Peri) mentre dal 1553 e 1554 teneva continui rapporti con altri banchieri di Acquapendente (Abram Caynano e Mo- ysË di Benigno) con i quali, oltre al prestito, conduceva anche attivit‡ commerciali. Come indicato, nel 1554 (6 novembre), il banchiere aveva acquistato in Acquapendente di 53 salme di vino. [A.S.Vt., notarile di Montefiascone, Collesio Gisberto prot. 177 (1530-1574), cc. 60; 62; 66 e segg.] Altro banchiere attivo in Montefiascone risulta Jasach Carcosci (?) di Roma, líattivit‡ di prestito di questíultimo appare perÚ meno fortunata rispetto al suddetto Salamon essendosi conclusa nel 1569 (26 febbraio) con il pignoramento di 380 salme di grano da parte dellíAu- ditore della Camera Apostolica. [A.S.Vt., notarile di Montefiascone, Giulio Giusti jr. prot. 231 (1562- 1572), c. 164.]
Singolare appare invece líattivit‡ di Salomon di David AjÚ in quanto il mercante, presumibil- mente ambulante, tra il 1664 e 1688, risulta tra i fornitori della spezieria delle Monache Be- nedettine di Montefiascone. In data 25 novembre 1680 le religiose acquistarono dallo stesso pietre preziose ad uso di spezieria: zaffiri (3 scudi), topazi (1 scudo), smeraldi (1 scudo), ru- bini (80 baiocchi) e franati (20 baiocchi). Per líacquisto del 1688 Ë registrato che le spese per le droghe furono scontate con lo ìstallatico del suo somaro prestatogli dallo Monasterio per lo spatio di 50 giorni in circaî.
Onano
Contrariamente a quanto finora si conosceva possiamo rilevare che líattivit‡ di prestito in Onano, prima ancora che con Ventura de Pomis, Ë iniziata con Crescenzio Melucci. Il ban- chiere risulta abitare in Onano stabilmente a partire dal 1580 dopo che unitamente a Simone e Rubino hebrei fratelli et sui Nipoti Meneseo et Flaminio figlioli gi‡ di bona Ventura de Consulo da Spoleto, aveva ottenuto dagli Ufficiali della citt‡ di Castro, la licenza di fare un banco nella capitale per la durata di dieci anni. Crescenzio di Meluccio di MosË, prima di raggiungere Castro, risultava abitare in Proceno. La sua attivit‡ di bancherio e di mercante in Onano Ë da relazionare a Paolo Sforza di Santa Fiora, Signore del castello dopo che il centro nel 1561, a seguito della condanna per eresia luterana di Luca Monaldeschi della Cervara, era passato al cardinale Guido Ascanio e per esso agli Sforza fino alla quarta generazione. Con la morte di Crescenzio Melucci (1597 ca.) líattivit‡ creditizia in Onano venne continua- ta fin dopo il 1612 da Ventura De Pomis.
Accanto a questi due banchieri va collocata anche líattivit‡ di Flaminio di Bonaventura che risulta imparentato con detto Crescenzio per averne sposata la sorella Giulia. In data 24 ago- sto 1587 in Onano, nella casa del cognato, detto Flaminio fece il suo ultimo testamento. Nel rogito (che annulla le precedenti disposizioni del 4 e 5 agosto), che qualifica il teste sano di mente ma di corpo languens, il banchiere disponeva: di voler essere sepolto in CastellíAzza- ra; di lasciare al vescovo di Sovana 5 soldi per ogni sua canonica porzione; di nominare suoi eredi universali le di lui sorelle Solpitia, Allegrezza, Clemenzia, Giulia. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351 (1582-1589), cc. 202-204.]. Detto Crescenzio pochi anni prima (1584, 4 giugno), per il prezzo di 38 fiorini, aveva acquistato una casa da maestro Vergilio Cechi, posta nel quartiere di Santa Maria del Fiore e confinante con i beni dello stesso vendi- tore e Berto di Cino. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351 (1582 ñ 1589), c. 106.]
Dalla consultazione dei protocolli notarili (rogati per lo pi ̆ da Paolo Giannetti) si evince che Crescenzio di Melucci ha iniziato la sua attivit‡ di prestito in Onano a partire dal novembre 1580 e che allíattivit‡ creditizia affiancava quella del commercio dei grani. Ottimi i rapporti che lo univano a Paolo Sforza. Nellíaprile 1590, per il sostegno dei poveri della loro citt‡ gli ufficiali di Acquapendente, acquistarono in CastellíOttieri 44 moggi di grano, alla misura senese. Il negoziato per líassenza di Pier Francesco Pesi, Auditore generale dello Stato degli Sforza, fu seguito da Crescenzio Melucci, hebreo banchiere in Onano, suo procuratore. Quattro anni dopo (30 giugno 1594) lo stesso banchiere promise di consegnare al luogote- nente di Paolo Sforza, Ambrosio P., tante salme di gran pari a cinquanta scudi, somma che era stata precedentemente concordata dallo stesso banchiere con Camillo Gorci, medico del Signor Paolo Sforza. Il grano, proveniente dal nuovo raccolto, sarebbe stato estratto da Ona- no. Per la sorella Clemenzia, sposata a Raffael di Habuc, ebreo di Bolsena, Crescenzio aveva istituito una dote di 300 scudi (1591, 29 marzo). [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 352 (1589- 1591), c. 106.]. La donna perÚ precedentemente risulta sposata a tale Angelozzo dal quale ave- va avuto anche due figlie: Signoretta e Pacenzia. A seguito della morte di Crescenzio, la mo- glie Giulia (precedentemente coniugata con Bonaventura di Leoni), in data 28 febbraio 1598, tramite líagente di Lucrezia Pia Sforza, chiedeva ad Antonio Danielli di Gradoli che le fosse- ro consegnati i 45 scudi che lo stesso aveva avuti in prestito dal marito. A garanzia del credi- tore il Danielli aveva impegnato un suo oliveto posto in Gradoli in contrada Piano della Fratta. [A.S.Vt. not. Acq., Scevola Giannetti prot. 353 (1596-1623), c. 10.]
A partire poi dagli anni 90 del XVI secolo agisce in Onano anche Ventura di Simone de Po- mis. Il banchiere, proveniente di Scansano (feudo degli Sforza), aveva in Onano un suo ban- co nel 1604. Sono questi anche gli anni in cui la Contea di Pitigliano entrÚ a far parte del Granducato (1608) e venivano autorizzati da Ferdinando I líapertura dei Monti di Piet‡ a Pi- tigliano e a Sorano; condizione questa che provocÚ il trasferimento di banchi di prestito ebrei dal Granducato allo Stato ecclesiastico. Il primo marzo del 1611, quale socio e procuratore di Isach di Simone Rieti da Siena, il de Pomis ratificava la somma di 700 scudi che Giovanni Antonio Orsini, marchese di Monte San Savino, doveva restituire al banco degli ebrei di Piti- gliano secondo le convenzioni contenute nel chirografo del 5 luglio 1610 tra líOrsini e il Rieti. A sua volta, con procura dellí11 marzo, il de Pomis, hebreus de Scansano incola Ona- ni, girava ed eleggeva quale suo agente in Firenze Angelo Pesero, hebreum florentinum ha- bitatore Florentie, líinteresse della societ‡ mense mutui di Pitigliano. Ancora nel 1619 il de Pomis risultava avere dei beni in Onano poichÈ in data 21 novembre vendeva una cantina a tale Reginaldo. [A.S.Vt. not. Acq., Pier Francesco Casanova prot. 248, c. 151v.]
Líattivit‡ di banchi di prestito ebrei si Ë conclusa in Onano intorno al secondo decennio del XVII secolo ma ciÚ non comportÚ la scomparsa dei mercanti ebrei dalle attivit‡ del centro, tanto che negli anni che precedono líannessione del Lazio al Regno díItalia il Moroni, nel suo Dizionario, segnalava che in Onano, vi era un forte contrabbando da parte degli ebrei; giudizio condivisibile a condizione perÚ di essere esteso anche ad altri soggetti. Nel 1706
donna Polifema di Sabato Spagnoletto di Sorano e moglie di Giuseppe Servodio, quale erede universale della sorella Refea, venne a patti col fratello Alessandro. Nellíatto di concordia veniva regolato che i censi che la stessa aveva in Onano venivano venduti allíaltare delle Anime Purganti della chiesa di Santa Croce di Onano e per esso al suo ufficiale Annibale Luzi. [A.S.Vt. not. Acq., Giuseppe Biccellai prot. 188 (1704-1708), c. 163v. e segg.]
Proceno
Per líaltro centro dello Stato Pontificio feudo degli Sforza, conosciamo che Meluccio di Mo- ysË, hebreo de Proceno ma fenerator in Scanzano (19 marzo 1588), non avendo pagato a Consulo di Isach di Viterbo, abitante a Castro, la dote per la figlia Dolce aveva fatto fideius- sione nei confronti del figlio Pacifico. [A.S.Vt. not. Acq., Paolo Giannetti prot. 351, c. 101.]. Ancora a Proceno, prima che iniziasse líattivit‡ feneratizia in Castro (1566), risultano risie- dere Crescenzio Melucci, e Simone di Consulo.
Farnese e Latera
I due centri, autonomi rispetto a quelli del Ducato di Castro, fino al 1658 sono appartenuti alla famiglia Farnese del ramo eponimo. Mario Farnese tra il 1599 e 1603 aveva rilasciato patenti per líapertura di banchi di credito a Latera e a Farnese. Nel 1599 (1 giugno) aveva concesso a MoisË e Aron di Clemente da Velletri di aprire un banco a Latera per la durata di 5 anni con la condizione che pagassero 15 scudi per ciascun anno. Prima della scadenza dei termini (maggio 1604), la concessione venne loro rinnovata per i successivi 5 anni. Con let- tera patentale (6 novembre 1603) Mario Farnese regolÚ i termini del nuovo banco (da ini- ziarsi a partire dal primo giugno 1604) e aumentÚ da 15 a 40 scudi annui la quota che i due banchieri dovevano versare al Signore: le nuove e pi ̆ esose condizioni vennero accettate dai due banchieri in data 20 novembre 1603. Dal rogito, redatto in Farnese dal notaio aque- siano Ludovico Morelli jr., conosciamo che al momento dellíatto era presente il solo Aron e che questi agiva anche a nome del fratello, pertanto il banchiere si impegnava a rispettarne i capitoli e quindi ìiuravit tacto calamo more hebreorumî. [A.S.Vt. not. Acq., Ludovico Morelli jr., prot. 493 (1601-1610), c. 12.] Le agevolazioni poste ai due banchieri di Latera, sebbene non e- spletate nel protocollo notarile, sono le stesse di quelle del capitolato del 1600 (1 dicembre) regolate tra la Comunit‡ di Farnese e Pacifico di Meluccio e suo figlio Prospero. La Comu- nit‡ come ricordato concedeva loro: di poter abitare nella terra di Farnese o nella citt‡ unita- mente alle famiglie e garzoni; di vivervi secondo i loro costumi e ìalla stessa maniera di quelli di Lateraî, vale a dire di essere esentati dallíobbligo di portare il segno di riconosci- mento, di fabbricarvi un proprio cimitero, di riconoscere loro gli stessi trattamenti riservati agli altri vassalli dello stato. [A. BARAGLIU, Mario Farnese Signore del ducato di Latera e Farnese, cit., p. 87.]
Ducato di Castro
A quanto gi‡ detto si aggiunge che a seguito dei Bandi (1 aprile 1613) agli ebrei fu consenti- to di prendere dimora solo nella citt‡ di Castro. La capitale, come si legge nella Informatione et discorsi dello stato di Castro (1600) di Francesco Giraldi, ìnon fa pi ̆ che anime 900 com- presoci fra essi 67 hebrei, che quivi habitanoî. Líobbligo di residenza nella citt‡ Ë leggibile anche nella Informatione e cronica della Citt‡ di Castro e di tutto lo Stato suo [ Ö] di Bene- detto Zucchi del 1630 ma la notizia appare meno precisa. ìVi sono sempre state famiglie di Ebrei, e vi hanno tenuto spesse volte il banco, quali non possono stare in altro luogo dello stato sotto gravi pene per prima abitazione bandimentaleî.
Prima della esecuzioni dei Bandi emanati dal duca Ranuccio Farnese, creditori e mercanti ebrei avevano operato a Gradoli e Valentano, centri nei quali, alla fine del XVI secolo, vi era stata pi ̆ volte la richiesta avanzata da un banchiere hebreo di Onano di aprirvi un banco. A Marta nel 1561 risultano attivi un banco e presumibilmente anche degli artigiani. In questí- anno (3 febbraio), Habramo hebreo, aveva richiesto che gli fosse concessa líautorizzazione a continuare líattivit‡ creditizia ìal meno per insiní al mese díAgosto proximo accio non mo- lestassino tanto questi loro Creditore perlla Terra. Nella seduta di Consiglio del 23 marzo venne messa a votazione ìsi pare che li hebrej hanno da stare in Marta et si la Comunit‡ si contenta o, no, maximi lartisciani chj vole che ce stiano metta nella bossola negra chi non voli che ce stiano metta nella biancaî. Per 41 voti contro 12 fu deliberato che ìgli ebrej che non ci habino da stareî. [Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. ANGELOTTI, F. FA- NELLI, E. FUCINI), Viterbo, tip. Quatrini, 1988, p. 198 e 211.] Nellíottica di questíultima risoluzione appare forse leggibile il caso di un ebreo martano che si era convertito al cristianesimo (dicembre 1561)? [Ivi, p. 238 e segg.]
Sebbene esplicitate come loro volont‡ testamentarie, veri e propri contribuzioni e pagamenti obbligatori appaiono le donazioni, fatte al vescovo di Castro da parte di ebrei residenti nel ducato; condizione questa che li accomunava a quelli delle vicine diocesi di Sovana e Orvie- to. Nei testamenti rogati in Castro da Benedetto Zucchi tra il 1594 e 1598 e da Domenio de Angelis appare costante il versamento di 10 soldi a favore del vescovo come anche quello di altri 5 cinque per i canonici della cattedrale di San Savino. Costanti sono anche i lasciti alla Sinagoga: si va dalla semplice donazione per líolio per la lampada (Camna di Prosparo, 15- 98, 26 gennaio) ad offerte pi ̆ generose come quella di Dianora di Abram, moglie di Aron di Joseph, che dona, oltre ad uno scudo per la lampada, anche un materasso di lana bianca e due di linthea usati (1600, 12 aprile), o quella di Gentile, vedova di Consolo, che destinava alla stessa tutti i suoi beni (1594, 6 settembre). [A.S.Vt., notarile di Tuscania, Benedetto Zucchi prot.
532, cc. 18; 38 e segg. Archivio Storico di Valentano, fondo di Castro, Domenico de Angelis (1555-1604) c. 137.] Termino citando il capitolato del 22 gennaio 1566 fra i Priori e Gonfalonieri della Comunit‡ di Castro (Laurantio Scaramucci, Framentio Querciola, AntonClario di Andrea, Egidio di Castro, Jacubo Concuo) e ìCrescentio de Meluccio hebreo de Proceno et Simone e Rubini hebrei fratelli et sui Nipoti Meneseo et Flaminio figlioli gi‡ di bona Ventura de Consulo da Spoleto esser confirmati dalla Magnifica Comunit‡ di Castro con bona gi‡ dellíIllustrissimi Signor Padroni et essi hebrei et loro haredi compagni et fattori et successori prestar denari ‡ utile et far bancho in la Magnifica Citt‡ di Castro et suo Contado et discreto secundo la forma et tenore delli infrascripti Capitoliî.
La richiesta di aprire detto banco in Castro era iniziata gi‡ alla fine del 1564 e sebbene Ge- rolama Orsini, gi‡ in data in data 14 novembre 1564, aveva inviato da Canino agli Ufficiali della capitale la sua lettera di patente, il contenuto della stessa pare giustificare tale ritardo ìMagnifici nostri carissimi. Qui Ë venuto prete Cecho Vostro mandato míha referto tutto quello serÏa il aiuto vostro circha la cosa dello hebreo li ho detto me ne contento de tutto quello farete. Ma io non ci vo mettere ‡ sopto scrivere i Capitoli perchÈ non voglio mettermi in cose de hebreiî. Da Valentano infine apparirebbe provenire Rausea. Nel 1648 la donna, abitante in Pitigliano e soprannominata la Valentana, per aver guastato dei bambini causan- done la morte fu accusata di stregoneria unitamente ad Agnola detta la Pergola.
Una testimonianza sulla presenza ebraica a Scansano
Dino Petri
Tutti i relatori, con puntuale e profonda conoscenza, hanno esposto i diversi ver- santi della vicenda umana di queste fran- ge di popolo spinte e costrette a vivere nei paesi amiatini e maremmani.
Anche a Scansano si erano insediate al- cune famiglie e, fra queste abbastanza abbienti, vi furono i Baroccia e i Bem- porad pi ̆ conosciuti, questíultimi, dopo che in seguito a Firenze fondarono una nota casa editrice.
Il palazzetto in via Marconi allíaltezza dellíinnesto con via della Botte fu rico- struito, su fondazioni cinquecentesche, proprio dai Bemporad per farne la pro- pria abitazione. Questa loro propriet‡ comprendeva un giardinetto ed un orto e si estendeva da via Marconi fino alla sottostante via IV Novembre dove avevano una stalla ed una uscita di servizio.
Il piano terra comprendeva un magazzino, una cantina e il bucatoio con un pozzo, nel primo piano i locali da giorno con una grande sala, nel se- condo piano le varie camere collegate con il primo da due scale, una ufficiale ed uníaltra interna e nascosta ma di di- mensioni pioutosto ampie. Quindi le soffitte in gran parte abitabili in un dedalo di vari locali.
Dalla lettura diaciamo ìsocialeî di questa tipologia di abitazione appare evidente come chi vi abitava intendeva poter vivere autonomamente e con la disponibilit‡ di tutti quei beni necessari alla propria sopravvivenza anche per periodi relativamente lunghi. In caso di ostilit‡ esterne potevano, coime in un castelletto, trovare con facilit‡ ri- fugi o fughe. Non siamo in grado di sapere se queste condizioni fossero una li-
bera scelta o vi influissero motivi di cautela verso líambiente circostante.
Nel salone del primo piano i Bemporad acco- glievano le altre famiglie ebree presenti a Sa- cansano in occasioni di festivit‡, riti e cele- brazioni che si verificavano abbastanza spes- so. Abbiamo potuto avere una simpatica testi- monianza diretta da parte di Jose Sandrucci, nato a Scansano nel 1864 e morto ancora in piena lucidit‡ alla veneranda et‡ di 106 anni. Egli, giovane calzolaio, veniva chiamato in questa casa ad eseguire gli ordinari lavori di riparazione delle scarpe per cui vi trasferiva il proprio deschetto per alcuni giorni ed aveva occasione di seguire lo svolgimento della vita quotidiana. ìEra la signoraî, dice Jose ìche dirigeva tutto, una signora alta, distinta e un poco burbera, mentre il marito, pi ̆ cordiale e buontempone, mi corrompeva con piccole mance perchÈ gli procurassi della salsiccia o del prosciutto che poi mangiava con vivo piacere quando la moglie era assen- teî. ìCosa avete mangiato a colazione?î, gli chiedeva riservatamente al ritorno. ìDue acciughine, signora!!!î, rispondeva Jose ligio al patto e riceveva anche da lei un piccolo compenso.
Gli ultimi ebrei hanno lasciato il paese di Scansano alla fine dellíOttocento. Ri- mane a ricordo il palazzo decritto sopra e il cosidetto ìPalazzo rossoî (altra lo- ro costruzione). In entrambi si puÚ osservare sopra al portone di ingresso una elaborata rostra in ferro battuto in cui campeggia la prima lettera dei rispettivi cognomi. Nellíarchivio comunale vi sono documenti che, finalmente ordinati e consultati, potrebbero ricostruire questa parte della vita e della storia della comunit‡ ebrai- ca a Scansano, certamente di particolare interesse sotto il profilo sociale ed eco- nomico.
Líiniziativa di questo seminario santafiorese, ha mostrato come esistano ancora, per varie localit‡ che furono interessate da questa convivenza, lacune di cono- scenza e di ricerca: sarebbe veramente interessante se potessero, con il tempo, essere colmate adeguatamente e essere, caso mai, oggetto, di un secondo semi- nario.
Líattualit‡ della riflessione sulla Shoah
Claudio Franci
Deputato al Parlamento
Vorrei prima di tutto ringraziare gli organizzatori di questa iniziativa a Santa Fiora per avermi invitato, alla quale ho dato la mia adesione, non solo come rappresen- tante di questo territorio in Parlamento, ma anche come amiatino legato profonda- mente a questa terra, dove sono vissuto e continuo a vivere, per sottolineare il fatto che una piccola comunit‡, come quella dellíAmiata, non rinuncia a costruire, in ogni occasione, motivi di ricerca e di approfondimento delle proprie radici, della propria storia, della propria cultura e compie un approfondimento che non cerca mai di lasciare la storia o guardare alla storia come un evento che Ë legato al pas- sato, ma cerca sempre di guardare a ciÚ che Ë avvenuto, alle nostre tradizioni, alle culture che qui si sono incontrate, come un momento per rinnovare valori, idealit‡, possibilit‡ e prospettive di costruire un futuro migliore. » per questo che ho ritenu- to di aderire a questo importante appuntamento cosÏ come il 27 gennaio ho parte- cipato a Pitigliano allíiniziativa promossa dallíassociazione ìla piccola Gerusa- lemmeî dedicata a ìLa giornata della memoriaî, una celebrazione che ha visto la partecipazione della provincia di Grosseto in una realt‡ dove la presenza di questo popolo Ë stata particolarmente significativa. Io vorrei partire da qui, con due o tre considerazioni per lasciare poi il giusto spazio a chi dovr‡ intervenire dopo di me, ma anche per non apparire colui che fa uníincursione in un convegno ñ io sono arrivato da poco pi ̆ di uníora. E díaltra parte sarebbe scorretto da parte mia, e non sarei nemmeno in grado, tentare di formulare dei giudizi sulle questioni relative alla presenza degli ebrei nel nostro territorio e il significato che questa ha assunto, che sono stati oggetto della mattinata di studio. Al di l‡ di ciÚ che leggiamo ñ la persecuzione perenne di un popolo, che ritroviamo nel corso dei secoli ñ Ë impor- tante il ruolo che i piccoli stati (Santa Fiora, Pitigliano...) al confine fra lo Stato Pontificio e gli altri stati, dove gli ebrei hanno avuto la possibilit‡ e líopportunit‡ anche di radicarsi e di assicurarsi una presenza continuativa. Ritengo giusto che líAmiata continui e non interrompa questo processo che Ë della ricerca e della me- moria. Noi viviamo in una societ‡ che brucia tutto, nel giro di pochi attimi si bru- ciano le immagini, le sensazioni ed anche i sentimenti della gente; ciÚ che Ë vero e che Ë falso Ë difficile distinguerlo da un giorno allíaltro proprio perchÈ bombardati ogni giorno da varie vicende. Stamani, quando mi sono svegliato, pensando al convegno di oggi, mi sono ripreso un poí di libri che avevo in biblioteca tra cui ìTracceÖî e alcune cose che ripercorrevano la storia e vi dico anche una cosa grave per la mia ignoranza personale, ma ve la dico proprio per dare il senso anche dellíimpegno e della necessit‡ che dobbiamo mettere in campo. Leggevo líarticolo di Leoncarlo Settimelli, che Ë apparso su ìTracceÖî un poí di tempo fa, che par- lava della presenza degli ebrei a Santa Fiora nel rapporto con la musica e le tradi- zioni popolari e oltre a Santa Fiora indicava anche altre presenze, penso a quelle di Castel del Piano ñ dove io vivo da anni e ho fatto líamministratore fin dal í75,
quindi non un giorno fa ñ e sono sobbalzato leggendolo, perchÈ nella mia memoria non cíera la presenza ebraica in una comunit‡ come quella di Castel del Piano. Al- lora mi sono ricordato che ci sono delle strade che sono intitolate agli ebrei: cíË via Fosso degli Ebrei, cíË il Fosso degli Ebrei. Pure nella mia esperienza di un cit- tadino normale, ma che guarda con un poí di attenzione alle vicende di questo ter- ritorio, non avevo mai legato questa vicenda ad un fatto come la presenza di una comunit‡ nel nostro territorio. Sono uscito e sono andato come tutte le mattine al- líedicola a comprare il giornale, ho trovato una ventina di persone e gli ho fatto la domanda che mi ero posto io: ìMa per voi, qual Ë stata la presenza degli ebrei nel comune di Castel del Pianoî? Nessuno ha saputo darmi una risposta. Dico questo, non solo per confessare la mia ignoranza, ma per sottolineare il valore di un lavoro che Ë appunto quello della ricerca, che Ë quello di comprendere a fondo le ragioni di un territorio che vive sempre in un crinale difficile fra la non modernit‡ e la co- struzione dello sviluppo, ma che Ë anche quello della necessit‡ di non perdere le proprie radici, la propria storia e la propria cultura perchÈ solo da questo puÚ tro- vare una progettualit‡, uníiniziativa, un lavoro nuovo da portare avanti. Io potrei dire davvero che oggi Ë stata ìLa giornata della memoriaî, perchÈ ha aperto uno spaccato che nella mia testa non cíera, líavevo rimosso nella realt‡ del comune do- ve vivo. Indubbiamente non Ë cosÏ nel quadro generale.
Questa giornata, che Ë collegata con la giornata della memoria, si produce come una sorta di continuit‡ con la testimonianza ñ che non deve mai finire ñ dellíolo- causto che non deve finire. Ritengo, in questo senso, opportuno sottolineare positi- vamente líiniziativa assunta dalla Regione Toscana sulla visita ai campi di con- centramento e di sterminio: mia figlia liceale ha partecipato a questo giro che cre- do abbia lasciato anche una traccia tra tutti coloro che ci sono andati ñ cinquecento giovani partiti dalla Toscana ñ che hanno compiuto un cammino dentro la storia ed ha rappresentato per le loro coscienze un significato importante. Dobbiamo ri- cercare le nostre radici, la capacit‡ di dialogo che la nostra comunit‡ non ha mai perso ñ e ci tengo a sottolinearlo, lo dico da amiatino.
Ci siamo visti tempo fa a Santa Fiora per presentare il libro di un poeta del nostro territorio. Mi sembra utile, a questo proposito, ribadire che una delle forze di que- sto comprensorio Ë di non avere mai perso di vista due questioni: una sono le sue radici e líaltra la capacit‡ di dialogare e di capire anche i bisogni e le necessit‡ di altre comunit‡, di altri soggetti, di integrarli, di dialogare.
Questíultimo Ë un elemento importante perchÈ noi dobbiamo non solo mantenere la memoria della testimonianza di fatti gravissimi, indicibili che nel passato sono avvenuti ñ penso allíolocausto, allo sterminio di un popolo e alla negazione dei suoi diritti ñ ma anche operare ñ a questo deve Questo mi sembra il punto vero di come la storia e il futuro si incontrano, di come formano cultura, idealit‡, valori, opportunit‡ nuove, incontro di generazioni, possibilit‡ di popoli di costruire con determinazione nel rispetto dei propri diritti e dei loro valori un futuro che, indub- biamente, deve essere migliore. Allora quando io penso alla ìGiornata della me- moriaî, al ricordo o a vicende come queste, allíindagine sulla presenza di una co- munit‡ nel nostro territorio come Ë stata quella ebraica, le penso di questo tipo.
Viviamo in un mondo che oggi soffre grandi conflitti irrisolti e rispetto ai quali le risposte non sono nÈ scontate nÈ definite, io ritengo che il destino sia un poí nelle nostre mani e non solo di chi ci governa, ma anche dei cittadini che debbono agire come protagonisti in questo processo. Penso, ad esempio, allíEuropa. Noi oggi ab- biamo una moneta unica, ce la portiamo in tasca, compriamo, scambiamo e la mo- neta unica non Ë, in ogni modo, da sola, líEuropa che ha ancora da definire diritti e valori su cui si fonda e che dovrebbero servire ñ ad uníentit‡ istituzionale ñ a co- struire un mondo pi ̆ giusto e nuovi equilibri internazionali. Dopo il crollo del mu- ro di Berlino, le sorti dellíumanit‡ sono state lasciate in mano a pochi paesi e chi ha esercitato e sta esercitando un ruolo importante forse Ë un soggetto solo. Noi non possiamo pi ̆ permettercelo nel futuro ñ e questo lo dico prima di tutto in uní- Europa che guarda a costruire sia i sistemi pi ̆ equilibrati dove tanti popoli vengo- no liberati dal sottosviluppo ñ, ma lo penso innanzitutto in relazione al Medio O- riente e a ciÚ che lÏ sta avvenendo. La questione della pace ha oggi la propria cen- tralit‡ nella risoluzione del problema mediorientale. LíItalia non Ë altra cosa ri- spetto a questo, non puÚ essere marginale ñ nÈ rispetto allíEuropa e neanche ri- spetto agli Stati Uniti díAmerica ñ: questi popoli si affacciano ai nostri confini ñ il Mediterraneo, di fatto, Ë il nostro mare ñ, ed Ë a partire da qui che un dialogo deve improntarsi. Per questo Ë impensabile che non ci sia un ruolo di questa entit‡ isti- tuzionale per costruire una pace giusta in quella realt‡, una pace che a mio avviso si fonda su due elementi: il primo Ë che noi dovremo garantire ñ la comunit‡ inter- nazionale dovr‡ garantire ñ a Israele la possibilit‡ di avere uno stato sicuro, libero, in grado di assicurare diritti e la libert‡ dei cittadini che ci vivono; ma, dallíaltra parte, il problema del popolo palestinese credo che debba essere affrontato perchÈ anche questo popolo ha diritto ad una terra e a uno stato sicuro e legittimo. Quan- do noi guardiamo alla nostra storia, al passato, agli eccidi gravi e alle efferatezze che sono state compiute, se noi dobbiamo costruire un futuro questíocchio rivolto al passato deve aiutarci ad avere in testa, ognuno di noi, una bussola che non Ë fat- ta dellíadesione a quello o a quellíaltro partito ñ la ritengo marginale ñ ma ancora- ta ad alcuni valori che riguardano tutta líumanit‡ e sono: la democrazia, la libert‡, líautodeterminazione dei popoli, la possibilit‡ di liberarsi da vincoli come la fame, il sottosviluppo e il diritto alla salute. Credo che líAmiata possa dare un contributo a questo, perchÈ nelle nostre radici ci sono uomini che ci hanno insegnato ed aiu- tato a ricercare nella nostra storia, uomini come padre Balducci, come Di Giulio e come lo stesso Lazzaretti a cui, in questi giorni, si vorrebbero dare appartenenze di parte, fuori dalla storia e da ogni luogo. Credo che líAmiata negli ultimi cento an- ni, abbia imparato a ragionare, a dialogare, a costruirsi su forti valori e questo la rende una parte importante della comunit‡ toscana che sta agendo, anche in una fase difficile sul piano internazionale, per riaprire porte ed opportunit‡ di dialogo in una parte del mondo che ha bisogno di trovare una soluzione dignitosa per tutti i popoli che vi abitano.
Vi ringrazio.
Le persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto
Luciana Rocchi, Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dellíEt‡ Contemporanea Grosseto
ìIl 18 giugno 1944 va pure ricordato per líarrivo di Lello e Edda a Roccatederi- ghi dopo un viaggio di 9 giorni percorso a piedi tra le macchie ed a fianco della guerra, giunti in stato pietoso. Il 14 luglio Lello riparte per Pitigliano, via Gros- seto-Arcidosso, parte a piedi, parte con mezzi di fortunaî (1)
Si conclude cosÏ, con il ricongiungimento ai figli ed il ritorno, líodissea della famiglia di Azeglio Servi, nella scarna descrizione offerta da una delle quattro pagine del diario, che scrisse duran- te i sette mesi della sua prigionia
nel campo di internamento di Roc- catederighi. La vicenda della famiglia Servi (2) puÚ ben rappresentare il vissuto di molti altri ebrei, residenti nella pro- vincia di Grosseto, dallíemanazione delle leggi razziali in Italia, nel no- vembre 1938, allíinizio della ìpersecuzione delle viteî, avviata nel novembre 1943 con líapplica- zione della nuova legislazione della Repubblica Sociale Italiana sugli ìappartenenti alla razza ebraicaî, alla Liberazione, avvenuta nel giugno 1944. Anche se non per tutti ci fu un lieto fine: 33 furono i deportati nei campi di ster- minio del Reich; di questi 29 non tornarono.
La presenza ebraica nella provincia di Grosseto non era particolarmente signifi-
cativa; il censimento del 1938 ne contava 149 (3), di cui 68 residenti a Pitigliano
(4), sede nei secoli passati di una numerosa e attiva comunit‡ ebraica, che dalla
fine dellíí800 aveva conosciuto un rapido e cospicuo processo di emigrazione. (5)
Líassimilazione degli ebrei grossetani prima del 1938 era quella stessa, che Ë documentata in tutta líItalia da: partecipazione alla vita civile, appartenenza al- lo stato nazionale (compresa da parte di molti una sostanziale accettazione del regime fascista) (6) serena convivenza con la comunit‡ cattolica.
La comunit‡ ebraica di Pitigliano, proprio in ragione di una secolare permanen- za nel luogo, offre un esempio di pacifica convivenza, che si manifesta con un rapporto di collaborazione tra le autorit‡ religiose cattoliche ed ebraiche e di armonia tra i membri delle due comunit‡.
Ma il clima cambiÚ, se gi‡ nellíestate del 1938 il veterinario di Pitigliano veni- va convocato dal Prefetto di Grosseto per fornire spiegazioni in merito ad un articolo, che aveva pubblicato proprio su ìlíunione tra ebrei e cristianiî a Piti- gliano (7). La lettera che Giuseppe Ugo Boscaglia inviava il 23 giugno al Prefet-
to Ë un esempio di trasformismo: quellíarmonia, che gli era apparsa prima un valore, nelle giustifi- cazioni che si sente obbligato a dare Ë rappresenta- ta con un nuovo linguaggio, allusivo ed ambiguo. Descrive ìun incrocio cristiano-ebraico: le due raz- ze si sono mischiate, impastateî; denuncia un ìmorboso desiderioî degli ebrei, che ìper spregio si accoppiavano volentieri a cristiane e special- mente a vergini cristianeî, che avrebbe ìinfettatoî anche i cristiani, che, perÚ, ìhan meno quattrini per soddisfarloî.
In un altro luogo della provincia, a Monte Argenta- rio, un altro episodio documenta la nuova atmosfe- ra. In una lettera al Prefetto di Grosseto (8), il 13 novembre 1938, il Podest‡ di Monte Argentario espone un problema: si Ë insediata da tre anni, in un edificio acquistato dalla colonia israelitica Pitigliani di Roma, una colonia estiva, che ospita ragazzi ebrei ìcontro líunanime sentimento di questa popola- zione, tutta cattolicaî.
PoichÈ le recenti direttive in materia razziale hanno trovato, sostiene il Podest‡ ìpiena corrispondenza in questo popolo, tali ebrei sono indesiderabili, e non si gradirebbe il loro soggiorno in questo Comune, sia pure limitato al breve perio- do estivoî. Conclude prospettando la costruzione di un albergo, grazie alla vo- lont‡ di alcuni cittadini disposti ad acquistare líedificio.
Mentre si verificano questi episodi, prende corpo nella provincia di Grosseto una campagna di stampa dai toni beceri ed aggressivi su La Maremma, il foglio díordini del Partito Nazionale Fascista locale. (9)
Vi compaiono con sempre maggiore frequenza articoli, che alternano disquisizioni teoriche sul tema della raz- za, esaltazione delle misure adottate dal governo fasci- sta, denunce dei vizi degli ebrei.
Sono limitatissimi i riferimenti alla realt‡ locale. Ma cíË un articolo, che merita di essere segnalato per uníinter- pretazione del carattere tipico della ìrazza italianaî, che
secondo líautore va ricercato nelle campagne maremmane, la cui popolazione rimane da sempre attaccata alla sua terra (ìesistono famiglie che abitano lo stesso podere da mille anniî).(10) Qui, senza accenti eroici, razzismo Ë: fedelt‡ alla terra, al lavoro, alla famiglia, e questa fedelt‡ i maremmani la incarnereb- bero perfettamente.
Sono espressioni, che probabilmente tendono a sollecitare una partecipazione attiva alla politica razziale in una popolazione, che ìcontinua ad essere indiffe- rente alla questione razzistaî, come recita la relazione mensile del Questore di
Grosseto del gennaio 1939. (11) N ellíinsieme, dun- que, una propaganda accanita della sezione gros- setana del Partito Nazionale Fascista, lo zelo delle autorit‡ locali, líindifferenza delle popolazioni, che dobbiamo interpretare ñ in riferimento ai due episodi citati ñ come disponibilit‡, in un caso a su- bordinare il rispetto per i diritti di cittadini italiani a pieno titolo ad un tornaconto, nellíaltro ad inchi- narsi trasformisticamente allíautorit‡ fascista, che ora ìcon senso di giustizia e di saggezza cristiana, vigilaî.(12)
Anche líautorit‡ religiosa, a Pitigliano, sembra vo- ler prendere le distanze dal passato, se il vescovo rimprovera alcuni suoi parroci per un eccessivo contatto con gli ebrei del luogo. Le testimonianze di ebrei grossetani attestano
da parte loro, dopo le leggi, la lenta percezione di un cambiamento di stile nei rapporti, ma non per mani- festazioni di aperta ostilit‡, piutto- sto per le condizioni oggettive di esclusione ñ per esempio dalla scuola ñ e per un graduale indeboli- mento delle relazioni sociali.(13) Durante gli anni della guerra, a Grosseto non esiste ancora, come
altrove, in Italia,(14) un luogo destinato allíinternamento degli ebrei stranieri e degli italiani giudicati pericolosi (15) ma Ë documentata la presenza di alcuni e- brei in carceri della provincia di Grosseto. Nel momento in cui, con uno dei suoi primi atti, la RSI indurisce le misure per- secutorie contro gli ebrei (16) , passando dalla persecuzione dei diritti alla perse- cuzione delle vite, la presenza di ebrei nella provincia di Grosseto Ë ulterior- mente diminuita.
Líunico dato certo di cui disponiamo Ë un aggiornamento del censimento, dei primi mesi del 1944, che conta 100 ebrei residenti.(17) Dunque, ancora una oggettiva marginalit‡ del problema ebraico, ma, nonostan- te ciÚ, uno speciale accanimento delle autorit‡ repubblicane nellíadozione delle nuove pratiche di controllo, esclusione, persecuzione.
Tra ottobre e novembre del í43 líesercito occupante tedesco ha gi‡ avviato ra- strellamenti e deportazioni di massa nel territorio della RSI. Il 14 novembre, la Carta di Verona del PFR dichiara che ìgli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante la guerra appartengono a nazionalit‡ nemicaî.
Il 30 líordine di polizia n. 5, firmato da Buffarini Guidi, dispone arresto e inter- namento di tutti gli ebrei, per cui debbono essere istituiti, laddove non esistono,
nuovi campi provinciali. Il 5 dicembre il campo di prigionia di Fossoli di Carpi Ë trasformato in campo di concentramento per ebrei, luogo di raccolta ed attesa di ciascuno dei numerosi convo- gli, che trasferiranno nei campi
di concentramento del Reich la maggior parte degli oltre 6000 ebrei deportati dallíItalia.(18) Nellíapplicazione delle nuove norme, i rappresentanti locali del governo della RSI procedet- tero di concerto con le autorit‡ politiche e militari tedesche in Italia, ma dopo il novembre 19- 43 líiniziativa diretta fu soprat- tutto italiana, salvo per líintervento tedesco nellíorganizzare la deportazione.(19) La singolarit‡ del caso grossetano appare evidente dalla cronologia degli even- ti. Tra 16 e 17 novembre furono emanati i primi tre decreti, che disponevano congelamento e sequestro dei beni di cittadini di razza ebraica (20).
Il 16 novembre fu sequestrata la prima propriet‡ terriera: la tenuta della Societ‡ Paganico, nel cui consiglio erano presenti, anche se non in maggioranza, ebrei. La corrispondenza tra le istituzioni locali e il presidente della Societ‡, il mar- chese Serlupi Crescenzi (21), attesta lo stupore che accolse il provvedimento. Serlupi denuncia, alternando le proteste agli attestati di fedelt‡ al regime, lías- senza di precise disposizioni in merito ed esprime fiducia in un atto di clemen- za. Ma gli si risponde con una secca conferma del sequestro.(22)
A questo seguono nel giro di pochi giorni sequestri di depositi bancari, di a- ziende commerciali e di altre propriet‡ agrarie e infine delle case di abitazione. Il 7 dicembre Ë istituito líEGELI (Ente di gestione e liquidazione immobiliare), incaricato di operare verifiche sulla posizione razziale dei proprietari di beni mobili e immobili, di nominare stimatori e liquidatori, di gestire il cospicuo pa- trimonio risultante dai sequestri. Si trattÚ di una risorsa per il le finanze pubbli- che, la cui situazione fu sempre precaria, ma anche di un mezzo per favorire con un ruolo ed uno stipendio una clientela locale. Parte del denaro incamerato confluÏ anche nelle casse del PFR, parte fu indebitamente distratto da responsa- bili dellíEGELI e dallo stesso capo della Provincia, come documentano le in- chieste per malversazioni, aperte dalla Prefettura di Grosseto nellíestate del 19- 44 (23).
Ma il capitolo pi ̆ doloroso fu quello degli arresti e dellíinternamento. Il 24 novembre ebbero inizio i lavori per líinstallazione di un campo provincia- le, in uníala della sede estiva del Seminario vescovile di Roccatederighi, nel comune di Roccastrada; il 27 avvennero i primi arresti nel territorio provincia- le; il 28 il campo cominciÚ a funzionare.(24) Tutto questo ñ la complessa messa in movimento della macchina della persecu-
zione ñ in anticipo rispetto allíordine di polizia n. 5, del 30 novembre, e senza alcun intervento da parte del Comando territoriale militare germanico. Tutti gli atti, che dispongono líapplicazione delle singole misure, portano la fir- ma di Alceo Ercolani, che fu capo della provincia di Grosseto dallíottobre 1943 al giugno 1944. Originario di Viterbo, era stato nel 1940 Federale di Treviso, quindi Ispettore della G.I.L. a Roma, prima di partire volontario per la campa- gna di Russia, dove fu maggiore del 3° Reggimento Bersaglieri e si guadagnÚ una medaglia díargento al valor militare.
Dopo la fuga da Grosseto, fu Presidente dellíEnte Nazionale profughi a Milano, fino alla Liberazione. SubÏ una condanna severa per omicidio e collaborazionismo, pronunciata dalla Corte díAssise straordinaria di Grosseto il 18 settembre 1946, che scontÚ solo in minima parte. Ebbe nel 1953 una nuova, lieve condanna per bancarotta, ma nel 1962 il Tribunale Supremo Militare rispose positivamente ad una sua istan- za di riabilitazione.(25)
Dagli atti del processo di Grosseto emerge la ferma decisione, con cui perseguÏ i renitenti alla leva (in un rapporto del Comando militare territoriale germanico la sua azione era stata segnalata come ìeccellenteî) (26). Tra i capi díimputazione, il pi ̆ grave Ë la responsabilit‡ nellíuccisione di undici giovani renitenti alla leva, arrestati e fucilati dopo un processo sommario a Maiano Lavacchio, presso Grosseto.
Dopo la strage, Ercolani scrisse un compiaciuto elogio per gli esecutori e pro- pose per loro una ricompensa in denaro (27), mentre censurÚ il Questore di Gros- seto, che aveva espresso gravi riserve per la ferocia di questo atto.(28) Se analizziamo i singoli atti relativi alla persecuzione degli ebrei, troviamo in rapidissima sequenza, con sistematicit‡, i provvedimenti di Ercolani finalizzati al sequestro ed alla gestione dei beni ebraici.
Il fatto che non fossero state emanate istruzioni dal Ministero degli Interni quando scattarono i suoi primi provvedimenti non fermÚ il capo della Provin- cia, che, in risposta alle proteste del marchese Serlupi Crescenzi, riconfermÚ la volont‡ di procedere: ìÖovunque esist[esse] anche un solo ebreoî.
Sostenne anche di aver agito ìin seguito ad ordine del Ministro dellíInternoî, riferendosi ad un incontro, avvenuto a Firenze tra Buffarini Guidi ed i capi del- le province, dopo il quale, perÚ, solo lui aveva ritenuto di dover assumere im- mediatamente líiniziativa. (29) Complessivamente, nel gennaio 1944 líEGELI aveva gi‡ disposto e realizzato il sequestro di 15 aziende agrarie, per uníesten- sione di 13.000 ettari (30) Gi‡ dal 5 novembre, Ercolani aveva avviato uníinchie- sta sulle case di abitazione degli ebrei e sul numero degli occupanti; la lettera, che inviÚ ai Podest‡, si trova, nel fondo regia Prefettura, collegata ad una di- sposizione, che vieta di dare ospitalit‡ a sfollati di altre province, per riservarla a quelli della fascia costiera della provincia di Grosseto (31).
Appare evidente líintenzione di utilizzare le abitazioni degli ebrei per venire incontro alle necessit‡ di alloggi, create dallo sfollamento della popolazione dai
luoghi pi ̆ esposti ai bombardamenti. Ma la prova pi ̆ evidente di sollecitudine del capo della Provincia Ë data dallíistituzione del campo provinciale díinterna- mento di Roccatederighi. » gi‡ il 24 novembre, dunque prima del citato ordine di polizia n. 5, che comu- nica al Ministero degli Interni líavvenuta istituzione del campo, corredando líinformazione con vari dettagli: sede, nomina del direttore, provvedimenti per la custodia. Colpisce anche la predisposizione di misure di sorveglianza esterna tali da poter far fronte ad azioni di guerra: 20 militi, armati di mitragliatrici, fu- cili mitragliatori, ìun congruo numero di bombe a mano per ogni militeî ed un reticolato di protezione, sorvegliato notte e giorno (32), per impedire fughe e co- municazioni.
Il tutto per sorvegliare 80 detenuti, tra cui vecchi, donne, bambini, offrendo u- níimmagine esterna, che ricorda i campi di concentramento del Reich. In uníal- tra occasione, con un telegramma, aveva rivolto al Ministero degli Interni un quesito ìper conoscere se legge di Norimberga debba essere applicata confronti ebreiî, (33) riferendosi presumibilmente al trattamento degli ebrei ultrasettanten- ni, dei malati, dei nati da matrimoni misti e dei coniugati con non ebrei, su cui le disposizioni della RSI tra dicembre í43 e gennaio í44 tendono a farsi pi ̆ ri- gide.
Vi si puÚ leggere líatteggiamento del militare, incline al rigore ed alla discipli- na, ma Ë anche implicita qui la disponibilit‡ ad applicare la legislazione tede- sca, pi ̆ dura di quella italiana, dunque a superare in rigidit‡ le norme italiane, per avvicinarsi al modello tedesco. Líeccesso di zelo dellíistituzione del campo di sua iniziativa provocÚ una secca richiesta di chiarimenti da parte della Dire- zione generale di P.S. del Ministero, che precisava, in una nota inviatagli: ìla costituzione e líorganizzazione di campi di concentramento, comíË noto, sono di competenza di questo Ministeroî (34).
Per Roccatederighi, nessuna autorizzazione era stata nÈ richiesta nÈ ottenuta. Dunque, Ë chiaro che il ruolo di Alceo Ercolani non fu secondario, nella condu- zione di uníazione tanto precoce, quanto accanita. Quale la spiegazione? Una speciale, innata durezza, magari mista ad ammira- zione per il rigore tedesco; un retaggio della disciplina militare, un ossequio to- tale al regime, forse anche la disinvoltura di chi non ha radici nel luogo in cui opera e puÚ consentirsi eccessi altrimenti difficili.
Certo Ë che Ercolani non Ë líunica variabile di questo sistema: seppure Ë stato il promotore dei molti atti, che portano la sua firma, ha avuto bisogno di una fitta rete di relazioni e di complicit‡ per realizzarli. Lo attestano intanto i molti col- laboratori di cui si servÏ per il sequestro e la gestione dei beni. Sono documen- tate offerte spontanee di collaborazione: un sequestratario che non vuole nem- meno compensi in denaro per il suo lavoro; agricoltori che si affrettano a garan- tire alla Confederazione fascista degli agricoltori la propria disponibilit‡ a ge- stire le imprese agrarie sequestrate a ebrei del loro stesso paese (35), in un caso lo stesso mezzadro del proprietario ebreo.
Uníattenta considerazione merita líatteggiamento della Chiesa locale. Spesso i parroci, qui come altrove, dettero uno spontaneo sostegno sia agli antifascisti, che a chi sfuggiva allíarruolamento nellíesercito della RSI, che agli ebrei perse- guitati. Ma le pi ̆ alte gerarchie di fronte alle persecuzioni, ai rastrellamenti, al- le deportazioni, come sappiamo, tacquero. (36) A Grosseto, fa riflettere líutilizzo della sede estiva del Seminario vescovile. Non si trattÚ di un gesto di brutale requisizione, ma di un accordo stipulato tra il Vescovo di Grosseto ed il capo della Provincia, sancito da un regolare contratto di affitto. Una biografia di Pao- lo Galeazzi, allora Vescovo di Grosseto, Ë ancora da scrivere, ma appare gi‡ og- gi un personaggio interessante, se suscitÚ un incidente diplomatico tra Vaticano ed addetto statunitense presso la Santa Sede, nel giugno 1943, con la scrittura di un articolo forte a proposito del bombardamento americano del 26 aprile 19- 43, che i cardinali Maglione e Tadini definirono inopportuno, perchÈ politico; ed a seguito del quale ricevette dal S.C. Concistoriale ìun rebuffoî.(37)
Il documento che attesta líaccordo riporta líammontare del canone díaffitto, il compenso pattuito per le suore e gli uomini, messi a disposizione per la gestio- ne del campo.(38) Pur considerando líovvia cautela del Vescovo, che cerca di ga- rantirsi da un ñ peraltro improbabile ñ esproprio,(39) non appare altrettanto ov- via la motivazione espressa nel testo, di ìprova di speciale omaggio verso il nuovo statoî, quando mai la Santa Sede volle riconoscere la RSI.
Diversa sar‡ la versione dei fatti, a Liberazione avvenuta, quando il vescovo pretender‡ dalla Prefettura di Grosseto quanto gli sarebbe dovuto, dal momento che líaffitto non Ë mai stato pagato, con due lettere, in cui dichiara di aver do- vuto cedere il seminario costretto dalle pressioni delle autorit‡. (40)
Al di l‡ della difficolt‡ di spiegare un gesto tanto singolare rispetto alle scelte del vescovo ed al clima politico locale, sarebbe interessante sapere se la Santa Sede fu informata e, se sÏ, quale atteggiamento tenne. Ma per saperlo sar‡ ne- cessario aspettare líapertura degli archivi vaticani, dove sono ancora secretati i documenti relativi a questo periodo. Di particolare interesse, su questo tema, Ë il confronto con la memoria di alcuni tra i superstiti del campo e tra i religiosi, che convissero con gli internati (41).
Tutti ricordano lëassistenza spirituale del Vescovo, che in quel periodo occupa- va uníaltra ala del Seminario, e le cure della sorella, che alleggerivano il peso della detenzione. Nessuno Ë disposto ad attribuirgli una qualche responsabilit‡: una memoria selettiva líha esclusa ed ha consolidato in loro líimmagine dei ge- sti di solidariet‡. Un punto fermo Ë che ìil vescovo ha salvato la vita ad ebrei grossetaniî. (42)
In effetti, un dato significativo Ë quello delle deportazioni. Osservando i due trasferimenti di ebrei da Roccatederighi a Fossoli, preludio alle deportazioni, troviamo nel primo gruppo 9 italiani e 12 stranieri, nel secondo 25 stranieri.(43) Nessun ebreo grossetano uscÏ da Roccatederighi, diretto a Fossoli; i pi ̆ furono rilasciati per motivi di salute. Si era costituita una rete solidale intorno agli e- brei grossetani, che comprendeva anche alcuni militi, che prestavano servizio
allíinterno del campo, e lo stesso direttore, Gaetano Rizziello. (44). Erano loro a guidare opportunamente la composizione della lista. Resta il fatto che uno dei testimoni intervistati, nel richiamare alla memoria quei due momenti pi ̆ tragi- ci, rivive ancora con profonda commozione sia la paura, che la piet‡ per chi ñ privo di protezione ñ prese la strada per Auschwitz, magari al posto di un so- pravvissuto. Al di l‡ di questi momenti, líimmagine della vita nel campo, che i testimoni restituiscono, fa dimenticare le drastiche misure di sorveglianza ar- mata, predisposte allíinizio. Dal campo era possibile uscire ed intrattenere con- tatti costanti con gli abitanti di Roccatederighi. Tra le memorie pi ̆ vive, resta- no quelle della solidariet‡ del paese, fatta di offerte di ospitalit‡ e di aiuti di o- gni genere, qui ed in altri luoghi della provincia (45), esempio di uníaltra faccia delle persecuzioni antiebraiche, altrettanto rilevante di quella delle numerose complicit‡ con i nazifascisti. Gino Servi ricorda di esser riuscito ad introdursi nel campo con il fratello, per rivedere i genitori (46). » impossibile non percepire il paradosso di un tranquillo scorrere dei giorni al campo, in un contesto in cui la ìmacchina della morteî avviata dalla Germania nazista e sostenuta dallíItalia fascista continuava a perseguire líobbiettivo dello sterminio di tutti gli ebrei, anche in Italia. E in Italia troviamo, nella societ‡ civile, líuna a fianco dellíal- tra, la solidariet‡ e la delazione, la comprensione e líindifferenza. Valutando complessivamente il caso Grosseto, vi troviamo ben rappresentata quellíambi- guit‡, che ha consentito la lunga durata del modello interpretativo, fondato sul- lo stereotipo del ìbravo italianoî. La storiografia, dopochÈ per molto tempo lo studio di Renzo De Felice (47) Ë rimasto líunica lettura sistematica della storia degli ebrei sotto il fascismo, ha introdotto in anni pi ̆ recenti nuove categorie interpretative (48). Proprio quello che abbiamo indicato come un paradosso ci mette di fronte alla natura delle responsabilit‡ e degli atteggiamenti degli italia- ni. In un caso come quello grossetano, dove líiniziativa persecutoria fu in modo speciale accanita e feroce, a fronte di una presenza di ebrei tanto limitata, Ë le- cito chiedersi perchÈ a nessun livello questa macchina non si sia inceppata, co- me una parte non piccola della societ‡ civile abbia potuto accettare di adeguarsi alla condotta, che veniva richiesta. Non possiamo ignorare, per spiegarlo, la martellante propaganda, che La Maremma aveva condotto su una popolazione resa sempre pi ̆ passiva da generazioni di assuefazione al regime fascista, che a Grosseto, a dispetto dei importanti tradizioni democratiche prefasciste, aveva trovato un largo consenso. (49) Ma vale anche la pena di osservare la vasta gam- ma di comportamenti di coloro, che garantirono con la loro pi ̆ o meno ampia collaborazione il funzionamento della macchina: il Presidente dellíEGELI, che godeva di uno stipendio mensile di 2000 lire, il sequestratario che collaborÚ gratuitamente, il Vescovo che firmÚ líaccordo per líistituzione del campo e con- temporaneamente si prodigÚ per gli ebrei grossetani, il comandante del campo ed i militi, che manipolarono la lista per non far deportare i grossetani. Questi ultimi fanno ricordare quel Raffaele Alianello, commissario di P.S. ñ citato da Giacomo De Benedetti in un racconto (50) ñ che fece cancellare dalla lista delle
vittime designate della rappresaglia delle Fosse Ardeatine otto ebrei, per dimo- strare proprio verso gli ebrei un pietismo, che era stato un vizio secondo líetica fascista, e dunque guadagnarsi a futura memoria un favore, presso coloro, che domani avrebbero sostituito i fascisti al potere. Anche il comandante Rizziello forse pensÚ al dopo, in un momento in cui i segni del tracollo fascisti si faceva- no chiari. Mettendo a confronto i comportamenti dei vari ìAlianelliî e quelli di chi, senza ambiguit‡, offrÏ solidariet‡ e aiuto agli ebrei, troviamo un confine molto pi ̆ netto di quanto non possa sembrare. Seguendo Giovanni De Luna, (51) Ë possibile definirlo come il confine tra fascismo e antifascismo intesi non co- me categorie immediatamente politiche, ma esistenziali. De Luna ha visto la realizzazione del progetto di dominio fascista in corrispondenza con la costru- zione di processi, che favorivano uníatmosfera di corruzione, in modo cosÏ pe- netrante da introdursi anche nella vita privata dei singoli, spezzando legami di solidariet‡, utilizzando il sospetto, la delazione, il compromesso. Questo con- temporaneamente apriva spazi, non direttamente legati alla politica, di crescita dellíopposizione e valorizzava quindi quello che lui chiama un antifascismo e- sistenziale. Si puÚ aggiungere che quei comportamenti, cresciuti sul terreno a- rato dal regime fascista, potevano radicarsi tanto meglio, quanto pi ̆ erano de- boli la cultura e la coscienza civile degli italiani. Gino Servi, nella sua testimo- nianza, ha ricordato il momento in cui scattÚ in lui la presa di coscienza, nellí- autunno del í43, quando la persecuzione líobbligÚ alla fuga nelle campagne di Pitigliano e si trovÚ, non solo come aveva temuto, a condividere un progetto con i partigiani ed a ricevere un caloroso ed essenziale sostegno dai contadini (ìNon ho ricordi di una porta chiusaî, dice oggi ) (52). Servi mostra nella sua te- stimonianza una percezione abbastanza chiara del significato di quei diversi comportamenti, indicati prima.
Ma non Ë sempre facile, per i portatori di queste memorie difficili, ricostruire quel passato, operando nette distinzioni. Nellíanalisi del caso grossetano, non Ë sempre stato agevole il confronto tra le fonti archivistiche e le memorie dei te- stimoni, che danno líimpressione di non voler contrastare fino in fondo quel senso comune, che tende a ridurre le responsabilit‡ del fascismo. » impossibile, con loro, tentare passaggi, che vadano oltre la loro elaborazione dellíesperienza vissuta e le cristallizzazioni, che la memoria ha consolidato ñ grazie ad una let- tura pi ̆ o meno selettiva ñ ed ora trasmette, narrando.
Per questo, pur dovendo continuare a misurarci con delicatezza e rispetto con quelle memorie, riteniamo utile estrarre documenti dagli archivi locali. PerchÈ negli ultimi anni, sono state proprio le ìmicrostorieî, i casi locali, a contribuire a far sÏ che si venisse a capo di ìuna curiosa discrasia tra una storiografia, che tende[va] a stemperare presupposti e circostanze di ciÚ che furono le leggi raz- ziali ed una ìmicrostoriaî che invece narra[va] episodi di uccisioni, massacriÖ un altro paese, fatto di delazione, di indifferenza, di egoismo e di cinismoî (53)
Non ci furono soltanto razzistiÖ
Elena Servi
Associazione ìPiccola Gerusalemmeî di Pitigliano
Settembre 1938: avevo appena otto anni e mezzo e, dopo aver frequentato la prima e la seconda elementare nella scuola pubblica di Pitigliano ñ mio paese di nascita e di residenza ñ mi preparavo ad iniziare la terza classe. Una mattina mio padre mi disse:
- Questíanno non potrai pi ̆ andare a scuola!- - PerchÈ, che cosa ho fatto? ñ domandai con sorpresa. Nel mio cervello di bambina era ben chiara la consapevolezza che soltanto per averla fatta grossa non si era ammessi a scuola e io non mi sentivo in alcun mo- do colpevole. - Niente, non hai fatto niente- mi rispose tristemente mio padre accarezzando-
mi la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. ñ Non hai fatto
niente, ma non potrai frequentare-. CosÏ, da quel giorno, seppi di essere diventata diversa, esclusa, respinta, inac-
cettabile, cosÏ come lo seppero tanti al- tri bambini come me e tanti altri adulti come mio padre. In quei giorni erano state emanate in Italia, dal governo fa- scista, le leggi razziali; in quei giorni gli ebrei italiani, che dallíunit‡ díItalia e fino a quel momento erano vissuti in piena parit‡ di diritti e di doveri con tutti gli altri cittadini dello Stato, si ri- trovarono espulsi dagli impieghi, dalle scuole, dai ranghi militari, da ogni in- carico pubblico. Essi furono privati di ogni diritto civile, umiliati, disprezzati, perseguitati in quella stessa Patria per la quale, durante il Risorgimento e nei lunghi e duri anni della prima guerra mondiale, avevano combattuto e molti erano morti. ìIn Italia- aveva affermato Mussolini poco tempo prima, riferen-
dosi alle persecuzioni razziali gi‡ in atto in Germania, sotto il governo di Hit- ler- ìnon esiste una questione ebraicaî. E ancora: ìIl contributo di sangue dato dagli ebrei allíunit‡ díItalia Ë stato va- sto, generosoî.
Parole ben presto rimangiate, come prezzo da pagare allíalleanza con la Germa- nia nazista. CominciÚ dunque, per tutti noi, quel periodo nero che doveva dura-
re per ben sette anni e che ebbe il suo culmine tragico nelle deportazioni e nello sterminio. Anche a Pitigliano, dove ormai da quattro secoli viveva e prosperava una Co- munit‡ ebraica; dove gli ebrei di volta in volta cacciati dallo Stato Pontificio o da altre terre, avevano trovato sempre un rifugio sicuro ed erano vissuti , in ge- nere, in armonia col resto della popolazione, le persecuzioni razziali cambiaro- no improvvisamente la vita della Comunit‡ fino a
determinare la graduale scomparsa. Proprio a Pitigliano, anzi, le leggi razziali trova- rono uníapplicazione rigida, zelante, che superÚ per tanti aspetti i dettami stessi delle leggi. CiÚ non per opera dei Pitiglianesi, ma di alcuni gerar- chi fascisti venuti da fuori o che vivevano e lavo- ravano a Pitigliano ma non erano originari del pa- ese. Agli ebrei di Pitigliano, conosciuti personal- mente uno per uno data la piccolezza del paese, fu vietato di frequentare qualsiasi locale pubbli- co- cinema, teatro, bar - ; ai cattolici fu vietato díintrattenere rapporti con gli ebrei e, perfino, di rivolgere loro il saluto.
Per quello che ne so, in nessuníaltra localit‡ italiana furono presi simili prov- vedimenti e del resto, poichÈ agli ebrei italiani non era stato imposto alcun se- gno distintivo particolare, nelle grandi citt‡ essi avevano maggior libert‡ di mo- vimento.
Fu a quel punto, perÚ, che molti dei nostri amici cattolici, in aperta sfida agli ordini ricevuti, ci dimostrarono tutta la loro solidariet‡ e il loro sostegno: le a- miche pi ̆ care delle mie sorelle maggiori continuarono a frequentare la nostra casa, mentre i genitori delle mie sue pi ̆ care amiche ñ uno dei quali addirittura impiegato comunale ñ si rifiutarono di impedire alle figlie di giocare con me.
Io fui, per cosÏ dire, ìadottataî dalla madre di una di queste che regolarmente, la domenica sera o le altre sere festive, mi prendeva con la sua famiglia per an- dare al cinema o a mangiare il gelato, seduta a un tavolo fuori del bar, sotto gli occhi di tutti.
CosÏ, fra amarezze, angherie e disagi di ogni genere, arrivammo al 1943 e dopo lí8 settembre, con líuscita dellíItalia dal conflitto mondiale e con la conseguen- te occupazione di gran parte del territorio nazionale da parte dei tedeschi, ebbe inizio, per tutti noi, il periodo pi ̆ tremendo.
Dopo la deportazione degli ebrei romani ñ il 16 ottobre 1943 ñ e dopo che ap- parve ben chiaro quale sorte sarebbe toccata a chi fosse caduto nelle mani dei nazisti, i miei genitori decisero di scappare da Pitigliano: nel pomeriggio dellí1- 1 novembre, in una splendida giornata di sole degna dellíestate di San Martino, abbandonando la nostra abitazione e, portando con noi soltanto poche cose, prendemmo la via dei campi. Le mie due migliori amiche di cui ho gi‡ parlato
ñ Leda Carrei e Agnese Ragnini ñ mi accompagnarono per un lungo tratto di strada; poi ci salutammo e il distacco fu doloroso: ci saremmo riviste? IniziÚ cosÏ per noi quel triste andare da un posto allíaltro; quella paura di essere scoperti, presi, deportati, quel terrore che ogni sconosciuto potesse costituire una minaccia: nascondersi al prossimo senza aver fatto niente di male Ë una sensazione di pena indescrivibile.
Per quattro mesi ci spostammo da un podere allíaltro, camminando spesso a fa- tica sulla neve alta, pronti a fuggire e cercare rifugio in un altro luogo non ap- pena si presentava o si presagiva un pericolo. Allíinizio del marzo í44, infine, trovammo rifugio un una grotta in mezzo a
una macchia e lÏ restammo fino al 14 giu- gno quando, finalmente occupata la nostra zona dagli ìAlleatiî potemmo far ritorno a casa, a vivere la vita come uomini liberi in mezzo a uomini liberi.
La prova era stata dura e avrebbe lasciato i segni indelebili in ognuno di noi; ma rin- graziammo Iddio di averci salvato, rispar- miandoci i tormenti atroci della deportazio- ne. Per tanti anni, il 14 giugno, io e la mia famiglia digiunammo in segno di gratitudi- ne verso Dio.
Ringraziammo Iddio e demmo, per quanto ci fu possibile, segni tangibili di ri- conoscenza a coloro che, a rischio della propria vita, ci erano stati vicini e ci avevano aiutato, moralmente e materialmente, a superare il pericolo. Senza la solidariet‡, senza líabnegazione di tanta gente semplice non ci sarebbe stato possibile scampare allo sterminio.
Mio padre e tutta la mia famiglia erano molto conosciuti nella zona, stimati e ben voluti: i nostri migliori amici erano cattolici e da loro ci vennero il soste- gno e la salvezza.
Sarebbe troppo lungo descrivere, qui, tutte le dimo- strazioni di solidariet‡ concreta e di vero affetto da cui fummo circondati in quel periodo triste: tante porte si aprirono per accoglierci e per nasconderci; tante mani di prodigarono con estrema semplicit‡ e con generosit‡ grande per darci cibo e protezione nella fuga o per mettere in salvo quanto possibile di tutto ciÚ che avevamo lasciato nella nostra casa, pronte a riconsegnarci tutto se avessimo avuto la fortuna di tornarvi un giorno.
Non fummo mai lasciati soli, non ci sentimmo mai abbandonati, anche se non mancarono momenti di grande sconforto e di paura.
Ognuno di quelli che ci accoglievano o che ci aiutavano in qualche modo, sape- va bene il rischio che correva e che faceva correre ai propri familiari. Alcuni ci conoscevano da sempre e avevano anche debito di riconoscenza verso mio pa- dre; altri non ci avevano mai visto prima di allora e ci accolsero e ci protessero con uguale slancio generoso. Di tutti sento il dovere di citare qui i nomi:
Rinaldo Carrei e fam. Elena Ragnini e fam. Ernesto Pellegrini e fam. Eliseo ed Angelo Conti e fam. Quinto Sarti e fam.
Manetti Adriano e fam. Guido Niccolucci Araldo e Lea Vetrulli. A tutti costoro ñ molti dei quali ormai deceduti ñ andr‡ sempre il nostro pensie- ro riconoscente, ben consapevoli che, per quanto abbiamo cercato di ricambiare in qualche modo, non potremo mai ricompensare adeguatamente il rischio cui si esposero per senso di fraterna amicizia, di carit‡ genuina e umana giustizia. Oltre alla mia esperienza personale, trovo giusto ricordare qui anche líaiuto che fu dato alla famiglia di colui che - allíepoca come
Fortunato Sonno e fam. Conti Bracceschi-Brazz‡
Piero Vagnoli e fam. Famiglia Cica
me un ragazzo ñ divenne poi mio marito. I genitori e due figli vivevano a Latera, un paesino della provincia di Viterbo, ed erano gli unici ebrei residenti sul posto. Aiutati a fuggire di casa da alcuni compaesani, fu- rono fatti giungere in modo fortunato a Roma, ad- dirittura su un camion di soldati tedeschi che tra- sportavano farina: ciÚ per il coraggio e per líintra- prendenza di una signora tedesca, sposata ad un signore di Latera. A Roma furono nascosti in casa di una famiglia cattolica: Antonio Giannarini ñ cosÏ si chiamava il capofamiglia ñ era anchíegli originario di Latera ed aveva un fratello sacerdote dellíordine dei Sale- siani. Mentre i miei futuri suoceri rimasero presso la stessa famiglia fino alla liberazione, i due figli, ad un certo momento, furono accolti, sotto falso nome, presso líIstituto religioso ìAngelo Maiî dei ìCarissimiî il cui rettore era, allíepoca, Fratel Nicasio Freddiani, anchíegli compaesano e amico della famiglia di mio marito. Sempre nellíautunno del í43, il fratello di mio padre e sua moglie, che abitava- no a Firenze, trovarono rifugio a San Miniato, nella zona di Pisa. Rievoca il fi- glio maggiore in un suo scritto: ìLa famiglia che ha aperto loro le porte di casa sapeva il pericolo cui andava
Famiglia Parotti Emilio Torrini Ferdinando Cini
incontro, nel caso in cui la loro identit‡ venisse svelata. I miei genitori, che era- no muniti di documenti falsi, facevano in modo di apparire persone del luogo: coppia di anziani, profughi dalle citt‡ bombardate, come molte migliaie di profughi nello stesso perio-
doî. Essi erano stati accolti, a San Miniato, nella casa del Sig. Neri (un dipendente della ditta di propriet‡ del fratello di mio padre) il cui figlio era un sacer- dote. Si trovarono coinvolti nel crollo della catte- drale di S. Miniato, minata dai tedeschi al momen- to della ritirata, dove si erano radunati con tutti i cittadini del posto su ordine del Comando Tedesco; ne uscirono miracolosamente illesi, mentre molte furono le vittime. Scrive ancora il figlio: ìSoltanto molto pi ̆ tardi fu
chiarito che la ma- gnifica cattedrale del decimo secolo era stata mi- nata con le persone dentro, come rappresaglia ad una attacco di un reparto di partigiani contro sol- dati tedeschi nella zonaî. Líepisodio della distruzione della cattedrale di S. Miniato fu pi ̆ tardi ricostruito nel film ìLa notte di S. Lorenzoî dei fratelli Taviani: nel film il pae- se Ë San Martino. Altre persone di mia conoscenza, in quegli anni bui, trovarono rifugio nei monasteri e quando, in qualche caso, anche dentro quelle mura la situa- zione si fece pericolosa, furono salvati dal corag- gio e dalla prontezza di spirito delle suore. Tali persone, perÚ, sono ormai decedute e io non ho
dati certi ñ come, ad esempio, i nomi degli Istituti religiosi ñ da poter fornire. Tutto quanto ho qui scritto, in ogni caso, sta per ringraziare una volta di pi ̆ co- loro che rischiarono la loro vita per salvare la nostra e serva ad onorare la me- moria di quanti, fra loro, non ci sono pi ̆.
Dal profondo dellíinferno Canti e musica ai tempi dei lager
Leoncarlo Settimelli
Regista e scrittore
Io sono qui per presentare questo libro ma consentitemi prima di dire alcune cose come riflessione a questo seminario. Qualcuno tra i relatori ha qui affer- mato oggi che la Shoah viene da lontano e che Ë maturata nel corso dei secoli. Ossia, líodio contro gli ebrei Ë stato continuamente nutrito e la loro deportazio- ne Ë apparsa alla fine come un fatto naturale. Credo che neppure líAmiata sia rimasto al di fuori di questo fenomeno e ricorderei la serie di episodi che ho gi‡ raccontato in un numero di Tracce e che sostanziano questa mia convinzione:
- la storia cui ha accennato anche Niccolai, ovvero quella della piccola Sara di Piancastagnaio la quale ñ affidata nel 1673 dai genitori per un breve lasso di tempo a una famiglia cattolica ñ venne immediatamente fatta abiurare e poi battezzata.
Quando i genitori la vollero nuovamente con sÈ, líintera Piancastagnaio in- sorse;
- le ordinanze sforzesche che stabilivano che gli ebrei di questo paese andavano rispettati e non sottoposti a beffe e torture, atteggiamento che evidentemente erano, se non di tutti i giorni, cosa assai frequente tra i cittadini; - i soci della famiglia Modigliani, cioË i livornesi Bonaventura e Disegni, che vennero qui per acquistare terreni da escavare in relazione alla presenza del mercurio e che furono costretti ñ per portare a buon fine la trattativa ñ a entrare in chiesa e cantare la messa cattolica, episodi che riferisce il Romei nella sua storia delle miniere;
- uno stornello santafiorese che diceva, con evidente sarcasmo e rimprovero, e anche con un senso di frustrazione, che le ragazze del paese si trovavano tutte a Livorno per servire gli ebrei; - la descrizione degli eventi minerari ad opera di storici anche recenti, nei quali si afferma con toni ammiccanti che ìil commercio del mercurio era tutto in ma- no agli israelitiî, sottintendendo abili e spregiudicate trame finanziarie da parte di chi ñ gli ebrei ñ ha sempre maneggiato denaro. Questi episodi, pur lontani tra loro, dimostrano che Ë abbastanza azzardato parlare come si Ë fatto ampiamente in questo convegno, di ́Amiata terra di rifugio degli ebreia. PerchÈ se Ë vero che gli ebrei vennero accolti dalle autorit‡ locali Ë anche vero che essi vennero subito circoscritti ad un ghetto. E che se le autorit‡ sforzesche sentirono il biso- gno di promulgare gli editti nei quali si proibiva alla popolazione di recare offe- sa agli ebrei, tali editti dimostrano ñ lo ripeto ñ che essi erano oggetto di puni- zioni e scherno. E io immagino (leggendo quegli editti e líelenco delle cose proibite ai cittadini) gli ebrei trascinati qui nella piazza e costretti a subire le beffe della popolazione e anche qualche bastonata.
Dunque, non mistifichiamo la presenza degli ebrei a Santa Fiora o altrove e non facciamola apparire come una generosa ospitalit‡. E, se ben conosco i santafio- resi, un certo loro atteggiamento antiebraico Ë tuttora presente a livello istinti- vo: negli sguardi, nelle reazioni allíaccenno di una tematica ebraica, nei con- sueti stereotipi con cui vengono giudicati gli ebrei. E veniamo al mio libro Dal profondo dellíinferno, canti e musica al tempo dei lager, che si occupa del fe- nomeno musicale legato alla deportazione in una dimensione europea pi ̆ che italiana. » un libro che nasce dalla condanna che dovrebbe essere di tutti per la pi ̆ grande carneficina che líuomo abbia mai compiuto, la Shoah. Ma nasce an- che da una esperienza personale, che Ë quella che mi ha reso particolarmente sensibile al problema: poichÈ i miei genitori, che erano dei giusti, accolsero nella nostra casa di Firenze la signorina Marcella Millul, affidata loro dai geni- tori, ormai sicuri dellíimminenza della loro deportazione. Erano anziani, i si- gnori Millul, e andarono incontro allo sterminio dicendo a mio padre, un comu- nista, un partigiano dei gruppi di azione patriottica nella Firenze occupata dai nazisti, ́noi siamo vecchi, possiamo anche morire, ma vorremmo salvare no- stra figliaa. Mio padre e tutti noi gi‡ rischiavamo per la sua attivit‡ partigiana. Con líarrivo di Marcella il rischio raddoppiÚ e io ricordo quante volte andava- mo a dormire altrove, poichÈ si temeva una spiata. Bastava che un agente della milizia fascista si aggirasse nei paraggi perchÈ fossimo costretti a trasferirci. Ma andÚ bene. Marcella sperÚ per molto tempo che i suoi genitori tornassero. Oggi i loro nomi sono tra le vittime della Shoah e nel libro io ho intervallato le tappe dello sterminio, raccontato dalle canzoni, proprio con la vicenda di Mar- cella. Canzoni scritte per essere cantate durante le marce verso il lavoro fuori dei campi, di cui erano autori gli stessi deportati, tutti oppositori del regime na- zista e quasi tutti musicisti, registi teatrali, attori ai quali si chiese da parte dei comandanti del campo di scrivere quelle canzoni. Oppure canzoni da cabaret, ironiche verso gli stessi prigionieri, quando i lager non erano ancora strumenti di eliminazione fisica. Canzoni di cupa sofferenza, quando la deportazione si fece eliminazione di massa. Canzoni di tragico umorismo, quando i prigionieri impararono a convivere con la morte, giorno dopo giorno. Canzoni strazianti, come quella del trasportatore di cadaveri dalle camere a gas ai forni crematori, che un giorno trasportÚ anche il cadavere dei figlio di tre anni. E si suonava, nei lager. Si suonava jazz e musica classica, come si faceva nel ghetto di Tere- zin, dove i nazisti ebbero líingenuit‡ ñ se di ingenuit‡ si puÚ parlare, di fronte allíattuazione dello sterminio - di riunire i migliori musicisti ebrei díEuropa. Costoro, di fronte alla morte imminente, dimostrarono allíoppressore la sua be- stialit‡, elevandosi al di sopra della condizione contingente.
Misero in scena opere di Mozart, Smetana e persino il Requiem di Verdi. ́Come come ñ osservÚ ridendo il cattolico Adolf Eichmann, uno degli artefici dello sterminio ñ gli ebrei cantano una composizione ispirata alle preghiere cri- stiane?a. ́Certamente ñ rispose líebreo Schaechter: ñ Voglio dimostrare líinconsistenza
e la falsit‡ delle aberranti teorie sulla purezza e sullíimpurit‡ del sangue, sulla razza superiore e sulla razza inferiore, dimostrare tutto questo servendomi del- líartea. Anche Adolf Eichmann, aguzzino tra gli aguzzini, volle assistere allo spettacolo. A due passi dal forno crematorio e dal fuoco che ardeva giorno e notte, la musica esplodeva mentre il coro fendeva il pubblico di internati e SS, intonando ́Concedi o signore misericordioso che attorno a me non ardano le fiammea, oppure il Dies Irae o il Libera me che nella ripresa del coro diventa LIBERA NOS!
Suonatori, coristi e lo stesso Schaechter avevano posto solo due condizioni per eseguire il Requiem: non doversi inchinare di fronte alla SS e restare sempre tutti insieme, anche dopo il concerto. E infatti vennero gasati tutti insieme e bruciati tutti insieme nel crematorio di Birkenau. Líultima parte del libro con- tiene le canzoni che sono state scritte in Europa dopo lo sterminio.
Di italiane ce ne sono solo tre: una di Emilio Jona e Fausto Amodei, una di Ivan Della Mea, la terza di Francesco Guccini. La loro popolarit‡ Ë stata minima, le prime due sono assolutamente sconosciute ai pi ̆ e in ogni caso la loro diffusio- ne non Ë stata pari a quella di altre canzoni italiane, largamente diffuse nel pri- missimo dopoguerra, alle quali accenno in una appendice dedicata alla ́Canzonetta razza padronaa.
Io ne ho spulciate a centinaia, di canzoni, convinto come sono che le canzoni facciano cultura, ossia trasmettano messaggi e pensieri. Ebbene non una Ë stata scritta sui lager. » chiaro che la canzonetta Ë istituzionalmente delegata a tra- smettere divertimento e quindi resta alla larga dai temi forti e civili.
Invece molte sono state scritte sulle cosiddette ́razze inferioria. Per esempio molte sono dedicate a figure di neri che parlano tutti dicendo ́no badrone io non sdare bene quia come la famosa Bongo Bongo. Canzoni davvero razziste. Tantissime altre hanno invece per protagonisti gli zingari, che sono sempre visti in maniera folcloristica, tipo ́Prendi questa ma- no zingara/dimmi che destino avrÚa o ́zingarella/dimmi se il mio amore dure- r‡a; mentre nella realt‡ líatteggiamento verso lo zingaro Ë ben diverso.
Ma torniamo alla guerra e alla deportazione. E a una canzone in particolare, quella che dice ́Chi ha avuto ha avuto ha avu- to/ chi ha dato ha dato ha dato/ scurdammoce ëo passato/simmo ëe Napule pai- s‡a. Ecco, contro questo pensiero, che invitava a dimenticare, a rimuovere le re- sponsabilit‡, a far finta che nulla fosse accaduto, a pacificare, io ho voluto scri- vere questo libro.
Per ricordare il passato, non per dimenticarlo. Libro che dedico a Marcella Millul e alla memoria di tutti quelli uccisi nei lager nazisti.
Le leggi razziali strumenti di discriminazione e persecuzione
Ugo Caffaz
Studioso di storia e cultura ebraica
Vi ringrazio per líinvito ad intervenire in questa giornata di studi: mi Ë stato particolarmente gradito come dirigente della Regione Toscana che ha organiz- zato ìla Giornata della memoriaî, citata anche dallíonorevole Franci, e credo che delle manifestazioni alle quali ho assistito questa sia una delle pi ̆ signifi- cative perchÈ parte da un dato positivo.
Stamani si Ë parlato di storia di persecuzioni ñ questa Ë la storia ebraica ñ perÚ, sar‡ che sono lontane nel tempo, sar‡ che non si trattava di persecuzioni piani- ficate, ma con luci ed ombre, storie di uomini, di famiglie e di piccoli nuclei, mi ha fatto molto piacere il modo con cui Ë stata raccontata, con tanto affetto, che in una citt‡ grande per esempio come Firenze non si trova.
Líamore che voi studiosi di storia locale avete il privilegio e il piacere di poter mettere Ë un amore diverso da quello che normalmente guida lo storico. Questa Ë uníesperienza positiva che suggerisce il pensiero di trasferirsi in un paese e non di stare nelle metropoli nemiche.
Quello che invece Ë successo nellíepoca moderna non ha nessuna luce ma solo líombra dellíolocausto. LíItalia vi partecipÚ, dette un contributo fattivo di grande collaborazione e di grande impegno.
Io ho sentito molto interesse stamani: la signora Servi, che ha raccontato con tono drammatico, ma anche affettuoso, la storia di lei bambina, líha raccontata come veniva vissuta allora. In realt‡, vista dopo, era stata molto pi ̆ tragica. CíË un equivoco di fondo che sta alla base del giudizio che si puÚ e si deve dare sul periodo delle leggi razziali e gli anni successivi dal í43 al í45 e questíequi- voco sta nel comodo paragone che si fa fra i forni crematori e le leggi razziali. Sono due cose che hanno sicuramente un grande collegamento, ma non sono paragonabili; equipararle significa sminuire quello che fu la persecuzione del fascismo nei confronti degli ebrei. » del tutto evidente!
Le leggi razziali sono comunque provvedimenti di discriminazione e anche di persecuzione, ma, evidentemente, questo paragone fa comodo, perchÈ consente di dire che in fondo líItalia era fuori dallíecatombe dellíolocausto, consente di dire ìItaliani brava genteî ed ha consentito il fatto, come causa-effetto, che in Italia non fu processato il fascismo ñ ma non sono stati processati neanche i fa- scisti e questo Ë un dato.
Il clima di ìvogliamoci beneî ñ che nel dopoguerra fu una scelta tra líaltro vo- luta da chi aveva tanto contribuito alla resistenza, penso a Togliatti ed alla sini- stra ñ, la scelta di una pacificazione immediata con poche eccezioni ñ certo qualche processo fu fatto, non andÚ tutto liscio ñ la reintegrazione integrale di tutto quello che era stato fino a quel momento, senza un ragionamento sulle re-
sponsabilit‡, a mio modo di vedere, Ë stato un errore grave che non Ë servito a nessuno e fa sÏ che ancora oggi stiamo a domandarci se líItalia sia stata o meno dentro il cono díombra dellíolocausto. Fu una scelta condivisa anche dagli ebrei. Bisogna mettersi, per capirlo, nei panni di chi era stato denunciato dal vicino di casa e si era miracolosamente salvato, magari era ritornato dal campo di sterminio e aveva solo due possibilit‡ quando tornava a casa e il vicino abitava ancora lÏ: o líammazzava o faceva fin- ta di nulla e ricominciava a vivere anche vergognandosi di essere stato perse- guitato.
Il sentimento della vergogna di un perseguitato Ë un sentimento forte, soprattut- to se ha conosciuto líonta e il terrore dei campi di sterminio. Se si toglie líecce- zione del ghetto papalino ñ aperto solo nel 1870 grazie ai bersaglieri, fu líulti- mo ghetto al mondo ñ, gli ebrei italiani, una piccola minoranza, uno su mille, avevano, di fatto, diluito i rapporti con chi in qualche modo in passato li aveva beffeggiati, perseguitati, catecumenizzati (cioË a forza portati ad altra fede). Nel settembre del 1938 si svegliÚ da questo sogno e centinaia e centinaia di bambini, studenti, insegnanti furono cacciati con ignominia dalle scuole.
A quei tempi non cíerano i mezzi di comunicazione come oggi cosÏ sicuri ed immediati, e ci fu chi andÚ a scuola col panierino come se fosse un normale giorno di scuola e si trovÚ davanti un bidello in camicia nera e gli stivali di cuoio che, avendo acquisito chiss‡ mai quale importanza, con un calcione lo mandÚ a casa dicendo che era di razza diversa e quindi non doveva pi ̆ stare nel contesto civile: 1000 studenti delle scuole medie, 4400 studenti delle scuole e- lementari, 200 studenti universitari, 200 insegnanti.
Con i numeri di allora queste erano percentuali molto alte: in alcuni quartieri romani le classi si dimezzarono perchÈ la maggior parte o perlomeno la met‡ erano ebrei. IniziÚ cosÏ un periodo oscuro in cui gli amici non ti salutavano pi ̆, perdevi il lavoro o la casa alla quale avevi diritto perchÈ lavoravi, non ti faceva- no curare in alcun ospedale, non potevi avere la radio, non potevi pi ̆ svolgere alcun mestiere.
Colpirono la scuola per colpire la cultura nazionale e dimostrare che la cultura era ariana, era romana perchÈ cosÏ avevano stabilito, in una notte tra il 6 e il 7 di ottobre del 1938, che esisteva la razza italiana. Gli ebrei non appartenevano a questa razza: prima líavevano fatto dire agli scienziati, nel luglio poi líaveva ratificato il Gran Consiglio.
Sono tutti italiani questi, fascisti e italiani e la protesta fu quasi inesistente. Ini- ziÚ quindi un periodo terribile. Fra líaltro, leggendo un poí di cose ñ lo dir‡ si- curamente líintervento successivo ñ líarea grossetana fu una di quelle dove i politici di allora, gli amministratori, i podest‡ furono pi ̆ ligi al dovere. Para- dossalmente dove vi erano meno ebrei, maggiore era líattacco che veniva por- tato ai pochi ebrei presenti, soprattutto a livello díinformazione dei mass- media, proprio a significare che non era líebreo reale che interessava ma líuso dellíebreo che si doveva fare per affermare una romanit‡ e una cultura (come
sappiamo nel í38 il regime era al momento massimo di consenso, ma capiva bene che sarebbe stato líinizio della discesa perchÈ non aveva dietro tutto quel- lo che diceva di avere). Gli ebrei furono quindi buttati fuori dalle scuole, dai posti di lavoro pubblici poi anche dai privati, dalle professioni, ci furono episodi incredibili e funziona- va cosÏ: líingegnere che non poteva pi ̆ svolgere il suo ruolo si ricordava chi era il suo babbo ñ mediamente gli ebrei italiani, e soprattutto la generazione precedente, erano molto poveri, nonostante il pregiudizio, ancora in vigore, che gli ebrei non sono solo ricchi ma anche attaccati al denaro ñ, magari prendeva un negozio di rigattiere che aveva il babbo, lo rimetteva in essere e allora il vi- cino di negozio, che era invidioso, andava dal podest‡ e gli diceva: ìMa un e- breo puÚ avere un commercio di mobili usati?î.
Non faceva storie, perchÈ questi scriveva immediatamente a Roma ed arrivava un telegramma: da quel momento gli ebrei non potevano avere un negozio di mobili usati. Un elenco incredibile di divieti fu definito: non potevano commerciare in cloru- ro di sodio, non potevano allevare piccioni viaggiatori ñ che, se non fosse una cosa tragica farebbe anche ridere, perchÈ uno va a pensare di proibire agli ebrei di allevare piccioni viaggiatori ? ñ ecc.
Nel 1938, per il censimento che doveva avvenire in quellíanno, i moduli erano gi‡ stati preparati ñ non cíerano calcolatori come oggi ñ nei mesi precedenti, prima di aver deciso la politica razziale del regime, prima che Mussolini dices- se che era arrivata anche per líItalia il momento di fare una politica della razza. Allora ritirarono i moduli e, con la colla, attaccarono una strisciolina per scrive- re líappartenenza di razza e, molto rapidamente, si provÚ a distribuirlo nei pri- mi mesi dellíautunno.
Fu quel censimento che schedÚ i 40 mila ebrei italiani, e fu il primo atto con cui líItalia entrÚ nel cono díombra che sarebbe stato líinizio dellíolocausto: líelen- co, la lista degli ebrei italiani che il regime, molto volentieri, consegnÚ nelle mani díitaliani perchÈ, insieme alle SS, insieme ai tedeschi, casa per casa, dela- zione per delazione andassero a prendere vecchi e bambini da portare ad Au- schwitz. Questo vuol dire stare dentro o fuori del cono díombra dellíolocausto: líItalia cíera a pieno titolo! In pochi mesi, e non anni, il 25% degli ebrei italiani fu portato nelle camere a gas, anche vecchi e bambini nati anche nei vagoni piombati: questa era la realt‡. CíË una rampa ad Auschwitz che sembra non fi- nisca mai. Il treno arriva fino in fondo ad un piazzale dove cíË una rampa e lÏ venivano fatti scendere quelli che erano ancora vivi: donne, bambini e vecchi, mediamente per il 90%, venivano mandati appena pi ̆ in l‡, 100 metri pi ̆ in l‡ dove cíera il forno crematorio, con uníatroce catena di montaggio che ingoiava dalle 10 alle 20 mila persone al giorno. Gli italiani erano stati spinti dentro i va- goni piombati da gendarmi, cittadini, fascisti e collaborazionisti italiani. Allora, quando in un posto non sospetto, e cioË al Museo dellíolocausto di Gerusalem- me, si trova scritto che nel 1938 anche líItalia, come tante nazioni europee, ap-
plicÚ e promulgÚ le leggi razziali le quali perÚ, stante il carattere degli italiani ñ pressappoco in inglese dice cosÏ ñ furono applicate blandamente, quella Ë una targa che grida vendetta, un falso. Quello che dico ai ragazzi, ai giovani, che sono molto bravi ñ il viaggio in Polonia mi ha insegnato quanto si sciupino i ragazzi dopo: cíerano 400 ragazzi alla conferenza che abbiamo fatto di prepara- zione e non volava una mosca, accanto a me cíerano degli ex deportati politici non ebrei, due donne anche loro con il numero sul braccio ñ Ë di non fidarsi di chi racconta cose diverse. Oggi lo dico ai non giovani di non ascoltare cose di- verse perchÈ i fatti sono questi, non sono come tutti vi vogliono far credere. In Italia praticamente ciascuno ha salvato almeno un ebreo: gli ebrei erano 40 mi- la e gli italiani erano 50 milioni, non si riesce a capire come sia possibile. La realt‡ fu molto diversa e cioË che ci furono decine di migliaia díitaliani che atti- vamente, fattivamente e personalmente contribuirono prima allíapplicazione delle leggi razziali e poi allíinvio degli ebrei nei campi di sterminio. Ci furono centinaia, forse migliaia díitaliani eroi che nella fase della persecuzione, non nella fase delle leggi razziali, impedirono che morissero pi ̆ di 8 mila ebrei ita- liani, a rischio della vita, semplici contadini, preti di campagna, monache; Ë so- lo grazie a loro che morirono soltanto 8 mila ebrei e non 40 mila. Ma sarebbe ingiusto nei loro confronti non dire che erano eroi e pochi, ma la stragrande maggioranza degli italiani si abbandonÚ allíindifferenza o, ancora peggio, voltÚ lo sguardo dallíaltra parte. Allora per capire davvero, perchÈ la memoria sia maestra di vita, Ë giusto far riferimento ai drammi di oggi. Quando alla televi- sione si vede la guerra in Kosovo, quando si sente di episodi che nulla hanno da invidiare ai campi di sterminio, quando si sbudellano donne per tirarne fuori il feto ñ cosa che avveniva regolarmente ad Auschwitz magari con líaggiunta di usare il feto per il tiro a piccione ñ questi episodi oggi li guardiamo mentre si mangia, a qualcuno pi ̆ sensibile puÚ dargli pi ̆ fastidio, ma lo vede lo stesso e continua a mangiare. PerchÈ ci sia davvero un atto di ribellione e díimpegno, perchÈ almeno una volta il detto ìla storia sia maestra di vitaî, bisogna imme- desimarsi in questo, capire che in fondo siamo degli scampati: ci furono dei sommersi e noi siamo i salvati. Se uno síidentifica in questo, se capisce quanto sia lieve e banale, come si dice nei libri ìla banalit‡ del maleî e ìla banalit‡ del beneî, poter finire in un forno crematorio ma identificarsi davvero, allora la storia Ë maestra di vita. Oggi abbiamo avuto un convegno di grande qualit‡, si sa come Ë andata dallíinizio alla fine, perchÈ la fine perÚ non si ripeta, nÈ per gli ebrei nÈ per nessuno altro al mondo, bisogna che la storia si insegni in modo da potersi identificare. PerchÈ altrimenti Ë una storia magari commovente, ma ognuno deve immaginare, lo dico con chiarezza, di trovarsi di fronte una donna con un bambino al petto nella camera a gas ed invitare il proprio figlio a respi- rare profondo, altrimenti non capisce come Ë andata.
Grazie.
Il luogo del ricordo
Mario Fineschi
Comunit‡ ebraica di Firenze
A me Ë dato il compito di concludere. Ma, perchÈ e cosa concludere? La storia Ë sempre aperta e cosÏ, anche la memoria di ciÚ che Ë stato non si puÚ chiudere. Quando incontrai il Prof. Niccolai a Massa Marittima, in occasione di un incon- tro celebrativo per la strage operaia di Niccioleta, mi si spalancÚ una finestra che offriva un panorama eccezionalmente stimolante e soprattutto nuovo, anche per noi ebrei.
La proposta di incontrarci per riflettere sulla presenza ebraica a Santa Fiora ed in quelle che erano chiamate ìTerre di Rifugioî, mi trovÚ subito entusiasta, per- chÈ, in fondo, questa presenza non rappresentava solo una mera pagina di storia locale, ma solleticava il contenuto principe della nostra cultura: ricordare! NellíEbraismo ciÚ che conta Ë il ritmo stesso della storia, il suo scorrere, ma ancor di pi ̆ il suo ricordo. Noi Ebrei viviamo con adesione totale al concetto di ìzikkaronî (ricordo) che non significa semplice ricordo mnemonico, bensÏ compenetrazione e coinvolgimento esistenziale con i fatti gi‡ avvenuti, cioË con la storia.
Dice la Torah: ìRicorda cosa ti ha fatto ëAmalecíî (Deut. XXV, 17-19); ìRicordati del giorno di Sabatoî (Es. XX, 8). Sono inviti a ricordare contenuti della Bibbia; non li abbiamo pi ̆ dimenticati, quindi ce li ricordiamo. Ecco quindi che per líEbraismo il ricordo Ë fonte primaria ed originaria senza la qua- le non vi puÚ essere nÈ passato, nÈ futuro.
E noi siamo qui, per ricordare! Le relazioni che questo seminario ha prodotto e che ho líincarico di menzionare a chiusura dei lavori, hanno evidenziato contenuti molto importanti; ma soprat- tutto spero che questo seminario fornisca a tutti noi ulteriori motivi di riflessio- ne affinchÈ resti un ulteriore ìricordoî e contribuisca, di conseguenza, ad un domani migliore dellíieri gi‡ vissuto. Da poco si Ë chiuso un secolo che non merita per certi aspetti di essere ricorda- to: quanto vorrei che in quello spazio temporale non si fosse avverato ciÚ che ha costituito líabisso dellíumana abiezione ferendo a morte la coscienza univer- sale! La chiarissima relazione del Prof. Salvatori, ha evidenziato una serie di esempi di tolleranza per il ìdiversoî che, seppur innestati nel finire della cultura rina- scimentale, hanno testimoniato di una storia antica che rifletteva un esempio civile di convivenza, proprio al confine dellíintolleranza medicea ed, ancor di pi ̆, di quella del Papa. Le testimonianze di vita vissuta cosÏ raccontate, prive di animosit‡ razziale, senza spirito di vendetta, ma tracciate con essenzialit‡, de- vono rappresentare per noi un monito ad evitare che di nuovo si possa produrre una nuova lacerazione collettiva della nostra umanit‡.
Al seminario di Massa Marittima era presente uno scampato del crematorio di Auschwitz e testimoniÚ la sua tragedia mostrando il numero tatuato sul braccio: era la testimonianza di un sopravvissuto. Mi viene spontaneo líaccostamento, pur se da diversa origine, con líincantevole ed incantata presenza di Elena Servi, dalla quale abbiamo recepito le testimo- nianze sulla presenza ebraica a Pitigliano. Quando Elena Servi non sar‡ pi ̆ tra noi (ìat meaí esrimî, ovvero fra 120 anni, come si usa nelle formule di augurio ebraiche), chi altri testimonier‡? Quando gli scampati allo sterminio non ci sa- ranno pi ̆, chi altri potr‡ testimoniare su sei milioni di innocenti scomparsi nei lager? Ecco perchÈ la memoria, il ricordo rappresenta oggi una vera e propria assunzione di responsabilit‡ collettiva, e non puÚ essere altrimenti. NÈ si pensi che trattando di storia locale, il contributo che viene anche da questo seminario sia da relegare ai confini della Storia con la esse maiuscola. La storia non puÚ misurarsi con líampiezza delle superfici interessate agli avvenimenti, oppure alle persone coinvolte nei fatti avvenuti nel tempo: essa rappresenta un momen- to di educazione collettiva oltre il tempo e lo spazio. Líimportanza di questo in- contro Ë veramente notevole e questo Ë provato dallíautorevolezza dei relatori presenti. La relazione del Prof. Salvatori ha messo in luce, con la consueta e ben nota lucidit‡ dello storico, come nel ricostruire la storia degli insediamenti ebraici nelle Terre di Rifugio, sia stata comunque privilegiata la parte religiosa delle consistenze comunitarie ebraiche nella zona. Forse ne ha sofferta líanalisi storiografica, con evidenti limiti alla ricerca.
Questa caratteristica ha potuto mettere in luce avvenimenti di oltre trecento an- ni fa, lasciando tuttavia la parte storica degli insediamenti colma di stereotipi che certamente hanno giovato ad uno studio díinsieme del fenomeno dellíinse- diamento ebraico.
Il rigore storico e le puntuali analisi delle circostanze che contribuirono alla co- stituzione di comunit‡ ebraiche nel versante grossetano dellíAmiata, fornite dal Prof. Salvatori, hanno veramente aperto uno spazio di ricerca, pur se limitata alla sola funzione religiosa, di grande interesse.
Di grande spessore líintervento del Sindaco di Santa Fiora, che auspica una de- libera della Regione Toscana per líaffidamento al Comitato Scientifico Regio- nale e, parallelamente, alle Associazioni Culturali amiatine, la conservazione e la promozione degli studi riferiti sia ai fenomeni díinsediamento di cui si parla oggi, sia anche a quanto attiene alla storia recente connessa ad episodi legati alla Resistenza ed agli anni del primo dopoguerra. Non Ë questa storia da archi- vio, ma storia di anni di sacrificio che deve essere conservata e studiata a pro- fitto delle giovani generazioni.
Lo scopo palese dellíintervento del Sindaco non Ë tanto quello di renderci orgo- gliosi di quello di cui sono stati protagonisti i nostri padri, ma anche di puntua- lizzare, affinchÈ non si ripetano le stragi, ciÚ che poteva esser fatto ed invece non Ë stato fatto.
Ecco quindi la necessit‡ di dare vita a continui incontri di studio ad alto livello,
come questo, proprio perchÈ non Ë di sola storia locale che si parla, ma di un pezzo di storia di tutti. Dalla relazione Ë anche scaturito come altre comunit‡ ebraiche scomparse nella polvere della storia, come quelle amiatine, sia da ricordare per esempio quella di Massa Carrara. Al momento della definizione degli accordi fra Governo Ita- liano e líUnione delle Comunit‡ Ebraiche Italiane, il territorio geografico ove avevano sede antiche Comunit‡, fu suddiviso fra le stesse; ma la giurisdizione della Comunit‡ di Livorno si fermÚ a Viareggio, e non si estese a Massa Carra- ra. La presenza del Prof. Michele Luzzatti mi incoraggia a chiedere un analogo incontro in terra Apuana per verificare le circostanze che portarono alla scom- parsa della Comunit‡ Ebraica di Carrara, circostanze che potrebbero avere ana- logie interessanti con quelle delle Comunit‡ Ebraiche delle Terre di Rifugio. Nel territorio di Massa Carrara, era vigente il dominio dei Principi Cybo- Malaspina; fuori, quindi, dal potere mediceo o della Chiesa, rappresentava co- me nei possedimenti degli Orsini, dei Farnese, dello Stato di Castro, uníocca- sione privilegiata per un insediamento ebraico. La relazione storica del Prof. Luzzatti ha in fondo confermato come le posizioni dei Papi nella seconda met‡ del 1500 imponessero di fatto líemigrazione forzata degli Ebrei da Roma, ove risiedevano stabilmente fin dal II secolo dellíE.V.
Drammatico, nel resoconto del Prof. Luzzatti, dovette essere quellíanno 1555 quando le angherie del papa Paolo V Borghese, indussero molti Ebrei romani a scegliere Santa Fiora come nuova sede di vita religiosa e civile. Da questa relazione appare un tratto di vita ebraica ricostituita con pacifica ac- cettazione, da parte della gente amiatina, delle differenze culturali e religiose che gli Ebrei si portavano seco. Quanto differente il clima dellíAmiata del XVI e XVII secolo dalla tragica intolleranza razziale non solo dellíepoca, ma anche da quella secoli successivi e quanto importante Ë coglierne adesso gli stimoli per un rapporto sociale vissuto fra diverse culture con reciproco rispetto! Da queste analisi Ë ancora presente a tutti la necessit‡ di riflessione, non pi ̆ sulle evidenze storiche dei fatti, ma sullíinsegnamento di come puÚ essere, come de- ve essere vissuta líalterit‡ che arricchisce, se non emarginata e perseguitata. Líintervento del Prof. Niccolai ha chiarito alcuni aspetti di festivit‡ religiose e popolari che erano in uso nella Santa Fiora dellíepoca, che potrebbero colle- garsi ad analoghe liturgie praticate nellíambito ebraico, e che furono trasferite nellíuso cristiano del paese. Per le festivit‡ del 3 maggio, a Santa Fiora, era uso scambiarsi dei doni fra innamorati. Solitamente venivano scambiati il biscotto ed il cedro. Vada per i biscotto, tradizionale dolce amiatino anche oggigiorno, ma il cedro? Come collegarlo con naturalezza alla cultura montanara, estranea a questo frutto di regioni calde e solatie?
Il Prof. Niccolai azzarda líipotesi che líuso del cedro sia stato assunto dalla po- polazione locale in imitazione di quanto gli ebrei del paese facevano per cele- brare la ricorrenza della Festa di Succoth. » infatti prescrizione della Torah (Lev. XXIII, 40) che per la Festa delle capanne si usi un fascio di tre piante
(ramo di palma, salice e mirto) tenuto in una mano e nellíaltro ìun frutto di bel- líaspettoî, il cedro giustappunto che significa ìsaggezza, stabilit‡, tradizioneî. PuÚ quindi essere giusta líanalisi del Prof. Niccolai nel vedere apprezzata que- sta simbologia ebraica nel momento delle solenni promesse pre-matrimoniali a testimonianza della seriet‡ díintenti fra giovani che avevano scelto di vivere ili loro domani assieme.
Líaltra festa popolare di Santa Fiora che si teneva verso il 10 settembre, in oc- casione della festa di san Nicola, era il volo della capra. Dallíalto di una fine- stra una capra veniva proiettata verso il muro della chiesa sottostante; quasi un rito espiatorio teso a liberare la collettivit‡ dalle colpe, le quali simbolicamente erano caricate sulla povera bestia. Anche qui, nota il Prof. Niccolai, le connes- sioni con líebraismo sono possibili, e meritevoli di riflessione. La Torah narra (Lev. XVI, 7) che MosË doveva portare davanti alla Tenda della Radunanza due capri estratti a sorte tra le greggi. Uno dei due era destinato al Signore, líaltro veniva inviato fuori dallíaccampamento, cioË nel deserto; con lui si allontana- vano le colpe della collettivit‡.
Sono veramente singolari queste assonanze culturali con la piccola comunit‡ di Santa Fiora; forse, sussurra il Prof. Niccolai, sono solo coincidenze; ma merita- vano di essere evidenziate per un possibile accostamento alla permeabilit‡ di culture diverse, che potevano dirsi integrate nel tessuto sociale locale, ed accet- tate con semplicit‡.
Ma il trascorrere della presenza ebraica sullíAmiata ha conosciuto anche mo- menti di vita minima che hanno coinvolto le comunit‡ in maniera drammatica, come dimostra la storia della piccola Sara Passigli, che sembra un caso di con- versione analogo a quello che avvenne Bologna con il famoso caso di Edgardo Mortara.
Il piccolo, battezzato segretamente dalla fantesca perchÈ in pericolo di morte, fu poi tolto alla famiglia carnale e portato a Roma dove studiÚ in seminario. Di- venne addirittura cardinale! Torna qui a proposito la considerazione fatta dal Prof. Luzzatti quando annota- va come ad equilibrare la scarsa consistenza numerica delle comunit‡ ebraiche dellíepoca vi era, in compenso, la relativa numerosit‡ delle aggregazioni citta- dine di allora; tutto questo insieme consentiva un equilibrio di valori che si per- meavano naturalmente nella cultura locale, senza traumi, tanto da ritenere il di- ritto si uno, diritto di tutti.
Della relazione del Prof. Biondi, densa di dettagli di grande interesse, si evince il limite territoriale oltre il quale la presenza ebraica nellíAmiata si ferma. Oltre Piancastagnaio, gli Ebrei delle Terre di Rifugio, non si spingono; eppure a soli quattro chilometri cíË il florido borgo di Abbadia San Salvatore. PerchÈ?
Si puÚ immaginare che la presenza antica di una notissima Abbazia benedetti- na, fondata nel 750 e fin dal 1035 retta dalla potente famiglia monastica dei Circestensi, abbia consigliato gli Ebrei a starne alla larga. Da ricordare che gli Abati del Monastero di San Salvatore tennero testa perfino alla potente famiglia
degli Aldobrandeschi, signori di Santa Fiora, per cui non vi erano le migliori condizioni per estendere la presenza ebraica oltre Piancastagnaio. Mi permetto di chiedere al Prof. Biondi: se questa ipotesi puÚ essere provata e, perchÈ no, essere oggetto di ulteriore studio storico in un prossimo tempo.
Il cerchio delle indagini storiche si stringe: il Prof. Mancini ci ha spiegato le circostanze che hanno fatto di Pitigliano il paese che nellíimmaginario colletti- vo dellíEbraismo italiano ha costituito la pi ̆ importante comunit‡ della regione amiatina.
Forse non Ë stata la pi ̆ importante, ma líultima delle tante insediatesi nel cir- condario. Esauritesi le comunit‡ di CastellíAzzara, di Piancastagnaio, di Ca- stellíOttieri, dellíAlta Tuscia compresa fra il Ducato di Castro e le terre dei Far- nese, Pitigliano si trovÚ a chiudere il periodo delle migrazioni ebraiche in Ma- remma, seguendo gli ebrei di allora il percorso inverso dellíantico tratto della Via Francigena, unico tramite nellíepoca di allora di trasmigrazione di uomini ed idee. La precariet‡ di vita degli ebrei, in questa e purtroppo ancor di pi ̆ nel- le successive epoche, trovÚ nel territorio dellíAmiata un momento di serenit‡ e di pace.
Questo abbiamo voluto ricordare non gi‡ come appendice storica ad un qualsia- si dÈpliant turistico ad uso di turisti distratti; ma ricordare per sottolineare la tradizione di tolleranza e civilt‡ di questa gente che ha saputo accogliere tra sÈ una cultura diversa dalla propria.
Questi valori che sono eterni ed universali, non sono scomparsi con la scompar- sa delle antiche comunit‡ ebraiche; líiniziativa di oggi lo attesta! Si Ë voluto ricordare come si possa essere uomini, nella modestia del vivere e nella cultura del proprio paese; oggi da Santa Fiora si Ë ricordato il passato per cercare un avvenire degno di essere vissuto.
La nostra generazione Ë quella della Shoah, dellíOlocausto, che non deve esse- re celebrata poichÈ rappresenta un buco nero della Storia contemporanea; buco nero che ha inghiottito sei milioni di ebrei, di persone, e tra questi un milione e mezzo di bambini. Non si puÚ celebrare il trionfo della tragedia, ma si deve ri- cordarla, cosÏ come si ricorda la storia degli Ebrei accolti su queste antiche vie, ove potevano riconfermare in libert‡ e rispetto la propria diversa identit‡. Vorrei concludere questa riflessione sul seminario con il simbolico accostamen- to della memoria di questa citt‡: il monumento ai martiri di Niccioleta e la tom- ba di un grande Figlio di questa terra: Padre Ernesto Balducci. Questo semina- rio, se Padre Ernesto fosse stato tra di noi, lo avrebbe certo visto protagonista; e non ci avrebbe consentito di cancellare il senso di questa nostra storia. CiÚ, vi chiedo in suo nome.
Ad un grande mistico ebreo del XIII secolo, Rabbi Shimon, fu chiesto: - Cosa significa la fine? - Egli rispose: - Quello Ë un luogo nel quale non vi Ë pi ̆ ricor- do. Oggi Santa Fiora Ë stato il luogo del ricordo.
NOTE
*Presentazione (Zeffiro Ciuffoletti)
Ordinario di Storia Contemporanea e Storia del Risorgimento dellíUniversit‡ di Firenze
[1] Cfr. R. SALVADORI, Gli ebrei toscani nellíet‡ della Restaurazione (1814 - 1848), Firenze, C.E.T., 1993. [2] Cfr. A. TOAFF, Italia Judaica. Atti del II convegno internazionale, Roma, 1986, pp. 99-117. [3] Cfr. E. CAPUZZO, Gli ebrei nella societ‡ italiana. Comunit‡ e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Roma, Carocci, 1999.
*Le comunit‡ dimenticate dellíAmiata (L.Niccolai)
1. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, p. 243 2.Le ìmigrazioniî interessarono in particolare gli stati cuscinetto posti a confine tra la Toscana e lo Stato Ponti- ficio quali il Ducato di Castro (eretto da Papa Paolo III, con Bolla del 1537, a favore del figlio Pierluigi Farne- se), la Contea di Pitigliano (comporendenete anche Sorano), sottoposta al dominio degli Orsini, e la Contea di Santa Fiora (che comprendeva, oltre alla ìcapitaleî, anche CastellíAzzara, Selvena, Sforzesca, Scansano, Ona- no e Proceno), CastellíOttieri e, dagli inizi del Seicento, il Marchesato di Piancastagnaio. I signori di questi territori, peraltro, erano spesso legati tra loro da solidi vincoli di parentela: infatti la moglie di Pierluigi Farnese era una Orsini di Pitigliano, mentre Bosio II, conte di Santa Fiora e nipote di Guido Sforza, aveva sposato Co- stanza Farnese, figlia di Paolo III. Dal punto di vista geografico si trattava di territori abbastanza vasti e conti- gui, che, quindi, consentivano anche una certa libert‡ di movimento, lungo líasse del fiume Fiora, tra la monta- gna e il mare, e si ricollegavano, anche con analoghi territori posti nellíarea aretina. 3. M. LUZZATI, ìBanchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro settentrionale fra tardo Medioevo e inizi del- líet‡ modernaî,in Gli ebrei in Italia, cit. p. 200 4. A. TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ìdi confineî (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in AA.VV. Italia judaica ́Gli ebrei in Italia tra rinascimento ed Et‡ baroccaa, Atti del Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i beni culturali e ambientali. Pubblicazioni degli archivi di stato. Saggi 6, Roma 1986, pp. 100-101 5. Cfr.: L. NICCOLAI, Gli ebrei nella Contea di Santa Fiora, ìTracceî, 1, 1996, pp. 57-62, Ancora sulla pre- senza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceî, 3, 1998, pp. 203-207, Ebrei. Le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata: Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBSSMî, 72-73,1998, pp. 43-51; Nelle terre di rifugio. Sui privile- gi accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceî, 6, 2001, pp. 73-96 6. Purtroppo, rispetto ai tempi del Catasto leopoldino, líarea del ghetto risulta drasticamente ridimensionata: alcune case, infatti, compresa quella nella quale si trovava la sinagoga, sono andate distrutte per cause diverse, fra cui eventi franosi. Una lettura anche archeologica e architettonica, anche come base documentaria, risulta pertanto difficile. 7. P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, ms.1765 c.a, Archivio vescovile di Pitigliano, carte 110 aeb 8. Cfr. L. NICCOLAI, Nelle terre di rifugio, cit., ìTracceÖî 2001 9. In particolare: A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc.XV-XVIII), ìRassegna Mensile di Israelî (RMI), 1979, pp. 418-442, La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, ìRMIî,1980, pp 205-211, Gli ebrei a Sovana nei secoli XVI-XVII, ìBollettino della Societ‡ Storica Maremmanaî (BSSM), 43-44,1982, pp.45-65, Ebrei a Castellottieri, ìBSSMî, 49, pp.65-70, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, ìAtti del Convegno di studi ́I Farnese: dalla Tuscia alle Corti díEuropaa, Viterbo 1985, pp.105-120; G.CELATA, Gli ebrei a Pitigliano, ATLA, Pitigliano 1995; R.G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; A.TOAFF, Il Commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine tra Cinquecento e Seicento, ìItalia Judaicaî, Roma 1986, pp. 99-117. 10. Cecil Roth, citato da A. TOAFF, Mostri giudei. Líimmaginario ebraico dal Medioevo alla prima et‡ moder- na, ed. il Mulino, Bologna 1996, p. 85 11. cfr. A. TOAFF, Mostri giudei. cit., p. 85/6 12. D. De POMIS, ZËmach DavÏd, citato da A. TOAF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ́di con- finea (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, cit. p. 99 13. A. TOAFF, Mostri giudei. cit., p, 170 14. Ivi, p. 56 15. R.G. SALVADORI, Op. cit., pp. 23/4
16. G.CELATA, Op. cit., p. 87 17. Ivi, p. 85/6 18. R.G. SALVADORI, Op. cit., pp. 57/8 19. Cfr. Tracce ... 1996 20. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, op. cit., p. 198 21. A. CAPOCCI, Manoscritto, Archivio vescovile di Pitigliano. Si tratta di una miscellanea con copertina in tela rossa da cui abbiamo trascritto e presentato su Tracce.. alcuni testi, da attribuire allíarciprete di Santa Fiora Amerigo Capocci. 22. G. BARZELLOTTI, Mante Amiata e il suo Profeta, Treves, Milano 1910 23. Ivi, p. 44 24. AA.VV., Gli ebrei in Italia, Einaudi, Annali della storia díItalia, Torino, Tomo 1, p. 729/30 25. A. BROGI, Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio, 1984, pp. 51 e 76/80 26. Ivi, pp. 51 e 76/80 27. cfr. AA.VV., Le fonti di Piancastagnaio, Siena 1993 28. Cfr. ìPrivilegi degli ebrei di Santa Fioraî, in A. BATTISTI, Op. cit., c. 110 a, pubblicato in Tracce 1996; p 61-2 29. A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, cit., c. 110 a 30. Cfr. L. NICCOLAI, TracceÖ 2001 31. P.A. BATTISTI, Op. cit., Libro II, f. 110-1. 32. R.G. SALVADORI, Op. cit., p. 110 33. P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, cit. 34. Cfr. A. TOAFF, Il vino e la carne. Op. cit., p. 221 35. R.G. SALVADORI, Op. cit., p. 66 36. ìPrivilegi degli ebrei di Santa Fioraî, in A. BATTISTI, Op. cit., c. 110 a, pubblicato in TracceÖ 1996; p 61-2 e di nuovo in L. NICCOLAI, Nelle ìterre del rifugioî, cit. ìTracceÖî 2001 37. A. BATTISTI, Op. cit., Cfr. TracceÖ 1996, p 57-9 38. A.S.F., Auditore poi Segretario delle Riformagioni, filza 291, lettera D, cc. nn. Si tratta di una Rela- zione agli Uffici del Granducato di Toscana da arte di Domenico Lodovico Armaleoni, Capitano di Giu- stizia di Siena, redatta il 25 gennaio 1744 ab incarnatione Ringrazio Valentino Fraticelli per avermene fornito il testo. 39. Archivio vescovile di Citt‡ della Pieve 40. P. A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora, f. 110-111 41. Cfr. L. SETTIMELLI, Le miniere e la presenza ebraica, ìTracceÖî 2000 42. Cfr. R. SALVADORI, Op. cit., p. 56, n. 160 43. R. G. SALVADORI, Op. cit., p. 45 44. A. TOAFF, Mostri giudei, Ed, il Mulino, Bologna 1996, p. 103 45. Nota Carlo Ginzburg che líassimilazione ebrei-streghe non rappresenta altro che líevoluzione di una conce- zione che vede nei gruppi di ìdiversiî un pericolo per la societ‡. 46. Il testo, che riprendiamo, Ë stato pubblicato in Cultura contadina in Toscana, primo volume, Il lavoro del- líuomo, Bonechi Ed., Firenze, 1989, pp. 494/95 47. Cfr, A. CAPOCCI, Le funzioni religiose, ìTracceÖî, 1998 48. H. VON GLASENAPP, Le religioni non cristiane, Enciclopedia Feltrinelli Fischer 1, Feltrinelli , Milano 1962, p. 200
Bibliografia di riferimento
AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomi 1 e 2, Einaudi, Torino 1996 P.A. BATTISTI, Annali della Terra di Santa Fiora , Manoscritto, 1765 circa, Archivio vescovile di Pitigliano E. BALDINI, Pitigliano A. BIONDI, Ebrei a Castellottieri (met‡ sec. XVI, met‡ sec. XVII), ìBollettino della societ‡ storica maremma- naî, n. 49, Grosseto 1985 A. BIONDI, Gli ebrei a Sovana nei secoli XV-XVII, ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 42-43, Grosseto 1982 A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in ìLa rassegna mensile di Israelî, col. XLV, n. 10.11-12, ottobre-novembre-dicembre 1979 A. BROGI, Sei secoli di storia. Castello e comune di Piancastagnaio, 1984 G. CELATA, Gli Ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diversa, Pitigliano 1995 G. CELATA, La Contea di Pitigliano nel ë500, Pitigliano 1982 D. LISCIA BEMPORAD - A. TEDESCHI FALCO, Toscana. Itinerari ebraici, Marsilio Editori, Regione To- scana, Venezia 1995
M. LUZZATI, Banchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro-settentrionale, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia. Annali, Tomo 1., Einaudi, Torino 1996 A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963 L. NICCOLAI, Gli ebrei nella contea di Santa Fiora, ìTracceÖî 1996
L. NICCOLAI, Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceÖ î, Santa Fiora 1998 L. NICCOLAI, Ebrei: le comunit‡ dimenticate dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 72-73, Grosseto 1998 L. NICCOLAI, Quando líAmiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza, in AA.VV., Il pia- cere di leggereÖ il piacere di scrivere, Cittadini del mondo, Annuario IPCT Santa Fiora 1997-1998 L. NICCOLAI, Nelle ìterre del rifugioî. Sui ìPrivilegiî accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceÖî 2001 R. PIVAROTTO - M. SIDERI, Líebreo errante. Guida ai luoghi ebraici tra arte e storia nella Maremma colli- nare, Roma 1997 D. QUAGLIONI, Fra tolleranza e persecuzione. Gli ebrei nella letteratura giuridica del tardo Medioevo, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996. RUFFALDI, La terra di Castel la Zara, I libri dellíOrso, CastellíAzzara 2000 R. G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze 1991 R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díIta- lia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996 S. SIEGMUND, La vita nei ghetti, in AA.VV., Gli ebrei in Italia, Storia díItalia, Annali 11, Tomo 1, Einaudi, Torino 1996 A. TOAFF, Il vino e la carne. Una comunit‡ ebraica nel Medioevo, Ed. Il Mulino, Bologna 1989 A. TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche ìdi confineî (Pitigliano, Sorano, Monte San Savi- no, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento, in AA.VV. Italia judaica ́Gli ebrei in Italia tra rinascimento ed Et‡ baroccaa, Atti del Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i beni culturali e am- bientali. Pubblicazioni degli archivi di stato. Saggi 6, Roma 1986 A. TOAFF, Mostri giudei, Il Mulino, Bologna 1996
Appendice:
Una storia di intolleranza: Sara líebrea
49. G. Barzellotti, Mante Amiata e il suo Profeta, Treves, Milano 1910, p. 44-70 50. Dovrebbe essere Passigli con la doppia s.
Il piatto delle streghe
51. Il testo completo Ë pubblicato in Cultura contadina in Toscana, primo volume, Il lavoro dellíuomo, Bonechi Ed., Firenze, 1989, pp. 494/95 52. R. Salvadori, Op. cit., p. 46 53. Cfr. C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino, 1995 e A. Di Nola, Il dia- volo, Scipioni ed., Roma 1980
* Le famiglie de Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e l'emigrazione ebraica verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento (Michele Luzzati-Universit‡ di Pisa)
Note
1. Per tutte le notizie per le quali non si danno in questa sede specifiche referenze si rimanda a MICHELE LUZZATI, Postille sull'emigrazione ebraica dagli Stati pontifici alla Toscana meridionale nella seconda met‡ del Cinquecento in corso di pubblicazione in Italia Judaica. Storia e cultura degli ebrei a Roma e nello Stato pontificio nell'epoca del ghetto (1555-1870). Atti del VII Convegno internazionale, Reggio Emilia, 15-19 giu- gno 1998, Ministero per i beni e le attivit‡ culturali, Ufficio centrale per i Beni Archivistici, Roma. Per tutta una serie di ricerche alle quali si fa qui riferimento cfr. MICHELE CASSANDRO, Gli ebrei e il prestito ebrai- co a Siena nel Cinquecento, GiuffrÈ, Milano 1979; ANGELO BIONDI, Una comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII) in "La Rassegna Mensile di Israel", XLV (1979), n. 9-12, pp. 417-442; ID., La comu- nit‡ di Sorano: norme e capitoli in "La Rassegna Mensile di Israel", XLVI (1980), n. 5-8, pp. 204-211; ID., Gli Ebrei a Sovana nei secoli XV-XVIII, in "Bollettino della Societ‡ Storica Maremmana", XXIII (1982), n. 43- 44, pp. 45-65; ID., Ebrei a Castellottieri (met‡ sec. XVI-met‡ sec. XVII) in "Bollettino della societ‡ storica ma-
remmana", n. 49 (1985), pp. 65-70; ID., Banchieri e mercanti ebrei a Castro nel periodo del ducato farnesiano (1537-1649) in "Bullettin de l'Institut Historique Belge de Rome", 63 (1993), pp. 79-113; ID., Dall'Amiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVIII secolo in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 97-106; ID., Gli ebrei nel Marchesato di Piancastagnaio, Atla, Pitigliano 2002; GIUSEPPE CELATA, La Contea di Pitigliano nel '500. Feudatari, borghesi, contadini ed ebrei nella Toscana meridionale, Atla, Pitigliano 1982; ID., Gli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diver- sa, Laurum Editrice, Pitigliano 1995; ARIEL TOAFF, Il commercio del denaro e le comunit‡ ebraiche "di confine" (Pitigliano, Sorano, Monte San Savino, Lippiano) tra Cinquecento e Seicento in Italia Judaica. Gli ebrei in Italia tra Rinascimento ed et‡ barocca. Atti del II Convegno internazionale, Genova 10-15 giugno 1984, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1986; ROBERTO G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; ID., Gli ebrei nella Toscana meridionale in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 91-96; RICCARDO PIVI- ROTTO-MONICA SIDERI, L'ebreo errante. Guida ai luoghi ebraici tra arte e storia nella Maremma collina- re, Best-Service, Orbetello 1997; LUCIO NICCOLAI, Introduzione a Quando l'Amiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza in Il piacere di leggere....il piacere di scrivere. Cittadini del mondo, An- nuario IPTC, Santa Fiora 1997-1998, pp. 68-71; ID., Nelle "terre del rifugio". Sui "Privilegi" accordati agli ebrei di Santa Fiora in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VI (2001), pp. 73-96; ID., Le comunit‡ dimenticate dell'Amiata in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 107-122; BONAFEDE MANCINI, Banchieri e mercanti ebrei nell'Alta Tuscia tra XV e XVII secolo in "Tracce...percorsi storici culturali e ambientali per Santa Fiora", VII (2002), pp. 127-140.
2. Cfr. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 1558, p. 1836; cfr. anche n. 1627, p. 1879, del 2 novembre 1533. 3. Cfr. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2061, p. 2239 (cfr. anche n. 2086, p. 2259 e n. 2198, p. 2320, 27 gen- naio e 11 dicembre 1542).
4. Ibid., n. 2480, p. 2463. 5. Ibid., n. 2849, p. 2687. 6. Ibid., n. 3052, p. 2813. 7. Ibid., n. 3067, p. 2817. 8. CASSANDRO, Gli ebrei, cit., p. 36. Il banco di Monte San Savino sarebbe perÚ presto tornato nelle mani dei da Rieti (cfr. ibid., pp. 28-29), per passare a Laudadio de Blanis agli inizi degli anni sessanta: cfr. ROBERTO G. SALVADORI-GIORGIO SACCHETTI, Presenze ebraiche nell'aretino dal XIV al XX secolo, Olschki, Fi- renze 1990, p. 78; ARIEL TOAFF, Maestro Laudadio de Blanis e la banca ebraica in Umbria e nel Patrimo- nio di San Pietro nella prima met‡ del Cinquecento in "Zakhor. Rivista di storia degli ebrei d'Italia", I (1997), pp. 96-97 e 107-108; per la laurea di Isacco cfr. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2335, pp. 2382-2384.
9. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 2972, p. 2768 e n. 3005, p. 2785, del 14 febbraio e del 10 giugno 1551; per le attivit‡ di prestito cfr. ARIEL TOAFF, The Jews in Umbria, III, 1484-1736, Brill, Leiden-New York- Kˆln 1994, n. 2489, pp. 1263-1269, n. 2492, p. 1270, n. 2507, p. 1275, n. 2557, p. 1296, n.2574, p. 13202 e n. 2594, p. 1309; per Narni cfr. ibid., p. 1269.
10. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, cit, n. 2846, p. 2686. 11. NELLO PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V in "Lunario romano", XI (1980) [= Rinascimento nel Lazio, a cura di Renato Lefevre, Palombi, Roma 1979], p. 65; SHLOMO SIMON- SOHN, The Apostolic See and the Jews. History, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1991, p. 176; KENNETH STOW, The Jews in Rome, 2, 1551-1557, Leiden-New York-Kˆln 1995, n. 1326, p. 562, del 5 aprile 1553; n. 1343, p. 570, del 6 maggio 1553; n. 1857, pp. 812-813 del 14 e 15 aprile 1556. Per Ascher cfr. STOW, The Jews in Rome, 2, 1551-1557, cit., nn. 1337 e 1339, pp. 567 e 568 dell'aprile e maggio 1553. 12. Cfr. LUZZATI, Postille, cit., note 28-29 e testo corrispondente. 13. Ibid., note 30-37 e 61-62 e testo corrispondente. 14. Ibid., note 138-142 e testo corrispondente. 15. Ibid., note 81-82 e testo corrispondente. 16. ARIEL TOAFF, The Jews in Umbria, II, 1435-1484, Brill, Leiden-New York- Kˆln 1994, n. 1602, p. 852. 17. Ibid., n. 1769, pp. 935-936 e n. 1772, p. 936 18. Ibid.,n.1827,p.961. 19. Ibid., n. 1845, p. 969. 20. Ibid., n. 1863, p. 975. 21. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 1900, p. 1003. 22. SHLOMO SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1464-1521, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990, n. 1100, p. 1386.
23. Ibid., n. 1939, p. 1023. 24. Ibid., n. 1984, p. 1041. 25 Ibid., nn. 2009 e 2010, pp. 1053-1054. 26. Ibid., n. 2012, p. 1055. 27. Ibid., n. 2037, p. 1066 e n. 2047, p. 1075. 28. Ibid., n. 2057, p. 1079. 29. Ibid., n. 2061, p. 1080. 30. Ibid., n. 2087, pp. 1089-1090. 31. Ibid., n. 2107, p. 1099. 32. Ibid., n. 2117, p. 1104. 33. Ibid., n. 2121, p. 1105. 34. Ibid., n. 2135, p. 1112. 35. Ibid., n. 2148, p. 1118. 36. Ibid., n. 2150, pp. 1119-1120. 37. Ibid., nn. 2165 e 2166, pp. 1080-1081 e n. 2175, p. 1129. 38. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1464-1521, cit., n. 1195, pp. 1498-1499. 39. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2195, p. 1137. 40. Ibid., n. 2204, pp. 1140-1141. 41. Ibid., n. 2219, pp. 1146-1147. 42. Ibid., n. 2207, p. 1143. 43. Ibid., n. 2212, p. 1144. 44. Ibid., nn. 2221 e 2222, pp. 1147 e 1148; e cfr. anche n. 2239, p. 1156 del 26 giugno 1511. 45. Ibid., n. 2225, p. 1149. 46. Ibid., n. 2240, p. 1156. 47. Ibid., n. 2279, p. 1173; cfr. anche n. 2302, p. 1184, del 16 novembre 1516, ma con riferimento ad epoca precedente. 48. Ibid., n. 2291, pp. 1178-1179. 49. Ibid., n. 2301, pp. 1183-1184. 50. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1406, del 12 settembre 152- 9, n. 1412, del 4 novembre 1529 (di qui, e dal testamento di Abramo ñ si veda pi ̆ avanti ñ, apprendiamo che la moglie di Buonaiuto di Isacco si chiamava Perna), n. 1419, p. 1759, del 15 novembre 1529, e n. 1438, p. 1770, del 5 dicembre 1529. 51. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1217, p. 1526, del 15 gen- naio 1514; n. 1230, pp. 1540-1541, del 4 agosto 1514 e n. 1255, pp. 1571-1573, del 9 dicembre 1517. 52. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2329, p. 1196; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2361, p. 1210. 53. Ibid., n. 2352, pp. 1206-1207. 54. Si veda pi ̆ sopra. 55. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2312, p. 1188. 56. Ibid., n. 2321, pp. 1191-1193; n. 2329, p. 1196; n. 2335, p. 1197; n. 2340, p. 1200; n. 2344, pp. 1202-1203; n. 2361, p. 1210; n. 2365, p. 1211 e n. 2368, p. 1212. 57. Ibid., n. 2336, p. 1198; n. 2346, p. 1204. 58. Ibid., n. 2377, p. 1215. 59. Ibid., n. 2393, p. 1222. 60. ARIEL TOAFF, Gli ebrei a Perugia, Deputazione di storia patria per l'Umbria, Perugia 1975, pp. 133-134 e 146-147. 61. Si veda pi ̆ sopra. 62. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2310, p. 1187 e n. 2360, p. 1209. 63. Si veda pi ̆ sopra nota 45 e testo corrispondente. 64. TOAFF, Il commercio, cit., p. 99. 65. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2344, pp. 1202-1203 dell'1 febbraio 1523. 66. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2252, p. 1163; n. 2258, p. 1165; n. 2334, p. 1197 e n. 2357, pp. 1208-1209. 67. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1522-1538, cit., n. 1255, pp. 1571-157. 68. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2389, p. 1220. 69. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2510, p. 2476. 70. Ibid., n. 1927, pp. 2127-2128; n. 2088, p. 2260; n. 2298, p. 2370; n. 2300, p. 2371; n. 2304, p. 2372; TO- AFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2657, p. 1399, Perugia 2 maggio-11 luglio 1566, per un processo che interessÚ Rubino di Consolo, qui detto "da Terni". 71. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1546-1555, cit., n. 2973, p. 2768; n. 3004, p.
2784; n. 3005, p. 2785; n. 3166, pp. 2890-2891. Per Bonaventura cfr. anche TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2505, p. 1274, 5 giugno 1550, e n. 2528, p. 1286, 3 gennaio 1552. 72. SIMONSOHN, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539-1545, cit., n. 2469, p. 2457. 73. TOAFF, The Jews in Umbria, III, cit., n. 2572, p. 1301, 2 settembre 1554; n. 2578, p. 1304, del 13 gennaio 1555; nn. 2581 e 2582, p. 1305, del 21 aprile e del 6 maggio 1555; n. 2586, p. 1306, del 13 novembre 1555.
74. Cfr. LUZZATI, Postille, cit., note 90-93 e testo corrispondente. 75. Ibid., note 118-120 e testo corrispondente. 76. Ibid., nota 94 e testo corrispondente. 77. Ibid., nota 80 e testo corrispondente.
78. Ibid., note 95-97 e testo corrispondente. 79. Ibid., nota 36 e testo corrispondente. 80. Ibid., nota 122 e testo corrispondente. 81. Ibid., nota 81 e testo corrispondente.
82. Ibid., note 101-104 e testo corrispondente. 83. CASSANDRO, Gli ebrei, cit.
* Gli Ebrei di Santa Fiora e un notevole caso di conversione (Angelo Biondi)
54. Sugli ebrei nei feudi di confine esiste ormai una bibliografia abbastanza consistente, anche se ancora non esaustiva, qui riportata alla fine. 55. L. NICCOLAI, vd. Bibliografia, e R. SALVADORI, 1991, pp. 40, 57-58, 133. 56. L. NICCOLAI 2002, p. 108.
57. A. TOAFF ìThe jews in Umbriaî, II, Leiden-New York 1994, n. 1415. 58. L. NICCOLAI 1996, p. 57 e 1998, p. 203, considera ì David de Pomis il primo ebreo la cui presenza sia attestata a Santa Fioraî, ma solo per una documentazione ancora inadeguata. Riguardo al periodo di perma- nenza di David de Pomis, appare pi ̆ corretto indicare il periodo passato a Pitigliano dal 1556 (o 1557) al 1561 (la rivolta dei pitiglianesi avvenne nel gennaio 1562) e a Santa Fiora dal 1562 al 1564 rispetto alle date propo- ste da M. LUZZATI 2004, p. 157: Pitigliano (1556 -1560) e Santa Fiora (1561-1563). 59. C. BENOCCI ìSanta Fioraî, Bonsignori Ed., Roma 1999, p. 18. 60. C. BENOCCI, cit., p. 19. Riguardo alla dipendenza di Santa Fiora dal Vescovo di Citt‡ della Pieve vd. A. BIONDI ìSanta Fiora in Diocesi di Citt‡ della Pieve: le ragioni storiche di uníanomaliaî in Tracce, VI, 2001, pp. 61-68. 61. P. BATTISTI ìAnnali della Terra di Santa Fioraî, ms. in AVP e L. NICCOLAI 2001, pp. 73-96. 62. C. BENOCCI, cit., p. 18. 63. ACSF Libro di memorie1574-1580, cc.12, 119. 64. M. LUZZATI 2004, pp. 155-158; per la mobilit‡ dei banchieri vd. A. BIONDI 1993, pp. 94-98 65. A. TOAFF, ìThe jews Öî, cit., III, nn. 2738, 2740. 66. ASS Feudo di Santa Fiora n. 64, Atti civili e del danno dato del Podest‡ Aurelio Polidori da Sangemini 158- 4; n. 67; Atti civili del Podest‡ Dionisio Petrazzini da Sarteano 1586; n.72, Libro degli atti e decreti dellíAudi- tore di Santa Fiora 1588-1591; n. 99, Sentenze criminali della Curia 1600-1617. 67. A. BIONDI 2002 b), p. 101. 68. Líebreo Daniele Ë indicato con il nome della localit‡ di provenienza (da Arpino) e cosÏ si trovano indicati i suoi discendenti fino a circa il 1625; In un caso Ë definito ìDaniello hebreo Arpinatoî; poi Arpino diventÚ il cognome della famiglia. 69. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 91; 67, c. 95; 72, c. 223. 70. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 34. Il Fattore Giovannino poco dopo si querelÚ anche contro i carbonai Luca e Giovanni del Casentino, che si erano obbligati a fornire il carbone per la ferriera, ma avevano causato dei danni, per non averlo fornito nei tempi dovuti. Idem, c. 84. 71. ASS Feudo di Santa Fiora 64, cc. 80-81. 72. Il Cap. 43 del Libro IV degli Statuti prevedeva tra líaltro che ìper accrescere la Terra nostra di popolo Ö sia lecito a qualunque forestiero verr‡ ad abitare a Santa Fiora Ö pigliar siti per fabbricare case a Montecati- no Öî ; i lavoranti degli opifici come la ferriera e il distendino erano spesso di origine ìforestieraî e ad essi venivano assimilati pure gli ebrei, i quali comunque tendevano a stare vicini, anche quando non vi erano co- stretti. 73. ASS Feudo di Santa Fiora 64, Atti del danno dato, c. 80. 74. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 59; 72, c. 11. 75. ASS Feudo di Santa Fiora 72, cc. 130 e 164. 76. ASS Feudo di Santa Fiora 64, cc. 14, 90, 149. 77. ASS Feudo di Santa Fiora 72, cc.36-38, 111-115 e 256-257.
78. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. K (libro di entrate e uscite 1601-1613), cc. 6, 8, 37. 79. ASS Feudo di Santa Fiora 64, c. 82. 80. A. BIONDI 2002 a), pp. 12-14 e 46-47. In tale studio non era stato possibile accertare da quale luogo prove- nisse líebreo Samuele di Benedetto, che ora siamo in grado di determinare come proveniente da Santa Fiora. 81. ASS Feudo di Santa Fiora 99, Sentenze criminali della Curia 1600-1617, cc. 4-8. 82. Non Ë improbabile che líebreo Leone fosse venuto ad Arcidosso proprio da Cetona a seguito delle disposi- zioni di Cosimo I dei Medici per gli ebrei dello Stato Senese del 1571; come si puÚ vedere comunque tali di- sposizioni non sembrano applicate rigorosamente in zone periferiche e di confine, come la montagna dellíA- miata. Riguardo ai motivi che costrinsero Leone ad andarsene da Arcidosso, forse intorno al 1576 o 1577, le testimonianze sono piuttosto vaghe, accennando al fatto che aveva detto ìnon so che parole contra le sue leg- giî. 83. Si tratta dellíuso di mandare i condannati come forzati ai remi delle navi da guerra, soprattutto delle galere, che avevano necessit‡ di numerosi rematori, le cui condizioni di vita sulle navi erano terribili. 84. Per queste vicende delittuose e le relative condanne vd. ASS Feudo di Santa Fiora 99, cc. 10, 14, 16, 30. 85. AVP Processo del Vescovo di Sovana Scipione Tancredi per una ebrea fatta cristiana di Santa Fiora. 86. ìQuanto al termine ëscolaí, esso Ë comunemente usato dagli ebrei per indicare la casa di preghiera Öî chiarisce opportunamente A. TOAFF, Il vino e la carne. Una Comunit‡ ebraica nel Medioevo, Il Mulino, Bolo- gna 1989, p. 109. 87. Troviamo che Simone Narni era rabbino a Castro nel 1629 e poi a Sorano nel 1635. Vd. B. MANCINI 2003, cit., p. 11 e R. SALVADORI 1991, p. 41. Si deve dunque credere che esercitasse tale funzione anche a Santa Fiora, sebbene il documento processuale non lo indichi espressamente. 88. Nella sua Disposizione del 30 dicembre 1625 il Vescovo Tancredi cercÚ di limitare líeccessiva familiarit‡ riscontrata nella sua Diocesi tra cristiani ed ebrei, tanto che i figli dei cristiani sia maschi che femmine seguiva- no addirittura i bambini ebrei nella loro ìscuolaî. G. CELATA 1995, p. 95. 89. AVP Processo del Vescovo di Sovana Scipione Tancredi per una ebrea fatta cristiana di Santa Fiora. Docu- menti a corredo. 90. Vd. in proposito A. MILANO îStoria degli ebrei in Italiaî, Roma 1963. 91. Archivio del Comune di Sorano Inventari pupillari 1630-1644, cc. 5-7. 92. R. SALVADORI 1991, pp. 40-41, 57-60, 119; alcuni cenni in A. BIONDI 1993, p. 98 e in B. MANCINI 2002, p. 132. 93. A.BIONDI2002a),pp.47-48,53,78. 94. A. BIONDI 1982, pp. 52, 65; M. LUZZATI 2004, p. 157; R. SALVADORI 1991, p. 66; Salvadori riporta alle pp.60-63 anche il caso di Crescenzio Spagnoletto da Proceno, ma abitante a Pitigliano, che intorno al 1640 risulta al servizio di Paolo Sforza. 95. ACP Inventari pupillari 1668-1678, c. 177; vd. anche A. BIONDI 1993, p. 102. 96. ACP Miscellanea 1564-1783, cc. 91, 99, 107. 97. Alcune copie di questi Privilegi si trovano in ASF Archivio Sforza-Cesarini, Serie I 699, nn. 5 e 6, oltrechË riportati da P. BATTISTI, cit., cc.110-111. 98. P. BATTISTI, cit, cc.110-111, ripreso in L. NICCOLAI 2001, p. 82 e 2002, p. 112 99. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I, 699, n. 13 100. Si tratta di Pietro di Antonio Moroni, Carlo di Carlo, Pasquino di Angelo, Pietropaolo Corsini, mastro Do- menico Lazzeri, Vespasiano Calderai ìtutti di Santa Fiora o in essa habitatoriî. 101. » questa la prima volta che si ha notizia di una sporadica presenza di ebrei a Castel del Piano. 102. AA. VV. ìGli ebrei a Monte S. Savinoî, Citt‡ di Castello 1994, p. 25 e A. BIONDI, 2002 a), pp. 59-60 e 79. 103. Archivio del Comune di Gradoli Atti Civili 1724-1725, c. 1, dove Ë citato Flaminio da Santa Fiora con A- bramo Servi, Angelo Servi e compagni e Diodato Sadun tutti di Pitigliano, Giacobbe Montebarroccia, MosË e Zaccaria del Monte S.Maria, oltre a MosË di Castro, Laudadio di Sabato e Giacobbe. 104. Questo sistema, ormai generalizzato tra ë600 e ë700, pur producendo quasi sempre una cattiva amministra- zione, non era sempre negativo per la popolazione locale, come si verificÚ per il caso del Marchesato di Pianca- stagnaio; vd. A. BIONDI, 2002 a), pp. 42-45. 105. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. D. 106. L. RUFFALDI ìLa Terra di Castel la Zaraî, Grotte di Castro 2000, pp. 75-77 e L. NICCOLAI, 2001, p. 93. 107. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I 699, n. 5. 108. ACP Miscellanea 1564-1783, c. 107. 109. Archivio della Pretura di Pitigliano, Filze sciolte, ìCausa tra Filippo Rinaldi di Scansano e Salomone di Servo Servi di Pitigliano a causa del subaffitto della Contea di Santa Fioraî del 1750. Il Rinaldi aveva citato Salomone Servi perchÈ aveva stipulato con lui un contratto di subaffitto della Contea nel 1744, ma il Servi, per escluderlo, aveva poi subaffittato invece a David Sorano ebreo di Santa Fiora. 110. ASR Archivio Sforza-Cesarini Serie I, 596, cc. 7-11; 133-141; 199-204; 229-232.
111. ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. D. Per la condanna degli Sforza vd. anche L. RUFFALDI, cit., pp. 77-78. 112. ASR Archivio Sforza-Cesarini, Serie I 699, n. 6. 113. ACP Inventari pupillari 1750-1778.
114. Un Decimario del 1778 riporta le seguenti famiglie nei terzieri di Santa Fiora: Castello 128, Borgo 74, Montecatino 59 per complessive 261 famiglie, a cui si aggiungevano 5 a Macereto, 22 a Bagnore, 122 a Bagno- lo, per un totale di 410 famiglie. Il pi ̆ antico Decimario del 1648 ci offre un confronto: a Santa Fiora 319 fami- glie, distribuite 162 in Castello, 90 in Borgo, 67 a Montecatino, con líaggiunta di altre 11 a Macereto, 17 a Ba- gnore, 31 a Bagnolo per un totale di 378; in oltre un secolo si nota una crescita complessiva della popolazione, ma dovuta quasi esclusivamente al Bagnolo, dove le famiglie risultano quadruplicate, mentre si registra una consistente diminuzione a Santa Fiora, ASF Auditore delle Riformagioni 291, lett. K, n. 13.
115. L. NICCOLAI 2002, p. 115. La conferma viene anche da P. BATTISTI, cit., c. 111, che riferisce: ìin que- sto ghetto una volta vi erano degli ebrei ricchi e benestanti, ma ora sono miserabilissimi e poveri di numeroî. 116. L. NICCOLAI 1998, p. 206, sulla scorta di R. SALVADORI 1991, p. 110 attribuisce alla prima met‡ del ë600 il trasferimento dellíaronoth di Santa Fiora, ma si tratta certo in ambedue di una svista, essendo impossibi- le che ciÚ sia avvenuto quando la Comunit‡ santafiorese era florida e ben funzionante.
117. Vd. su ciÚ A. BIONDI 2002 b), p. 106. » da notare che Giuseppe Colombo era sposato con Stella Levi, probabilmente di origine santafiorese. Vd. L. NICCOLAI 2002, pp. 115-116.
Bibliografia
Abbreviazioni: ACP = Archivio Comunale di Pitigliano ACSF = Archivio Comunale di Santa Fiora ASF = Archivio di Stato di Firenze ASR = Archivio di Stato di Roma ASS = Archivio di Stato di Siena AVP = Archivio Vescovile di Pitigliano
Angelo BIONDI ìUna Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (sec. XV-XVIII) in Rassegna Mensile di Israel (RMI), 9-12, 1979, pp. 417-442; - Idem ìLa Comunit‡ di Sorano: norme e capitoliî in RMI, 5-8, 1980, pp. 204-211; - Idem ìGli ebrei a Sovana nei secoli XV-XVIIIî in Bollettino della Societ‡ Storica Maremmana (BSSM), 43- 44, 1982, pp. 45-65;
- Idem ìEbrei a Castellottieriî in BSSM, 49, 1985, pp. 65-70; - Idem ìBanchieri e mercanti ebrei a Castro nel periodo del Ducato farnesiano (1537-1649)î in Bulletin dellíIn- stitut Historique Belge de Rome, 63, 1993, pp. 79-113; - Idem ìGli ebrei nel Marchesato di Piancastagnaioî, ATLA, Pitigliano 2002 a); - Idem ìDallíAmiata alla Valle del Fiora: le Comunit‡ ebraiche tra XVI e XVIII secoloî in Tracce, VII, 2002 b), pp. 97-106; Giuseppe CELATA ìLa Contea di Pitigliano nel ë500. Feudatari, borghesi, contadini ed ebrei nella Toscana meridionaleî, ATLA Pitigliano 1982; - Idem ìGli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una Comunit‡ diversaî, Ed. Laurum, Pitigliano 1995; - Michele LUZZATI ìLe famiglie De Pomis da Spoleto e Cohen da Viterbo e líemigrazione verso la Toscana meridionale nella seconda met‡ del ë500î in Tracce, IX, 2004, pp. 149-158; - Idem ìPostille sullíemigrazione ebraica dagli Stati Pontifici alla Toscana meridionale nella seconda met‡ del ë500î in Italia Judaica. Atti del VII Convegno Internazionale. Reggio Emilia 1998 (in corso di pubblicazione); Bonafede MANCINI ìBanchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVIII secoloî in Tracce, VII, 200- 2, pp. 127-140; - Idem ìLe Comunit‡ ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio tra XVI e XVII secoloî in Biblioteca e So- ciet‡, 1-2, Viterbo 2003, pp. 4-13; Lucio NICCOLAI ìGli ebrei nella Contea di S.Fioraî in Tracce, I, 1996, pp. 57-62; - Idem, ìAncora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fioraî in Tracce, III, 1998, pp. 203-207; - Idem ìQuando líAmiata ospitava le Comunit‡ ebraiche. Due storie di intolleranzaî in Il piacere di leggere, il piacere di scrivere. Annuario IPC di Santa Fiora 1997-1998, pp. 68-71; - Idem ìEbrei: le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaioî in BSSM, 72-73, 1998, pp. 43-51; - Idem ìNelle terre di rifugio. Sui privilegi accordati agli ebrei di Santa Fioraî in Tracce, VI, 2001, pp. 73-96; - Idem ìLe Comunit‡ dimenticate dellíAmiataî in Tracce, VII, 2002, pp. 107-122; Roberto SALVADORI ì La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secoloî Giuntina, Firenze 1991;
- Idem ìGli ebrei nella Toscana meridionaleî in Tracce, VII, 2002, pp. 91-106; Elena SERVI ìTerra di rifugio, Piccola Gerusalemme. Pitigliano ebraica: comunit‡ in estinzione, comunit‡ che rinasceî in Tracce, VII, 2002, pp. 123-126; Ariel TOAFF ìIl commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine (Pitigliano, Sorano, Monte S. Savi- no, Lippiano) tra ë500 e ë600î in Italia Judaica. Atti del II Convegno Internazionale di Genova 1984, Roma 1986, pp. 99-117.
* Gli ebrei nella Toscana meridionale (Roberto G. Salvatori)
118. Cfr. Attilio MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi 1992, Parte prima, cap. VI. 119. Della Toscana, oggi, fanno parte anche Massa e Carrara che furono sedi, a partire dal XVI sec., di comunit‡ ebraiche. Qui non se ne fa cenno in quanto le loro vicende sono legate alla storia del Principato dei Cybo, di- stinto dal Granducato toscano, governato prima dai Medici e poi dai Lorena. 120. La stampa originaria appartiene alla tipografia Galletti e Cocci di Firenze, e la ristampa alla Casa editrice Olschki, sempre di Firenze. » doveroso ricordare che líopera del Cassuto era stata preceduta da quella, di note- vole valore, dellíavv. Marino Ciardini: I Banchieri Ebrei in Firenze nel secolo XV e il Monte di Piet‡ fondato da Girolamo Savonarola, Borgo S. Lorenzo, Tip. Mazzocchi 1907. 121. A questa letteratura, sulla quale non Ë il caso di soffermarsi ulteriormente, vi sono poche eccezioni, rappre- sentate, per la Toscana (e non soltanto per essa), da studiosi di valore, come Roberto Bachi, Vittorio Colorni, Livio Livi, Ermanno Loevinson, Cecil Roth, Guido Sonnino, che operano, tutti, tra il 1920 e il 1937. Un posto a sÈ occupa il vivace bozzettista Giuseppe Conti, non ebreo, che descrive con efficacia e con simpatia il ghetto di Firenze. Naturalmente non si puÚ dimenticare líimportanza che ha avuto, per líItalia in genere, il periodico ìLa Rassegna Mensile di Israelî, stampato a partire dal 1925. Per la Toscana meridionale meritano di essere citati i saggi di Evandro Baldini sugli ebrei di Pitigliano e, in particolare: Pitigliano nella storia e nellíarte, Grosseto, Coop. Fascista ìLa Maremmaî 1937, che raccoglie articoli stampati nei due anni precedenti, nella rivista ìMaremmaî, e cioË in un periodo non ancora inquinato, ciÚ che aiuta líautore a uníesposizione corretta, almeno dal punto di vista dellíinformazione. 122. Nello PAVONCELLO, Origine e sviluppo della comunit‡ ebraica a Siena, in ìNova Historiaî, Verona, VII (1955), fasc. 5-6, pp. 31-51, uno studio ripreso e ampliato pi ̆ tardi: Notizie storiche sulla comunit‡ ebraica di Siena e la sua Sinagoga, in ìRassegna Mensile di Israelî, XXXVI (1970), ́In memoria di A. Milanoa, 289- 313. 123. In ìStudi sul medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghenî, Roma 1974, pp. 427-473. 124. La casa dellíebreo. Saggi sugli ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa, Nistri- Lischi 1985. 125. In ìEconomia e storiaî, a. XXIV (1977), 4, pp. 425-449. 126. In Studi in memoria di Mario Abate, Universit‡ di Torino, Ist. di storia economica 1986, pp. 271-288. 127. In Manoscritti, frammenti e libri ebraici ñ Atti del VII Congresso internazionale dellíAISG ñ S. Miniato, 7- 8-9 novembre 1988 (a cura di Giuliano Tamani e Vincenzo Vivian), Roma, Carucci Editore 1991, pp. 255-259. 128. Ma Ë da vedere, anche: LíInquisizione e gli ebrei in Italia, Bari, Laterza 1994. 129. Gli ebrei e il prestito ebraico a Siena nel Cinquecento, Milano, A. GiuffrË 1979; La comunit‡ ebraica di Siena intorno allíultimo quarto del ë600. Aspetti demografici e sociali, in ìBullettino senese di storia patriaî, XC (1983), Siena, Accademia Senese degli Intronati 1984, pp. 126-145. 130. Il Comune di Siena e il prestito ebraico nei secoli XIV e XV: fonti e problemi, in Aspetti e problemi della presenza ebraica nellíItalia centro-settentrionale (secoli XIV e XV), a cura di Sofia Boesch Gajano, Roma [Tivoli, Tipografia ́Ripolia] 1983, pp. 175-225. 131. Di Giuseppe Celata sono da ricordare: Propriet‡ ed economia agricola in un feudo toscano del ë500, in ìArchivio storico italianoî, 1976, disp. I-II, pp. 75-117; Gli ebrei in una societ‡ rurale e feudale: Pitigliano nella seconda met‡ del Cinquecento, in ìArchivio storico italianoî, CXXXVIII (1980), n. 504, pp. 197-255 (entrambi confluiti, poi in La Contea di Pitigliano nel ë500, Pitigliano, Atla 1982. Il Celata riprender‡ il tema, ampliandolo, in opere pi ̆ recenti, tra cui: Gli ebrei a Pitigliano. I quattro secoli di una comunit‡ diversa, [Comune di Pitigliano], Tipolit. ATLA 1995. ñ Di Angelo Biondi: Una comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc. XV-XVIII), in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XLV, n. 11-12 (ott.-dic. 1979), pp. 417-442; La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XLVI (1980), pp. 204-211; Lo stato di Piti- gliano e i Medici da Cosimo I a Ferdinando II, in I Medici e lo Stato senese 1559-1609. Storia e territorio (a cura di Leonardo Rombai), Roma, De Luca 1980, pp. 75-88; Gli Ebrei a Sovana nei secoli XV-XVII, in ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, XXXIII (1982), voll. 43-44, pp. 45-56. 132. in Italia Judaica ñ Atti del II Convegno internazionale, Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato 1986, pp. 99-117. 133. Appunti storici sugli ebrei a Lippiano, in E.M. Artom - L. Caro ñ S.J. Sierra (a cura di), Miscellanea di
Dario Disegni, Torino-Gerusalemme 1969, pp. 255-262; Una supplica degli ebrei di Lippiano alla citt‡ di Pe- rugia, in alla citt‡ di Perugia, in ìLa Rassegna Mensile di Israelî, XXXVI (1970): In memoria di Attilio Mila- no, fasc. 7-9, pp. 441-452; Gli ebrei del Marchesato di Monte S. Maria a Lippiano, in ́Annuario di studi ebrai- cia (1975 e 1976: Raccolta di studi in memoria di Yoseph Colombo), Roma, Poligrafica Sabbadini 1977, pp. 45-71; Gli ebrei romani e il commercio del denaro nellíItalia centrale alla fine del Duecento, in Italia Judaica, Atti del I Convegno Internazionale, Bari 18-22 maggio 1981, Roma, Multigrafica Editrice [Tip. P.U.G.], pp. 183-196. Sempre del Toaff (studioso, in primo luogo, degli ebrei dellíUmbria) Ë da ricordare anche, in questo ambito, un saggio che ha per oggetto Citt‡ di Castello, contigua geograficamente alla Toscana meridionale: Gli ebrei a Citt‡ di Castello dal XIV al XVI secolo, in ìBollettino della Deputazione di Storia Patria dellíUmbriaa, LXXII, fasc. II, Perugia, Arti Grafiche Citt‡ di Castello 1975, pp. 1-105.
134. La comunit‡ di Monte San Savino, in Roberto G. Salvadori ñ Giorgio Sacchetti, Presenze ebraiche nellíare- tino dal XIV al XX secolo, Firenze, Olschki 1990, pp. 77-94; Gli ebrei in Toscana nella passaggio dal Grandu- cato al Regno di Etruria, in La Toscana e la Rivoluzione francese (a cura di Ivan Tognarini), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1994, pp. 475-498; Quattro secoli di storia ebraica a Monte San Savino, in Gli ebrei a Monte San Savino, Comune di Monte San Savino, ìQuaderni Savinesi IIIî, 1994; Famiglie ebraiche di Monte San Savino (1627-1799). Attivit‡ economiche e rapporti sociali, in ìZakhorî, n. II, 1998, pp. 139-154; 1799. Gli ebrei italiani nella bufera antigiacobina, Firenze, Giuntina 1999.
135. La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, Giuntina 1991; Relazioni secentesche sulla contea di Pitigliano, in ìBollettino della Societ‡ storica maremmanaî, fasc. 58-59 (1991), pp. 45-100; Cronaca intima di una comunit‡ ebraica. Pitigliano 1878-1922, in Studi in memoria di Ildebrando Imberciadori (a cura di Danilo Barsanti), Pisa, Edizioni ETS 1996, pp. 377-397; La ìnotte della rivoluzioneî e la ìnotte degli orvietaniî (Gli ebrei di Pitigliano e i moti del ìViva Mariaî: 1799), Comune di Pitigliano, Assessorato alla cul- tura [Firenze, Tipografia Giuntina] 1999, pp. 82.
136. Cfr. líampio e documentato saggio di Ircas Nicola Jacopetti: Ebrei a Massa e Carrara. Banche Commerci Industrie dal XVI al XIX secolo, Firenze, Edifir 1996. 137. Il riferimento Ë, in quellíinterno, al saggio del Luzzati: Banchi e insediamenti ebraici nellíItalia centro- settentrionale fra tardo Medioevo e inizi dellíet‡ moderna (vol. I, pp. 175-235).
138. La ricerca ha dato finora eccellenti risultati, resi noti via via da Lucio Niccolai che ne Ë stato il principale protagonista. Di lui, al riguardo, sono da citare: Gli ebrei nella contea di Santa Fiora, in ìTracceÖî, 1996; Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, in ìTracceÖî, 1998; Ebrei: le comunit‡ dimentica- te dellíAmiata. Santa Fiora e Piancastagnaio, in ìBollettino della societ‡ storica maremmanaî, n. 72-73 (1998), pp. 43-51; Quando líAmiata ospitava le comunit‡ ebraiche: due storie di intolleranza, in Il piacere di leggereÖ il piacere di scrivere. Cittadini del mondo, Santa Fiora, ìAnnuario IPCT 1997-1998î, pp. 68-83; e, infine, la pi ̆ recente ricapitolazione: Nelle ìterre del rifugioî. Sui ìprivilegiî accordati agli ebrei nella conte- a di Santa Fiora, in ìTracceÖî, 2001, pp. 73-96.
139. In o.c., pp. 106-107.
* DallíAmiata alla valle del Fiora: le comunit‡ ebraiche tra XVI e XVII secolo (Angelo Biondi)
140. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sulle Comunit‡ ebraiche di questo territorio, in precedenza quasi del tutto ignorate. Vd.: A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata: gli ebrei di Sorano (secc.XV-XVIII), ìRassegna Mensile di Israelî (RMI), 1979, pp. 418-442, La comunit‡ di Sorano: norme e capitoli, ìRMIî,1980, pp 205-211, Gli ebrei a Sovana nei secoli XVI-XVII, ìBollettino della Societ‡ Storica Maremma- naî (BSSM), 43-44,1982, pp.45-65, Ebrei a Castellottieri, ìBSSMî, 49, pp.65-70, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, ìAtti del Convegno di studi ́I Farnese: dalla Tuscia alle Corti díEuropaa, Viterbo 1985, pp.105-120; G.CELATA, Gli ebrei a Pitigliano, ATLA, Pitigliano 1995; L. NICCOLAI, Gli ebrei nella Conte- a di Santa Fiora, ìTracceî, 1, 1996, pp. 57-62, Ancora sulla presenza di un nucleo di ebrei a Santa Fiora, ìTracceî, 3, 1998, pp. 203-207, Ebrei. Le Comunit‡ dimenticate dellíAmiata: Santa Fiora e Piancastagnaio, ìBSSMî, 72-73,1998, pp. 43-51; Nelle terre di rifugio. Sui privilegi accordati agli ebrei di Santa Fiora, ìTracceî, 6, 2001, pp. 73-96; R.G. SALVADORI, La Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Giuntina, Firenze 1991; A.TOAFF, Il Commercio del denaro e le Comunit‡ ebraiche di confine tra Cinquecen- to e Seicento, ìItalia Judaicaî, Roma 1986, pp. 99-117.
141. A.TOAFF, Gli ebrei nel Marchesato di Monte S. Maria e Lippiano, ìAnnuario di studi ebraiciî, VIII, 197- 7, pp. 45-71 142. A. BIONDI, Gli ebrei a SovanaÖ, cit., p. 46
143. A. TOAFF, Il commercio del denaro Ö, cit., pp. 99-100 144. D. DE POMIS, ZËmach David, Venezia 1587, c. 5 145. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei Ö, cit., pp. 111-112 146. R.G. SALVADORI, cit., p. 32
147. M. CASSANDRO, Gli ebrei e il prestito ebraico a Siena nel í500, Milano 1979, p. 30 148. A. BIONDI, Una comunit‡ ignorata Ö, cit., pp. 419,433 e R.G. SALVADORI, cit., pp. 32, 36, L. NIC- COLAI, Gli ebrei nella Contea..., cit., p.57 149. Potrebbe trattarsi di Isac da Rieti, che abbandonÚ Pitigliano per le preoccupazioni dovute alla cessione del- la Contea ai Medici, divenuta definitiva nel 1608. A. BIONDI, Per una storia degli ebreiÖ, cit., pp.112-113. Si consideri che Valentano spesso era scelto dai Farnese come loro residenza in alternativa alla citt‡ di Castro. 150. Si consideri che nelle Contee si producevano quantit‡ consistenti di salnitro e, in misura minore, di polvere da sparo, specie a Sorano, a Castro, a Piancastagnaio, mentre dalla miniera di Selvena, nella Contea sforzesca, si ricavava il vetriolo. Vd. A. BIONDI, Il vetriolo di Selvena, ìAmiata storia e territorioî, n. 9, 1990, pp.13-21 151. AA. VV. Il Palazzo dei Marchesi Bourbon del Monte di S. Maria a Piancastagnaio, in AA.VV., I Medici e lo Stato Senese. Storia e territorio, Roma 1980, pp. 183-190 e A. BROGI, Castello e Comune di Piancasta- gnaio. Sei secoli di storia, Abbadia S. Salvatore 1984 152. A. BIONDI, LíAcquedotto Mediceo monumento-simbolo di Pitigliano e la Contea al passaggio nel Gran- ducato, Pitigliano 1998 153. A BIONDI, La Comunit‡ di Sorano Ö, cit., pp. 205-209 154. R.G. SALVADORI, cit., pp. 40, 57 , 119-120 e A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p. 423 155. G. CELATA, cit., pp.116-121 e R.G. SALVADORI, cit., pp.39-42 156. C. BENOCCI, Santa Fiora, Atlante storico delle citt‡ italiane, 7, Bonsignori, Roma 1999. Della Sinagoga di Santa Fiora ci fornisce una descrizione A. BATTISTI, Annali della terra di Santa Fiora, manoscritto sette- centesco ora in Archivio Vescovile di Pitigliano. La descrizione del Battisti Ë ripresa da L. NICCOLAI, Le Co- munit‡ dimenticate dellíAmiata Ö, p. 46 157. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p. 430, R.G. SALVADORI, cit., p. 108 e, per Castro, vd. la Informazione e discorsi dello Stato di Castro di F.GIRALDI, pubblicata in ìDe depraedatione castrensium et suae patriae historiaî di Domenico ANGELI (a cura di G. BAFFIONI-G. MATTIANGELI), Roma 1981, p. 80 158. A. BIONDI, Gli ebrei a Sovana Ö, cit., pp.50-52 159. Sullíargomento vd., tra gli altri, E. STENDARDI, Memorie storiche della distrutta citt‡ di Castro, Grotte di Castro 1957. e R. LUZI, Storia di Castro e della sua distruzione, Grotte di Castro 1987 160. Nella Comunit‡ ebraica di Pitigliano si conservavano due aronoth, che si diceva provenissero líuno da Ca- stro, líaltro da Santa Fiora e si tramandava inoltre per tradizione orale che líargenteria della Sinagoga prove- nisse da Castro. Informazione di Elena Servi, presidente dellíAssocizione pitiglianese ìLa Piccola Gerusalem- meî 161. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorataÖ, cit. p.424 162. A BIONDI, Ebrei a CastellottieriÖ, cit., p. 69 163. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei Ö, cit., pp. 119-120 164. Al Ducato di Castro era unita anche la Contea di Ronciglione, formata anche da Capranica, Caprarola e altri centri, territorialmente staccata dal Ducato, ma strategicamente importante per il dominio della via Cimina. 165. A. TOAFF, cit., p.116. Per il soggiorno a Roma, vd. A. MILANO, Il ghetto di Roma, Roma 1964, pp. 223- 224 e 422-429 166. I. SONNE, Da Paolo IV a Pio V. Cronaca ebraica del secolo XVI, Gerusalemme 1954, pp. 215-220; vd. anche N. PAVONCELLO, Gli ebrei di origine spagnola a Roma, ìStudi Romaniî, 2, 1980, pp. 214-220 167. Líinformazione si deve alla cortesia di Elena Servi. I marrani erano notoriamente gli ebrei spagnoli appa- rentemente convertiti, ma rimasti fedeli allíebraismo 168. L. NICCOLAI, Sui privilegi accordati agli ebrei Ö, cit., pp. 73-96 169. RUFFALDI, La terra di Castel la Zara, Grotte di Castro 2000, pp.75-76, ripreso da L. NICCOLAI, Ancora sulla presenza Ö, cit, p. 206 170. G. SALVADORI, cit., p.67 171. G. CELATA, cit., p. 126 172. A. BIONDI, Una Comunit‡ ignorata Ö, cit., p.426 173. L. ROMBAI, Le Contee granducali di Pitigliano e Sorano intorno al 1780, Firenze 1982, pp. 43, 92-93 174. G. CELATA, cit., p. 125 175. R. G. SALVADORI, La notte della rivoluzione e la notte degli orvietani, Giuntina, Firenze 1999
* Banchieri e mercanti ebrei nellíAlta Tuscia tra XV e XVII secolo (Bonafede Mancini)
176. Líarea geografica della Tuscia ha avuto nel corso della storia ampiezza e denominazioni diverse: Etruria
Meridionale, Tuscia suburbicaria, dopo la riforma dioclezianea, Patrimonium Beatri Petri in Tuscia (con la sua distinzione tra Tuscia romana e Tuscia longobarda) durante il Medioevo. Non manca chi inoltre, assumendo la coordinata spaziale della regione del Lazio, includa nel termine Alto Lazio anche la provincia di Rieti. La pro- vincia di Viterbo fa parte di una pi ̆ ampia area culturale, la Tuscia, regione naturale che per cultura, dialetto, tradizioni storiche e popolari comprende anche il comprensorio orvietano e i monti della Tolfa.
177. Nel commentare la sua Chorographia Tusciae (1536), Gerolamo Bellarmato, annotava le difficolt‡ incon- trate nel percorrere a cavallo le terre di confine di Toscana e Lazio per ìla profondit‡ che ne líandare loro fanno quasi tutti quelli fiumi che si trovano dentro a quella parte che Ë cinta del Fiume de la Paglia, il Fiore, la Marina e il Tevere, li quali oltra líestrema fortezza che causano a quelle terre li quali avvicinano, come a Fiano, Sorano, Pitigliano, Farnese, Castro, Nepi, Civita castellana, porgono ancora per il paese grandissima incomodit‡ di camminoî. La carta di Tuscia del Bellarmato, uno dei pi ̆ eccellenti prodotti cartografici italiani del XVI secolo, fu pubblicata in Roma e dedicata a Valerio Orsini con privilegio di stampa di Paolo III. » stato rilevato che ìForse il Bellarmato comprendeva come parte della sua Toscana anche la Tuscia romana o subur- bicaria, ossia il Patrimonio. Certamente non si rilevano nella carta differenze di caratteri e di esattezza fra la Toscana vera e propria e la Tuscia suburbicariaî. Vd., R. ALMAGI¿, Documenti cartografici dello Stato Pontificio, Citt‡ del Vaticano, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960, p. 10 e 11, inoltre cfr., Tav. XII.
178. Cfr., R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia. Dal Medioevo allíet‡ dei ghetti (a cura di C. Viviani), Annali 11 t.1, Torino, Einaudi, 1996, p. 730-731. 179. Il senatore NiccolÚ Antella, plenipotenziario del granduca Ferdinando I in Pitigliano, comunica al Medici che ìGrandissime sono le usure che fanno questi Ebrei cosÏ nella Contea che in tutte quelle Castella, et luoghi convicini díaltri Signori dove parimente sono comportati [=tollerati] [Ö], et vi una capitulatione fatta al tempo del Conte Alessandro che potessino prestare a quelli dello stato et Contea, a ragione del 18 per 100 líanno che sono pi ̆ di quattrini sei per scudo et a forstieri a ragion di 24, che con mesi rotti et altri vantaggi gli 18 arrivano a 22 et li 24 a 28 per cento et per aggravar maggiormente da certo tempo in qua non volevano prestare in Piti- gliano per fare i poveri huomini a Onano Terra del Duca Sforza, dove i medesimi Ebrei fanno simil banco, et prestano a quelli della Contea a ragione di 24 per cento come forestieriî. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, La Giuntina, 1991, p. 35 e 36, n. 91.
180. R. SEGRE, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, cit., p. 729, vd. anche nota 53. La com- plessit‡ della geografia politica e storica delle terre di confine di alto Lazio e bassa Toscana Ë tale che in queste difficolt‡ sono erroneamente inciampati anche recenti e autorevoli studi. Cfr., M. LUZZATI, Banchi e insedia- menti ebraici nellíItalia centro-settentrionale, in: Storia díItaliai. Gli Ebrei in Italia. Dal Medioevo allíeta dei ghetti. cit., p. 200.
181. A. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985. A. BIONDI, Un antico manoscritto ebraico ritrovato nellíarchivio di Gradoli, ìI Quaderni di Gradoliî, Gradoli, a. 1994, n. 10. 182. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano, cit..
183. N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, AA.VV., Rinascimento nel Lazio, Lunario Romano IX, 1980, Roma, Palombi Editori, pp. 47-77. 184. Cfr., Archivio di Stato di Viterbo, díora in avanti: A.S.Vt., Cartella Pergamene Ebraiche, fasc. 23 (Acquapendente); fasc., 48 e 49 (Bolsena). Per Gradoli vd., A. BIONDI, Un antico manoscritto ebraico ritro- vato nellíarchivio di Gradoli, cit., p. 1-18. Una pergamena in latino, copertina interna del repertorio del notaio aquesiano Orazio Accursini protocolo 3 (1590-1593), contiene una lunga serie di divieti nei confronti degli ebrei.
185. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino, 1963, p. 121. Nel 1313, per togliere líassedio dalla pro- pria citt‡ da parte di Orvieto, la comunit‡ di Montefiascone pagÚ uníindennit‡ di quindicimila fiorini. Inoltre N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit., p. 63 186. T. PAPALIA, Gli ebrei e la diffusione del prestito a Orte alla fine del 1200, in: Biblioteca e Societ‡, Viter- bo, a. XII, n. 1-2, giugno 1993, pp. 17-19. Nel Duecento la politica Pontificia cercÚ con ogni mezzo di rendere pi ̆ stretta la dipendenza economica dei comuni dai banchieri e mercatores Romanam Curiam sequentes. In questa congiuntura politico-economica fecero la loro comparsa nei comuni del Patrimonio di San Pietro in Tu- scia le prime compagnie di prestito di ebrei de Urbe, presentandosi come una forza nuova e intraprendente sul mercato finanziario della regione. A. TOAFF, Gli ebrei a Roma, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia, cit. 129. 187. Nel primo decennio del Trecento appare in Viterbo un tale maestro Daniel. Nel 1432 MosË de Urbe, fami- liare di Martino V e proprietario di un importante banco a Viterbo, insieme ad altri cittadini prestava 2000 fio- rini alla Camera Apostolica. A. TOAFF, Gli ebrei a Roma, in: Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia, cit., p. 144. A Tuscania líattivit‡ bancaria era vivace. ìGli ebrei pi ̆ in vista Aleuccio di Matasia e i suoi figli Melle e Ma- nuele. Lo
188. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25 Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 25, cc. 20v -24. 189. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, AA. VV., I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, cit., p. 113.
190. ìQuod Iudei faciant unum bravium. Item statuimus, quod Iudei, qui stant in civitate nostra, non obstantibus aliquibus pactis, concessis, et attributis ipsis Iudeis, per consilium generale, et speciale, aut per Priores, vel qua- lemcunque congregationem, et deliberationem teneantur, et debeant pro bravio, quod solitum est currere in fe- sto sancti Savini, omni anno in dicto festo, quindecim diebus precedentibus predicto festo solvere florenos duo- decim pro dicto bravio: et quod Potestas, qui pro tempore fuerit, teneatur vinculo iuramenti cogere eos ad sol- vendumî. Volumen Statutorum in quo continentur Decreta, Leges, Reformationes utriusque status Castri et Roncilionis [Ö], Valentano, per Petrum Matheum Thesorii, 1558, L. I, rub. 33.
191. Per un sintetico ma preciso studio della seconda guerra di Castro, vd., R. LUZI, Líinedito giornale dellías- sedio e demolizione di Castro (1649), in: Barnabiti Studi, Roma, n.2. a. 1985. Líacquisizione di Parma e Pia- cenza (26 agosto 1545) da parte di Pier Luigi Farnese segnÚ la decadenza di Castro che tornava cosÏ a svolgere un ruolo secondario nelle mire e negli interessi dei Farnese. Molti edifici e palazzi progettati da A. Sangallo il Giovane, fra cui lo stesso Palazzo Ducale, non vennero mai completati o iniziati.
192. A. BARAGLIU, Mario Farnese Signore del ducato di Latera e Farnese, ìInformazioniî, Viterbo, a. II n. 9, 1993, p. 87. 193. Cfr,, A. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, AA.VV., I Farnese dalla Tuscia Roma- na alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985, p. 114, n. 40.
194. Nei dialetti della Tuscia, il sostantivo ed aggettivo Gojo, sinonimo di minchione, non buono, non idoneo, Ë esteso oltre alle persone, anche a piante (ortica goja o matta), alla luna (non buona per la semina), uova (non buone per la cova) e a tutto ciÚ che Ë animato (si muove). Appare probabile la sua derivazione dallí ebraico goj, termine col quale sono indicati i cristiani, il popolo pagano. Ad Onano la leggenda che vuole Luca Monalde- schi della Cervara, soggetto ad un attentato da parte di Primo di Meco detto Manoca per le brutalit‡ ed iniquit‡ del Monaldeschi, individua negli ebrei Manoca e in Andrea i cospiratori. Il vero fatto storico, conclusasi nel 1561 con la condanna per eresia luterana del Monaldeschi e col passaggio di Onano dallíantica famiglia di Orvieto a quella degli Sforza di Santa Fiora, nellíimmaginario della popolazione ha assunto contenuti differen- ti. Fino agli anni prebellici del primo conflitto mondiale la rappresentazione della decapitazione di Manoca e di Andrea il macellaretto, veniva realizzata il GiovedÏ Grasso tra líapprovazione della folla (consenso coatto) nella Piazza del Monte sotto líantico palazzo ducale. ìIl popolo era abietto e pauroso/ di Primo o Andrea poco o nulla sanno/ per mantenere un popolo di schiavi/ morte agli Ebrei, ricchi, onesti e savi!î (G. FERRANTINI, Processo a Primo di Meco ìManocaî, versi in ottava rima consegnatimi dal poeta-agricoltore, ultima voce narrante e coscienza della cultura popolare onanese). Vd., anche L. CIMARRA, F. PETROSELLI, Proverbi e detti proverbiali della Tuscia Viterbese, Viterbo, Tip. Quatrini, 2001.
195. Copia Statuti Veteris (1471) Civitatis Montisfalisci quam ego Fabritius Bisentius transcripsi Anno Domini 1715, L. IV, Cap. 51 De modo, et forma vendentium Carnes in Civitate Montiflasconi, f. 268-269, ms. 196. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25, Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 30, c. XXIII.
197. F. M. ANNIBALI, Notizie storiche della casa Farnese, Montefiascone, 1818, Stamperia del Seminario p. 160. 198. A.S.Vt. not. Acq., Giulio Pietro Paolo, prot. 362, c. 268. 199. Gli Statuti della Citt‡ di Corneto MDXLV (a cura di M. RUSPANTINI), Societ‡ Tarquiniese di Arte e Sto- ria, Tarquinia, 1982, p. 276 e 277, L. V., Cap. LXXXXII.
200. Copia Statuti Veteris (1471) Civitatis Montisfalisci quam ego Fabritius Bisentius transcripsi Anno Domini 1715, L. IV, Cap. 41, f. 262. 201. Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25, Instrumenti e Capitoli (1566-1578), cap. 32, c. XXIII.
202. G. RANUCCI, F. RANUCCI, Cultura giuridica e societ‡ civile a Valentano (VT) nel 1500, Castelmadama, tip, M.de Rossi, p. 359. I Bandi Farnesiani, regolavano anche i provvedimenti da applicare ad altri soggetti marginali: vagabondi e zingari. I primi sono definiti coloro che ìotiosamente cercando il vivere il vivere dalle fatiche et sudori díaltri, essendo essi non atti a fatigare e con proprii sudori procurarsi il pane, i secondi ìsono gente che ordinariamente procurano il vivere con fraude et rapir quel díaltriî pertanto veniva loro ordinato di lasciare il ducato e vietato di tornarvi a vivere; era solamente loro consentito il passaggio. Le pene ai contrav- ventori prevedevano tratti di corda ed esposizione alla berlina. Ivi, p. 361, n. 17.
203. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano, cit., p. 59. 204. P. P. BIONDI, Croniche di Acquapendente [Ö], Empoli, La Toscografica, 1984, p. 56. 205. A.S.Vt. not. Acq., Pietro Paolo di Giovanni, prot. 601 bis, cc. 5r. 206. N. PAVONCELLO, Le comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit. Della lista delle Sinagoghe viterbesi che versavano la quota alla Casa dei Catecumeni facevano parte anche Bagnaia, Nepi e Vitorchiano.
207. F.M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese, cit., p. 160 . La Comunit‡ di Latera, in data 7 giugno 1570, elargÏ 50 scudi e un terreno di 4 staia in contrada Le Piagge per piantarvi una vigna pi ̆ altri donativi, a Jacob ebreo laterese convertitosi al cristianesimo. 208. Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione di tutti li casati della medesima terra, collí- antiquit‡ o modernit‡ loro, (ms. 1589). Líinedito manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale di Acqua- pendente, nella sua copia dattiloscritta, mi Ë stata fornita da Marcello Rossi. Nonostante la presenza di altri ebrei in Acquapendente il Biondi nel manoscritto non fornisce altra informazione circa líantica comunit‡.
209. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 2002, p. 208; 212; 214; 216; 218. 210. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 1988, 238 e seg.
211. Rinaldo Cordovani, Il monastero delle monache Benedettine di San Pietro di Montefiascone, Montefiasco- ne C.I.C., 1994, p. 33. 212. Archivio Parrocchiale di Valentano, Libro della Venerabile Compagnia di San Francesco di Valentano (1755-1779), cc. n. nn.
213. La citazione sui campi díinternamento di Montefiascone, Tuscania e Valentano Ë contenuta in R. DE FE- LICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, p. 372. A Valentano nel novembre 1940 vi erano otto internati (5 donne e 3 uomini), nel 1941 e 1942 erano saliti ad undici e nel 1943 a dodici (7 donne e 5 uomini). Per notizie intorno al campo di Valentano cfr., I. GIANLORENZO, Il campo di concentramento di Valentano, ìViterbo e Provinciaî (settimanale díinformazione de Il Corriere di Viterbo a. I, n. 10, 29 agosto 1998, p. 28 e 29), ìA Valentano erano censiti 15 ebrei, Holfsaner, Nadel, Kerner, Schimdl e un rabbino di no- me Beckerî; inoltre: V. M. CRUCIANI, Campani e cannoni, Ed. Leggio, 1994.
214. G. B. SGUARIO, Viterbo-Auschwitz solo andata. La triste storia di tre ebrei viterbesi, ìBiblioteca & So- ciet‡î, a. XVIII, dic. 1999. ìI tre ebrei viterbesi deportati erano: Anticoli Vittorio Emanuele, di Beniamino e di Porto Stella, nato a Roma nel 1885, residente a Viterbo; Anticoli Letizia di Vittorio Emanuele e di Di Veroli Reale, nata a Viterbo nel 1914, residente a Viterbo; Di Porto Angelo di Simantove, nato a Roma nel 1909, resi- dente a Viterboî.
Negli anni che precedono la guerra, scrivono B. Barbini e A Carosi, la persecuzione antisemita determinÚ nel viterbese situazioni che ìper la loro assurdit‡, potrebbero apparire umoristiche, se non fossero il prologo di una tragedia. Un possidente di Pitigliano, Renato Sadun, si vede di colpo cancellato il suo passato di combat- tente: infatti, pur avendo partecipato come capitano alla guerra 1915-18, viene radiato dallíAssociazione Combattenti, dopo che, nel 1939, gli era stata tolta la tessera del partito. In seguito sfuggÏ alla deportazione perchÈ si nascose nei boschi di sua propriet‡, siti nel territorio di Acquapendente. Ancora pi ̆ singolare il caso di Samuele Spizzichino, nato anchíegli a Pitigliano, ma residente a Latera, dove esercitava líattivit‡ di com- merciante. Nonostante il suo passato di squadrista ed il vanto di aver fatto parte di una delle pi ̆ note squadre díazione delle origini del fascismo,
Regesto
215. N. PAVONCELLO, Le Comunit‡ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, cit., p. 63 216. LUZI, B. MANCINI, Il monastero delle Benedettine di San Pietro in Montefiascone e la sua spezieria: storia e documenti, AA.VV. La spezieria di San Benedetto a Montefiascone (a cura di M.S. SCONCI, R. LU- ZI), Ferrara, Belriguardo, 1994, p. 53 e 54. 217. Bonafede Mancini, Gli Sforza di Santafiora nellíAlto Lazio, in: Tracce. Percorsi storici, culturali e am- bientali per Santafiora, E.C.P., 1998, pp. 65-77. 218. R. G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, cit., 34 e segg. 219. .S.Vt. not. Acq., Rutilio Beccafumi, prot. 124 (1579-1620), cc.89-94v. Gli atti furono rogati in Acquapen- dente nella casa del notaio R. Beccafumi. ìAl nome de Dio ‡ di 5 di luglio 1610 in Fiorenze. Con et sia chel Ecc.mo sig.r Giovanni Antonio Orsini Marchese del Monte San Savino fusse debitore dellíHebrei Banchieri de Pitigliano in tanto che vi si essercitava Banco di presto di piastre quattrocento ottanta come per scritto fatto il primo febbraio 1699 cioË 1599 sotto scritto da esso con suo sigillo da pagarli ‡ me Isaac Rieti da Siena, et un altro scritto de liri centovinti con sotto scrittione medesima da S.E.I questo giorno si Ë venuto ‡ conti et calcal- coli finali con me Isaac detto in nome delli detti banchieri con il detto signore Marchese, il quale havendo hau- to riguardo danni patiti essi hebrei Banchieri, et alli spese fatti si chiama et si constituisce vero et legittimo debitore di essi e per essi al detto Isaac, della somma et quantit‡ de piastre settecento de lire sette líuno, li quali si obliga ‡ me Iasaac detto o, a chi presenter‡ lo presente scritto senza altro mandato in questo modo et forma cioË piastre 150 ‡ 12 Agosto prossimo P. altri 150 alli 12 Feb. sequente, P. 150 alli 12 Agosto 1611, P.
150 ‡ Feb. poi sequente, P. 100 poi a 12 Agosto 1612 per compimento de detti P. 700 de liri 7 líuno, et questi siano per resti et ogni pretentione che essi Hebrei o ogni altro interessato che potesse ciascun de essi pretende- re con S. E. I. et in vert ̆ del presente scritto si annulla ogni scrittura publica et privata polise mandati ‡conti et ogni altra cosa che fra essi fosse seguita fino al presente giorno, si come S.E., come confattori et servitori suoi in pitigliano, Siena, Fiorenze e Pisa et ogni altro loco, et in oltra Io Isaac detto prometto avanti avanti sequi il terzo pagamento far ratificare la presente conventione et contenuto di essa in ogni sua parte per scrit- tura pubblica ‡ tutti et ciaschedíuno deli interessati nel detto negotio de Banco a piacemento del detto signor marchese da Principe et da Cavagliereo osservare li soprapresenti pagamenti per resto de conti (Ö) fine reci- plico fradindi et in fede Io Isacc soptoscritto per commissione et ordine de S.E.I. ho fatto dui due scritti simili, uno per uno, quali saranno sottoscritti da esso et segillati col suo solito sigillo il dÏ et Anno detto, et il medesi- mo giorno se gli sonno restituiti le scritture vecchi.
Io Giovanni Antonio Orsini Marchese contento et obligo quanto di sopra si contiene. Io Isaac Rieti sopto in obligo et affermo quanto di sopra. Io Isaac de Simone Rieti da Siena sopto ho riceuto centocinquanta de lii sette al conto suddetto dallí Ecc.mo signor Marchese sudddetto per le mani del Molto Eccellente Bartolomeo Godi questo di 4 Nov 1610 in Fioren- za et pre fede del vero sottoscrivo detta Riceuta de mia mano propria.î 220. essendo il paese [Onano n.d.A.] lungi 6 miglia dal Toscano confine, vi Ë la dogana di bollettone di 2 clas- se, con guardie di finanza, poichÈ attivo níË il commercio, e per esercitarvi gli ebrei il contrabbandoî. G. MO- RONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, 1860, vol. CI, p. 288. 221. GIRALDI, Copia dellíInformatione et discordi dello stato di Castro. [Ö], in: DOMINICI ANGELI CA- STRENSIS, De depraedatione Castrensium et suae patriae historia, (a cura di G. BAFFIONI, P. MATTIAN- GELI, T. LOTTI), Roma, 1981, p. 80. 222. Ivi, p. 107. Líuso di tempi passati nellí Informatione dello Zucchi lascia spazi di ampia interpretazione in considerazione del fatto che sono gli anni in cui Ë vicina la crisi politica (1641) e la distruzione della citt‡ (1649). 223. Nel lungo capitolato (n. 37 capp.) venivano regolati tra líaltro: la quota di bene entrata (10 fiorini); la du- rata del banco (10 anni, cap. 35); i divieti (impegnare robbe de chiesie: Calice, patene, Croce, paramenti, cap. 23; uscire dalle abitazioni dal GiovedÏ al Sabato Santo) e le agevolazioni (osservanza del Sabato con astensione dal prestito e dalle cause civili, cap. 22; divieto per altri banchieri di prestare ad usura in Castro o suo distretto senza la licenza del detto banco, cap 25; carne sciattata, cap. 32; non pagare gabelle al termine del loro manda- to, cap. 36). Cfr., Archivio Storico di Valentano, fondo Castro, Registro 25 Instrumenti e Capitoli (1566- 1578), cc. 20v-24. 224. R. G. SALVADORI, la Comunit‡ ebraica di Pitigliano [Ö] , cit., p. 46. Il pregiudizio della stregoneria non era meno intransigente nei confronti delle donne battezzate. Tre valentanesi, Angela Barghina, Gentile di Giovanni e Angela di Bernardino, nel 1633 furono anchíesse inquisite per stregoneria.
225 Nota a :îil Luogo del ricordoî di M. Fineschi. ìPurtroppo il Prof. Luzzati non ha potuto rielaborare ed in- viarci la sua preziosa relazione che, ci ha assicurato, avremo disponibile per líannuario del 2003.î
Bibliografia
FONTI DíARCHIVIO: Archivio di Stato di Viterbo, fondo notarile di Acquapendente, di Montefiascone, di Tuscania. Archivio Storico di Valentano, fondo di Castro. Archivio della Parrocchia di S. Giovanni Ap. Ev. di Valentano TESTI A STAMPA: Roberto Almagi‡, Documenti cartografici dello Stato Pontificio, Citt‡ del Vaticano, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960. AA.VV., Storia díItalia. Gli Ebrei in Italia. (a cura di C. Viviani), Annali 11, Tomi 1 e 2 Torino, Einaudi, 1996 e 1997. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 1988. Atti dei Verbali Consiliari. Anni 1565-1572 (a cura di V. Angelotti, F. Fanelli, E. Fucini), Viterbo, tip. Quatrini, 2002. F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese, Montefiascone, 1818, Stamperia del Seminario Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione di tutti li casati della medesima terra, collíanti- quit‡ o modernit‡ loro, (ms. 1589). Pietro Paolo Biondi, Croniche di Acquapendente. Descrittione della Terra díAcquapendente con la sua anti- quit‡, nobilt‡, governo, usanze et altre cose, Empoli, La Toscografica, 1984. Angelo Biondi, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: AA.VV., I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti díEuropa, Viterbo, tip. Agnesotti, 1985.
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* Le persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto
(Luciana Rocchi, Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dellíEt‡ Contemporanea Grosseto) 1. In: Associazione Toscana Volontari della Libert‡, sezione di Grosseto Monumento al fascismo, Grosseto, 1984. La copia originale del diario Ë nellíarchivio privato di Gino Servi, figlio di Azeglio. 2. La storia della famiglia Servi Ë narrata anche da Edda Servi Machlin in: Child of the ghetto, Croton on Hu- dson, GiRo Press, 1995 3. In: La Maremma, 16 ottobre 1938, n.41. Dal censimento risultano residenti in Italia 46.656 ebrei, di cui 3- 7.241 di nazionalit‡ italiana. 4. In: ASCP, 5. Cfr. R.G. SALVADORI, La comunit‡ ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Firenze, Giuntina, 1991 6. Non sono pochi gli ebrei antifascisti, ma non si puÚ parlare di un ìantifascismo ebraicoî. Su questo tema, cfr. 7. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 689 8. Ibidem 9. Cfr S. DURANTI, Federazioni di provincia: Arezzo, Grosseto, Pisa e Siena, in: E. Collotti Razza e fascismo.
La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943),Roma, Carocci, 1999. Duranti rileva la particolare aggressivit‡ del linguaggio della propaganda razzista nella provincia di Grosseto, a confronto con quello delle altre province toscane, sottolineando ìla fascistizzazione della societ‡ civile, la ricezione del linguaggio fascista e di modelli culturali fortemente irreggimentati laddove la chiusura nel microcosmo mezzadrile non favoriva certamente lo scambio e la formazione di grandi corpi sociali autocoscientiî.
10. In: La Maremma 18 settembre 1938, n. 37 11. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.701 12. Sono le parole conclusive della lettera di Ugo Guido Boscaglia, veterinario di Pitigliano, al Prefetto di Gros- seto, gi‡ citata. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 689 13. Intervista a Cesare Nunes, 3 luglio 1996 14. Cfr. C.S. CAPOGRECO, Per una storia dellíinternamento civile nellíItalia fascista, in: A.L. Carlotti (a cura di) Italia 1939-1945. Storia e memoria, Milano, Vita e pensiero, 1996; Idem Líoblio delle deportazioni fasci- ste: una ìquestione nazionaleî. Dalla memoria di Ferramonti alla riscoperta dellíinternamento civile italiano, in Nord e Sud, novembre-dicembre 1999. Per la Toscana, cfr. V. Galimi Líinternamento in Toscana, in E. Col- lotti Razza e fascismo, cit. 15. Le norme, che istituivano campi di internamento sono emanate nel 1940, nellíimminenza dellíentrata in guerra dellíItalia. Il pi ̆ importante tra questi campi fu quello di Ferramonti di Tarsia (Cosenza). 16. Cfr. M. SARFATTI, Gli ebrei nellíItalia fascista, Torino, Einaudi, 2000. Sarfatti documenta, negli ultimi mesi di governo di Mussolini, ordini e misure nei confronti di ebrei italiani e stranieri, che ne aggraverebbero di molto la condizione in Italia, ma ìLa crisi del 25 luglio 1943 impedÏ al governo fascista di attuare quelleÖ misure e di procedere allíapertura dei campi díinternamento e lavoro obbligatorio per gli ebrei italiani: cosÏ tali decisioni fanno parte solo della biografia di Mussolini e del regime fascista e non anche delle biografie delle vittimeî (pag.207). 17. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 765 18. Cfr. L. PICCIOTTO FARGION, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dallíItalia (1943-45), Milano, Mursia, 1991 19. Questo dato, ormai acquisito dalla storiografia, che si spiega soprattutto con le ragioni delle scelte del gover- no fascista e delle modalit‡ di applicazione delle norme da parte delle gerarchie politiche e militari, trova an- che una conferma in ragioni di ordine pratico. Durante uníintervista, Gino Servi ha dichiarato:î I tedeschi erano impegnati nella lotta contro i partigiani, non contro gli ebrei. I nostri nemici erano i repubblichiniî, anche per- chÈ ñ sostiene Servi ñ era 20. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 765 21. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.764 22. Ibidem 23. In: ASG, f. Regia Prefettura, b. 698, 764, 765 24. In: ACS, Min Int., P.S., Massime, b. 142 25. Alcune notizie sono dovute alla cortesia del signor Toni Magagnino, che mi ha consentito di accedere al suo archivio personale. 26. M. PALLA (a cura di),Toscana occupata. Rapporti delle Milit‰rkommandanturen 1943-1944, Firenze, Ol- schki, 1997 27. In: Archivio ISGREC, f. CPLN, b. 17 28. Cfr. N. CAPITINI MACCABRUNI (a cura di), La Maremma contro il nazifascismo, Grosseto, 1985 29. In: ACS, Min. Int. P.S., Massime, b. 142 30. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.698 31. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.756 32. In: ACS, Min. Int., P.S., Massime, b. 142 33. Ibidem 34. Ibidem 35. In: ASG, f. Regia Prefettura, b.764 36. Questo tema Ë stato ampiamente affrontato, ma in modo particolare deve essere segnalata líopera recente di Giovanni Miccoli (G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano, Rizzoli, 2000) 37. Si legge in una nota di Monsignor Tadini: ìIl signor Tittman si lamenta fortemente contro questo articolo del Vescovo di Grosseto. Dice che Ë falso perchÈ tace che a Grosseto víË un grande campo díaviazione tedesco e vi sono molti tedeschi. Aggiunge che líarticolo ñ tendenzialmente politico ñ Ë stampato in una pubblicazione o raccolta edita a solo scopo politico [Ö] Rispondo: 1. Che la Santa Sede non sapeva niente; 2. Che neppure ora sappiamo se líarticolo Ë veramente cosÏ;3. Che domanderemo informazioni; 4 Che, se il testo Ë cosÏ, Ë vera- mente infelice ed imprudente; 5. Che la Santa Sede non controlla i vescovi díItalia come non controlla quelli delle altre nazioni; [Ö] La S.C. Concistoriale far‡ un rebuffo al Vescovoî, in Actes et documents du Saint SiË- ge relatifs ‡ la seconde guerre mondiale, 7, Le Saint SiËge et la guerre mondiale novembre 1942-dÈcembre 1943, Citt‡ del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1973 38. In: ACV, fasc. Seminario di Roccatederighi
39. Questa osservazione Ë di Bruna Bocchini Camaiani 40. In: ACV, fasc. Seminario di Roccatederighi 41. Segnaliamo solo un articolo recente di un sacerdote, don Pietro Fanciulli, allíepoca seminarista a Roccate- derighi, che ricorda con commozione sia la sofferenza degli internati, che ìla sincera ammirazione e gratitudi- neî degli ebrei verso il vescovo ( in: Toscana oggi, 4 marzo 2001) 42. Intervista a Cesare Nunes, 3 luglio 1996 43. Queste notizie sono contenute nel diario di Azeglio Servi, in: Associazione Toscana Volontari della Libert‡, sezione di Grosseto Monumento al fascismo, cit. 44. Intervista a Cesare Nunes, cit. 45. A Monticello Amiata, una famiglia di ebrei tedeschi trovÚ un rifugio e protezione, grazie a due abitanti del paese, Giovan Battista Leoni e Liberato Angelini, arrestati in seguito per una delazione, che provocÚ la depor- tazione degli ebrei (in: ASG, f. Regia Prefettura, b 698 ) 46. Intervista a Gino Servi, cit. 47. R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993 48. Il riferimento Ë al lavoro di molti storici, tra cui citiamo solo Enzo Collotti ed il gruppo di giovani ricercato- ri, che si Ë formato intorno a lui, Michele Sarfatti, Liliana Picciotto Fargion, Mauro Raspanti, ed anche al lavo- ro di raccolta di documentazione, realizzato dal CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Milano. Un contributo importante, sia per la ricerca che per la divulgazione, Ë stato offerto dalla mostra itine- rante La menzogna della razza, curata dal Centro Furio Jesi e dallíIstituto regionale Ferruccio Parri di Bologna, nel 1995 49. Il fascismo grossetano, al di l‡ di pochi studi sulle origini e su singoli, specifici aspetti, non Ë stato ancora studiato e compreso nel suo insieme; questo rende difficile anche affrontare questioni, come quella di cui si parla in questa sede. 50. G. DE BENEDETTI, 16 ottobre 1943 Palermo, Sellerio, 1993 51. G. DE LUNA, Fascismo antifascismo. Le idee, le identit‡, Firenze, La Nuova Italia, 1995 52. Intervista a Gino Servi, cit. 53. Queste affermazioni di Davide Bidussa sono del 1994 (D. BIDUSSA, Il mito del bravo italiano, Mila- no,1994, p.15)
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